Pubbl. Ven, 10 Gen 2020
Esame avvocato 2019: Appalto e recesso prima dell´inizio dei lavori
Modifica paginaFocus Esame Avvocato: la soluzione proposta per il secondo parere di diritto civile.
Traccia: L’imprenditore edile Caio, venuto a conoscenza che l’amico Sempronio ha intenzione di ristrutturare l’appartamento in cui abita, si dichiara disponibile a eseguire personalmente i lavori all’uopo necessari e predispone un preventivo per il complessivo importo di 45000 euro. Sempronio, ricevuto brevi manu il preventivo, vi appone a penna alcune modifiche, indicando il corrispettivo di 35000 euro e precisando che i lavori avrebbero dovuto iniziare entro il 15 novembre 2019 e avrebbero dovuto concludersi entro il 31 gennaio 2020. Lo stesso Sempronio riconsegna poi a Caio il documento così modificato. Dopo alcuni giorni, in data 10 ottobre 2019, Caio invia a Sempronio una email, regolarmente ricevuta dal destinatario, con la quale dichiara di accettare le nuove condizioni e si rende disponibile ad iniziare i lavori già dal 18 ottobre. Con successiva email del 15 ottobre 2019, Sempronio comunica, però, di voler annullare la propria commissione e invita Caio a non dare avvio alle opere. Qualche tempo dopo, però, Sempronio riceve una lettera da parte di Caio, nella quale questi, lamentando l’inadempimento agli obblighi contrattuali, chiede la corresponsione della somma di 35000 euro a titolo di ristoro del danno conseguente alla mancata esecuzione del contratto. Sempronio si rivolge dunque ad un legale per conoscere quale posizione assumere nei confronti dell’altrui pretesa creditoria. Il candidato, assunte le vesti del legale di Sempronio, rediga un parere motivato, illustrando le questioni sottese al caso in esame e indicando la linea difensiva più utile a tutelare la posizione del proprio assistito.
Al fine di fornire un adeguato parere a Sempronio, in merito alla pretesa creditoria di Caio, occorre, in primo luogo, richiamare la disciplina in tema di contratto d'appalto.
In proposito, l'art 1655 c.c. prevede che “L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”.
Si tratta, dunque, di un contratto di risultato, in quanto l’oggetto del negozio in esame è rappresentato dal compimento dell'opera o di un servizio pattuito, nonchè di un contratto a titolo oneroso. Ai fini della stipulazione, inoltre, non è prevista una determinata forma.
A differenza del contratto d'opera, di cui all'art 2222 c.c., il contratto d'appalto viene eseguito con una diversa organizzazione del lavoro. Nel primo caso, infatti, il soggetto si obbliga ad eseguire l'opera o il servizio, verso corrispettivo, con lavoro prevalentemente proprio. Nel contratto d'appalto, invece, l'esecuzione dell'opera commissoria avviene mediante un'organizzazione di media o grande impresa di cui l'obbligato è preposto.
Nel caso concreto, Sempronio e Caio, imprenditore edile, si accordavano in merito alla ristrutturazione dell'appartamento di quest'ultimo. La qualità di imprenditore di Caio, dunque, è sufficiente a ritenere che il contratto intercorso possa essere qualificato come appalto, sebbene il medesimo si fosse obbligato ad eseguire le opere personalmente.
Tanto premesso, occorre verificare se l'accordo posto in essere possa però considerarsi valido ed effettivamente concluso.
A seguito della proposta iniziale di Caio, infatti, Sempronio ne modificava i contenuti; in particolar modo il prezzo e le modalità di esecuzione.
Si rende opportuno, pertanto, richiamare la disciplina di cui all'art. 1326 c.c. La norma, che disciplina le modalità di conclusione del contratto, prevede che "Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte". L'ultimo comma della disposizione, inoltre, aggiunge che "Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta".
Nel caso concreto, secondo un'interpretazione letterale della norma, è evidente che Semproprio abbia posto in essere una nuova proposta contrattuale. Quest'ultima, successivamente, veniva accettata da Caio, il quale inviava mezzo mail la propria disponibilità ad iniziare i lavori. Irrilevante è, infatti, che l'accettazione sia venuta tramite e-mail, essendo il contratto d'appalto un contratto a forma libera.
Tuttavia, poichè, Sempronio decideva di recedere pochi giorni dopo dal contratto, sempre dandone avviso via mail, occorre accertare se quest'ultimo possa legittimamente resistere alle richieste risarcitorie di Caio.
In proposito, è utile richiamare il disposto di cui l'art. 1671 c.c. La norma, che disciplina il recesso unilaterale dal contratto di appalto, prevede che "Il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purchè mantenga indenne l'appaltatore dalle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno".
Si tratta, dunque, di un'ipotesi legale di recesso unilaterale, diversa dalla disciplina generale prevista dall'art. 1373 c.c, che, invece, configura un recesso convenzionale.
Nel caso dell'art. 1671 c.c, il committente può dunque decidere di recedere legittimamente in qualsiasi momento, senza necessità di indicare particolari ragioni e motivi. Ciò trova anche conferma in una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, in cui è chiarito che, ai fini del recesso, "non esige che ricorra una giusta causa, nè la necessità di indagini sull'importanza e gravità dell'inadempimento" (v. Cass. n. 16404/2017).
Ne consegue che, nel caso di specie, il recesso di Sempronio dal contratto possa qualificarsi senz'altro come legittimo.
Occorre verificare, a questo punto, la misura dell'eventuale indennizzo dovuto a Caio, secondo il richiamato disposto normativo.
In primo luogo, va rilevato che appare del tutta infondata la richiesta di Caio in merito al risarcimento per le spese sostenute e le opere eseguite, posto che i lavori non venivano neppure iniziati.
In considerazione del mancato guadagno, inoltre, va precisato che quest'ultimo non può essere considerato un danno risarcibile ex se, bensì occorre che venga provato dal richiedente. Sul punto la giurisprudenza è infatti conforme, precisando che "In ipotesi di recesso unilaterale del committente dal contratto di appalto, ex. art. 1671 c.c, grava sull'appaltatore, che chieda di essere indennizzato del mancato guadagno, l'onere di dimostrare quale sarebbe stato l'utile netto da lui conseguibile con l'esecuzione delle opere appaltate, costituito dalla differenza tra il pattuito prezzo globale dell'appalto e le spese che si sarebbero rese necessarie per la realizzazione delle opere" (v. Cass. 28402/2017).
Ne discende che, nel caso di cui ci si occupa, Caio potrebbe eventualmente ottenere un indennizzo per il mancato guadagno, qualora riuscisse a provarlo. Egli non può, tuttavia, richiedere alcun ristoro rispetto a spese e lavori, posto che, come detto, questi non venivano neppure iniziati.
In conclusione, alla luce delle considerazioni esposte, Sempronio non dovrà alcun risarcimento a Caio, bensì solo un eventuale indennizzo qualora quest'ultimo riuscisse a provare concretamente di aver subito un danno da mancato guadagno.