Pubbl. Gio, 2 Apr 2020
Inammissibile il ricorso per Cassazione proposto dall´imputato anche se avvocato cassazionista
Modifica paginaNel processo penale non è consentito all’imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l’autodifesa, difettando un’espressa previsione di legge che la legittimi con la precisazione che la preclusione dell’autodifesa-esclusiva nel processo penale opera nel senso della incompatibilità dell’imputato-avvocato a proporre impugnativa e nel giudizio in cassazione lascia altresì esclusa, ove il ricorrente è un avvocato cassazionista, lo svolgimento alle attività difensive d’udienza. Cass. 44618/19
Sommario: 1. Premessa - 2. Il caso - 3. L' orientamento della Corte di Cassazione
1. Premessa
Il ricorso per Cassazione è un mezzo di impugnazione ordinario che consente di riesaminare la legittimità delle sentenze, per quanto riguarda l’ambito penale come riferimenti normativi faremo capo gli artt. 606 e seguenti del codice di procedura penale.
In particolare, tale impugnazione può essere proposta ai sensi dell’art. 606 c.p.p., solo per cinque motivi: a) esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi ovvero non consentita ai pubblici poteri; b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale; c) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza; d) mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall’art. 495, comma 2 c.p.p.; e) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
Per quanto concerne i soggetti legittimati a proporre ricorso per cassazione, bisogna esaminare l’art. 613 c.p.p[1]., che è stato oggetto di riforma da parte del legislatore con la legge del 23 giugno 2017 n. 103, la c.d. “Riforma Orlando” che ha escluso l’imputato dalla sfera dei soggetti legittimati a ricorrere in Cassazione.
L’originaria formulazione della norma, infatti, si apriva con l’inciso “salvo che la parte non vi provveda personalmente”, riconoscendo, dunque, all’imputato di provvedere e sottoscrivere personalmente il ricorso in cassazione.
La soppressione di tale inciso, ad opera della Riforma Orlando, tra l’altro, si raccorda con la stessa modifica apportata al primo comma dell’art. 571 c.p.p[2]., relativo alle disposizioni generali in tema di impugnazioni e, tenuto conto del contenuto fortemente tecnico-professionale del ricorso per cassazione, vuole far sì che tale atto venga predisposto e presentato solo ed esclusivamente da un avvocato che possieda determinate competenze tecniche e che per tale ragione sia iscritto all’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori.
Tale riforma, dunque, escludendo la possibilità della parte di provvedere personalmente all’atto di impugnazione, persegue un intento deflattivo del contenzioso, limitando per quanto possibile la presentazione di impugnazioni meramente dilatorie.
Sulla base di tali premesse, si spiega così la sentenza n. 44618 del 2019, emessa dalla sesta sezione penale della Corte di Cassazione che, affrontando il tema del ricorso per cassazione sottoscritto dalla parte personalmente, ne ha dichiarato l'inammissibilità anche qualora il soggetto che lo abbia sottoscritto rivesta la qualità di avvocato cassazionista.
2. Il caso
Con sentenza del 31 maggio 2018, la Corte d’Appello di L’Aquila confermava la sentenza resa nel 2014 dal Tribunale di Teramo che aveva dichiarato di non doversi procedere nei confronti dell’imputato perché il reato ascrittogli (nella specie, esercizio abusivo di una professione ex art. 348 c.p., poiché con condotte accertate tra il 1997 e il 1998 l’imputato aveva esercitato abusivamente la professione di avvocato ) era estinto per intervenuta prescrizione.
Avverso la sentenza di secondo grado, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, basando la sua impugnazione su cinque motivi.
Con il primo motivo affermava la nullità della sentenza impugnata perché la Corte distrettuale non aveva esaminato il motivo di appello nel quale si sosteneva la nullità della sentenza di primo grado per essere stata pronunciata in pendenza di un procedimento di ricusazione di un giudice e in costanza di efficacia di un’ordinanza con cui la Corte di Appello aveva sospeso ogni attività dibattimentale.
Per tali ragioni, ad avviso del ricorrente, la sentenza emessa dal giudice di prime cure risultava affetta dal radicale vizio di carenza di potere giudicante in capo al Tribunale ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 c. 2 e 41 c. 2 c.p.p[3].
Con il secondo motivo, sosteneva che la decisione dei giudici di merito di far prevalere la declaratoria della prescrizione sulla eccezione di nullità processuale, contrastava con la regola sancita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 85 del 2008 e, pertanto, dal proscioglimento poteva derivare in capo all’imputato un pregiudizio morale persino superiore da quello derivante da una pronuncia di condanna[4].
Con il terzo motivo lamentava, invece, l'inesistenza del rapporto processuale in quanto l'imputato, sin dal primo grado di giudizio, aveva dedotto la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini e del decreto di citazione diretta a giudizio perché non notificati al difensore di fiducia.
Con il quarto motivo sosteneva, inoltre, che la giurisprudenza di legittimità che era stata richiamata nella sentenza impugnata non era pertinente alla decisione assunta dagli stessi giudici di appello, poiché non inerente alla decisione di primo grado.
Infine, con l'ultimo motivo riteneva che la motivazione fornita dalla Corte d’Appello in merito alle ragioni che ostacolavano il proscioglimento di merito fosse viziata da una serie di errori in diritto.
3. L’orientamento della Corte di Cassazione
I Giudici della sesta sezione, con la richiamata pronuncia, preliminarmente hanno dichiarato irricevibile una memoria depositata dal difensore poiché intempestiva, affermando che il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall'art. 611 c.p.p[5]., relativo ai procedimenti in camera di consiglio è applicabile analogamente anche ai procedimenti in udienza pubblica, sicché l'inosservanza di tale termine dispensa la Corte dall'obbligo di esaminare le memorie depositate.
Premesso ciò, la Corte esaminava il ricorso e ne dichiarava l’inammissibilità in quanto sottoscritto dall'imputato e quindi da un soggetto non legittimato ai sensi dell'art. 613 c.p.p.
La Corte, infatti, nel dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ha esaminato la disciplina dettata dall'art. 613 c.p.p., come novellato dalla legge 23 giugno 2017 n. 103 (c.d. Riforma Orlando).
Prima della riforma Orlando, il ricorso per Cassazione poteva essere proposto personalmente dalla parte; possibilità questa che, invece, non è più prevista a seguito della novella legislativa che impone la necessità di assistenza nel giudizio in Cassazione di un difensore iscritto nell'albo speciale della Corte di Cassazione. Tale previsione ha lo scopo di garantire un'adeguata ed effettiva tutela giurisdizionale all'imputato, considerata l'oggettiva difficoltà e l'elevato livello di qualificazione professionale che caratterizza l'esercizio del diritto di difesa nei giudizi innanzi alla Suprema Corte.
La questione relativa alla sottoscrizione dei provvedimenti in sede di legittimità, specialmente del ricorso, non è nuova per la Corte, tanto è vero che nella sentenza in commento, la sesta sezione penale richiama il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite penali con la sentenza n. 8914 del 2018[6], in base al quale sia il ricorso, sia le impugnazioni in materia cautelare in sede di legittimità, a pena di inammissibilità devono essere sottoscritti da difensori iscritti nell'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori.
Le Sezioni Unite, infatti, con la sentenza n. 8914/2018 hanno risolto un contrasto giurisprudenziale venutosi a creare a seguito della riforma Orlando che, novellando l'art. 613 c.p.p., ha difatti escluso la possibilità della sottoscrizione del ricorso in capo all'imputato. Tuttavia, la riforma non ha investito l'art. 311 c.p.p. in tema di ricorso in Cassazione avverso i provvedimenti relativi alle misure cautelari personali. Da qui il contrasto se a seguito della suddetta riforma, rimanesse o meno in capo all'imputato la legittimazione a proporre personalmente ricorso in cassazione in materia di misure cautelari personali. Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite, sulla base di una interpretazione dell'art. 613 c.p.p., quale norma generale ed onnicomprensiva che contempla al suo interno tutte le ipotesi di ricorso in cassazione previste dal nostro ordinamento.
Proseguendo nella motivazione, inoltre, la Corte di legittimità afferma l'inammissibilità del ricorso sottoscritto dalla parte anche facendo leva sull’impossibilità in materia penale per l’imputato di esercitare l’autodifesa; infatti, a differenza del processo civile, in cui la parte può stare in giudizio personalmente e senza il ministero di un difensore qualora abbia la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore presso il giudice adito[7], nel processo penale, invece, la particolare natura degli interessi in gioco, esclude che quanto previsto per il processo civile possa trovare analoga applicazione in sede penale, imponendo così all’imputato la necessità di avvalersi dell’ assistenza tecnica di un difensore.
L'attività di difesa, tra l’altro, assume una rilevanza costituzionale grazie all'art. 24 della Costituzione, rendendo la difesa quale diritto inviolabile e non rinunciabile in uno Stato liberale.
Se è vero che, come nel caso affrontato in sentenza, la parte che aveva sottoscritto personalmente il ricorso possedeva la specifica competenza tecnica per affrontare il giudizio innanzi la Corte, in quanto avvocato cassazionista, è altrettanto vero, precisa la Corte, che così facendo verrebbe compresso l'interesse all'effettività della difesa ed al contrasto all'accusa, considerando la natura degli interessi in gioco nel processo penale, quale la libertà personale, che impedisce qualsivoglia possibilità di declinare il diritto di difesa in una autodifesa tecnica.
La mancanza nel nostro ordinamento di una norma generale che permetta la difesa tecnica personale nel processo penale e l'impossibilità di una autodifesa tecnica, rendono necessario che alla difesa tecnica della parte si affianchi quella di un terzo.
La decisione assunta dalla sesta sezione, oltre a ribadire principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, si conforma anche alla consolidata posizione assunta dal Giudice delle leggi che qualifica la difesa tecnica quale imprescindibile garanzia del regolare esercizio del potere giurisdizionale.
Precisa la Corte però, che il principio per il quale non è ammessa nel nostro ordinamento una autodifesa tecnica non confligge assolutamente con quanto sancito dall'art. 6, par. 3, lett. c) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, là dove stabilisce che "ogni imputato ha la facoltà di difendersi personalmente o mediante l'assistenza di un difensore di sua scelta" poiché tale enunciato vuole assicurare all'imputato un minimo di garanzie atte a salvaguardare il diritto all'autodifesa negli ordinamenti di quei Paesi contraenti in cui potrebbe non essere riconosciuto il diritto alla difesa tecnica solo nel giudizio di merito sull’accusa e non anche nel giudizio di legittimità, ed implica l’obbligo di assicurare il diritto dell’accusato di contribuire con il difensore tecnico alla ricostruzione del fatto e alla individuazione delle conseguenze giuridiche.
Il pericolo di un possibile conflitto è escluso anche perché è la stessa Convenzione che, non precisando le condizioni per l'esercizio di tale innegabile diritto, rimette alla libera scelta degli Stati contraenti i mezzi idonei a garantire il diritto di difesa nell'ottica del rispetto dell'importante principio del giusto processo, cristallizzato nell'art. 111 della nostra Carta Costituzionale.
Il sistema penale italiano, in cui si assiste ad un concorso dell'attività difensiva dell'imputato con quella del professionista, inoltre, non confligge certamente con il sistema convenzionale poiché, infatti, non viene compressa od elusa la difesa del singolo, ma semmai si assiste ad una integrazione con l'attività di difesa svolta dal difensore che assicura, nel rispetto della Convenzione, una maggiore tutela delle posizioni del soggetto.
Ebbene, sulla scorta dell'insegnamento delle Sezioni Unite e nel rispetto dell'importanza delle norme costituzionali e di quelle enunciate dalla CEDU, con tale sentenza è stata ribadita, ancora una volta, l'impossibilità nel processo penale per l'imputato di esercitare l'autodifesa esclusiva che determina, altresì, l'incompatibilità dell'imputato-avvocato di proporre impugnazioni e in particolare, nel giudizio dinanzi la Corte di Cassazione impedisce al ricorrente che pure sia un avvocato cassazionista, la possibilità di svolgere attività difensiva d'udienza.[8]
Note e riferimenti bibliografici
[1] L’attuale formulazione dell’art. 613 c.p.p. recita testualmente: “L'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della corte di cassazione . Davanti alla corte medesima le parti sono rappresentate dai difensori.
2. Per tutti gli atti che si compiono nel procedimento davanti alla corte, il domicilio delle parti è presso i rispettivi difensori, salvo quanto previsto dal comma 4. Il difensore è nominato per la proposizione del ricorso o successivamente; in mancanza di nomina il difensore è quello che ha assistito la parte nell'ultimo giudizio, purché abbia i requisiti indicati nel comma 1.
3. Se l'imputato è privo del difensore di fiducia, il presidente del collegio provvede a norma dell'articolo 97.
4. Gli avvisi che devono essere dati al difensore sono notificati anche all'imputato che non sia assistito da difensore di fiducia.
5. Quando il ricorso concerne gli interessi civili, il presidente, se la parte ne fa richiesta, nomina un difensore secondo le norme sul patrocinio dei non abbienti."
[2] A seguito della modifica apportata al primo comma dell’art. 571 c.p.p., è stato eliminato l’inciso “salvo quanto previsto per il ricorso per cassazione dall’art. 613, c. 1, stabilendo così che l’atto di gravame debba essere sempre sottoscritto , a pena di inammissibilità, dal difensore, eludendo la possibilità per la parte di sottoscrivere personalmente l’atto di impugnazione, in considerazione del contenuto tecnico di esso.
[3] Il comma 2 dell’art. 37 c.p.p., stabilisce che :”il giudice ricusato non può pronunciare né concorrere a pronunciare sentenza fino a che non sia intervenuta l’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione.”
Al secondo comma dell’art. 41 c.p.p., si legge, invece che: “fuori dai casi di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione, la corte può disporre, con ordinanza, che il giudice sospenda temporaneamente ogni attività processuale o si limiti al compimento degli atti urgenti.”
[4] Con la sentenza n. 85 del 2008, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.1 della legge 20 febbraio 2006 n. 46, nella parte in cui, modificando l’art. 593 c.p.p., ha escluso che l’imputato possa appellare contro le sentenze di proscioglimento relative a reati diversi dalle contravvenzioni punite con la sola ammenda o con pena alternativa, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603 c. 2 c.p.p., se la nuova prova è decisiva.Secondo la Consulta, infatti, tale limitazione di poteri in capo all’imputato circa la possibilità di impugnare una sentenza di proscioglimento, potrebbe far scaturire in danno dell’imputato pregiudizi di ordine morale e giuridico; come si legge nella sentenza, infatti: “Il pregiudizio di ordine morale può risultare, in taluni casi, persino superiore a quello derivante da una sentenza di condanna: basti pensare al proscioglimento per totale infermità di mente o per cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti, anche quando non venga applicata una misura di sicurezza. I pregiudizi di ordine giuridico si connettono a loro volta, in via generale, alla possibilità che l’accertamento di responsabilità o comunque di attribuibilità del fatto all’imputato, contenuto nelle sentenze in questione – ancorché privo di effetti vincolanti – pesi comunque in senso negativo su giudizi civili, amministrativi o disciplinari connessi al medesimo fatto. Talora, peraltro, il nocumento giuridico può discendere dalla pronuncia in modo diretto, come nel caso della sentenza di proscioglimento per estinzione del reato, che disponga la confisca di beni dell’imputato (eventualmente, di rilevante valore). Rispetto a tale misura di sicurezza – per il disposto dell’art. 579, comma 3, cod. proc. pen. – si ritiene non possa venire comunque in rilievo la clausola di salvezza degli artt. 579 e 680, contenuta nell’art. 593, comma 1, cod. proc. pen.: clausola da cui un indirizzo interpretativo (peraltro non pacifico) desume che l’imputato avrebbe conservato, anche dopo la riforma, il potere di appellare quantomeno il capo della sentenza di proscioglimento relativo all’applicazione di misure di sicurezza.”
[5] Art. 611 c.p.p., Procedimento in camera di consiglio: “Oltre che nei casi particolarmente previsti dalla legge, la corte procede in camera di consiglio quando deve decidere su ogni ricorso contro provvedimenti non emessi nel dibattimento, fatta eccezione delle sentenze pronunciate a norma dell'articolo 442. Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall'articolo 127, la corte giudica sui motivi, sulle richieste del procuratore generale e sulle memorie [121] delle altre parti senza intervento dei difensori. Fino a quindici giorni prima dell'udienza, tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie e, fino a cinque giorni prima, possono presentare memorie di replica.”
[6] Cass. pen., SS.UU., sentenza 23/02/2018 n. 8914: “Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può essere personalmente proposto dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della Corte di cassazione.”
[7] La difesa personale della parte nel processo civile è prevista dall’art. 86 c.p.c., ai sensi del quale: “La parte o la persona che la rappresenta o assiste, quando ha la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito, può stare in giudizio senza il ministero di altro difensore.”
[8] Cass. VI sez. pen., sent. 44618/2019; in senso analogo anche Cass. II sez. pen., sent. 2724/2012.