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Pubbl. Ven, 27 Mar 2020

Il rapporto tra reato continuato e aberratio ictus monolesiva

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Maria Patricelli
Funzionario della P.A.Università degli Studi di Napoli Federico II



In una recente sentenza la Corte di Cassazione conferma la compatibilità dell’unitarietà del disegno criminoso, che fonda la disciplina del reato continuato, con l´aberratio ictus monolesiva (note a margine di Cass., Sez. I Penale, 15 gennaio - 28 gennaio 2019, n. 4119).


Sommario: 1. Introduzione; 2. I fatti di causa; 3. Il reato continuato; 4. Il reato continuato e i delitti associativi; 5. L’ammissibilità della continuazione tra reati in caso di aberratio ictus monolesiva.

1. Introduzione

La sentenza della I Sezione della Corte di Cassazione penale, del 15 gennaio 2019, n. 4119, offre una preziosa occasione per vagliare i rapporti tra reato continuato e aberratio ictus monolesiva, senza tralasciare una preliminare indagine in merito alla compatibilità tra l’art. 81 cpv c.p. e i delitti associativi.

2. I fatti di causa

La questione oggetto del dibattito traeva origine da un’ordinanza della Corte d’Assise d’Appello di Messina che, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava un’istanza ex art. 671 c.p.p. con la quale il ricorrente, a mezzo del proprio difensore, aveva chiesto l’applicazione del reato continuato in sede esecutiva, per fatti giudicati con quattro diverse sentenze di condanna emesse nei suoi confronti.

Tali sentenze, in particolare, avevano ad oggetto svariati omicidi commessi durante la partecipazione ad un clan mafioso.

Il giudice dell’esecuzione, dopo aver richiamato i principi in materia di riconoscimento della continuazione tra reati, escludeva l’applicazione della stessa sulla base di due principali ragioni.

In primo luogo, il più grave dei quattro omicidi (quello per il quale era stata inflitta la pena dell’ergastolo con isolamento diurno per la durata di tre mesi), veniva considerato estraneo, per contesto e causale, all’operatività dell’associazione per delinquere partecipata dal ricorrente.

In secondo luogo, la configurabilità dell’associazione veniva esclusa in quanto la commissione di due, tra i quattro, omicidi era avvenuta per errore di persona, con conseguente occasionalità ed estemporaneità della relativa azione criminosa.

Avverso tale ordinanza veniva proposto ricorso per Cassazione, al fine di dedurre l’erronea applicazione dell’art. 81, comma 2, c.p., l’illogicità della motivazione, nella parte in cui non veniva riconosciuta la continuazione tra il reato più grave e gli altri omicidi e la violazione di legge in relazione agli artt. 82, comma 1, e 81, comma 2, c.p., con riferimento al diniego della continuazione tra i restanti omicidi e l’avvenuta aberratio ictus.

3. Il reato continuato

Si ha continuazione tra reati quando uno stesso soggetto, con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi[1] più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge.

Il reato continuato, istituto di una vitalità espansiva senza pari, trova espressa disciplina all’art. 81, comma 2, c.p. e, da un punto di vista storico, esso nasce al fine di mitigare l’eccessiva rigidità delle legislazioni originariamente vigenti in tema di concorso di reati[2].

D’altra parte, come ha sottolineato attenta dottrina[3], il reato continuato è una particolare figura di concorso materiale di reati che viene disciplinato autonomamente in virtù della peculiare ratio che muove l’istituto in esame.

Per tale ragione, in relazione ad alcuni effetti, quale quello della determinazione della pena e del termine da cui decorre la prescrizione, è sottoposto a regole particolari.

Quanto a regime sanzionatorio, l’articolo 81, comma 2, c.p. accomuna il reato continuato al concorso formale di reati. In entrambi  i casi, infatti, la disciplina applicabile è quella del cumulo giuridico, ovvero della “pena prevista per il reato più grave aumentata fino al triplo” e non quella, più rigida, del cumulo materiale delle pene, propria del concorso materiale di reati.

A tal proposito è ormai pacifica la natura unitaria della continuazione tra reati quanto alla determinazione della pena principale, alla dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato, alla sospensione condizionale della pena e, in seguito alla novella intervenuta con la Legge n. 3 del 9 gennaio 2019, in relazione al computo del termine di prescrizione[4].

Il reato continuato, invece, viene concepito come pluralità di reati nell’applicazione dell’amnistia e dell’indulto e nel regime di applicabilità delle circostanze aggravanti ed attenuanti.

Da ciò emerge con chiarezza come la disciplina applicabile al reato continuato sia caratterizzata da un regime di favor rei, in quanto il legislatore vede con minore riprovevolezza la condotta dell’agente che, pur commettendo una pluralità di reati, cede una sola volta ai motivi a delinquere.

Per tale ragione l’elemento caratterizzante dell’istituto in parola è l’unicità del disegno criminoso, al quale si affiancano la pluralità di azioni od omissioni e le molteplici violazioni della medesima o di diverse disposizioni di legge.

Occorre, in particolare, soffermarsi sulla nozione di unicità del disegno criminoso, che è il coefficiente psicologico che lega e cementa i diversi episodi delittuosi e contraddistingue, ontologicamente, il reato continuato dal concorso di reati.

A tal proposito si scontrano due orientamenti ermeneutici, capaci di allargare o ampliare la nozione di medesimo disegno criminoso.

Una prima impostazione riduce tale requisito ad una accezione puramente intellettiva, identificandolo come una mera rappresentazione mentale anticipata dei singoli episodi delittuosi poi di fatto commessi dallo stesso agente.

Dottrina e giurisprudenza maggioritaria, invece, propendono per un’accezione più ampia della nozione di medesimo disegno criminoso.

Esso viene fatto corrispondere ad una sorta di programma organico attraverso il quale compiere più violazioni di legge, anche in momenti diversi. Non si riduce, dunque, in un mero momento intellettivo ma occorre che i diversi episodi delittuosi siano in un rapporto di interdipendenza funzionale rispetto al compimento di un unico programma, ovvero al conseguimento di un unico fine[5].

Le norme sulla continuazione risultano inapplicabili ai reati colposi in quanto il medesimo disegno criminoso può avere ad oggetto soltanto fatti delittuosi sorretti dalla volontà di commetterli. Sussiste una incompatibilità strutturale tra unicità del programma ed assenza di volontà rispetto ad uno o più fatti di reato[6].

La continuazione è ammissibile anche nell’ambito delle contravvenzioni, purché esse si manifestino in concreto nella forma dolosa.

4. Il reato continuato e i delitti associativi

A questo punto è opportuno soffermarsi sui rapporti intercorrenti tra reato continuato e delitti associativi.

Dottrina e giurisprudenza, nel corso del tempo, hanno ampiamente discusso sulla possibilità sia di configurare un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più reati legati fra loro dal vincolo della continuazione (c.d. continuazione orizzontale), sia di ritenere sussistente tale vincolo tra il delitto di associazione per delinquere e i conseguenti reati-scopo (c.d. continuazione verticale).

In passato, per svariate ragioni, è stata negata qualsiasi forma di compatibilità tra reato continuato e delitti associativi.

L’argomento va affrontato rilevando, prima di tutto, che i delitti associativi non presuppongono una preventiva rappresentazione delle singole violazioni e non combaciano, per loro natura, con l’unicità del disegno criminoso.

Come precedentemente analizzato, infatti, il fenomeno della continuazione è caratterizzato dalla programmazione dell’attività criminosa, sin dall’inizio, in tutte le sue linee essenziali, non essendo sufficiente un generico riferimento all’attività delittuosa.

Non si nega, però, che anche nel delitto di associazione per delinquere, almeno una parte dei delitti realizzati, possa essere preventivamente programmata nei suoi aspetti essenziali e, rispetto ad essi, si possa pertanto configurare la continuazione.

Nonostante iniziali voci contrarie alla possibilità di configurare la continuazione verticale, stante l’ontologica diversità di ratio che ammanta il delitto di associazione per delinquere ed il reato continuato, la giurisprudenza di legittimità ha progressivamente aperto alla possibilità di ammettere la continuazione tra delitto associativo e reati-scopo.

Ciò a condizione che il programma criminoso sia dotato di specificità con riguardo alla programmazione e alla rappresentazione dei reati-scopo, necessari per l’applicabilità dell’art. 81, comma 2, c.p.[7]

È opportuno sottolineare che una parte della dottrina non ritiene ancora possibile mitigare la reazione dell’ordinamento nei confronti del delitto associativo, improntato ad una ratio di natura repressiva, in quanto risulta difficile rendere compatibile la fattispecie del reato associativo con il giudizio di minore riprovevolezza sociale alla base del trattamento sanzionatorio previsto per il reato continuato, fondato sul cumulo giuridico anziché sul cumulo materiale.[8]

In ordine alla continuazione orizzontale tra i singoli reati-scopo, l’iniziale presa di posizione negativa di dottrina e giurisprudenza ha lasciato spazio a valutazioni possibilistiche, purché si verifichi in concreto che il singolo delitto sia stato ideato e programmato all’atto della costituzione dell’associazione.

Nel caso in cui i vari reati-scopo siano diretti alla realizzazione di un medesimo disegno criminoso ai sensi dell’art. 81, comma 2, c.p., potrà certamente riconoscersi la sussistenza di un concorso tra il delitto associativo ed il reato continuato.

Da ultimo, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che, ai fini della continuazione orizzontale, è necessario che, dopo la consumazione dei reati-scopo, il vincolo associativo rimanga in vita. Con la conseguenza che deve escludersi la continuazione quando i reati siano attuazione di accordi presi di volta in volta e quando, dopo la consumazione degli stessi, sia cessato ogni rapporto in atto tra i compartecipi.

5. L’ammissibilità della continuazione tra reati in caso di aberratio ictus monolesiva

L’aberratio ictus trova espressa disciplina all’art. 82 c.p. e rappresenta un fenomeno di divergenza tra voluto e realizzato, dovuta a cause che non incidono sul processo formativo della volontà (c.d. errore-vizio), ma sulla sua fase esecutiva, cioè da un errore-inabilità (errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato) o da altri fattori[9].

In particolare, si ha aberratio ictus monolesiva[10] (art. 82, comm 1, c.p.) “quando per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione, o per un’altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta”. In tal caso “il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze, le disposizioni dell’articolo 60”.

A tal proposito è opportuno sgombrare il campo da qualsiasi dubbio ermeneutico e sottolineare l’importante differenza tra aberratio ictus monolesiva ed error in persona.

L’error in persona è l’errore che cade sull’identità della persona offesa, l’individuo materialmente colpito è quello verso il quale l’azione era diretta ma che, a causa di un errore che incide sul processo formativo della rappresentazione dell'agente, viene scambiato con la diversa persona che agli occhi dell'agente andava offesa. Nell’aberratio icuts monolesiva, invece, si è offeso un uomo diverso da quello che l’agente voleva offendere. Nel caso dell'error in persona, invero, si tratta di vero e proprio omicidio doloso; nel caso dell'aberratio ictus si tratta di una ipotesi di responsabilità oggettiva[11] che solo sulla base di una finzione l'ordinamento pone a carico dell'agente a titolo di dolo[12].

Nell’art. 82 c.p., infatti, il legislatore usa il linguaggio delle finzioni giuridiche al fine di traslare il dolo dalla vittima designata a quella materialmente offesa.

Con la conseguenza che, come la dottrina maggioritaria afferma, l’aberratio ictus non fa applicazione dei principi generali in materia di dolo introducendo, invece, una deroga significativa in materia di elemento soggettivo del reato.

Per tale ragione la Suprema Corte, nella sentenza in commento, sottolinea che l’aberratio icuts postula la completa estraneità dell’errore, nel quale è incorso l’agente, al momento ideativo e volitivo del reato, ovvero alla relativa determinazione delittuosa.

Tale affermazione è di fondamentale rilievo in quanto l’errore in parola incide unicamente sull’oggetto materiale della condotta che, invece di ledere il bene-interesse della persona nei cui confronti l’offesa era diretta (e voluta), lede il medesimo bene di una persona diversa[13].

D’altronde è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che l'accertamento dell'elemento psicologico del reato deve essere effettuato con riferimento alla persona nei cui confronti l'offesa era diretta, per poi traslarlo sulla persona effettivamente lesa[14].

Secondo i giudici di legittimità, dunque, “non vi è ragione di negare la configurabilità dell’unitarietà del disegno criminoso che fonda la disciplina del reato continuato, allorché uno dei reati facenti parte dell'ideazione e programmazione unitaria abbia avuto un esito aberrante rispetto all'originaria determinazione delittuosa”, in quanto per un mero errore esecutivo l'evento voluto dall'agente si sia verificato in danno di una persona diversa da quella alla quale era rivolta l'offesa.

Non muteranno, infatti, i termini dell’accertamento dell’elemento psicologico richiesto della continuazione, che deve riguardare la riconducibilità a una comune e unitaria risoluzione criminosa del fatto-reato così come in origine programmato, il cui contenuto volitivo, attuativo di quella risoluzione, rimane uguale e non subisce alcuna modifica per il solo fatto che l'oggetto materiale della condotta è accidentalmente caduto su una persona diversa.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] In merito all’inciso “in tempi diversi”, è opportuno sottolineare che l'esistenza di un intervallo temporale più o meno lungo tra le diverse violazioni non è considerato un elemento decisivo per affermare od escludere l'unicità del disegno criminoso. La distanza cronologica tra le diverse violazioni è solo un indice probatorio della sussistenza del reato continuato. Suddetto indice non è decisivo in quanto l'applicazione della continuazione può essere legittimamente negata anche per violazioni commesse in un breve lasso di tempo, quando queste non risultano preventivamente deliberate, mentre non si può escludere che l'agente abbia programmato di commettere reati poi realizzati in un arco temporale più ampio.

[2] F. Mantovani, Diritto Penale. Parte generale, VIII edizione, CEDAM, 2013, pp. 499 ss.

[3] G. Fiandaca, E. Musco, Diritto Penale parte generale, VII edizione, Zanichelli Editore, 2018, pp. 706 ss.

[4] Originariamente la Legge n. 251 del 2005 aveva innovato l’articolo 158 c.p. prevedendo che il dies a quo della prescrizione andasse individuato facendo riferimento alla data di commissione del singolo reato, con la conseguenza che, quando questi fossero commessi in periodi diversi, era necessario procedere ad una individuazione frazionata della data di commissione di ciascuno ai fini della prescrizione. Il Legislatore del 2019 ha nuovamente novellato l’art. 158 c.p., ripristinando l’originaria formulazione del Codice Rocco, stabilendo che il dies a quo della prescrizione decorra per tutti i reati dal giorno della cessazione della continuazione.

[5] L'unitarietà del disegno criminoso è esclusa, secondo la giurisprudenza maggioritaria, in presenza di un programma criminoso generico di attività delinquenziale, di un medesimo impulso o motivo a delinquere, di una scelta di vita o di comportamento genericamente fondata sul crimine.

[6] Bisogna sottolineare che, però, parte della giurisprudenza di legittimità ha dimostrato apertura verso forme peculiari di colpa, assistite da un coefficiente quasi-doloso, nello specifico la colpa arricchita dalla previsione dell’evento. Parte della dottrina, invece, ha ammesso la compatibilità tra colpa e reato continuato, ritenendo che il disegno criminoso riguardi le condotte e non gli eventi che possono verificarsi.

[7] A. Storti, La configurabilità della continuazione tra il delitto di associazione per delinquere e i successivi reati scopo, in Cammino Diritto 

[8]  Così A. Storti, op. cit.

[9] Così F. Mantovani, op. cit.

[10] L’aberratio ictus è, invece, plurilesiva quando il colpevole ha cagionato altresì l'evento voluto, oltre a quello non voluto. In tal caso si applicano le regole del concorso di reati. E l'agente risponderà di un reato doloso in concorso formale con uno o più reati colposi. Ciò pure nel caso in cui il delitto voluto sia rimasto alla fase del tentativo.

[11] Il tema del reato aberrante si incardina in quello della colpevolezza, in particolare della responsabilità oggettiva e dei problemi che essa pone alla luce della personalità della responsabilità penale. Come ampliamente affermato dalla Corte costituzionale nelle storiche sentenze 364 e 1085 del 1988, al fine di armonizzare l’aberratio ictus con il principio costituzionale di colpevolezza, si dovrà richiedere almeno la colpa. Si dovrà cioè accertare che l’agente potesse prevedere in concreto che l’offesa da lui progettata si sarebbe potuta verificare nei confronti di una persona diversa da quella da lui voluta.

[12] G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di Diritto Penale, VIII edizione, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, pp. 414 ss.

[13] Corte di Cassazione penale, Sez. I, 15 gennaio 2019, n. 4119.

[14] A tal proposito la Corte di Cassazione sottolinea che sono coerenti con tale ricostruzione “le affermazioni di principio tratte dalla giurisprudenza di legittimità, per cui l'aggravante della premeditazione è compatibile col reato commesso in danno di persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta ed è configurabile il concorso morale, nell'omicidio della persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, del soggetto che non ha materialmente eseguito l'azione delittuosa nel corso della quale si è verificata l'aberratio, in quanto l'errore esecutivo non ha alcuna incidenza sull'elemento soggettivo del partecipe morale, essendosi comunque realizzata l'azione concordata con l'autore materiale, il cui esito aberrante è privo di rilevanza ai fini della qualificazione del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo”.