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Pubbl. Sab, 28 Mar 2020

Sospensione del processo minorile e messa alla prova

Paola Notaro



Il DPR 448/1988 introduce la sospensione del processo e messa alla prova del minore: mezzo privilegiato per la rapida fuoriuscita dal circuito penale e per attuare la funzione educativa dell´intervento penale. La L. n. 67/2014 estende l´istituto al rito nei confronti degli adulti per ovviare al sovraffolamento carcerario.


Sommario: 1. Il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448; 2. Gli organi giudiziari della giustizia penale minorile; 3. Gli organi del Servizio Sociale; 4. L’istituto della messa alla prova; 5. La redazione del progetto d’intervento; 6. L’esito della prova; 7. La legge 28 aprile 2014, n. 67.

Sommario: 1. Il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448; 2. Gli organi giudiziari della giustizia penale minorile; 3. Gli organi del Servizio Sociale; 4. L’istituto della messa alla prova; 5. La redazione del progetto d’intervento; 6. L’esito della prova; 7. La legge 28 aprile 2014, n. 67.

L’attenzione nei confronti del minore sotto il profilo penale si sviluppò verso la metà del XIX secolo quando la coscienza borghese dell’epoca avvertì l’esigenza di protezione dei minori e di una riforma in senso umanitario delle carceri volta al reinserimento sociale. Comincia, così, a sorgere l’idea di una giustizia minorile che si differenziasse da quella degli adulti. 

1. Il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448

Il D.P.R. n. 448/1988 ha definito il nuovo assetto della giustizia minorile, apportando sostanziali modifiche al codice di procedura penale. Esso ha ad oggetto una delle più importanti novità della riforma del processo penale minorile. Viene introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento l’istituto della sospensione del processo e messa alla prova del minore, quale mezzo privilegiato per la rapida fuoriuscita dal circuito penale. 

Tale istituto si configura come strumento principale per attuare la funzione educativa dell’intervento penale nei confronti dei giovani devianti, mirando alla salvaguardia della personalità del minore e con l’obiettivo di articolare la fase processuale attraverso interventi finalizzati a favorire la responsabilizzazione attiva del minore imputato. Alla base dell’istituto si pone la consapevolezza che il recupero del reo avvenga più facilmente nel suo ambiente di vita quotidiana che nell’istituzione chiusa del carcere, il quale tende ad isolarlo e a stimolarlo negativamente. 

2. Gli organi giudiziari della giustizia penale minorile

Il R.D. 1404/34 ha istituito il Tribunale per i minorenni presso ogni distretto di Corte di Appello, competente a giudicare tutti i reati commessi da minori di anni diciotto. Fu così apportata una profonda trasformazione al sistema giudiziario ordinario ritenuto inadeguato a farsi carico del settore minorile. Lo scopo è garantire al minore un giudice specializzato in vista dell’essenziale finalità di recupero del minore deviante.

Il D.P.R., accanto a tale organo, ne prevede altri specializzati: 

-  le sezioni specializzate della polizia giudiziaria

  • i difensori d’ufficio
  • i Servizi minorili
  • l’istituzione di Centri di Prima Accoglienza (C.P.A.).

Da un’attenta lettura del DPR è possibile cogliere le diverse funzioni del giudice minorile. Ai sensi dell’art. 9 il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni personali, famigliari, sociali ed ambientali del minore al fine di accertare l’imputabilità ed il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto, disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili, spesso avvalendosi anche dell’ausilio dei Servizi Sociali. Lo scopo della previsione è di garantire al minore un giudice specializzato "in vista dell'essenziale finalità di recupero del minore deviante mediante la rieducazione ed il suo inserimento sociale" (Corte Cost. 18 luglio 1983, n. 222).

Presso ogni Tribunale per i minorenni è presente un magistrato di sorveglianza. E’ un giudice specializzato che vigila sull’esecuzione delle misure penali e di sicurezza, al fine di garantire che l’esecuzione di ogni forma di custodia sia eseguita ed attuata in conformità alle leggi e ai regolamenti. Si costituisce come il garante dei diritti dei giovani detenuti.

Nel nuovo processo minorile è altresì significativo il criterio di sue specializzazione degli organi di polizia giudiziaria, i quali costituiscono i primi soggetti con cui, dopo il verificarsi del fatto criminoso, il minore entra in contatto. 

3. Gli organi del Servizio Sociale

Ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 448/1988 “in ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria si avvale dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Si avvale altresì dei servizi di assistenza istituiti dagli enti locali”.

Tali servizi coadiuvano quindi l’autorità giudiziaria e assolvono, con la loro presenza accanto al minore, sia una funzione di assistenza dello stesso durante tutto il processo sia una funzione di mediazione tra l’autorità giudiziaria ed il minore, di cui sono chiamati a conoscere la complessa e delicata personalità. La loro attività ausiliaria si evidenzia durante tutto l’iter processuale, ovvero dal momento in cui il minore entra nel circuito penale fino alla scelta, quasi esclusivamente lasciata ai Servizi Sociali, del progetto più idoneo alle esigenze del minore deviato al fine di reinserirlo nella compagine sociale. Particolarmente importante è l’esame dell’ambiente in cui il minorenne ha vissuto prima della commissione del fatto di reato. Infatti l’U.S.S.M. deve relazionale all’Autorità giudiziaria le condizioni personali, famigliari ed ambientali del minore al fine di carpirne se il disagio minorile sia derivato dall’ambiente familiare carente o dal contesto ambientale in cui il minore si trova a vivere. Ed è proprio sulla scorta di tali dati che propongono piani di intervento individualizzati e volti ad attivare percorsi di crescita e di responsabilizzazione. 

4. L’istituto della messa alla prova

La misura della sospensione del processo e la messa alla prova dell’imputato minorenne trae origine dal “probation system” anglosassone.

Presenta però un’importante novità.

Nel modello inglese la prova è una misura alternativa alla pena e quindi posteriore alla sentenza di condanna; nel sistema italiano, invece, essa interviene nel corso del processo e pertanto è definita come forma di probation processuale.

E’ proprio questo effetto che qualifica l’istituto in maniera peculiare e che lo rende simbolo della trasformazione della struttura formale del sistema giuridico. 

L’art. 28 del DPR prevede che “Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione”.

In tale prospettiva si esprimeva la giurisprudenza di merito affermando che "nell'ambito di una più approfondita valutazione della personalità degli imputati minorenni va disposta la sospensione del processo e messa alla prova al fine di verificare se all'esito della prova stessa, il fatto addebitato possa considerarsi come meramente episodico e del tutto discordante rispetto ad un sistema di vita improntato ai valori di solidarietà e di rispetto della persona umana" (Tribunale minorile di Ancona, 1 marzo 1990).

A tal proposito la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che "la ratio dell'art. 28 DPR 448/1988 va individuata nell'esigenza di dare al giudice il potere di valutare in concreto la possibilità di rieducazione e inserimento del minore nella vita sociale con una misura innovativa che ha valore aggiunto rispetto sia al perdono giudiziale sia all'improcedibilità per irrilevanza del fatto, e con l'attribuzione di una discrezionalità molto ampia, non circoscritta nei limiti di cui all'art. 169 c.p. e dell'art.  27 del DPR 448/1988". (Corte di Cassazione sez V, sentenza 7 aprile 1997, in Giust.pen., 1998, III, c.433-434). 

Il soggetto cui viene applicato l’istituto deve avere necessariamente la minore età. Tuttavia, vi è la possibilità, per l’adolescente, di continuare il proprio percorso educativo anche dopo il raggiungimento della maggiore età. L’applicazione dell’istituto, ulteriormente, presuppone il previo accertamento della penale responsabilità dell’imputato e non può, pertanto, essere disposto nell’ipotesi di non imputabilità del reo. E’ necessaria quindi la capacità di intendere e volere poiché il proscioglimento per non imputabilità prevarrebbe sulle altre formule. 

Ai fini dell’applicabilità o meno della messa alla prova deve essere valutata l’effettiva possibilità che essa dia un esito positivo. E’ necessario quindi prestare attenzione alla disponibilità del minore ad intraprendere un percorso di cambiamento.

Secondo le statistiche del Dipartimento di Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, l’istituto si applica prevalentemente in fase di udienza preliminare. Molto più ridotta nel dibattimento e quasi inesistente a livello di Corte d’Appello. 

5. La redazione del progetto d’intervento

Il progetto deve essere strutturato sulla base delle personali risorse del minore e di quelle eventualmente presenti ed attivabili nel territorio e deve potersi adattare alle mutate esigenze del minore nel corso della prova.

Tra le prescrizioni più frequenti vi sono l’inserimento lavorativo, lo svolgimento di attività socialmente utili, la partecipazione a programmi di recupero in caso di minori tossicodipendenti o il collocamento in comunità, quando la famiglia non è in grado di fornire al minore deviato il giusto sostegno.

Il progetto deve pertanto rispondere ai seguenti requisiti:

  • il criterio dell’adeguatezza: deve essere confacente alla personalità del minore, al tipo di reato commesso e alle risorse che possono essere mobilitate;
  • il criterio della consensualità: intesa come disponibilità ed accettazione del progetto;
  • il criterio di flessibilità: necessario affinché il progetto possa modularsi in relazione ai cambiamenti che emergono durante il percorso;
  • il criterio della chiarezza e della concretezza: il minore deve comprendere in modo chiaro in cosa il progetto consiste e a quali prescrizioni deve ottemperare. Esse devono suscettibili di adempimento.

6. L’esito della prova

Alla conclusione del periodo di prova sono possibili due esiti: si considera superata la prova (art. 29 DPR 448/88) ed il reato è dichiarato estinto oppure non si considera superata la prova e trovano applicazione gli articoli 32 , 33 del DPR 448/1988 relativi alle forme dell'udienza preliminare e dell'udienza dibattimentale. 

In caso di esito negativo, il procedimento riprenderà il suo corso dal momento in cui è stato sospeso. 

Anche la Corte Costituzionale si è pronunciata sul punto, affermando che "la sospensione del processo con messa alla prova si caratterizza per il fatto di inserirsi in via incidentale in una fase (udienza preliminare o dibattimentale) anteriore alla pronuncia sulla res giudicanda, dando varco, in caso di esito positivo della prova, ad una sentenza pienamente liberatoria: ciò al fine di recuperare il minore deviante attraverso la rieducazione ed il reinserimento sociale, tenuto conto, altresì, dell'esigenza di attenuare la stessa offensività del processo nei confronti dei minori, la cui giustizia minorile deve essere improntata, per il principio di tutela verso tali cittadini di cui all'art. 31 cost.". (Corte Cost. 14 aprile 1995, n. 125)

7. La legge 28 aprile 2014, n. 67

Il nostro ordinamento, prima della riforma attuata dalla legge del 28 aprile 2014 n. 67, che prevede l'introduzione dell'istituto della messa alla prova a carico dell'imputato maggiorenne, era già munito di un istituto strutturato in base alle forme tipiche del modello di probation, ovvero, l'affidamento in prova al servizio sociale previsto all'art. 47 dell'ordinamento penitenziario (L. n. 354/1975).

A seguito della condanna da parte dell'Europa, la Camera dei Deputati ha approvato definitivamente la legge 28 aprile 2014 n. 67 recante “Deleghe al governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”.

Con la L. n. 67/2014, l’istituto in esame è stato esteso al rito nei confronti delle persone maggiori di età per ovviare alle criticità del sistema penale, riconducibili sostanzialmente all'inflazione procedimentale e al sovraffolamento carcerario.

La disciplina è contenuta: nel codice penale, agli articoli da 168-bis a 168-quater; nel codice di procedura penale, agli artt. 464-bis a 464-novies e ss. e all’art. 657-bis.

L'affidamento in prova rappresenta una misura alternativa alla detenzione, che si realizza attraverso l'affidamento del condannato ad un servizio sociale fuori dall'istituto, per un periodo corrispondente la pena da scontare e con l'obiettivo di estinguere la pena stessa e ogni altro effetto penale in caso di esito positivo della prova. La misura si applica soltanto ai condannati a pena detentiva non superiore a 3 anni (4 dal 2014) sempre che la personalità del soggetto lasci prognosticare un esito positivo oltre agli effetti rieducativi che potrebbero conseguirne. L'obiettivo della diversione, pertanto, è di estromettere dal procedimento penale quei reati meno gravi, commessi da soggetti considerati poco pericolosi e risolti al di fuori della giustizia penale, attraverso modalit̀à informali. Quindi non si tratta di misure alternative alla pena ma alternative al processo. Può operare quindi durante l'esecuzione della pena detentiva e nella fase successiva alla scarcerazione, conferendo al processo e alla pena un ruolo di extrema ratio, limitato alle sole ipotesi di esito negativo della prova. 

L’applicabilità dipende da una valutazione discrezionale del giudice in termini di idoneità del trattamento e di prognosi di non recidiva. I contenuti della prova sono afflittivi: condotte riparatorie, affidamento a un servizio sociale per lo svolgimento di un programma e il lavoro di pubblica utilità. In caso di revoca o di esito negativo è previsto lo scomputo della pena da eseguire di un periodo corrispondente a quello della prova eseguita.

La messa alla prova destinata agli adulti nonostante l'assonanza con quella minorile, al pari di quella non presuppone la pronuncia di una sentenza di condanna, ma il necessario accertamento della sussistenza del reato e della responsabilità dell'imputato, se ne discosta, anche in ragione della ben diversa ratio e ideologia processuale che la sorregge. 

Note e riferimenti bibliografici

  • R. Breda - C. Coppola - A. Sabatini, Il servizio sociale nel sistema penitenziario, Giappichelli Editore, Torino. 
  • C. Cesari, Il processo penale minorile. Commento al D.P.R. 448/1988, a cura di G. Giostra, Giuffrè, Milano, 2001. 
  • C. Cesari, Commento art. 6 L.67/2014, La sospensione del processo con messa alla prova: sulla falsariga dell'esperienza minorile, nasce il probation processuale per gli imputati adulti, in Legislazione penale, 4-2014, Jovene editore, Napoli, pp. 387 ss.
  • M. Colamussi, La messa alla prova, Cedam, Padova, 2011.
  • M.G. Coppetta, La sospensione del processo con messa alla prova, in E. Palermo Fabris, A. Presutti, Diritto e procedura penale minorile, giuffrè, Milano, 2002 
  • L. Milani, Devianza minorile. Interazione tra giustizia e problematiche educative, Vita e Pensiero, 1995.
  • F. Palomba, Il sistema del nuovo processo penale minorile, III Edizione, Giuffrè Editore, Milano, 2002.