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Pubbl. Ven, 17 Apr 2020
Sottoposto a PEER REVIEW

Accesso civico agli atti di gara da parte di soggetto non concorrente: disamina e rassegna delle recenti sentenze.

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Ilaria Valentino
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Napoli Federico II



Inquadramento normativo e giurisprudenziale della disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi, in particolare riguardo all’accesso civico generalizzato nelle procedure di gara e alle relative limitazioni. Le recenti sentenze Cons. St., sez. III 5 giugno 2019, n. 3780 e Ad. Plen. 2 aprile 2020, n. 10.


ENG Regulatory and case-law framework on access to administrative documents, in particular , relates to generalized civic access to tender procedures and related restrictions. The sentences of High Court Administrative, section III, 5th June 2019, n. 3780, and Plenary, 2 April 2020.

Sommario: 1. Premessa – Il diritto di accesso ex L. 241/90; 2. L’accesso civico semplice; 3. L’accesso civico generalizzato; 3.1. Chi decide sulle istanze di accesso generalizzato; 4. Esclusioni relative al diritto di accesso tout court; 5. L’accesso in materia di appalti; 6. Il Caso – La sentenza del T.A.R. Parma n. 197 del 2018; 7. La Sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato n. 3780 del 5 giugno 2019.

 

1. Premessa: Il diritto di accesso ex L. 241/90

Il diritto di accesso[1], disciplinato dagli artt. 22 e ss. della L. 241/1990 e consistente nella possibilità di visionare documenti in possesso della P.A. e di estrarne copia, è un istituto che è stato positivizzato a partire dagli anni ‘90[2], ma la cui importanza è stata avvertita, come ricorda anche la Prof.ssa Sandulli nella voce enciclopedica sull’accesso,[3] fin dall’Assemblea Costituente.

Quest’ultima si pose il problema di un’amministrazione che fosse permeabile dai privati e che desse conto del procedimento decisionale culminante nel provvedimento amministrativo e stigmatizzò “il malvezzo” dell’Amministrazione di “decidere sopra la testa dei cittadini”, riprendendo quell’immagine elaborata sin a partire dal 1908 della “casa di vetro” cara a Filippo Turati e riconducibile alla trasparenza introdotta, successivamente, dalla commissione Nigro.

L’accesso, quindi, è corollario del più ampio principio di trasparenza, inteso quale totale accessibilità alle informazioni, all’attività e all’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, e del principio di partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo[4], che però ha trovato in un primo momento e, prima della emanazione della Legge sul procedimento amministrativo, uno scollamento tra quelle che furono le istanze teoriche propugnate dalla commissione Nigro[5] e quella che fu l’attuazione effettiva dell’istituto.

La commissione Nigro, per l’appunto, propendeva per un controllo generalizzato, per una partecipazione diffusa del cittadino sull’amministrazione: la casa è di “vetro” affinché sia immediatamente percepibile ciò che avviene al suo interno.

In realtà, per un motivo di carattere prettamente organizzativo, il Legislatore del 1990, temendo che un controllo diffuso sulla pubblica amministrazione attraverso istanze massive ed emulative potesse paralizzarne l’operatività, finì per accogliere una concezione più ridotta e, cioè, sostanzialmente rivolta a consentire al singolo cittadinp, che ne fosse interessato, di poter richiedere atti detenuti dall’amministrazione o in chiave difensiva (nell’ambito, cioè, di un processo amministrativo per evitare i cd. “ricorsi al buio”), o in un’ottica collaborativa (si pensi all’accesso agli atti endoprocedimentali ex art. 10 lett. a) L. 241/90).

A tale visione e impostazione “storica”, si contrappone una rivoluzione che invece è oggetto dei giorni nostri: a partire dal 2013, l’accesso classico, documentale, procedimentale, è stato appaiato dal c.d. “accesso civico” che è stato a sua volta, poi, implementato nel 2016 con un’ulteriore figura che ha sostanzialmente bipartito l’accesso civico tout court in: acceso semplice e accesso generalizzato.

Proprio per tale ultima ragione, oggi, le problematiche applicative che l’accesso civico ha comportato e comporta, nelle sue declinazioni più ampie, hanno ravvivato un dibattito che sembrava incanalato su un percorso ben definito.

Occorre innanzitutto individuare quelli che possono essere considerati gli “elementi essenziali[6] comuni alle tre discipline sull’accesso.

Il dato normativo è inequivocabile: chiunque può esercitare l’accesso documentale, l’accesso civico semplice e chiunque può esercitare quello generalizzato. Per cui, già sul piano esegetico-letterale, l’interprete non ha dubbi sul fatto che si sia voluta dare una legittimazione quanto più ampia possibile ai beneficiari delle norme.

Colui che presenta l’istanza, quindi, può essere una persona fisica, giuridica, un soggetto di diritto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta e qualsiasi entità di diritto che non raggiunge nemmeno la soggettività (quali ad esempio gli enti di gestione), cui l’ordinamento riconosce una legittimazione attiva, purché abbia un interesse concreto, diretto ed attuale collegato al documento di cui vuole entrare in possesso.

L’istanza deve contenere la specifica indicazione dell’interesse legittimante, che si identifica in ogni posizione soggettiva suscettibile di tutela (diritto soggettivo, interesse legittimo, interesse diffuso ed aspettative legittime).

Sul piano sistematico e teleologico, è immediatamente evidente che le norme nascono in una temperie culturale che vuole favorire il controllo generalizzato, ma l’accesso non può avere scopo “emulativo”, finalizzato cioè solo a recar danno all’Amministrazione e non può riferirsi a mera curiosità; non può essere in alcun modo esercitato come “potere di controllo” diffuso sull’attività e sull’operato amministrativo[7] e deve essere motivato.

Riguardo all’oggetto dell’istanza[8] di accesso, il Consiglio di Stato[9] ha dichiarato in maniera univoca l’inammissibilità della stessa quando risulti essere vaga e generica, quando non riguardi documenti esistenti, quando miri ad un controllo preventivo o investigativo sull’attività amministrativa; la richiesta deve consistere nella domanda di esibizione di documenti di cui sia certa l’esistenza e, di conseguenza, esula dal diritto di accesso la richiesta di informazioni in ordine all’esistenza di determinati atti.[10]

Dal punto di vista passivo, invece, il Legislatore, in particolare quello del 2016, ha meritoriamente introdotto l’art. 2 bis che individua in modo puntuale coloro i quali possono essere destinatari della richiesta di accesso: le P.A. stricto iure, ma anche gli enti pubblici economici, gli ordini professionali, le società a controllo pubblico o a partecipazione pubblica; gli enti di diritto privato laddove esercitino funzioni amministrative e producano beni e servizi destinati alla comunità o gestiscano servizi pubblici.

Il retaggio di questa norma è immediatamente evidente se si considera quella che è stata la travagliata individuazione della pletora dei destinatari dell’accesso documentale (artt. 22 e seguenti).  Le sentenze n. 4 e n. 5 del 1999 si ponevano la importante problematica del se fossero accessibili gli atti detenuti dagli enti pubblici economici[11] o dalle società concessionarie di un’attività di controllo nei confronti di altre società.

L’Adunanza Plenaria, partendo proprio dal concetto di trasparenza, ha dovuto dirimere il problema insorto in Consiglio di Stato e faticosamente, sulla scorta dei principi di carattere generale e su una nozione multiforme di pubblica amministrazione, richiamando anche l’organismo di diritto pubblico europeo, ha elaborato ed esteso l’accesso a quei soggetti che nessuno – con le basi del diritto amministrativo – avrebbe potuto definire amministrazioni stricto iure[12].

2. L’accesso civico semplice

In un’ottica sempre più ampia di trasparenza, l’accesso civico semplice è stato introdotto dal D. Lgs. 33/2013, attuativo della L. 190/2012 nota come “Legge Severino” volta a contrastare i numerosi fenomeni corruttivi, poi modificato dal decreto trasparenza n. 97/2016.

È proprio a tale ultima finalità che si aggancia l’istituto: consentire, seguendo l’intenzione del Legislatore delegante, il riordino e la modifica delle misure di pubblicità e di diffusione delle informazioni, rendendo, di conseguenza ed insieme ad altre misure tra cui quelle interdittive, la P.A. meno permeabile a fattori di male affare.

La Legge Severino sostanzialmente dettava una serie di principi delega, con i quali si sarebbe dovuto svolgere un coordinamento degli obblighi di pubblicità, già previsti dal precedente Legislatore, dell’uso delle risorse pubbliche e delle funzioni amministrative[13].

L’accesso semplice consiste in un obbligo di pubblicazione, determinato dal Legislatore in capo alle PP. AA., le quali sono tenute a pubblicare sul proprio sito istituzionale le informazioni che il Legislatore stesso ritiene rilevanti ai fini del controllo sul suo operato.

Se però si ribaltasse l’angolo visuale e ci si ponesse dalla prospettiva del privato, ci si renderebbe conto che l’accesso semplice ha anche una diversa caratura: accesso non è semplicemente il diritto di conoscere quelle informazioni che vengono pubblicate, ma è anche pretesa, facoltà del cittadino di poter domandare alla P.A. di adempiere agli obblighi di pubblicazione, disponendo di diversi canali da attivare per poter coartare e coattare quelle amministrazioni recalcitranti e negligenti.

L’impostazione accolta dall’accesso civico semplice è diametralmente opposta a quella sposata dal Legislatore del 1990 dell’accesso documentale.

Alla reattività dell’amministrazione a fronte di un’istanza presentata ai sensi dell’art. 22 L. 241/90, si contrappone la proattività dell’amministrazione in caso di accesso semplice: l’amministrazione, cioè, non agisce su istanza del privato, ma si fa attrice, spontaneamente (rectius per gli obblighi sempre più stringenti di pubblicazione che vengono di volta in volta introdotti dal Legislatore), della pubblicazione dei dati sul sito istituzionali.

Il pendolarismo tra reattività e proattività continua, poi, con la riforma del 2016 e vede un ritorno alla prima da parte della P.A., perché nell’accesso generalizzato è nuovamente il cittadino (anche se in una nuova veste uti singuli, uti cives) a farsi promotore e a richiedere l’ostensione del dato, ma non più in una chiave egoistica per difendere il proprio interesse legittimo oppositivo ovvero pretensivo, ma in vista del raggiungimento di una finalità generale, quasi di controllo sull’attività della P.A..

A livello di governance, l’istituto si struttura attraverso un duplice livello: centrale e locale e vede come attori protagonisti l’A.N.AC. con compiti ordinatori e di vigilanza e le singole amministrazioni –nella persona del Responsabile della Trasparenza con il precipuo compito di segnalazione all’autorità politica e all’OIV, i dirigenti che hanno disatteso obblighi e doveri.

Il RPCT ha un vero e proprio compito giustiziale, poiché è organo di riesame delle istanze che vengono proposte all’amministrazione: in caso di mancato accoglimento di un’istanza o di accoglimento e di reazione del controinteressato, prima di adire il Giudice, è possibile agire sul piano della singola amministrazione, proponendo, per l’appunto, un’istanza di riesame.

Un altro aspetto di rilievo concerne l’oggetto dell’interesse conoscitivo: l’accesso della L. 241/90 fa sì che i fruitori debbano essere in possesso di un titolo legittimante all’accesso, dovendo essere portatori di un interesse; con l’accesso “semplificato” il legislatore ha concesso la possibilità che possano essere conosciuti anche atti e informazioni e quindi elementi che differiscono dal mero documento.

Le modalità, quindi, cambiano radicalmente: se ci si pone nella prospettiva dell’accesso documentale, ci si deve recare presso una amministrazione e richiedere l’ostensione di un determinato documento; con l’accesso semplice, invece, l’interessato potrebbe non avere alcun rapporto con la P.A., nell’ottica in cui quest’ultima abbia pubblicato il dato.

Un altro elemento fondamentale, a tal riguardo, è quello degli “open data[14] che costituiscono un ulteriore passo in avanti rispetto all’accesso documentale e di cui il fruitore può liberamente disporre.

A tal riguardo, vi è da specificare che l’intervento della regolamentazione in materia di privacy, con la Direttiva 2016/680[15] del Parlamento europeo e del Consiglio d’Europa, modifica il regime del trattamento dei dati personali, rendendolo più garantista per il titolare e più gravoso per le amministrazioni che sono tenute a trattarlo, individuando tre principi che evitino rischi nella diffusione e nella trattazione corretta di dati sensibili: a) il principio di accountability (controllabilità); il data protection by design (per progettazione); il data protection by default (per impostazione predefinita).

Gli obblighi di pubblicazione previsti dal D. Lgs. 33/2013, tuttavia, non sono esauriti in questa unica disciplina.

A tal riguardo, la Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 20/2019[16], ha ammonito che gli obblighi di pubblicazione a carico delle Pubbliche Amministrazioni sono 270 e ha posto degli importanti spunti di riflessione in materia di accesso, di trasparenza e di riservatezza, rendendo operativo il canone del criterio di proporzionalità per giudicare proprio quelli che sono gli obblighi di pubblicazione.

3. L’accesso civico generalizzato

L’art. 5 comma 2, del Decreto Trasparenza n. 97/2016 così recita:

“chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, secondo quanto previsto dall’art. 5-bis.”

Già dal dato letterale della norma emerge il contenuto dell’interesse, o meglio del diritto di accedere a dati o documenti della P.A.: l’istituto si affianca, ed è molto simile, all’accesso documentale, ma vi è il preambolo della norma che ha creato numerosi problemi applicativi, oggetto di numerosi contrasti giurisprudenziali.

A differenza dell’accesso semplice, l’accesso generalizzato come ha esposto il prof. Savino[17] in un suo scritto, ha ricevuto un’ampia accoglienza da parte di quegli operatori a cui l’istituto era idealmente rivolto: soggetti[18] che, per ragioni professionali o per ragioni ideali, hanno un effettivo interesse a sapere per cosa e in che modo la P.A. agisce in determinati settori e che proprio grazie a questo istituto hanno potuto svolgere tutta una serie di inchieste (si pensi a quelle sui vaccini, sulla scuola digitale, sull’obiezione di coscienza, sulle strutture sanitarie).

L’accesso civico generalizzato sembrerebbe essere, quindi, una misura che incide profondamente sull’operato della P.A., sottoponendola costantemente ad un controllo ben più pervasivo dell’accesso civico semplice.

Dal punto di vista della governance, vi è un pluralismo centrale gestito dall’A.N.AC., meglio specificato a livello locale con i “Responsabili della Prevenzione, Corruzione e Trasparenza”.

In realtà,  va specificato che a livello centrale, la governance è addirittura tripartita poiché all’A.N.AC., che però non ha lo stesso ruolo pervasivo come nell’accesso semplice e che si limita a emanare Linee Guida, si affiancano il Garante della Privacy ed il Dipartimento della Funzione Pubblica.

Il Dipartimento della Funzione Pubblica, inoltre, oltre ad avere un ruolo, in materia di circolari, di carattere propulsivo, ha anche istituto un sito internet[19] che contiene la raccolta delle sentenze del Giudice Amministrativo su quelle che sono le tematiche più attuali.

Il Responsabile, invece, risulta mero organo di riesame (si pensi al ricorso gerarchico improprio).

3.1. Chi decide sulle istanze di accesso generalizzato.

Nel silenzio del dato normativo, vi sono due diversi modelli organizzativi: per A.N.AC sarebbe opportuno che l’amministrazione individui un unico responsabile; per il Dipartimento della Funzione Pubblica e per la dottrina si prospetterebbe una soluzione che individui, in ciascun settore o servizio dell’amministrazione, l’organo deputato a disbrigare le varie pratiche di accesso e ciò perché il singolo settore avrebbe contezza di quella determinata pratica e potrebbe al meglio individuare questioni di interesse pubblico che si contrappongono all’ostensione del dato ed eventuali controinteressati che potrebbero opporsi all’ostensione. La scelta, non essendoci un dato normativo, è demandata alle amministrazioni e di solito è preferito l’accesso non accentrato.

L’accesso generalizzato tocca un profilo che l’accesso semplice non considera: la tutela dei controinteressati.

La giurisprudenza amministrativa ha ribadito e accolto quello che è l’orientamento classico in materia di controinteressati nell’accesso: egli non è il semplice depositario, titolare del dato o della notizia, ma è il titolare di quella notizia che, se diffusa, può essere pregiudicarlo. La circolare 1/19 che ha  modificato la circolare “attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)" ha precisato che i  controinteressati sono individuati mediante gli interessi individuari dall'art. 5 bis, comma 2, ossi tutti i soggetti che possono subire dall’accesso civico un pregiudizio concreto a taluni interessi come la protezione dei dati personali, libertà e segretezza della corrispondenza, interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi proprietà intellettuale, diritto d’autore e segreti commerciali

L’amministrazione che si trova di fronte ad un’istanza di accesso, quindi, è portata ad effettuare un’attività valutativa approfondita per evitare che ci siano pregiudizi alla dignità, all’onore, alla  riservatezza di chi dalla diffusione potrebbe essere leso.

Affinché l’accesso possa essere rifiutato, quindi, il pregiudizio agli interessi pubblici o privati deve essere concreto; deve sussistere un preciso nesso di causalità tra l’accesso e il pregiudizio.

Affinché il diniego sia legittimo, nella risposta l’amministrazione deve indicare chiaramente quale interesse viene pregiudicato; deve dimostrare che il pregiudizio (concreto) prefigurato dipende direttamente dal rilascio dell’informazione e, infine, deve dimostrare che il pregiudizio conseguente al rilascio è un evento altamente probabile, e non soltanto possibile.

L’amministrazione è tenuta, quindi, a privilegiare la scelta che, pur non oltrepassando i limiti di ciò che può essere ragionevolmente richiesto, sia la più favorevole al diritto di accesso del richiedente.[20]

4. Esclusioni relative al diritto di accesso tout court.

L'art. 24 della Legge n. 241/90 si occupa dei casi di esclusione del diritto di accesso, restringendo il perimetro dei documenti amministrativi accessibili e individuando talune eccezioni alla regola generale dell'ostensibilità, secondo cui “l'accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza”.[21]

Al citato art. 24, fa rinvio il comma 3 dell'art. 22, laddove si prevede che "tutti i documenti amministrativi sono accessibili, ad eccezione di quelli indicati all'articolo 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6".

Questa diposizione prevede due tipologie di limiti all'accesso: in primis, vengono in rilievo i cosiddetti “limiti generali” (o limiti “tassativi”), che valgono per qualsiasi ambito di azione della Pubblica Amministrazione e sono quelli indicati dall'art. 24, comma 1, della L. n. 241/1990.

Tale comma fa espresso riferimento ai documenti coperti da segreto di Stato; ai casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge (segreto professionale, militare, bancario, istruttorio, ecc.); ai procedimenti tributari; in secundis, vi sono i “limiti particolari” (o limiti “eventuali”), che riguardano i procedimenti adottati in settori specifici dell'Amministrazione.

Ancora, sempre l’art. 24, al comma 2, fissa dei controlimiti che, seguendo lo schema imposto dal Legislatore, fanno sì che l'accesso ai documenti amministrativi non possa essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.

La parte finale dell'art. 24 è specificamente dedicata alla disciplina dell'accesso ai documenti contenenti dati sensibili, giudiziari e “sensibilissimi”.

Il Legislatore sul punto stabilisce, con una disposizione permeata da implicazioni interpretative, che nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l'accesso è consentito “nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e solo in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

A tal riguardo, è d’uopo specificare che il rapporto tra il diritto di accesso e la tutela alla riservatezza dei soggetti terzi è stato ripetutamente regolamentato dal Legislatore: già a partire dall'emanazione della L. n. 241/1990, la materia è stata successivamente disciplinata attraverso la L. n. 675/1996, il D.Lgs. n. 135/1999, il D.Lgs. n. 196/2003 (Codice della Privacy), ed infine la L. n. 15/2005, con cui è stato riformulato l'originario articolo 24 della L. 241/1990.

Allo stato attuale, quindi, il rapporto tra il diritto di accesso ed il diritto alla protezione dei dati personali per i dati comuni della persona prevede l'applicazione della normativa vigente in materia di accesso: l'istante può ottenere l'ostensione dei documenti contenenti dati comuni afferenti alla sfera privata di soggetti terzi, solo se egli dimostra di vantare un interesse diretto, concreto e attuale, (a termini, quindi, dell’art. 22 L. 241/90) corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. 

Per quel che concerne i dati sensibili, il D. Lgs. n. 196/03 specifica che essi sono “i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale[22]

L’accesso a questo tipo di dati, la cui disciplina viene accostata a quella dei dati giudiziari, ex art. 24 della Legge 241/1990, individua una disciplina particolare e più stringente per effetto della quale l’amministrazione a cui è richiesta l’ostensione ed il giudice adito in sede di tutela giurisdizionale possono consentire l'accesso nei limiti in cui esso risulti strettamente indispensabile per la cura e la difesa degli interessi giuridici dell'istante. L'accesso è quindi consentito come extrema ratio.

Ancora, l'esercizio del diritto di accesso incontra dei limiti ancor più stringenti in ordine ai dati “sensibilissimi”: il trattamento di questi dati è stato vietato sul piano internazionale e comunitario, pur essendo consentito in ambito nazionale qualora necessario per perseguire una sfera circoscritta di importanti finalità, e qualora basato su specifiche ed elevate garanzie[23].

Alla luce di questa previsione normativa, in sede interpretativa, il giudizio di bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e la posizione giuridica sottesa alla richiesta di accesso, deve essere operato in concreto e caso per caso[24], in base alla pretesa azionata o azionabile in giudizio e non, invece, in relazione alla posizione lesa costituente presupposto dell'azione.

È chiaro, quindi, “che se la lesione di un bene primario non è più ripristinabile, ma solo risarcibile patrimonialmente, nella comparazione concreta con il diritto alla riservatezza prevarrà quest'ultimo. Diversamente si concluderà ove la pretesa sia tesa alla salvaguardia di una situazione giuridica attuale o potenziale inerente valori costituzionalmente rilevanti”[25].

5. L’accesso in materia di appalti

Plasmando la disciplina generale, partendo dal richiamo ai tre diversi sistemi di regolazione del diritto di accesso, la normativa in materia di contrattualistica pubblica, prevista dal D. Lgs n. 50 del 2016, così come modificato dal D. Lgs. n. 56 del 2017 e s.m.i., regolamenta l’accesso in materia di appalti e più precisamente nelle procedure di gara.

Nella materia degli appalti è necessario che per ogni previsione vi sia una specifica e dettagliata regolamentazione, poiché in essa si assiste ad un continuo contemperamento tra il principio di trasparenza dell’azione amministrativa e la tutela della segretezza delle offerte, al fine di garantire la riservatezza delle imprese concorrenti.

L’art. 53 del Codice, in combinato disposto con l’art. 22 della L. 241/90, disciplina l’accesso di tipo documentale. Esso è consentito all’operatore economico concorrente alla gara, in presenza di un interesse diretto, concreto ed attuale. L’accesso di questo tipo può anche essere concesso ad un soggetto diverso dal concorrente, sempre secondo i principi della L. 241/90.

L’accesso civico semplice riguarda gli atti a pubblicazione obbligatoria, così come dapprima richiamato, ai sensi dell’art. 29 del Codice degli appalti e del Decreto Trasparenza ed attribuisce a chiunque il diritto di richiedere gratuitamente e senza necessità alcuna di motivazione documenti, informazioni o dati di cui la stazione appaltante ha omesso la pubblicazione, nella sezione “amministrazione trasparente” del sito istituzionale, così come previsto dalla normativa vigente.

L’accesso civico generalizzato, anche detto “FOIA[26], novità introdotta con il Decreto Trasparenza, consente a chiunque di accedere ai dati e documenti posseduti dalle stazioni appaltanti, con il solo limite degli interessi pubblici o privati indicati dalla Legge[27]. Obiettivo del “FOIA”, anche in questa materia, è garantire una sempre maggiore trasparenza.

Inoltre, una direttiva comunitaria importante è la 2004/18 CE, che, all’art. 6 tutela gli obblighi di pubblicità sugli appalti. L’esigenza, infatti, anche del legislatore nazionale è talvolta proprio quella di limitare o differire[28], l’accesso ad alcuni atti, al fine di assicurare il regolare svolgimento delle procedure di gara, nel rispetto del principio del favor partecipationis.

Punto cruciale della normativa in esame, però, e su cui occorre porre l’attenzione, riguarda i soggetti che concorrono alla procedura di gara, i quali non sempre sono legittimati all’accesso.

Innanzitutto, l’art. 53 del Codice non specifica i soggetti legittimati, ma si limita a menzionare esclusivamente la figura del “concorrente”, che è l’operatore economico che ha preso parte a quella procedura e che appieno rientra nelle ipotesi contemplate ex art. 22 della L. 241/90.[29]

Per tale sola ragione, quindi, si potrebbe affermare che la semplice partecipazione alla procedura di gara attribuirebbe all’operatore economico un interesse qualificato tale che gli consentirebbe l’accesso agli atti della procedura stessa: l’istanza di accesso, quindi, non va immediatamente negata, bensì è necessario che la stazione appaltante valuti gli eventuali elementi di legittimazione.

Diverso è il caso, invece, del concorrente escluso.

La giurisprudenza amministrativa formatasi innanzi ai T.A.R. sul punto non è univoca, registrandosi diversi orientamenti che si contrappongono: una tesi minoritaria, che segue il decisum[30] del Tar Toscana, secondo cui l’accesso è sempre consentito, anche se l’esclusione è inoppugnabile e secondo il quale dovrebbe riconoscersi l’applicabilità della disciplina dell’accesso civico generalizzato anche alla materia degli appalti pubblici[31]; una tesi maggioritaria, ancorata a varie pronunce,[32]fino a poco tempo fa anche del Consiglio di Stato che afferma che l’impresa esclusa, poiché ha perduto quell’interesse specifico, diretto, concreto ed attuale non ha diritto ad accedere agli atti di gara, proprio in virtù della sua esclusione.

Ed infatti, i documenti afferenti alle procedure di affidamento ed esecuzione di un appalto sono esclusivamente sottoposti alla disciplina di cui all’art. 53 d.lgs. 50/2016 e pertanto restano esclusi dall’accesso civico c.d. generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013[33].

Ma se, invece, fossero i soggetti estranei alla gara, intesi come coloro i quali volontariamente non hanno preso parte alla procedura, a richiedere un accesso ex art. 22 L. 241/90, essi in maniera generalizzata non potranno avere accesso ad alcun documento.

In ogni caso, dottrina e giurisprudenza si trovano ad essere concordi, ammettendo comunque l’accesso in presenza di un interesse legittimante.

Secondo questa impostazione, quindi, l’accesso in materia di appalti ha aperto uno scenario che porterebbe ad escludere l’applicabilità dell’accesso generalizzato e fino a qualche tempo fa, era ancora oggetto di gravame.

6. Il Caso  La sentenza del T.A.R. Parma n. 197 del 2018

Il caso vede come protagonista il Consorzio Automanutentori di Parma che decide di ricorrere al Consiglio di Stato, al fine di impugnare la sentenza n. 197/18, con cui il T.A.R. di Parma aveva confermato il diniego di accesso agli atti di una gara di appalto indetta dall’ASL per la manutenzione e riparazione di tutti i suoi automezzi, a cui, però, il Consorzio non aveva partecipato. Il T.A.R. aveva sostenuto che "agli atti di cui è richiesto l’accesso (consistenti per una parte nei documenti di gara e per la restante parte in una serie di dati relativi all’esecuzione del rapporto contrattuale scaturito) va applicata la disciplina “ordinaria” dell’accesso agli atti di cui all’art. 22 e ss. della l. 241/1990 e ciò in virtù del combinato dell’art. 53 del d.lgs. 50/2016 con l’art. 5-bis, comma 3 del d.lgs. n.33/2013".

7. La Sentenza della Terza Sezione del Consiglio di Stato, n. 3780 del 5 giugno 2019

La pronuncia n. 3780/2019 della Terza Sezione del Consiglio di Stato, in accoglimento del ricorso e in riforma della sentenza appellata, richiamando anche i principi già espressi nel parere relativo allo schema del “decreto trasparenza[34], prende in esame l’orientamento che ritiene la disposizione di cui all’art. 5, comma 2 del d.lgs. 33 del 2013 compatibile con l’accesso agli atti previsto dall’art. 53 del d.lgs. 50 del 2016 e secondo il quale l’accesso generalizzato è “strumentale” a consentire la partecipazione dei cittadini e a concedere a questi ultimi – senza alcuna limitazione alla legittimazione soggettiva una piena libertà di accedere e conoscere anche i dati ulteriori, diversi da quelli pubblicati, senza travalicare quei limiti[35] imposti dal Legislatore e posti a tutela di interessi pubblici e/o privati.

Al riguardo vi è da precisare che già con l’accesso documentale tradizionale (così come, del resto, sostenuto dal T.A.R. parmense) il richiedente poteva ottenere l’ostensione di dati e documenti fino a giungere alla conoscenza di quelli più riservati e protetti, ma solo in presenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, dato proprio dalla partecipazione alla procedura di gara.

Considerate le oscillazioni della giurisprudenza che aveva negato la possibilità di accesso generalizzato, la sentenza n. 3780, rappresenta una vera e propria “svolta” e si focalizza proprio sulla differenza tra le due discipline: una volta che la procedura di gara è conclusa e, venuta meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, l’offerta aggiudicata costituisce la “scelta” effettuata dalla stazione appaltante e l’accesso generalizzato consente al cittadino, al soggetto esterno alla procedura di gara, di “controllare” tale scelta, che rappresenterebbe volendolo definire in termini generali un vero e proprio provvedimento amministrativo.

Ne consegue, quindi, che giacché la disciplina dell’accesso generalizzato, che mira a garantire il rispetto del fondamentale principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione[36], non richiede a chi presenta l’istanza alcuna situazione legittimante o interesse a motivare la propria richiesta anche chi non ha partecipato può conoscere tutti i documenti di gara, comprese le offerte degli altri concorrenti, per la tutela dei propri interessi giuridici.

Dunque, tale accesso può essere esercitato anche da parte di un soggetto che non ha preso parte alla procedura, poiché tenderebbe […] a rafforzare una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione […].

Afferma, inoltre, il Consiglio che l’intento del Legislatore delegato è stato quello di[…] favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così la più ampia “[…] partecipazione al dibattito pubblico […].[37]

Per tale ragione, secondo un’interpretazione conforme ai canoni dell’art. 97 Cost., “poichè il d. lgs. n. 97/2016 (F.O.I.A) è successivo sia al “Codice dei contratti” che alla legge n. 241/90, non può ipotizzarsi una interpretazione “statica” e non costituzionalmente orientata delle disposizioni vigenti in materia di accesso allorché, intervenuta la disciplina del d. lgs 97/2016, essa non risulti correttamente coordinata con l’art. 53 codice dei contratti e con la ancor più risalente normativa generale sul procedimento […].

Ne deriva, in conclusione, che deve essere concesso l’accesso civico generalizzato agli atti dell’appalto sia prima che dopo l’aggiudicazione, come previsto dalla normativa nazionale e comunitaria.

Da ultimo, l’Adunanza Plenaria[38] con la decisione n. 10 del 2 aprile 2020, confermando i precedenti orientamenti normativi e giurisprudenziali, ha in maniera esaustiva enunciato i seguenti principi di diritto.

Innanzitutto, ha statuito che la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti formulata dal richiedente in maniera generica e senza alcun riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dall’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della L. 241/90; inoltre ha affermato che:

“la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53, d.lg. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis, d.lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.”[39]

Facendo anche riferimento alla recente sentenza n. 20 del 21 febbraio 2019 della Corte Costituzionale, ha rimarcato che:

“il diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della pubblica amministrazione, sul modello del c.d. FOIA risponde a principî di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico, ma anche, ai sensi dell’art. 97 Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione[40]

ed ha conclusivamente statuito che l’accesso civico generalizzato, nel quale la trasparenza si declina come accessibilità totale, è

“un diritto fondamentale, in sé, ma contribuisce, nell’ottica del legislatore, al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona.”[41

 

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] meglio detto “accesso documentale”, è disciplinato dagli artt. 22 e ss. della L. 241/1990.

[2] In precedenza v’erano delle ipotesi proteiformi di diritto di accesso, che consentivano in particolari ambiti molto limitati al destinatario dell’azione amministrativa di visionare gli incartamenti delle PP.AA..

[3] Enciclopedia del diritto, Volume 1, a cura di Angelo Falzea, Paolo Grossi, Enzo Cheli, Renzo Costi. In realtà, Sandulli ci riferisce, come già ai tempi della repubblica di Venezia o della Repubblica Napoletana del 1799, la tematica della conoscenza dei processi decisionali fosse stata già avvertita.

[4]All’argomento è dedicato l'intero Capo III della L. n. 241/1990 (artt. 7–13), rubricato appunto “Partecipazione al procedimento amministrativo”.

[5] Negli anni ottanta, Mario Nigro fu Presidente di una commissione governativa (nota come "Commissione Nigro") di riforma del diritto amministrativo sostanziale, ed in particolare del procedimento amministrativo, i cui lavori terminarono nel 1984 portando successivamente all'approvazione della l. n. 241/1990 sull'attività amministrativa.

[6] A tal riguardo va detto che è improprio definirli “elementi essenziali”, che invece sono caratteri, requisiti propri di un atto, di un contratto, di un istituto e senza i quali questi ultimi non avrebbero “vita” nel mondo giuridico. In merito all’accesso meglio parlare di “verifica della legittimazione attiva” per il soggetto che presenta l’istanza, di “verifica della legittimazione passiva” per la P.A. e, per l’oggetto di “verifica dei documenti ai quali si richiede l’accesso.” - cfr. “Il procedimento di accesso agli atti e gli adempimenti della P.A.”  a cura del Ten. Col. Bruno Dominici, in “Panorama Giuridico -  Informazioni Difesa” 3/2007.

[7] Cfr. Cons. di Stato, Sez. IV – Sent.1359 del 9 dicembre 1997; Cons. di Stato, Sez. VI – Sent. 5814 del 22 ottobre 2002.

[8] Cfr. Tar Lazio, Roma, sez. III-ter, 22 dicembre 2006, n. 15538.

[9] Cfr. Cons. di Stato, Sez. IV – Sent. 68 del 12 gennaio 2016.

[10] Cfr. Cons. di Stato, Sez. VI – Sent. 437 del 15 ottobre 2001 – Cons. di Stato, Sez. VI – Sent. 4883 del 25 settembre 2002;

[11] Il diritto di accesso ai documenti dei concessionari di servizio pubblico - Consiglio di Stato, Adunanza plenaria Sentenza 22 aprile 1999, n. 4 Pres. Laschena, Est. Maruotti S.p.a. Ferrovie dello Stato C. Menga.

[12] Il problema, poi, è stato ancora di recente riproposto, si pensi ex multis, Sent. Ad. Pl. 13/2016.

[13] già prevista dalla L. 15/2009 nota come Legge Brunetta, che sanciva l’accessibilità totale a tutti i dati detenuti dalla P.A.. Nella legge sono contemplati i temi principali della riforma: performance, valutazione, trasparenza, premi e sanzioni disciplinari, dirigenza, contrattazione collettiva e azione collettiva. La legge 15/2009 è attuata da due decreti legislativi: il decreto legislativo n. 150/2009 e il decreto legislativo azione collettiva  n. 198/2009.

[14] Open data, ex art. 7 D. Lgs. 33/2013. In particolare con riferimento ai dati il Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. n. 82/2005), prevede il principio di “disponibilità dei dati pubblici” (enunciato all’art. 2, comma 1, e declinato dall’art. 50, comma 1) che consiste nella possibilità, per soggetti pubblici e privati, “di accedere ai dati senza restrizioni non riconducibili a esplicite norme di legge”(art.1, lett. o) e riprende il concetto di formato aperto (un formato di dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi) e quelli di dato di tipo aperto.

[15] Cfr. Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio

[16] Cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 20 del del 21 febbraio 2019;

[17] Mario Savino, Professore ordinario di diritto amministrativo dell’Università della Tuscia, commento al D.Lgs. n. 97/2016; https://www.academia.edu/

[18] i cosiddetti “cani da guardia sociali.”

[20] Pertici, A., “La prevenzione della corruzione”, G. Giappichelli Editore, 15 aprile 2019.

[21] Cfr. art. 22, comma 2, L. n. 241/1990.

[22] Cfr. D. Lgs. 196/2003, art. 4, comma 1, lett. d).

[23] In questo senso, l'art. 60 del D.Lgs. n. 196/2003 prevede espressamente che "quando il trattamento concerne dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, esso è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile".

[24] Cfr. Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 4 dicembre 2008, n. 1564.

[25] Cfr. Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 4 dicembre 2008, n. 1564.

[26] FOIA: Freedom of Information Act.

[27] Ai sensi dell’art. 5 bis “limiti all’esercizio del diritto di accesso generalizzato”, i limiti intervengono laddove l’accesso vada a creare dei pregiudizi alla sfera del privato, con particolare tutela del diritto alla privacy, o agli interessi pubblici.

[28] ipotesi di differimento del diritto di accesso sono previste al comma 2, art. 53 del D. Lgs.  50/2016.

[29] L’operatore economico concorrente ha sempre un interesse diretto, concreto ed attuale.

[30] cfr. Tar Toscana, Sent. n. 442/2013.

[31] Cfr. da ultimo, Tar Lombardia, sez. IV, n. 45/2019; Cons. St., sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546.

[32] Cfr. ex multis Cons. di Stato, Sez. V, Sent. n. 3079 del 2014.

[33] Cfr. Tar Emilia- Romagna, Parma, n. 197/18; T.A.R. Lombardia, Milano, I, n. 630/19.

[34] Nel parere della Commissione Speciale, 24 febbraio 2016, n. 515 si evidenziava che “la trasparenza si pone come un valore-chiave, in grado di poter risolvere uno dei problemi di fondo della pubblica amministrazione italiana: quello di coniugare garanzie ed efficienza nello svolgimento dell’azione amministrativa. Tale valore può essere riguardato […] come modo d’essere tendenziale dell’organizzazione dei pubblici poteri […]. In altri termini, se l’interesse pubblico – inteso tecnicamente come “causa” dell’atto e del potere amministrativo – non può più essere rigidamente predeterminato e imposto, ma costituisce in concreto la risultante di un processo di formazione cui sono chiamati a partecipare sempre più attivamente i componenti della comunità, occorre anche “rendere visibile” il modo di formazione dell’interesse medesimo, i soggetti che vi concorrono […] nonché rendere conoscibili i dati di base, i presupposti da cui si muove, i modi di esercizio del potere, ivi comprese le risorse utilizzate.”

[35] consistenti in una sola definizione di un “numerus clausus”.

[36] Cfr. Cons. St., sez. III, 5 giugno 2019, n. 3780 - Pres. ed Est. Frattini.

[37] Cfr. art. 5 co. 2 cit. d.lgs. 33.

[38] Cfr. Cons. St., A.P., 2 aprile 2020, n. 10 – Pres. Patroni Griffi, Est. Noccelli.

[39] Cfr. Cons. St., A.P., 2 aprile 2020, n. 10 – Pres. Patroni Griffi, Est. Noccelli.

[40] Cfr. sentt. n. 69 e n. 177 del 2018, nonché sent. n. 212 del 2017.

[41] Cfr. Cons. St., A.P., 2 aprile 2020, n. 10 – Pres. Patroni Griffi, Est. Noccelli.