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Pubbl. Ven, 28 Feb 2020

Il reato di stalking: nuova frontiera normativa de facto o modello da cui principiare una evoluzione del diritto?

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Maria Erica Gangi
Avvocato


La tutela della vittima dai cc.dd. atti persecutori: analisi di un modello normativo dalla sua introduzione alla sua attuazione.


Sommario: 1.Analisi della fattispecie normativa; 2. Molestia e minaccia quali profili materiali della fattispecie incriminatrice; 3. Art. 612 bis c.p. e principio di determinatezza: analisi compiuta attraverso il filtro della Consulta; 4.Quando gli atti cc.dd. persecutori raggiungono la soglia di punibilità?; 5. Questioni di legittimità di rilievo; 6. Procedibilità del reato di stalking; 7.Profili di concorso con altri reati; 8. Sotto il profilo di applicazione intertemporale della norma; 9. Conclusioni.

Abstract [ITA]: L’intervento normativo ex art. 612 bis c.p. si inscrive all’interno di un più ampio progetto normativo che vede esplicare primaria tutela nei confronti dei soggetti deboli, socialmente esposti, ai margini, potremmo dire; che, ancor più, tutela la donna.

In verità non emerge – testualmente – alcun riferimento implicito alla donna quale vittima di certe condotte tuttavia la prassi giurisprudenziale ha visto applicare la fattispecie normativa a casi di violenze e/o persecuzioni realizzate verso le donne nella qualità di ex conviventi, ex mogli, ex compagne, più genericamente oggetto del desiderio maschile.

Ebbene, proprio questa considerazione ha portato il Legislatore a mettere in atto una tutela rafforzata che mira a compendiare quel mosaico normativo il cui obiettivo finale è quello di sanzionare atti violenti, gravi e invalidanti portati ai danni della donna.

Non è un reato di genere, ma la prassi tale lo ha reso e anche il codice sostanziale ha dovuto adeguarsi: sono gli atti da c.d. codice rosso rispetto ai quali – correttamente – l’attesa è sempre più crescente.

Abstract [ENG]: The normative intervention ex art. 612 bis c.p. is part of a larger regulatory project that sees primary legal protection against the weak, socially exposed, marginals, we could say; that, even more, protects women.

Indeed there is no implicit reference- in the test- to women as victims of certain behaviors, however, jurisprudential practice has seen the regulatory case applied to violence cases and/or persecution of women as ex-cohabitants, ex-wives, ex-partners, more generally the object of male desire.

So, it is precisely this consideration that has led the Legislator to put into act a strengthened protection that aims to epitomize that legislative mosaic whose ultimate objective is to sanction violent, serious and disabling acts brought against women.

It is not a gender crime, but practice has made it in this way and even the code has had to adapt: they are the acts of the so-called red code with respect to which – correctly – our wait is always increasing.

 

1. Analisi della fattispecie normativa.

612-bis. Atti persecutori 

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. (4). Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio”.

Lo studio dell’odierno contributo necessita – a parere di chi scrive – di essere condotto con il dato normativo alla mano al fine di essere snocciolato ed analizzato in ogni sua singola componente.

Il merito di detta novella normativa va al Legislatore del 2009 che con D.L. n. 11/2009 - poi convertito con L. n. 38/2009 - ha introdotto nel codice sostanziale l’art. 612 bis: norma sentita quasi come necessaria il cui palesarsi è da leggere come un intento della classe politica di rispondere a quelle esigenze di protezione, di cura e considerazione verso quelle vittime – spesso silenti – che sempre più incessantemente gridavano la propria disperazione nel nostro tessuto sociale.

Il fenomeno che ha inteso perseguire la norma in commento è quello proprio dell’ingessamento della persona umana, della minaccia – fisica e morale – capace di piegare l’individuo che la subisce a mera larva, a sopravvissuto, a soggetto che sopravvive non esiste, non vive, cessa di godere della propria libertà perché questa viene oppressa, eliminata, sconvolta e deturpata.

Senza volersi addentrare in analisi socio – psicologiche è d’uopo ricostruire – nei suoi dettami – il dato normativo.

Trattasi di c.d. reato comune potendo, lo stesso, essere realizzato da chiunque; l’eventuale qualifica soggettiva costituisce circostanza aggravante: sul punto è chiaro il comma due della norma laddove statuisce che si incorre in un aumento di pena nel caso in cui la condotta criminosa sia commessa da coniuge anche separato o divorziato o da persona che abbia avuto - o intrattenga ancora durante la realizzazione del fatto – un legame sentimentale con la vittima tale, indi, da consentire che la stessa “abbassi le difese” divenendo più vulnerabile e più facilmente suscettibile agli attacchi provenienti da persona c.d. di fiducia.

Circostanza aggravante, altresì, è l’aver commesso il fatto ai danni di un minore o di una donna in stato di gravidanza o di soggetto in condizioni di disabilità: il comma 3 elenca, dunque, quel novero di soggetti che possono ritenersi deboli, maggiormente esposti, vittime facilmente aggredibili oltreché soggetti i cui riflessi sulla psiche potrebbero determinare conseguenze ben peggiori o, comunque, di più complessa ripresa.

In merito alla condotta: il Legislatore ha ritenuto di configurare perseguibile a norma dell’art. 612 bis c.p. il comportamento – posto in essere dal soggetto attivo del reato – che sia reiterato ed idoneo a minacciare, molestare taluno in modo da creare un perdurante e grave stato d’ansia o di paura ovvero idoneo ad ingenerare un fondato timore per la propria incolumità o per quella di un prossimo congiunto, o, in generale, un atteggiamento capace di indurre la vittima che lo riceve e lo subisce a modificare le proprie abitudini ed il proprio stato d’ansia.

L’analisi di detto comma consente di inquadrare la condotta perseguita come capace di ledere il soggetto passivo del reato nella sua sfera più intima: quella della libertà e della serenità di movimento, di poter agire, di potersi sentire sicuro nella propria quotidianità, è una condotta che mina il c.d. perimetro di sicurezza entro il quale l’individuo può articolare la propria vita.

Trattasi, indi, di condotta libera che non richiede la realizzazione di particolari atti perché possa perfezionarsi, dovendosi considerare idonei a ledere il bene giuridico tutelato tutti quegli atti dotati del carattere della reiterazione e che, per ciò solo, siano capaci di sconvolgere l’individuo alterandone le abitudini, la libertà, minandone la serenità e l’equilibrio psico – sociale.

2. Molestia e minaccia quali profili materiali della fattispecie incriminatrice.

A discapito di quello che potrebbe ingenerarsi nella mente del quisque de populo deve analizzarsi con piglio critico il dato normativo nella misura in cui il Legislatore non ha inteso sanzionare condotte illecite: ed appunto vero è che il comma 1 apre la norma trattando di minaccia ma, parimenti, fa riferimento ad una condotta molesta idonea a creare turbamento. Ne discende che – trattandosi di reato a condotta libera – ben potrà il disvalore penale realizzarsi anche con la esternalizzazione di condotte pienamente lecite (si pensi al corteggiamento con fiori o monili) che tuttavia non siano graditi a chi le riceve e, l’autore degli stessi, anziché retrocedere persista fino al punto da divenire un vero persecutore che con atti e atteggiamenti non richiesti né voluti, ma anzi, disprezzati, porti colui che li riceve a temere per la propria libertà e capacità di autodeterminazione.

Deve, dunque, guardarsi alla condotta di cui all’art. 612 bis c.p. come una c.d. fattispecie aperta per cui le più svariate condotte – parimenti lecite e illecite – possano concorrere al perfezionamento della fattispecie incriminatrice.

Nevralgico, invero, è il carattere “reiterato” delle condotte: detto assunto può ben essere raggiunto sia attraverso atti inizialmente gradevoli sussumibili alla mera stregua del corteggiamento, sia con atti tipicamente perseguibili; si pensi alle minacce fisiche, morali, agli appostamenti sotto casa, o sul luogo di lavoro; ancora ai messaggi a contenuto diffamatorio, alle telefonate anonime che diano – alla vittima – la piena consapevolezza di essere nel mirino del proprio persecutore ma da cui non può validamente difendersi per impossibilità di rintracciarlo o perché non dispone di adeguati mezzi per contrastare la provenienza della minaccia.

3. Art. 612 bis c.p. e principio di determinatezza: analisi compiuta attraverso il filtro della Consulta.

Giustappunto questa varietà di condotte descritte dal Legislatore ha posto la Corte Costituzionale a pronunciarsi sulla legittimità della norma in commento per eventuale contrasto con il principio di determinatezza di cui all’art. 25 Cost.

Secondo il Giudice remittente una formulazione così ampia violerebbe uno degli assiomi propri del principio di legalità nella misura in cui non consentirebbe all’autore del reato di potersi validamente difendere stante la vaghezza normativa. Va detto – tuttavia – che la questione è stata tutt’altro che pratico – attuativa atteso che la Consulta, ancora una volta, ha individuato come centrale il carattere “ripetuto e reiterato” della condotta talché non qualsiasi atteggiamento sarebbe validamente punibile ma esclusivamente quello che sia idoneo – nella sua interezza ed espressività -  a minare la libertà personale, morale e di autodeterminazione del soggetto che ne è vittima.

Il principio di diritto così ricostruito merita di essere guardato attraverso l’obiter dictum espresso dalla Consulta che – come Autorevole Dottrina ha rilevato – in verità non risolve nel merito in maniera chiara ed univoca il contrasto sorto, piuttosto “salva” la fattispecie normativa contestata perché ne rinviene l’alto scrigno morale – punitivo di cui il nostro sistema dispone.

Di seguito il percorso motivazionale compiuto dalla Corte:

  • Nessuna violazione del principio di determinatezza vi sarebbe perché – evocando anche la Giurisprudenza della medesima Corte – detto principio si ritiene rispettato non già guardando alla singola condotta isolatamente presa ma procedendo ad un’applicazione sistemica talché è sufficiente che la condotta – seppur ampia – sia idonea a raggiungere lo scopo di turbare e limitare la vittima perché nessuna violazione del principio di legalità potrà registrarsi.
  • La Corte ha guardato alla fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. non come ad una novella ma ad essa ha attribuito il carattere della specificità: del resto i reati di minaccia e molestia erano già conosciuti al nostro Legislatore; l’articolo di cui trattasi ha “semplicemente” consentito una specifica di quelle azioni riottose e deplorevoli che possono – nella loro esternazione – essere capaci di alterare l’equilibrio psico – fisico della vittima per la loro ripetitività e reiteratezza. Non, dunque, atti isolati ma ripetuti, prevedibili dalla vittima nella loro realizzazione e quindi ancora più ostensibili nella loro capacità offensiva.
  • L’art. 612 bis c.p. è espressione scritta di un diritto vivente stratificato che muoveva la propria indignazione, con conseguente attivazione di adeguata risposta sanzionatoria, verso quelle condotte nascenti dalla mera minaccia o molestia ma che nella loro esternazione presentavano il quid juris della abitualità, della quasi normalità in capo all’autore di arrecare fastidio alla vittima e non curarsi dello stato d’animo che in essa generavano.
  • Ha affermato la Consulta che il principio di determinatezza ed il suo soddisfacimento non chiede di aderire ad una elencazione tassonomica delle condotte perseguibili: diversamente si creerebbero dei vuoti di tutela tanto temuti e combattuti; a contrario può ritenersi di avere, comunque, una norma sufficientemente determinata quando si possa cogliere il disvalore penale della condotta da una interpretazione sistemica degli accadimenti la cui analisi conduca inequivocabilmente ad ammettere perfezionato l’evento astrattamente descritto dalla norma.

Lo scrutinio della Corte deve ritenersi certamente prezioso: centrale, ancora una volta, è l’interpretazione del sintagma “perdurante e grave stato d’ansia (…) capace di ingenerare timore fondato per sé o per i prossimi congiunti”.

Attorno a detto concetto deve operare la ricerca della fondatezza accusatoria: non ogni timore può validamente essere considerato ammissibile ai fini dell’applicazione normativa in commento; non ogni denuncia può avere pregio penale, la P.G. deve guardare al carattere della molestia, deve essere perdurante, forte, invadente, idonea a far temere per la propria serenità e ad indurre chi la subisce a modificare il proprio status vitae.

Ne discende che non possono darsi merito a quelle denunce meramente fantasiose in cui le paure provengano da soggetto particolarmente vulnerabile caratterialmente che tenda, verosimilmente, ad ingigantire la realtà materiale dei fatti; altresì non può ritenersi sussumibile alla fattispecie in commento la condotta di colui che ponga in essere due soli atteggiamenti molestatori potendoli ritenere delle avances pure e semplici cui forse non vi sarà seguito

Ergo, soltanto quei comportamenti “abituali e ripetuti” potranno meritare l’attenzione della magistratura

4.Quando gli atti cc.dd. persecutori raggiungono la soglia di punibilità?

Ed è in detto segmento che si iscrive il vero problema della portata pratico – attuativa della norma in commento.

Perché si riveli la lesione al bene giuridico tutelato è necessario un carattere ripetuto e reiterato delle condotte di cui al comma 1 che generino una paura ed un’ansia considerevole.

Ebbene, come può comprendersi se dopo due soli momenti temporali non vi sia un’escalation feroce che conduca all’apoteosi drammatica?

Come si può asserire con certezza che la reiterazione – prima di sfociare in una lesione al bene vita – dia seguito ad un numero vario e ampio di atteggiamenti ripetuti?

E se quando si agisce sia troppo tardi?

Ecco gli interrogativi che maggiormente hanno interessato la nostra esperienza di Stato garantista: quale sia la linea di confine – estremamente sottile – tra l’anticipazione della tutela penale e la garanzia di non punire un soggetto per atti non ancora idonei a ledere il bene giuridico tutelato.

Senza voler entrare in alcuna polemica storico – giuridica, forse potrebbe discutersi di anticipazione della tutela penale: forse non tutte le condotte dovrebbero essere valutate attraverso il filtro della reiterazione potendo, verosimilmente, dispiegare una tutela, una risposta sanzionatoria anche innanzi a quei comportamenti che siano – seppur apparentemente isolati – comunque capaci di essere letti come pericolosi, annunciatori di un evento spesso drammatico che sovente potrebbe esser evitato.

5. Questioni di legittimità di rilievo.

In merito a detto aspetto – ovvero se il reato di atti persecutori possa ritenersi configurato anche con la realizzazione di due sole condotte – si è espressa la Cassazione con un recente arresto. Non v’è dubbio che trattasi di questione nodale atteso che come sopra anticipato spesso la salvaguardia della vittima passa proprio attraverso delle valutazioni temporali.

Il supremo Consesso – nel caso trattato – ha ritenuto le dichiarazioni della persona offesa assolutamente attendibili: seppur si fosse trattato di “semplici” atti propri dell’arte del corteggiamento, comunque erano apparsi idonei perché la persona ricevente – al fine di schivarli – fosse stata costretta a modificare le proprie abitudini, gli orari di rientro a casa, il veicolare le chiamate; tutti atteggiamenti che erano stati cambiati in un lasso temporale certamente breve a seguito di atteggiamenti condotti in un altrettanto breve tempo.

Si è, indi, statuito che il reato di stalking ben può configurarsi anche in caso di condotte compiute nell’arco di una sola giornata purché distinte e temporalmente distaccate ma parimenti funzionali a destabilizzare la vittima.

Ancora una volta topico è il peso delle condotte, la gravità morale delle stesse e l’incidenza nella sfera intima di colui che le riceve.

Parimenti – in un arresto del 2016 – gli Ermellini hanno riconosciuto che un solo evento per quanto grave, deplorevole e preoccupante, non può ammettere la configurazione del reato di stalking; invero con detta previsione normativa il Legislatore ha inteso proteggere la persona destinataria di dati atti anticipando la tutela penale dispiegata per lesione della libertà morale e personale, tuttavia, detta anticipazione è giustificata unicamente ove ricorrano almeno due atteggiamenti di cui al comma 1, non per forza cumulativamente la minaccia e la molestia trattandosi di condotte alternative ma è indispensabile la ripetizione di una di esse.

Finanche va dato atto di un dissidio pretorio sorto nel 2014 in cui l’ottica interpretativa della Cassazione entrò in contrasto con il Tribunale del riesame.

I fatti.

Un uomo era stato accusato di tre diversi accadimenti ai danni della ormai ex moglie: l’aver tentato di investirla durante una manifestazione religiosa; il non aver adempiuto all’obbligo di mantenimento della medesima; l’essersi intrufolato in casa, in ora notturna, al fine di ingenerare ansia e timore, per solo scopo vendicativo.

I primi due eventi erano stati oggetto di accertamento penale conclusi con Sentenza passata in giudicato, per il verificarsi dell’ultimo episodio la Cassazione accoglieva le conclusioni della Procura Generale ritenendo di leggere detta condotta come un unicum rispetto alle due precedenti talché, di certo, l’ex marito poteva essere perseguito per il reato di stalking.

Il tribunale del riesame ha negato detta interpretazione asserendo di non poter ammettere una violazione del principio di ne bis in eadem: il medesimo soggetto non può essere giudicato due volte per il medesimo fatto contro la medesima persona offesa, pertanto, trattandosi l’ultimo evento contestato (l’essersi introdotto in casa della ex moglie di notte) di episodio singolo e isolato, non poteva ricorrere l’ipotesi punitiva dell’art. 612 bis c.p. al più la vittima avrebbe potuto invocare la violenza privata o la violazione di domicilio non già l’ipotesi di atti persecutori.

6. Procedibilità del reato di stalking.

Trattasi di reato punibile a querela di parte.

È la vittima del reato che deve dolersi di quanto subito e denunciare alla P.G., può aversi la procedibilità d’ufficio nel caso di fatto commesso ai danni di un minore o di un soggetto con disabilità; l’eventuale remissione può essere soltanto processuale – ciò potrebbe far intendere che possa aversi soltanto nel caso di revoca compiuta innanzi all’Autorità Giudiziaria e non anche in fase di indagini, tuttavia la Giurisprudenza ammette – in un’ottica garantista – entrambi i casi; di certo non potrà mai essere revocata ove la minaccia sia avvenuta nelle forme dell’art. 612 c.p. ovvero se grave o commessa nelle forme aggravanti di cui all’art. 339 c.p.

Da ultimo – di rilievo sotto il profilo processuale – occorre evidenziare la incompatibilità tra l’art. 612 bis c.p. e l’art. 131 bis c.p. che esclude la punibilità per particolare tenuità del fatto.

Ebbene la precisazione si inscrive più in un’ottica di mero approfondimento – dovuto e necessario – tuttavia non più attuale.

Ma si proceda con ordine: il testo previgente della norma – sotto un profilo edittale – prevedeva una pena da mesi sei ad anni cinque, ordunque, proprio il tetto di anni cinque ha portato gli operatori del diritto a discuterne sulla compatibilità con l’art. 131 bis c.p.

Sul punto occorre precisare che lo stesso Legislatore ha inteso evitare qualsivoglia contatto considerato che nella misura in cui al comma 1 ha – espressamente – statuito e siglato l’offesa come di “particolare tenuità” quando essa derivi da comportamento non abituale.

Attualmente la querelle appare priva di interesse considerata la novella recente che ha esteso la forbice edittale a 6 anni, superando indi il limite – originario - di anni cinque.

7. Profili di concorso con altri reati.

Non sfugga all’operatore del diritto che la fattispecie di atti persecutori contiene una clausola di riserva: è norma, invero, che si apre con la formula “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”

Occorre, alla luce di detta precisazione, comprendere quando sia possibile applicare tale clausola: all’uopo è necessario verificare se nell'illecito più grave sia completamente assorbito il disvalore penale espresso da tutti gli elementi tipici del delitto di stalking; la clausola di riserva non opererà, a contrario, in tutti quei casi in cui il reato più grave si identifichi, in concreto, solo con una frazione, un segmento, delle condotte poste in essere dall’autore del fatto e sussumibili nella fattispecie di cui all'art. 612 bis c.p., invero in questo caso la fattispecie più grave non è in grado di assorbire effettivamente il disvalore di quest'ultima

Si consideri che ove – differentemente - il più grave reato avrà carattere istantaneo, perché costituito da un unico atto, la clausola di riserva non opererà e quindi si avrà concorso tra il delitto di stalking ed il reato più grave commesso dall’agente.

Come a più riprese detto il delitto di atti persecutori è reato abituale che differisce dai reati di molestie e di minacce, che costituiscono un minus o, comunque, una forma di estrinsecazione del reato di cui all’art. 612 bis c.p. ne discende che esso, nella sua materiale realizzazione assorbe quello di minaccia o di molestia, ma non quello di ingiuria, perché, mentre gli atti intimidatori rientrano tra gli elementi qualificanti della fattispecie, le ingiurie sono a questa estranee ed incidono su un bene della vita diverso – precisamente ledendo l’onore e il decoro della vittima ingiuriata -.

 Diversamente può aversi concorso con il reato di diffamazione: del resto un modo – analizzato dalla casistica giurisprudenziale – attraverso cui può esplicarsi il reato di stalking è proprio il contenuto diffamatorio e persistente delle molestie.

È configurabile il concorso tra il reato di violenza privata e quello di atti persecutori, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi.

Altro reato che teoricamente potrebbe concorrere con quello di "atti persecutori", ma di natura abituale, è il delitto di "maltrattamenti in famiglia". In realtà, però, quest'ultimo è un reato più grave dello stalking, che probabilmente prevarrebbe comunque su quello di cui all'art. 612 bis c.p. a prescindere dalla clausola di riserva con cui esordisce tale articolo.

Sul punto, la S.C. ha precisato che: «Il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) si distingue da quello di "stalking" (art. 612 bis c.p.), anche se le condotte materiali appaiono omologabili per modalità esecutive e per tipologia lesiva. Il reato di maltrattamenti familiari, infatti, è un reato proprio, potendo essere commesso soltanto da chi ricopra un "ruolo" nel contesto della famiglia (coniuge, genitore, figlio) o una posizione di "autorità" o peculiare "affidamento" nelle aggregazioni comunitarie assimilate alla famiglia dall'art. 572 c.p. Il reato di atti persecutori è, invece, un reato contro la persona e in particolare contro la libertà morale, che può essere commesso da chiunque con atti di minaccia o molestia reiterati (reato abituale) e che non presuppone l'esistenza di interrelazioni soggettive specifiche. Il rapporto tra tale reato e il reato di maltrattamenti è regolato dalla clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 612 bis, 1° co., c.p., che rende applicabile - nelle condizioni date prima descritte - il reato di maltrattamenti, più grave per pena edittale rispetto a quello di atti persecutori nella sua forma generale di cui all'art. 612 bis, 1° co., c.p..» (C. pen., Sez. VI, 24.11.2011, n. 24575).

Ed ancora, giurisprudenza di merito (Trib. Napoli 30.6.2009) ha ulteriormente precisato che «è ravvisabile un concorso di reati nell'ipotesi in cui i maltrattamenti siano ad un certo punto cessati e siano, invece, proseguite le condotte di "stalking"».

Sul punto la giurisprudenza di merito ha, poi, precisato che reiterate e offensive manifestazioni di aggressività e violenza realizzate dal coniuge per convincere la moglie a riprendere la convivenza, e costituenti prosecuzione di precedenti manifestazioni aggressive attuate presso il domicilio familiare mentre i rapporti coniugali stavano deteriorandosi, rimangono assorbite nella fattispecie di maltrattamenti in famiglia e come tali sanzionate, non potendo concorrere l'ulteriore contestazione di atti persecutori (T. Caltanissetta, 4.1.2010).

8. Sotto il profilo di applicazione intertemporale della norma

La struttura oggettiva del reato in parola, come già detto, è incentrata sulla reiterazione di condotte di minaccia o di molestia e sulla causazione di correlati effetti psichici quali ansia, paura o timore suscitati nella vittima fatta oggetto degli atti persecutori.

La descritta struttura del reato ha generato alcune problematiche in sede applicativa in relazione al principio di irretroattività.

In particolare, l'ipotesi maggiormente discussa è quella in cui solo parte delle condotte integranti l'elemento oggettivo del reato in parola risultino essere state consumate dopo l'introduzione della norma incriminatrice dello stesso; in tali casi, infatti, si discute della rilevanza dei comportamenti tenuti prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 11/2009, ai fini della integrazione del requisito della reiterazione della condotta.

Tale questione ha portato alla nascita di differenti orientamenti giurisprudenziali. Secondo un prevalente orientamento il reato di art. 612 bis c.p. ha – come a più riprese ribadito - natura abituale, e deve ritenersi commesso dopo l'entrata in vigore della predetta normativa qualora anche un solo atto di minaccia o di molestia sia compiuto dopo quel momento, e sempre che vi siano tutti gli elementi costitutivi previsti dalla fattispecie incriminatrice, anche in forza di atti precedenti all'ultimo e ad esso legati da un vincolo di abitualità. Ne consegue che il nuovo reato, senza alcuna violazione del principio di irretroattività della legge penale, deve ritenersi suscettibile di applicazione anche in relazione a condotte poste in essere reiteratamente in parte prima ed in parte dopo la sua introduzione.

Secondo altro orientamento, viceversa, la norma di cui all'art. 612 bis c.p., è applicabile esclusivamente agli episodi commessi successivamente alla sua entrata in vigore, a meno di non voler intaccare il fondamentale principio di irretroattività della norma penale.

In atti si è teso – in un’ottica di maggiore conformità  e garanzia con l’art. 2 c.p. - propendere per la prima tesi, talché ai fini della configurabilità del delitto di "atti persecutori", non è necessario che tutte le condotte, reiterate, di minaccia o di molestia siano commesse dopo l'entrata in vigore del D.L. n. 11/2009, ma basta che solo l'ultima di tali condotte sia posta in essere successivamente all'intervento legislativo predetto, poiché è con essa che si ha la perfezione del reato.

Questo, invero, si perfeziona con il compimento dell’ultimo atto lesivo e si ritiene consumato nel momento in cui la vittima sporge formale querela.

9. Conclusioni

L’analisi dei dati raccolti consente di formulare le seguenti conclusioni che – in verità – non appaiono scevre da profili di criticità.

Ed appunto, lo studio che si è voluto condurre è stato funzionale ad espletare un’analisi: quale sia la tutela della vittima del reato di atti persecutori, quali gli strumenti di cui dispone lo Stato, se questi siano idonei, validi, opportuni ed adeguati.

Certo è che con la riforma del 2009 un importante atto di civiltà è stato compiuto: la Legge contro lo stalking è entrata nel nostro panorama normativo, l’Italia ha potuto guardare a testa alta all’esperienza Europeista, si è colmato un vuoto di non poco conto che sommava vittime davanti all’inerzia normativa ed al vuoto parlamentare: vittime bianche in totale assenza di tutela e protezione.

Norma, forse sbilenca, forse poco determinata, forse espressione di quella capacità normativa propria della nostra esperienza per cui si tende colmare macro vuoti con un unico dictat talvolta grossolano ed inappropriato per cui, come sempre, risulta imprescindibile l’intervento riparatore della ermeneusi Pretoria che ben “salva” un testo normativo che, forse, non sarà perfetto ma appare assolutamente indefettibile.

Così come, parimenti, sarebbe irrinunciabile un ultroneo intervento – normativo – che veda la capacità – auspicata – di anticipare la tutela penale a quegli atti che, seppur sussumibili nell’alveo della minaccia o della violenza privata, comunque presentino dei tratti somatici prodromici di un evento ben più grave che sovente non si evita perché il fatto denunciato non era ancora idoneo a vedere la lesione del bene giuridico tutelato.

Ancora una volta è uno scontro tra titani: il diritto garantista verso l’autore del reato e la necessità di tutela di quei valori imprescindibili che – da sempre – sono sostrato e bagaglio Costituzionale della Nostra Esperienza storico – normativa. 

Note e riferimenti bibliografici

  1. R. Garofoli; Manuale di Diritto Penale; Nel Diritto editore – XIV Edizione;
  2. A. Pagliaro; Principi di diritto penale parte generale; Ed. Giuffré 2016;
  3. M. Di Pirro; Compendio di Diritto Penale; Ed. La Tribuna 2015;
  4. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta; Manuale di diritto Penale parte Generale; Giuffré 2019;
  5. R. Garofoli; Manuale di Diritto Penale; Nel Diritto editore – XIV Edizione;
  6. R. Giovagnoli; Manuale di diritto penale; Ita Edizioni – 2019.
  7. Codice Commentato di Diritto Penale; Edizioni Giuffrè – 2017;
  8. A. Davico; Stalking – Atti Persecutori; Quid Juris – Collana diretta da G. Spangher – 2018;
  9. C. Cost. Sent. n. 172/2014;
  10. C. Cass. Sez. V Sent. n. 104/2017;
  11. C. Cass. Sez. V Sent. n. 38306/2016;
  12. C. Cass. Sez. V Sent. n. 22194/2016;
  13. C. Cass. Sez. V Sent. n. 46331/2013;
  14. C. Cass. Sez. V Sent. n. 48391/2014;
  15. Sez. Unite C. Cass. Sent. n. 34655/2005;
  16. C. Cass. Sez. VI n. 24575/2011;
  17. Trib. Caltanissetta, Sent. del 4.1.2010;
  18. Fonti sul web: ItalgiureWeb;
  19. Relazione tenuta dalla Dott.ssa Andreina Occhipinti c/o Tribunale di Agrigento: “lo stalking nuova fattispecie di reato: profili di interesse”.