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Pubbl. Gio, 5 Mar 2020

Contemporanea detenzione di droghe pesanti e leggere: consentito inquadrare il fatto nella lieve entità

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Francesco Martin



Nel caso in cui la contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di diversa qualità, conduca in concreto a una valutazione unitaria del fatto, non è in astratto da escludersi l'ipotesi che tale valutazione possa portare in alcuni casi a scindere la qualificazione giuridica del fatto, inducendo il Giudice a riconoscere che una delle violazioni registrate debba essere ricondotta nell'ambito dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. Cass. 114/2020


SOMMARIO: 1. La fattispecie di cui all’art. 73, DPR 309/90: natura, ratio, finalità. - 2. L’art. 74, DPR 309/90: brevi tratti dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. - 3. Brevi cenni sul concorso di persone nel reato e sulla connivenza non punibile. - 4. L’art. 73, V comma, DPR 309/90: il fatto di lieve entità - 5. Una questione pratica in tema di stupefacenti e fatto di lieve entità. 

Abstract (ita) Il presente contributo si pone lo scopo di analizzare gli articoli 73 e 74 del DPR 309/90, soffermando specialmente sulla circostanza del fatto di lieve entità o sull’associazione mafiosa finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Nell’analisi si evidenzierà l’evoluzione normativa susseguitasi e i vari orientamenti giurisprudenziali, terminati con la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass.pen., SS.UU., 27.09.18, n. 51063). Infine, verrà commentata una recente pronuncia dei giudici di legittimità (Cass.pen., sez. IV, 07.01.20, n. 114) in tema di detenzione di sostanze stupefacenti aventi natura e principio attivo diverso.

Abstract (eng) This contribution analyze articles 73 and 74 of Presidential Decree 309/90, focusing especially on the circumstance of the minor fact or on the mafia association aimed at the trafficking of narcotic substances. The analysis will highlight the regulatory evolution that followed and the various jurisprudential guidelines, which ended with the pronouncement of the United Sections of the Court of Cassation (Cass.pen., SS.UU., 27.09.18, n. 51063).  Finally, a recent ruling by the judges of legitimacy (Cass.pen., sez. IV, 07.01.20, n. 114) will be commented on the possession of narcotic substances of different nature and active principle.

 1. La fattispecie di cui all’art. 73, D.P.R. n. 309/90: natura, ratio e finalità.

Come è noto il legislatore italiano ha inteso vietare e perseguire la produzione, il traffico e la detenzione illecita di sostanze stupefacenti. Più in generale l’art. 73 del T.U. Stupefacenti prevede, al primo comma, una serie tipizzata e quanto mai eterogena di condotte volte a punire anche quei comportamenti prodromici o che costituiscono l’inizio o la fine del meccanismo di commercio delle sostanze stupefacenti. In tale modo il legislatore ha inteso estendere la punibilità non solo ai soggetti che materialmente realizzano attività preponderate come la produzione o la cessione, ma anche a coloro che detengono, passano, spediscono anche a titolo gratuito sostanze psicotrope o stupefacenti. A ben vedere la normativa italiana in materia di sostanze stupefacenti si orienta ad una strategia volta a differenziare, sul piano del trattamento sanzionatorio, la posizione del consumatore della droga da quelle del produttore, del trafficante e dello spacciatore. L’idea di fondo del legislatore è che l’intervento repressivo debba orientarsi nei confronti dei narcotrafficanti, dovendosi scorgere di regola nella figura del consumatore abituale una manifestazione di disadattamento sociale, cui far fronte con interventi di tipo terapeutico e riabilitativo. La ratio delle incriminazioni in materia di stupefacenti è di debellare il mercato della droga. Proprio attraverso la cessione al consumatore si realizza il meccanismo di immissione nel mercato della sostanza stupefacente che pone in pericolo i beni oggetto di tutela penale.   Beni che sono individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell'ordine pubblico [1].   Si tratta in pratica di reati che hanno natura plurioffensiva, in cui la salute pubblica ottiene un ruolo privilegiato nell’ambito dell’oggettività̀ giuridica, affiancata dai beni giuridici della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico [2]    Se dunque è vero che la norma si pone a protezione di più beni giuridici, si evince che siamo in presenza di una norma che detta una protezione pubblicistica, contrassegnata oltretutto da una rigorosa e robusta risposta punitiva. La norma summenzionata è stata oggetto di numerose modifiche e cambiamenti. Dopo una prima modifica da parte della L. 49/06 (L. Fini-Giovanardi), che aveva radicalmente innovato la disciplina delle sostanze stupefacenti acuendone gli aspetti repressivi ed introducendo la contestata equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti, era intervenuta con una pronuncia la Corte Costituzionale [3] modificando la parte più significativa di quella novella, viziata da un illegittimo ricorso alla decretazione di urgenza, facendo rivivere l’originario impianto normativo del D.P.R. 309/90 (L. Jervolino-Vassalli). Il D.L. 146/13 aveva trasformato la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, prevista dal comma 5 dell’art. 73 D.P.R. 309/90, in fattispecie autonoma di reato, al dichiarato scopo di ridurre la presenza nella popolazione carceraria dei soggetti tossicodipendenti responsabili di fatti di minor gravità.  Infine, a distanza di due mesi dalla pronuncia della Consulta, il D.L. 36/14 ha restituito coerenza al sistema, senza tuttavia incidere sui primi quattro commi dell’art. 73, D.P.R. 309/90: il ripristinato regime sanzionatorio differenziato ha trovato riscontro nelle nuove tabelle delle sostanze stupefacenti ma non è stato esteso anche al fatto di lieve entità, del quale è stata ulteriormente limata la cornice edittale (ancora indifferente, dunque, al tipo di droga trattata) [4]. Come esposto in precedenza, la norma incriminatrice delinea in maniera chiara le condotte relative alle sostanze stupefacenti idonee ad integrare il reato.  Trattandosi di un reato comune le condotte possono essere commesse da chiunque, non essendo richiesto che il soggetto agente possieda alcuna particolare qualifica soggettiva. l legislatore ha configurato il reato di cui all’art. 73, DPR 309/90, come un reato di pericolo presunto o astratto. Tale delitto presenta peraltro una natura permanente con riferimento a tutte quelle condotte che presuppongono un persistente rapporto di disponibilità della sostanza stupefacente, e dunque un perpetuarsi dell'offesa al bene protetto che dipende direttamente dalla volontà del reo; in tali casi la consumazione si protrae fino a quando perdura la disponibilità. Ha al contrario natura istantanea con riferimento a quelle condotte che integrano ed esauriscono l'offesa al bene protetto; in tali casi il reato si consuma nel momento in cui viene posta in essere l'illecita attività.  Le diverse fattispecie elencate dalla norma incriminatrice sono tra loro alternative, descritte in una sorta di progressione: in prima battuta infatti il legislatore punisce tutte le attività necessarie a produrre lo stupefacente (coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione), per poi elencare le attività che comportano il trasferimento dello stupefacente da o verso lo Stato (esportazione, importazione, passaggio o spedizione in transito) ed infine il passaggio dello stupefacente dallo spacciatore al consumatore (vendita, cessione, offerta in vendita, messa in vendita, commercio, consegna, distribuzione, invio, procacciamento). Non vengono escluse nemmeno quelle condotte, definibili come marginali ma sempre facenti parte del circuito produttivo e di vendita, che consistono della detenzione passaggio e spedizione anche senza scopo di lucro. Per la consumazione del reato occorre ed è sufficiente che il soggetto agente ponga in essere solamente una delle condotte in precedenza elencate. Con riferimento ai principi generali su unità e pluralità di reati, non può ravvisarsi un concorso formale di reati quando, nel medesimo contesto spazio-temporale, un soggetto ponga in essere — in relazione al medesimo quantitativo di sostanza stupefacente — più azioni tipiche tra quelle descritte dalla norma incriminatrice[5]. Se invece non vi è identità spazio-temporale tra le condotte, ovvero se esse non fanno riferimento alla medesima quantità o alla medesima sostanza, devono configurarsi diversi reati in concorso materiale tra loro. Qualora invece vi sia la contemporanea presenza di sostanze stupefacenti di diversa natura ma rientranti nella medesima tabella, risulterà integrato un unico reato, in quanto l’azione è connotata da un'unica aggressione a beni tutelati in maniera omogenea dalla norma incriminatrice.  Viceversa, ove la condotta concerna sostanze stupefacenti ricomprese in tabelle diverse e non affini, sono configurabili più reati in concorso formale tra loro [6]. Per quanto concerne l’elemento soggettivo, il reato di cui all'art. 73 T.U. in materia di stupefacenti  è punibile a titolo di dolo generico, integrato dalla coscienza e volontà di porre in essere la condotta descritta nella fattispecie incriminatrice; il dolo deve investire tutti gli elementi della fattispecie ma non anche gli elementi sintomatici che si sono appena illustrati, poiché gli stessi non sono elementi costitutivi del reato e rimangono, pertanto, fuori anche dalla struttura dell'elemento soggettivo. A nulla rileva lo scopo per il quale il soggetto agente ha posto in essere la condotta incriminata, sussistendo comunque l’offensività della stessa.   In ultima analisi non può essere tralasciato il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore.  Come noto le condotte previste dall’art. 73, T.U. in materia di stupefacenti sono punite in maniera molto severa, per non dire draconiana, in ragione del profondo disvalore insito nella condotta nonché della grave offesa ai beni giuridici protetti.  Con riferimento a tale profilo, la Corte Costituzionale [7] ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 73 in relazione al limite edittale minimo della disposizione, il quale prevedeva, prima dell’intervento del giudice delle leggi, una pena di anni otto di reclusione.  La Corte ha rilevato che la differenza di ben quattro anni tra il minimo edittale di pena previsto per la fattispecie ordinaria, che punisce le condotte aventi ad oggetto le c.d. droghe pesanti (otto anni di reclusione), e il massimo di pena stabilito per quella di lieve entità (quattro anni) costituisce uno iato sanzionatorio in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza (art. 3 Cost.), e con il principio di rieducazione della pena (art. 27 Cost.).Sono state quindi ritenute fondate le censure formulate dal giudice rimettente in relazione agli articoli 3 e 27 Cost., considerati congiuntamente, superando così i precedenti contrari in cui la Corte aveva ritenuto inammissibili analoghe questioni a quella ora sottoposte alla sua attenzione. [8]    Tale modifica riguarderà molti procedimenti che pendono ancora sub iudice e che quindi comporteranno, secondo il principio del favor rei, in caso di condanna una pronuncia più favorevole all’imputato ovvero vedrà la presentazione di numerosi incidenti di esecuzione volti a modificare una pena già inflitta.

2. L’art. 74 del DPR 309/90: brevi tratti dell’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Il commercio delle sostanze stupefacenti ed anche la sua produzione e commercializzazione è sempre stato appannaggio esclusivo della criminalità organizzata. Difatti, emerge chiaramente dalle pronunce giurisprudenziali, nonché dalla cronaca giudiziaria di tutti i giorni, che tale settore è interamente gestito da soggetti facenti parte delle varie mafie - locali ed internazionali -, rappresentando una parte consistente e vitale del “bilancio” di tali organizzazioni. Proprio per tale motivo è stato previsto, all’art. 74, il reato di associazione a delinquere finalizzato al traffico di sostanze psicotrope o stupefacenti.  Come tutti i reati associativi, si tratta di un reato permanente, i suoi elementi oggettivi fondamentali sono la formazione di un vincolo associativo, coinvolgente almeno tre individui, che sia continuativo e diretto ad attuare il piano criminoso durevole, ossia permanga anche dopo la consumazione dei singoli reati programmati l’organizzazione stabile di attività personali e di beni economici, con l’impegno di apportarli anche in futuro in funzione del perseguimento del progetto delinquenziale ed infine il programma delittuoso, consistente nella commissione di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti tra quelli summenzionati, per quanto non occorre l’effettiva consumazione degli stessi [9]

La struttura organizzativa, per sua stessa definizione, deve essere caratterizzata da una stabilità tale da garantire un’apprezzabile continuità temporale e delinquenziale e da una distinzione dei compiti che sono demandati ai singoli soggetti sodali in relazione al programma malavitoso.   In difetto di tali requisiti, l’associazione viene meno in quanto manca la realizzazione di quel disvalore e quel connotato di pericolosità per l’ordine pubblico idonei a giustificare la severa sanzione prevista dalla legge.  Per quanto invece concerne l’elemento psicologico, questo è costituito dalla coscienza e volontà di partecipare e contribuire concretamente alla vita durevole della suddetta struttura organizzativa, al fine di attuare il programma delittuoso per il quale la stessa è stata costituita, avente ad oggetto la commissione di più delitti tra quelli indicati dal comma 1 della medesima disposizione normativa  Si tratta quindi, al contrario dell’art. 73, di un dolo specifico, il quale, tuttavia, non richiede necessariamente che tutti gli associati abbiano l’intenzione di porre in essere identici fatti penalmente rilevanti, né che il singolo partecipante conosca e sia in rapporto con tutti gli altri sodali, purché abbia la consapevolezza che la propria attività si inserisce in un complesso di operazioni strumentali alla realizzazione dello spaccio e del traffico di stupefacenti.   Giova, del resto, sottolineare come il dolo del delitto associativo de quo va tenuto nettamente distinto dal motivo che ha indotto il singolo a prendere parte alla struttura criminosa. Con riferimento a questo ultimo punto, una recentissima sentenza della Corte di Cassazione[10] ha affermato che, in materia di partecipazione nell’associazione per delinquere a fini di traffico di sostanze stupefacenti, la condotta partecipativa può essere desunta anche dalla commissione di singoli episodi criminosi.L’elemento oggettivo del reato prescinde, infatti, dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente agito, per cui il coinvolgimento in un solo episodio criminoso non è incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione di cui si è consapevolmente servito per commettere il fatto, mentre l’elemento soggettivo e la adesione psicologica alla partecipazione vengono inoltre desunte dall’immanente coscienza e volontà dell’autore di fare parte dell’organizzazione. Proprio per la radicata presenza delle organizzazioni mafiose nonché per l’importanza, senza alcun dubbio vitale in termini di sostentamento economico, che ha il traffico di stupefacenti per tali sodalizi criminali il legislatore ha posto in essere degli strumenti repressivi di notevole incisività[11]. A questi si è, poi, aggiunto un orientamento, ormai divenuto granitico, della Corte di Cassazione che ha più volto ribadito il concorso tra il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e quello ex art. 74   T.U. Stup. La Corte di Cassazione[12] infatti riconosce pacificamente la configurabilità̀ di un concorso formale tra i due reati associativi in parola sulla base di due ragioni. La prima è che ci si trova di fronte a due disposizioni che, da un punto di vista strutturale, si trovano in un rapporto di specialità̀ reciproca, circostanza che, secondo il costante orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte, esclude l’applicabilità̀ dell’art. 15 c.p., quindi, la prevalenza di una delle due disposizioni sull’altra[13].  Trattasi del resto di considerazione ineccepibile se si procede ad un confronto logico-strutturale tra le due norme. Non può̀ in effetti non riconoscersi al riguardo come il reato di cui all’art. 416-bis c.p. contenga l’elemento specializzante del metodo mafioso rispetto all’associazione prevista dall’art. 74 del DPR 309/90, mentre quest’ultima disposizione prevede, rispetto alla prima, quello relativo alla particolare natura (chiusa) dei reati-fine del sodalizio criminale, che devono essere  necessariamente quelli previsti dal DPR 309/90[14]. La seconda argomentazione concerne la parziale diversità̀ delle oggettività̀ giuridiche delle due disposizioni, essendo nel primo caso tutelato l’ordine pubblico messo in pericolo dalle situazioni di assoggettamento e omertà̀ derivanti dalla forza di intimidazione dell’organizzazione criminale mafiosa, mentre nel caso dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti accanto a siffatto bene – comune a tutte le fattispecie associative – a rilevare è altresì la protezione della salute individuale e collettiva, minacciata dalla diffusione di droghe e sostanze psicotrope. Nel delineare poi i requisiti di partecipazione a entrambe le associazioni in questione la Corte detta alcune indicazioni specifiche.   

In alcune pronunce emerge che qualora il soggetto inserito in un determinato contesto criminale si occupi esclusivamente del traffico di sostanze stupefacenti, affinché́ egli risponda non solo dell’illecito associativo di cui all’art. 74 del T.U. in materia di stupefacenti, ma anche del reato di associazione di stampo mafioso, è sufficiente la mera consapevolezza che il traffico di sostanze psicotrope è gestito dall’associazione mafiosa, in quanto ciò contribuirebbe causalmente alla realizzazione di una delle finalità̀ tipiche del predetto sodalizio [15].    Tuttavia, in tale ipotesi oltre alle problematiche concernetti il principio del ne bis in idem sostanziale si potrebbero porre delle problematiche concernenti il principio di colpevolezza in quanto si verrebbe ad imputare dell’esistenza di legami e collegamenti esterni tra la struttura criminale in cui si presta la propria opera illecita e un sodalizio mafioso [16].  Si prescinde, dunque, dal compiere qualunque accertamento circa la sussistenza dei requisiti oggettivi di partecipazione al delitto di cui all’art. 416-bis c.p.. La stessa giurisprudenza di legittimità infatti, distingue la figura del partecipe all’associazione mafiosa – individuato nel soggetto inserito nella struttura associativa dell’ente criminale e dotato di una vera e propria affectio societatis – da quella del mero concorrente esterno che fornisca un contributo di effettiva rilevanza causale alla conservazione o al rafforzamento del sodalizio.In definitiva, la norma di cui all’art. 74 del DPR 309/90 si pone come norma speciale rispetto all’associazione per delinquere semplice e risulterà in effetti l’unica configurabile in virtù dell’applicabilità, nel caso di specie, del principio di specialità ex art. 15 c.p. Nelle ipotesi in cui, invece, si costituisca un sodalizio finalizzato alla commissione sia di reati in materia di stupefacenti che di figure criminose eterogenee, troverà applicazione non solo l’art. 74, ma anche l’art. 416 c. p. con un conseguente aggravio del trattamento sanzionatorio per gli imputati.

3. Brevi cenni sul concorso di persone nel reato e la connivenza non punibile in tema di stupefacenti.

 In materia di stupefacenti appare rilevante evidenziare, seppure nei tratti essenziali, il rapporto intercorrente tra il concorso di persone nel reato e la connivenza non punibile. Nella casistica giurisprudenziale infatti tale relazione emerge con particolare frequenza e ha imposto ai giudici di legittimità di delineare i confini in cui troverà applicazione l’una o l’altra disciplina. Se infatti da un mero punto di vista dottrinale e astratto tali due concetti sono di facile ed immediata comprensione sul piano pratico e processuale non è sempre agevole individuare il discrimen tra responsabilità a titolo concorsuale e assenza di profili di rimproverabilità in ottica penalistica.  La tematica del concorso di persone nel reato viene disciplinata, nel nostro ordinamento, daartt. 110 e ss. c.p. e si manifesta - tradizionalmente - quando più soggetti insieme realizzano un reato. La ratio che ha spinto il legislatore a prevedere e a configurare tale norma risiede nella volontà di estendere la punibilità di quelle fattispecie incriminatrici, ordinariamente tipizzate in chiave monosoggettiva , sino a ricomprendervi tutti quei casi in cui tale illecito sia commesso da una pluralità di soggetti.   Il concorso di persone nel reato è costituito da un elemento oggettivo ed uno soggettivo. Per quanto concerne l’elemento oggettivo devono sussistere tre requisiti fondamentali: la pluralità di agenti, la realizzazione di un reato e il contributo di ciascun partecipante alla realizzazione. La dottrina [17] si è interrogata se tutti i concorrenti dovessero essere necessariamente punibili, giungendosi ad affermare che può rivestire la qualifica di concorrente anche il soggetto non punibile ma che abbia partecipato alla commissione di un reato. In merito al secondo requisito – quello della commissione di un reato – si deve evidenziare come il legislatore abbia richiesto la realizzazione di tutti i requisiti necessari perché sussista una fattispecie penalmente rilevante non rilevando, ad esempio, il mero accordo o l’istigazione di cui all’art. 115 c.p.. Sul contributo dato da ciascuno dei concorrenti è necessario soffermarsi con più attenzione ed effettuare una prima distinzione..La condotta del concorrente può esplicarsi attraverso il vero e proprio compimento materiale degli atti che costituiscono il reato, ovvero essere un mero impulso psicologico: si parla nel primo caso di concorso materiale e nel secondo di concorso morale. Di particolare rilevanza, soprattutto nella prassi quotidiana, è il concorso morale che, non sempre di agevole riconoscimento, necessità che il soggetto concorrente abbia rafforzato il proposito criminoso dell’agente ovvero lo abbia fatto sorgere. 

La fattispecie del concorso morale mira a punire quindi colui che, pur non compiendo materialmente alcun atto, supporta psicologicamente l’autore e ne fomenta la volontà criminale. Al fine di accertare la sussistenza di tale particolare forma di concorso dottrina e giurisprudenza hanno affermato che deve accertarsi in concreto l’effettivo contributo morale rispetto al reato realizzato; se difatti operasse un meccanismo automatico potrebbero essere penalmente perseguibili anche quelle condotte che si limitano solamente a tollerare il fatto illecito, senza apportare alcun contributo.Dunque, il criterio fondamentale per individuare quali siano, nel singolo caso materialmente realizzato dal soggetto agente, i contributi veramente concorsuali è rappresentato dalla loro incidenza eziologica o causale rispetto alla realizzazione dell’illecito. 

Esaminato in tale modo, seppure con dovizia di sintesi per necessarie ragioni, la complessa e parimenti interessante tematica del concorso di persone nel reato, è ora opportuno tratteggiare gli elementi costitutivi e contrapposti dell’istituto della connivenza non punibile. Tale istituto, che come in precedenza illustrato comporta una non punibilità per l’agente, ricorre allorquando un soggetto, su cui non grava l’obbligo di impedire l’evento, assiste passivamente alla commissione di un reato. In sostanza il semplice cittadino non ha (quasi mai) l’obbligo, proprio invece delle forze dell’ordine, di attivarsi al fine di impedire un reato, ma può limitare ad assistervi.

L’unica eccezione è data da alcuni reati, in presenza dei quali anche il cittadino è tenuto ad attivarsi (determinati delitti contro la personalità dello Stato che impongono al cittadino, in virtù della sua appartenenza al tessuto sociale, di adoperarsi al fine di impedire un vulnus alla nazione). Se pochi dubbi possono sussistere circa la differenza tra la connivenza e il concorso di persone nel reato in situazioni generali, così non è in situazioni particolari come il caso in cui l’autore e il terzo siano ad esempio conoscenti oppure vivano all’interno della stessa abitazione ovvero se il soggetto sia presente nel luogo e al momento in cu si realizza il reato.  In definitiva la vera differenza tra la connivenza non punibile e il concorso di persona nel reato si coglie proprio in punto di sussistenza o meno di una agevolazione, intesa anche dal punto di vista morale, all’attività criminosa del soggetto agente da parte del terzo. Se quest’ultimo si limita ad una mera tolleranza o assiste passivamente, a nulla rilevando la sua presenza ai fini della perpetrazione del reato, lo stesso non sarà punibile mancando appunto l’obbligo giuridico di impedire l’evento.   Consapevole della difficoltà di individuare con precisione i confini in cui operano i due istituti, la Corte di Cassazione [18] ha dettato alcuni criteri discretivi, affermando da ultimo che: “In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, all'interno dell'immobile di proprietà comune, integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si ponga in essere un consapevole contributo morale o materiale all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente”.  Ecco, quindi, che la sottile differenza tra il concorso di persone nel reato e la connivenza non punibile pone in essere mastodontici effetti in sede di indagini o in sede processuale, comportando la non punibilità per l’indagato/imputato.

4. L’art. 73, V comma, DRP 309/90: il fatto di lieve entità.

Il comma quinto dell’art. 73 del T.U. Stup. stabilisce che se le condotte previste dal primo comma del medesimo articolo sono, per mezzi, modalità circostanza dell’azione ovvero per qualità e quantità delle sostanze di lieve entità il trattamento sanzionatorio risulta più favorevole all’agente. 

Tale comma è stato modificato con il D.L. 146/13 diventando fattispecie autonoma di reato così come più volte ribadito dalla Corte di Cassazione[19].    Per il fatto di lieve entità in tema di violazione delle norme sugli stupefacenti, tale modifica ha reso indifferente sul piano retributivo le tipologie di sostanza stupefacente detenuta o ceduta, con la conseguenza che il quadro edittale, previsto in modo indifferenziato per le droghe classificate come “leggere” e per quelle “pesanti”, non può essere eliso, soprattutto nel caso, assai frequente, di concorso con l'aggravante della recidiva [20].    La fattispecie della lieve entità, che nella quotidianità processuale a volte rappresenta l’unico mezzo per ottenere una pena più mite rispetto a quella prevista dal primo comma dell’art. 73 DPR 309/90, si configura nelle ipotesi di c.d. piccolo spaccio il quale è caratterizzato da una contenuta e minore portata dell’attività dello spacciatore (nonché dei suoi eventuali concorrenti) e da una ridotta circolazione della sostanza stupefacente che conseguentemente comporta una modesta entrata di denaro al soggetto agente.

La circostanza di cui al comma V dell’art. 73 T.U. Stup. può anche sussistere e trovare riconoscimento qualora la condotta sia caratterizzata da una minima portata offensiva desumibile sia dal mero dato quantitativo e qualitativo - inteso come quantità della sostanza stupefacente e principio attivo - sia da tutti gli altri mezzi indicati dalla norma con la conseguenza che qualora uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio.  Tuttavia, la sola singola cessione di un quantitativo minimo o anche non accertato di sostanza stupefacente non è sempre idonea ad integrare la circostanza della lieve entità. Difatti qualora tale cessione rappresenti una manifestazione effettiva e concreta di una più ampia e maggiore capacità del soggetto agente di diffondere ed immettere nel mercato la sostanza in maniera non occasionale e non episodica, la circostanza di cui al comma V dell’art. 73 T.U. Stup. non potrà essere applicata.    In tale caso infatti a nulla rileva che il soggetto abbia materialmente commercializzato una quantità minima di droga in quanto, in via astratta, tale cessione si inserisce in un meccanismo e contesto più ampio e omnicomprensivo che per sua natura non può essere ricondotto a quella lieve offensività richiamata dalla norma. Tale valutazione infatti non può basarsi, come una mera equazione, sul solo dato quantitativo ma deve ricomprendere anche le concrete capacità di azione dell’agente e alle sue relazioni con il mercato di spaccio avendo riguardo a fattori esterni come il numero di clienti, l’entità della droga smerciata in un determinato lasso di tempo e alle modalità volte ad impedire, ostacolare o limitare il controllo repressivo da parte delle Forze dell’ordine. La questione inerente al fatto di particolare tenuità ha alimentato una notevole querelle in dottrina e giurisprudenza, creando differenti orientamenti che hanno poi portato, sul piano pratico, a pronunce radicalmente differenti per fatti molto simili. 

In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha registrato orientamenti differenti con riferimento al rapporto tra la circostanza di cui al comma V dell’art. 73 T.U. Stup. e la detenzione di sostanze stupefacenti di natura diverse. 

Tale ipotesi risulta sempre più riscontrabile sul piano pratico in quanto l’ormai elevata disponibilità di droghe leggere e pesanti ha fatto sì che il soggetto spacciatore sia in grado d fornire (e quindi detenere) contemporaneamente sia l’una sia l’atra a seconda delle preferenze dei soggetti acquirenti, in modo da coprire il maggior numero di clienti e di garantirsi un maggiore guadagno. In merito al contrasto giurisprudenziale summenzionato si deve registrare che dal 2017 si sono susseguite una serie di pronunce che hanno ampliato e radicato il conflitto insorto.  Difatti con una sentenza della Suprema Corte [21] si è acuito il contrasto maturato nella giurisprudenza di legittimità sulla ostatività della detenzione di sostanze stupefacenti di natura diversa al riconoscimento del fatto di lieve entità. La pronuncia si pone in piena continuità con le precedenti decisioni della Corte e in contrasto con il contrario orientamento che riconduce all'elemento fattuale della detenzione di stupefacenti di diversa tipologia un valore assorbente negativo del riconoscimento del fatto di lieve entità.      D’identica natura è un'altra pronuncia [22] che ha escluso che la diversa tipologia della sostanza possa essere ostativa per la configurabilità dell'ipotesi di lieve entità qualora le peculiarità del caso concreto siano indicative di una complessiva minore portata dell'attività svolta dallo spacciatore.   

Tali pronunce si basano sul fatto che l'ipotesi di cui all'art. 73, V comma, DPR 309/90 che costituisce come già specificato non più una circostanza attenuante, bensì una fattispecie autonoma di reato è connotata da precisi elementi costitutivi e da un grado di offensività tipico, declinato in termini di lieve entità. Tra gli elementi da valutare ai fini dell'applicazione della fattispecie lieve vi è, infatti, la qualità delle sostanze.   Inoltre, la previsione di un trattamento sanzionatorio identico, tanto in caso di droghe leggere, quanto in quello di droghe pesanti, porterebbe al risultato, del tutto irrazionale – oltre che contrario al principio di legalità, attribuendo alla norma elementi precettivi che non contiene – di ritenere la disposizione applicabile soltanto in presenza di condotte lievi aventi ad oggetto sostanze droganti fra loro omogenee.  Infine, ragioni di prassi comune e logica possono far agevolmente ritenere come non corrisponda a una comune massima d'esperienza che la contestuale detenzione o cessione di stupefacente di differente natura costituisca, di per sé, un indice significativo di una più accentuata pericolosità, tale da rappresentare ex se una condizione ostativa all'applicazione della fattispecie attenuata. La Corte esclude, dunque, l’applicazione automatica della sanzione penale che riconduca la detenzione di plurime sostanze stupefacenti alla fattispecie incriminatrice più grave, per ribadire la necessità che la valutazione del giudice debba determinare un trattamento sanzionatorio adeguato alle particolari modalità e circostanze della situazione sub iudice[ 23]. A tale orientamento se ne contrapponeva un secondo [24] il quale riteneva che non fosse configurabile la circostanza del fatto di lieve entità nel caso in cui il soggetto avesse sostanze stupefacenti di natura eterogenea.  In tal senso infatti la Corte affermava che la condotta indicativa della capacità dell'agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice, non poteva essere considerarsi come di lieve entità. Il vulnus al principio di offensività infatti sarebbe così elevato e la lesione ai beni giuridici tutelati così ampia che tale fatto contrasterebbe con la ratio che ha spinto il legislatore ha prevedere una particolare circostanza come quella della lieve entità.  Come sempre accade, per risolvere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite [25] che hanno aderito al primo orientamento, ritenendo quindi che qualora la quantità di sostanza sia ridotta, il mero fatto di essere in possesso di diverse tipologie di stupefacenti non preclude l’applicabilità del V comma, in quanto la lieve entità deve essere valutata alla luce del caso concreto globalmente considerato, dal quale deve emergere una complessiva minore portata dell’attività svolta dallo spacciatore.    In effetti tale orientamento risulta maggiormente coerente con la ratio della norma in esame, ossia con l’istanza di individualizzazione del giudizio sul fatto, da un lato, e con quella di rendere il sistema sanzionatorio in materia di stupefacenti coerente con i canoni costituzionali di offensività e proporzionalità, dall’altro.     In conclusione, la Corte enuncia il principio di diritto per cui non vi è incompatibilità tra la diversità delle sostanze oggetto del reato e la fattispecie lieve di cui al V comma, in quanto non è necessario che tutti i parametri indicati dalla norma per valutare la lievità del fatto siano dello stesso segno, purché da un’analisi complessiva degli stessi tale lievità risulti comunque provata [26].                                                                                                                                                                                        Per completezza e coerenza rispetto ai paragrafi precedenti, pare opportuno soffermarsi brevemente anche sull’art. 74, VI comma, DPR 309/90, che disciplina l'associazione costituita per commettere fatti di lieve entità. Come è ben noto le organizzazioni criminali hanno forme e struttura diversa. Soprattutto con riferimento al traffico di sostanze stupefacenti non è insolito che vi sia una struttura che abbia formalmente le caratteristiche tipiche dell’associazione ma che per semplicità di mezzi e di partecipanti non sia parificabili alle grandi cosche mafiose che detengo la maggioranza del controllo del narcotraffico.  Proprio tale motivo inerente l'irragionevolezza di prevedere un unico trattamento punitivo, caratterizzato soprattutto da minimi edittali assai elevati, per realtà tanto diverse, quali le bande di narcotrafficanti internazionali o le piccole squadre di pusher dedite allo spaccio al dettaglio di dosi di strada, ha indotto il Legislatore a prevedere una figura associativa minore che ricalca assai da vicino l'attenuante tipizzata dall'art. 73, V comma, T.U. Stup., rispetto alla quale è individuabile un'identica finalità [27]. Analizzando la norma si evince come i caratteri della c.d. associazione minore si individuano nel fatto che i compartecipi abbiano programmato esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità strutturali e operative incompatibili con fatti di maggiore gravità e che, in concreto, l'attività associativa si sia manifestata con condotte tutte rientranti nella previsione di cui all’art. 73, V comma, DPR 309790. 

La giurisprudenza di legittimità, per rendere più agevole l’individuazione ha elaborato dei criteri inerenti in primo luogo alla quantità delle sostanze stupefacenti. Questa difatti costituisce soltanto un dato sintomatico della non lieve entità del fatto, comunque da valutare in ulteriori circostanze e peculiarità del caso di specie, alla luce del prudente apprezzamento del giudice. Secondariamente il fatto di lieve entità non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma continuativa la continuità temporale dell'attività di spaccio non può di per sé costituire indice sicuro di inapplicabilità della stessa. Infine è demandato all'interprete la verifica se la condotta, sia caratterizzata da elementi che consentano di ritenere minima l'offesa al bene giuridico protetto, connesso al rischio di diffusività delle sostanze stupefacenti, come nel caso del ristretto ambito temporale di operatività, dello scarno numero di clienti ovvero della scarsa professionalità. In definitiva occorre che vi sia sempre una ponderata ed attenta valutazione circa gli elementi posti concretamente in essere dai singoli compartecipi all’associazione, non dovendo operare un meccanismo automatico e meccanico tale per cui la mera partecipazione di più soggetti organizzati in minima parte divenga il modus per ritenere sussistente ed operante una organizzazione criminale volta al traffico d sostanze stupefacenti. La ratio della norma è quella di evitare l’uso (e abuso) di strumenti che sono stati previsti per il contrasto alla criminalità organizzata qualora invece non vi sia una vera e propria associazione, ma solo una minima organizzazione tra individui dediti al commercio illegale e che per mezzi, condizioni spazio-temporali e organizzazioni non possiedono quei marcati e caratterizzanti elementi tipici delle cosche mafiose. 

Concludendo tale paragrafo, per poi passare ad analizzare una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, non si può tralasciare il rapporta tra la particolare tenuità del fatto e il fatto di lieve entità. Tale rapporto è stato chiarito con una pronuncia quanto mai esplicativa della Suprema Corte [28]. In tale sentenza la Corte chiarisce il discrimen, e quindi l’ambito applicativo, tra la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. e la fattispecie di lieve entità contemplata dall’art. 73, V comma, T.U. Stup..  Difatti se ai fini del riconoscimento della particolare tenuità del fatto il giudice deve considerare le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile, l’entità del danno o del pericolo e il carattere non abitualità o meno della condotta, per quanto attiene alla concessione della lieve entità, la valutazione dovrà spostarsi su altri elementi, quali i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione nonché la quantità e la qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa.  Da ultimo, gli ermellini hanno stabilito che “il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della sua valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio di ne bis in idem”.  Conclusivamente il dato quantitativo della sostanza stupefacente - già considerato ai fini della qualificazione del reato ai sensi dell’art. dall’art. 73, V comma, DPR 309790 - ben può essere valutato anche ai fini dell’applicazione dell’art. 131 bis c.p.

5. Una questione pratica in tema di stupefacenti e fatto di lieve entità.

Con una recentissima pronuncia la Corte di Cassazione [29] è tornata ad affrontare il tema della detenzione di sostanze stupefacenti eterogene e la possibilità di applicazione del fatto di lieve entità. La vicenda trae origine dal ricorso presentato dal N.A. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma che, ritenendolo colpevole del reato previsto e punito dall’art. 73 DPR 309/90, aveva confermato la pena inflitta dal giudice di prime cure.   

In particolare, ad esito di perquisizione, nell’appartamento dell’imputato erano stati ritrovati grammi 50 di sostanza stupefacente del tipo cocaina (droga pesante) suddivisa in 10 involucri, grammi 10 di hashish e grammi 3 di marijuana (droga leggera).  La difesa si doleva nel primo motivo della violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 533, comma 1, c.p.p., 546 comma I, lett. e) , c.p.p. e art. 75 DPR 309/90 e nel secondo della violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 533, comma I, c.p.p., 546 comma I, lett. e) c.p.p. e art. 75 T.U. Stup..

Nella motivazione della sentenza la Corte pone in essere delle considerazioni diverse in ragione della eterogeneità delle sostanze rinvenute. Se infatti viene escluso che la sostanza di tipo cocaina, già suddivisa in dosi in singole dosi e con un grado di purezza molto elevato, possa essere destinata al mero uso personale in ragione anche della quantità delle dosi trovate. Parimenti i giudici escludono che per tale sostanza possa trovare applicazione la circostanza del fatto lieve in ragione del dato quantitativo e qualitativo della sostanza, della presenza di strumenti volti alla suddivisione in dosi (bilancino) nonché alle modalità di detenzione della sostanza.  Se queste considerazioni sono valide per la droga pensante non trovano applicazione nei confronti di quella leggera. Sul punto la Cassazione infatti ritiene che la motivazione della Corte d’Appello che esclude l’uso personale e quindi il fatto di lieve entità possa essere corretto per la cocaina ma errato per quanto attiene la marijuana. Tale sostanza, infatti, era presente nell’abitazione in quantità notevolmente inferiore rispetto alle dosi di cocaina e infine non era confezionata.  Richiamando i principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2018 la Corte ha affermato che “non è in astratto da escludersi l'ipotesi che tale valutazione possa portare in alcuni casi a scindere la qualificazione giuridica del fatto, inducendo il Giudice a riconoscere che una delle violazioni registrate debba essere ricondotta nell'ambito dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90”..Conseguentemente la sentenza impugnata è stata annullata limitatamente all'imputazione di cui all'art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/90 ed al trattamento sanzionatorio adottato relativamente a tale ipotesi, con rinvio alla Corte di appello di Roma, altra sezione, per nuovo esame sul punto. Spetterà ora alla Corte d’Appello capitolina pronunciarsi sul punto alla luce dei criteri dettati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di sostanze stupefacenti e fatto di lieve entità.

 NOTE AL TESTO.

#1M. TORRIELLO, Produzione e traffico di sostanze stupefacenti, Giuffrè, Milano, 2015

#2S. GRILLO, Stupefacenti, illeciti, indagini, responsabilità, sanzioni, Ipsoa, Torino, 2012.

#3Cort. Cost., 21.02.14, n. 32.

#4M. TORIELLO, Droga (traffico di), in Il penalista, 26.02.16.

#5Cass.pen., sez. IV, 04.07.14, n. 34768.

#6M. TORIELLO, Op.cit.

#7Cort. Cost., 23.01.19, n. 40.

#8C. BRAY, Stupefacenti: la corte costituzionale dichiara sproporzionata la pena minima di otto anni di reclusione per i fatti di non lieve entità aventi a oggetto le droghe pesanti, in DPC, 18.03.19; R. BARTOLI, La corte costituzionale al bivio tra "rime obbligate" e discrezionalità? prospettabile una terza via, in DPC, 18.02.19.

#9G. BARBATO, Associazione finalizzata allo spaccio: elementi costitutivi, evoluzioni giurisprudenziali e problematiche in ordine alle fattispecie di cui all’articolo 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, nr. 309, in Filodiritto, 19.07.16.

#10Cass.pen., sez. I, 27.11.19, n. 2.

#11E.BIRRITERI, Il concorso tra associazione a delinquere di stampo mafioso e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti: alla ricerca di una razionale repressione del fenomeno, in DPC.

#12Cass.pen. sez. VI, 14.05.19, n. 31908.

 #13Cass. pen., SS.UU., 23 .02.17, n. 20664

#14G. TURRONE, Il delitto di associazione mafiosa, Giuffrè, Milano, 2016; F. LOMBARDI, Rapporti con altre figure di reato, in, Le associazioni di tipo mafioso, B. ROMANO (a cura di), Milanofiori Assago, 2015; G. BORRELLI, Sub art. 416-bis c.p., in, Codice penale: rassegna di giurisprudenza e dottrina, G. LATTANZI, E. LUPO (a cura di), Milano, 2010.

#15Cass. pen., sez. II, 22.5.12, n. 36692; Cass. pen., sez. VI, 23.10.09, n. 4651.

#16S.RIONDATO, G. FORNASARI (a cura di), Reati contro l ’ordine pubblico, Giappichelli, Torino, 2017

#17F.MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, Cedam, Padova, 2017.

#18Cass.pen., sez. III, 05.02.19, 18015.

#19Cass.pen., sez. VI, 15.10.13, n. 2295.

#20A.NOCERA, Fatto di lieve entità e detenzione di sostanze stupefacenti di natura diversa, in Il penalista, 22.02.18.

#21Cass.pen., sez. VI, 19.09.17,n. 46495.

#22Cass. pen., sez. IV , 13.07.17, n. 49153.

#23A.NOCERA, Op.cit.

#24Ex multis Cass.pen., sez. IV, 15.12.16, n. 6624.

#25Cass.pen., SS.UU., 27.09.18, n. 51063.

#26P.BERNARDONI, Stupefacenti di qualità diversa e lieve entità: un passo avanti delle sezioni unite nel chiarimento dei rapporti tra le varie ipotesi di narcotraffico, in DPC, 21.11.18.

#27L.DELLA RAGIONE, Associazione per delinquere di “lieve entità” di stupefacenti e confisca estesa, in Il penalista, 21.12.16.

#28Cass.pen. sez. III, 28.05.19, n. 36477.

#29Cass.pen., sez.IV, 07.01.20, n. 114.

BIBLIOGRAFIA

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GIURISPRUDENZA

Cass. pen., sez. II, 22.5.12, n. 36692.

Cass. pen., sez. VI, 23.10.09, n. 4651.

Cass. pen., SS.UU., 23 .02.17, n. 20664

Cass.pen. sez. III, 28.05.19, n. 36477.

Cass.pen. sez. VI, 14.05.19, n. 31908.

Cass.pen., sez. I, 27.11.19, n. 2.

Cass.pen., sez. III, 05.02.19, 18015.

Cass.pen., sez. IV , 13.07.17, n. 49153.

Cass.pen., sez. IV, 04.07.14, n. 34768.

Cass.pen., sez. VI, 15.10.13, n. 2295.

Cass.pen., sez. VI, 19.09.17,n. 46495.

Cass.pen., sez.IV, 07.01.20, n. 114.

Cass.pen., SS.UU., 27.09.18, n. 51063.

Cass.pen., sez. IV, 15.12.16, n. 6624.

Cort. Cost., 21.02.14, n. 32.

Cort. Cost., 23.01.19, n. 40.