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Pubbl. Sab, 28 Dic 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

Il contatto sociale: cui prodest?

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Maria Avossa
Università degli Studi di Salerno


Esegesi diacronica della categoria dogmatica tra contratto e torto. Canoni ermeneutici ed applicativi del contatto sociale: ombre e luci nella pronuncia della Corte di Cassazione, sez. III, 26 luglio 2019, n. 20285 in tema di applicazione del contatto sociale alle autolesioni dell´alunno.


Sommario 1. Introduzione e ambito di indagine. - 2. Una premessa: la classificazione della responsabilità civile contrattuale. - 2.1. Inquadramento della responsabilità civile extracontrattuale. - 2.2. Linee differenziali ed essenziali delle due forme classiche di responsabilità civile: il regime dei danni risarcibili, la distribuzione dell'onere della prova, la prescrizione. - 2.3. L’innesto delle ipotesi di responsabilità oggettiva nel contesto della responsabilità aquiliana.Cenni. - 3. La prospettiva originaria ed evoluzione dottrinaria del contatto sociale: profili introduttivi della responsabilità tra contratto e torto. - 3.1. La culpa in contrahendo: la natura giuridica ed l’elaborazione concettuale nella dottrina italiana. -  3.2. Gli obblighi di protezione. Evoluzione della teoria nell’ordinamento italiano e natura giuridica. - 3.3. La responsabilità per violazione dell’affidamento ed il contatto sociale alla luce del sistema giuridico e delle fonti del diritto: l’obbligazione senza prestazione. - 3.4. Il contatto sociale Germania e in Italia: parallelismi e divergenze. -  4. Osservazioni sulla figura della responsabilità da contatto sociale: i criteri applicativi. - 5. L’applicazione giurisprudenziale del contatto: la responsabilità dell’insegnante per le autolesioni dell’alunno. - 5.1. Le impostazioni maggioritaria e minoritaria ed i contrasti giurisprudenziali. - 5.2. La risoluzione del contrasto: La sentenza della Corte di Cassazione Sezioni Unite del 17.06.2002 n. 9346; 5.3.(Segue) La scelta della Cassazione in favore dell’allievo danneggiato e gli estremi di applicazione del contatto sociale. - 6. La pronuncia Corte di Cassazione civile, sez. III, del 26 luglio 2019, n. 20285. - 7.Osservazioni sull’applicazione del contatto sociale alle autolesioni dell’alunno. - 8. Conclusioni. Note al testo. Bibliografia.

Abstract (Ita): L’articolo analizza la categoria dogmatica del contatto sociale mediante l’esegesi diacronica che prende le mosse dall’inquadramento delle due forme classiche di responsabilità civile sino ad arrivare all’inquadramento del contatto sociale qualificato come inteso dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Il contributo approfondisce la funzione e le concrete ragioni giuridiche del contatto sociale sviluppato da circa un ventennio dalla Corte di legittimità. L’analisi è prodromica all’esame della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, sez. III, 26 luglio 2019, n. 20285 in tema di responsabilità nei confronti dell’alunno per lesioni auto inferte, posto al vaglio della Corte di legittimità. Lo studio è finalizzato ad aggiornare lo stato dell’arte della posizione assunta in argomento dalla giurisprudenza. Nelle conclusioni del presente contributo si valuteranno se e quali vantaggi apporti nella prassi applicativa la figura dogmatica in esame.

Abstract (Eng): The article analyzes the dogmatic category of social contact through diachronic exegesis that takes its starting point from the framing of the two classical forms of civil responsibility up to the classification of the qualified social contact as understood by doctrine and jurisprudence. The contribution deepens the function and the concrete legal reasons of the social contact developed by the Court of legitimacy for about twenty years. The analysis is prodromal in examining the ruling of the Supreme Court of Cassation, section III, 26 July 2019, n. 20285 in the matter of responsibility towards the student for self-inflicted injuries, which is being examined by the Court of legitimacy. The study is aimed at updating the state of the art of the position taken on by the jurisprudence. The conclusions of the present contribution will assess whether and what advantages the dogmatic figure under examination brings in the practical application.

1. Introduzione e ambito di indagine.

Il ruolo assunto dalla giurisprudenza di legittimità dell'ultimo ventennio ha abituato il giurista a coniugare l'applicazione delle norme con un concetto di "liquidità", inteso come attitudine ad una sempre maggiore fluidità del diritto nell’uso dei dettami normativi. Ciò è il segno del bisogno crescente di adattare l’impianto giuridico, spesso non adeguato, alle esigenze espresse dalla collettività[1]

In ambiente di diritto processuale il concetto di liquidità è noto con il tema della «ragione più liquida[2]» ed opera in funzione solutoria della complessità applicativa di norme procedurali[3]. E’ noto, in tal senso, l’arresto delle Sezioni Unite del 2014[4]. Ben diversa è l'accezione del concetto di «liquidità» assunta nell'ambito di diritto civile sostanziale. Qui, funge da supporto a fattispecie sprovviste di una tutela adeguata.

In questo contesto, uno dei temi "liquidi" è la responsabilità da "contatto sociale”. Invero, buona parte dei beni e interessi implicati dalla tutela apprestata dalla figura in argomento, si fondano sull'applicazione del combinato disposto tra norme codicistiche e principi espressi negli articoli della Costituzione che ne implementa la portata[5] [6] attraverso il riconoscimento di diritti fondamentali della persona umana.

La categoria dogmatica in parola soffre, però, la mancanza di una disciplina certa. L'approdo normativo è rappresentato da principi e non da regole, da clausole elastiche e da norme aperte, sia pur corredato di un referente privilegiato, qual è la Carta Costituzionale.

L'evidente fluidità strutturale è, però, poco rassicurante. Ciò nonostante, resta il fascino indubbio che il contatto sociale esercita. Esso è dovuto al dato specifico di “non essere diretto” a fornire tutela là dove questa sia assente. Piuttosto, la caratteristica del contatto sociale è quella di apprestare una tutela “maggiore” rispetto a quella già fornita dall'ordinamento. Più precisamente, secondo la tesi che ne sostiene le ragioni, il contatto sociale accoglierebbe sotto la sua egida una serie di ipotesi di danno che si collocano a metà strada tra «il contratto e il torto[7]», cioè in quella che è stata definita come la zona grigia tra la responsabilità contrattuale e la responsabilità extracontrattuale.

Il confine tra i due tipi di responsabilità si presenta assolutamente mobile e permeabile alla luce della progressiva elaborazione giurisprudenziale. Di fatto, una serie cospicua di ipotesi tradizionalmente ricondotte all’alveo della responsabilità ex art. 2043 c.c. è attratta nella sfera della responsabilità contrattuale, più precisamente definita come responsabilità da inadempimento di obbligazioni ex art. 1218 c.c.. La trasmigrazione verso la responsabilità contrattuale è eseguita, proprio, attraverso il contatto sociale.

Alla luce di tanto, il giurista attento a tali dinamiche giurisprudenziali si imbatte, almeno, in un interrogativo riassumibile nella locuzione latina: “cui prodest ?”

L’elemento retorico rappresenta al meglio l’esigenza di comprendere chi sia l'effettivo beneficiario e quali siano gli vantaggi di una tale operazione ermeneutica. Nel presente contributo si mira ad analizzare la categoria dogmatica “tra contratto e torto” mediante l’esegesi diacronica del contatto sociale partendo dall’inquadramento delle due forme classiche di responsabilità civile. Di seguito, si procederà all’esame del contatto sociale qualificato nella sua evoluzione storica con riferimenti, anche, ad alcuni sistemi giuridici europei dove tale figura risulta codificata. Il fine è di consentire un più ordinato approccio alla recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, sez. III, 26 luglio 2019, n. 20285 in tema di responsabilità nei confronti dell’alunno per lesioni auto inferte, posto al vaglio della Corte di legittimità. Le motivazioni del provvedimento consentono di aggiornare lo stato dell’arte della posizione assunta in argomento dalla giurisprudenza. Prodromico è l’approfondimento sulla funzione e sulle concrete ragioni giuridiche del contatto sociale sviluppato da circa un ventennio dalla Corte di legittimità. Nelle conclusioni del presente contributo si valuteranno se e quali vantaggi apporti nella prassi applicativa la figura dogmatica in esame.

2. Una premessa: la classificazione della responsabilità civile contrattuale.

Prima di poter affrontare l’esame del contatto sociale è necessario inquadrare la fisionomia delle due forme tipiche di responsabilità codicisticamente previste. Le forme classiche di responsabilità civile -contrattuale ed extracontrattuale- poggiano su un “dato oggettivo” che rende le due figure, rispettivamente, l’una antitetica all’altra. Questo dato è la presenza o l'assenza di un rapporto obbligatorio che preesista al danno risarcibile.

La distinzione tra esse è rimasta sempre viva e presente nella dottrina maggioritaria[8].

Partiamo dalla responsabilità contrattuale. L’articolo 1218 c.c. dispone che: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Il carattere preminente è dato una obbligazione esistente. Il suo inadempimento determina il danno risarcibile. Con questa norma, il legislatore ha inteso superare le incongruenze della disciplina previgente del codice del 1865 dove veniva esaltata la rilevanza della colpevolezza del debitore per poter affermare la responsabilità nei confronti del creditore. L’ art. 1225 del codice del 1865 prevedeva che “Il debitore sarà condannato al risarcimento dei danni, tanto per l’inadempimento dell’obbligazione quanto pel ritardo dell’esecuzione, ove non provi che l’inadempimento o il ritardo sia derivato da causa estranea a lui non imputabile, ancorché non sia per sua parte intervenuta mala fede”. Il successivo articolo 1226 imponeva limiti severi dettati per la liberazione del debitore. La norma recitava: “Il debitore non è tenuto a verun risarcimento di danni, quando in conseguenza di una forza maggiore o di un caso fortuito fu impedito di dare o di fare ciò a cui si era obbligato, od ha fatto ciò che gli era vietato”.

Nella prospettiva dei civilisti postunitari il debitore rispondeva per inadempimento fino al limite dell’impossibilità della prestazione. Ciò vale adire che era responsabile fino a che egli non provasse che la prestazione fosse divenuta impossibile[9] per una causa estranea non imputabile al debitore medesimo (art. 1225 cod. civ. del 1865) oppure in conseguenza del sopravvenire di una “forza maggiore” o di un “caso fortuito”[10]. La successiva codificazione del 1942, su ispirazione dei contributi forniti da importante dottrina[11], escluse la rilevanza della colpa del debitore ai fini della produzione dell’inadempimento risarcibile.

Nel testo attuale, la responsabilità è prevista dall’art. 1218 c.c. e consiste nell’obbligo del debitore di risarcire i danni causati al creditore per la non esatta esecuzione della prestazione generata da un rapporto obbligatorio esistente tra di loro. Ciò ha dato vita a due effetti. Il primo è che, nel codice vigente, l’obbligo risarcitorio riveste un carattere “relativo”. Esso sussiste solo tra i soggetti che facciano parte del rapporto ed ha fonte in un contratto o qualsiasi atto o fatto che non costituisca un fatto illecito. Il secondo effetto è che il concetto di responsabilità contrattuale resta ricollegato alla “obbligazione risarcitoria” posta a carico del debitore inadempiente per il danno causato al creditore. L'obbligazione risarcitoria sostituisce l'obbligazione (prestazione) preesistente tra le parti e, in tanto sorge, in quanto ci sia inadempimento. Il risultato è quello di sostituire il dovere “primario” di adempimento (inadempiuto) con un obbligo risarcitorio “autonomo e di natura secondaria” avente la funzione di riparare il patrimonio del creditore pregiudicato dal mancato adempimento. Del resto, la funzione della responsabilità contrattuale è quella di creare per il creditore-danneggiato una situazione (patrimoniale) equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se il debitore, in luogo di non adempiere, avesse adempiuto. Pertanto, nel risarcimento contrattuale è centrale la violazione di un dovere[12] (l’adempimento della prestazione) che non fa parte della prestazione principale, ma incombe alle parti in un contesto più complesso del rapporto obbligatorio.

2.1. Inquadramento della responsabilità civile extracontrattuale.

Si è detto che il risarcimento contrattuale costituisce un obbligo autonomo di “natura secondaria” con funzione di ripristino del patrimonio del creditore menomato dall’inadempimento del debitore.

Ciò non è rinvenibile nella responsabilità aquiliana ex art 2043 c.c.. Anche in questo ambito, i tratti della responsabilità e gli elementi essenziali sono meglio chiariti attraverso un breve excursus storico della fattispecie.

Nella precedente versione codicistica del 1865, la responsabilità extracontrattuale era fondata sul concetto di fatto ingiusto, ossia, su una la condotta illecita da parte del suo autore. Il principio trovava codificazione nell’art. 1151 del codice civile italiano del 1865 alla sezione III, “Dei delitti e dei quasi-delitti” e recitava: “qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri obbliga quello per colpa del quale è avvenuto a risarcire il danno[13]. L’arrecare un danno era inteso come una violazione di un diritto protetto erga omnes. La stessa collocazione nella sezione terza del codice del 1865 è fattore eloquente dell’ideologia dell’epoca per la quale l’illecito extracontrattuale si basava sulla nozione di fatto illecito imputabile. Nell’art. 1151 c.c. l’azione o l’omissione compiuta scientemente e con l’intenzione di nuocere ricollegava il dolo al concetto di delitto mentre, una condotta (fatto o omissione) colposa, frutto di un’imprudenza non scusabile (colpa), veniva ricondotta al quasi- delitto[14]. Fa notare autorevole dottrina[15] che, il concetto di quasi- delitto accolto dal codice del 1865 altro non era se non l’illecito penale trasposto nel campo civile. Alla stessa maniera fa rilevare come il codice del 1942 abbia abbandonato tale terminologia nell’articolo 2043 c.c.[16]  poiché la norma è da intendersi come una clausola generale dove al posto del “fatto” compare il concetto di “danno ingiusto” quale perno della responsabilità aquiliana. La meritevolezza del risarcimento risiederebbe, in tal modo, nel principio di solidarietà sociale indicato dall’articolo 2 della Costituzione. 

La Carta costituzione del 1948 ha, di fatto, fornito una rilettura implementata dell’art. 2043 c.c.. Il dettato costituzionale, sovraordinato a quello del codice, diviene parte integrante della norma e la funzionalizza ai valori fondamentali[17].  Volendo seguire il metodo interpretativo di Pietro Rescigno, la norma del 2043 c.c. -così descritta- consente all’opera dei giudici di valutare e selezionare gli interessi concreti meritevoli della tutela da “danno ingiusto”[18] improntandosi al criterio dell’atipicità della lesione del diritto soggettivo violato.

L’attuale sistema della responsabilità extracontrattuale, in base alla norma capostipite indicata all’art. 2043 c.c.., individua una fattispecie costituita dalla esistenza di un fatto (imputabile dal punto di vista soggettivo, a titolo di dolo o colpa) produttivo di un danno ingiusto (elemento strutturale) e, infine, dal nesso di causalità tra fatto e danno.  Ontologicamente, l’articolo 2043 c.c. appare come «un’obbligazione che si costituisce ex novo»[19].  Nell’area della responsabilità aquiliana non è, infatti, prevista, ab origine, alcuna “obbligazione”, ossia, non c'è un preesistente vincolo giuridico tra i soggetti della fattispecie di danno. L'obbligo specifico al risarcimento ha il carattere di “obbligazione primaria” che sorge per violazione da parte di un soggetto dell’“obbligo generale” del neminem laedere, inteso come principio in virtù del quale “chiunque” è tenuto al dovere di non danneggiare la sfera giuridica di un altro soggetto. Inoltre, la struttura complessa dell’illecito aquiliano si contraddistingue per la duplice configurazione del danno: danno-evento e danno-conseguenza. Il primo è indicato dallo stesso articolo 2043 c.c. connotato dal carattere dell’ingiustizia. Questo può qualificarsi come l’offesa (o meglio, come evento offensivo) di un interesse giuridicamente rilevante cui il sistema accorda tutela risarcitoria in ragione del criterio della meritevolezza. Il secondo, ossia il danno-conseguenza, è identificabile nell’insieme delle conseguenze -patrimoniali o non- derivanti dall’evento lesivo ai danni del titolare dell’interesse oggetto della lesione. Da ciò ne deriva che, la funzione della responsabilità extracontrattuale sia quella della “restitutio dello status de quo ante” del soggetto danneggiato individualmente o economicamente.  

Comparando le due figure di responsabilità, in base alla natura dell’obbligo, se ne ricava che, la responsabilità contrattuale viene ad esistenza nel caso di violazione di uno “specifico dovere” generato da un precedente rapporto obbligatorio tra le parti. Nel caso della responsabilità ex art. 2043 c.c., invece, l’obbligo risarcitorio è la diretta conseguenza della lesione di un diritto soggettivo, poiché è assente ogni legame (o contatto) tra soggetti (danneggiato e danneggiante). In sostanza, l'illecito aquiliano è definibile come la “sanzione di un danno” che consegua da ogni lesione di situazioni soggettive in assenza di un precedente legame o contatto tra danneggiante e danneggiato.

2.2 Linee differenziali ed essenziali delle due forme classiche di responsabilità civile: il regime dei danni risarcibili, la distribuzione dell'onere della prova, la prescrizione.

Qualificare una fattispecie di danno, come contrattuale ex art 1218 c.c. o come extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c., comporta notevoli differenze in termini di disciplina applicabile: varia il regime dei danni risarcibili, la distribuzione dell'onere della prova, il termine di prescrizione.  

Si parte dall’analisi dei tre aspetti in relazione alla responsabilità contrattuale. L'articolo 1218 c.c., in tema di inadempimento contrattuale, comporta la risarcibilità solo del danno che si presenti come conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento imputabile. Il danno causato al creditore comprende sia la perdita subita sia il mancato guadagno (art. 1223 c.c.). Nel caso in cui l’inadempimento o il ritardo non sia stato causato dal dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione (art. 1225 c.c.).  La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che la prevedibilità del danno risarcibile va valutata in relazione alla probabilità del suo verificarsi secondo apprezzamento della normale diligenza del soggetto responsabile che deve tener conto, anche, delle circostanze di fatto concretamente conosciute[20]. Inoltre “la prevedibilità del danno richiesta dall’art. 1225 c.c., riguarda il danno considerato non tanto nella sua intrinseca realtà, quanto nel suo concreto ammontare. Quindi, al fine di integrare l’esistenza di tale requisito non è sufficiente il riferimento ad una astratta prevedibilità del danno stesso, dovendo ritenersi, al contrario, che il concreto ammontare del risarcimento non possa eccedere l’entità prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione inadempiuta[21].  

Con riferimento all’onus probandi, la celebre sentenza 30 ottobre 2001, n. 13533 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di legittimità[22], detta un'inversione di rotta a favore della responsabilità contrattuale, comportando l’abbandono del prototipo della responsabilità basata su colpa. Con la sentenza n.13533 del 2001, le Sezioni Unite della Corte di cassazione optarono per un regime probatorio unitario sia per l'adempimento del contratto sia per la risoluzione ed il risarcimento del danno. Affermarono Il criterio del riparto dell'onere probatorio in materia di responsabilità contrattuale, in ragione del quale il creditore che agisce in giudizio, deve fornire la prova del titolo costitutivo del rapporto (fonte negoziale o legale del suo diritto), della scadenza di un termine, ove questo sia esistente, potendosi, infine, limitare ad allegare l'inadempimento della prestazione della controparte. In capo al debitore incombe l'onere della prova di aver adempiuto, ovvero, che l'inadempimento sia stato determinato da causa a lui non imputabile. La regola si inverte se si ha un’obbligazione negativa. Non è possibile, infatti far gravare sul debitore l'onere di provare di non aver tenuto nessuna delle condotte positive che avrebbero violato l'obbligo di non fare. In tali ipotesi il creditore ha il dovere di dimostrare che il debitore ha tenuto la condotta lesiva.

Un altro aspetto della responsabilità ex art. 1218 c.c. riguarda la prescrizione del diritto al risarcimento del danno. L’art. 2946 c.c. trova applicazione in tema di responsabilità contrattuale e prevede la prescrizione con il decorso di dieci anni (prescrizione ordinaria).

Si passa, adesso, al regime della responsabilità extracontrattuale. Gli elementi esaminati sono i danni risarcibili, la distribuzione dell'onere della prova, la prescrizione. Il danno da responsabilità aquiliana assume un carattere essenziale al fine di generare la fattispecie in applicazione dell'art. 2043 c.c.. La norma titolata “Risarcimento per fatto illecito” dispone che: “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Qui, l’individuazione della lesione di una situazione soggettiva diventa necessaria, poiché la fattispecie di danno è individuata mediante i requisiti dell'ingiustizia del danno stesso e, di seguito, sulla colpa del fatto. L'art. 2056 c.c., titolato “Valutazione dei danni” fa espresso riferimento alla valutazione dei danni cagionati da fatto illecito. Il dispositivo della norma prevede che “Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 . Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso (1226)”. La norma non menziona l'art. 1225 del c.c., pertanto, l'illecito aquiliano ammette la risarcibilità tanto del pregiudizio prevedibile che di quello non prevedibile. Per ciò che concerne l’onere della prova, opera la regola generale per cui chi fa valere un diritto deve provarne tutti i fatti costitutivi della sua pretesa (art. 2697 c. c.). E’ a carico del danneggiato, così, l’onere di dimostrare la ricorrenza del fatto illecito in tutte le sue componenti, elemento oggettivo, la colpa dell’autore, nesso di causalità e, quindi, danno patito dal danneggiato medesimo (art. 2043 c.c.).

Rispetto alla responsabilità contrattuale è differente il regime della prescrizione. Il termine per azionare il diritto risarcitorio fa capo all’art. 2947 c.c.  il quale prevede la prescrizione del diritto al risarcimento del danno nel termine di cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.

2.3. L’innesto delle ipotesi di responsabilità oggettiva nel contesto della responsabilità aquiliana. Cenni.

Definiti gli estremi per caratteri essenziali delle due forme principali di responsabilità è possibile inquadrare (sia pur brevemente) le ipotesi specifiche della responsabilità aquiliana per potersi avvicinare nella maniera idonea ad una analisi del decisus della pronuncia dei Giudici di Piazza Cavour, sez. III, 26 luglio 2019, n. 20285 passando attraverso la figura del contatto sociale.

L’originaria funzione della responsabilità civile ha assunto nel corso del tempo un visus che ha degradato il carattere sanzionatorio del risarcimento per favorire una impostazione essenzialmente riparatoria del risarcimento del danno. Ciò è stato dovuto ad una evoluzione della dottrina che ha rimodulato i principi tradizionali spostando l’attenzione degli studiosi dalla posizione del danneggiante alla posizione del danneggiato.

Secondo lo schema tradizionale dell’art. 2043 c.c. il danno deve ricadere su colui che lo ha provocato con dolo o colpa. Il principio di colpevolezza, impostato secondo il modello della responsabilità “soggettiva” ha, però, subito delle deroghe. Alla categoria della responsabilità per colpa sono state aggiunte dal legislatore ipotesi dove la condotta colpevole dell’agente (autore del danno) è divenuta irrilevante ai fini dell’affermazione della sua responsabilità. Nella Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942, al capo 794[23]si legge chiaramente che fonte di responsabilità possano essere sia il comportamento della persona (fatto proprio), sia una determinata relazione con l'autore del fatto o con la cosa (animata o inanimata) da cui il danno è derivato (fatto altrui). Si è già detto che la responsabilità per fatto proprio si fonda sulla colpa dell’agente e sull’imputabilità del fatto al suo autore (art. 2043 del c.c.). La responsabilità per fatto di altre persone si presenta, invece, fondata sulla colpa propria o sulla colpa diretta per fatto altrui (artt. 2047 -2055 c.c.).

3.  La prospettiva originaria ed evoluzione dottrinaria del contatto sociale:  profili introduttivi della responsabilità tra contratto e torto.

A questo punto, definite le forme tipiche di responsabilità civile, è possibile esaminare la figura dogmatica del contatto sociale.

La dottrina[24] ha assunto valore dominante nell’elaborazione della categoria dell’obbligazione da "contatto sociale" creando un humus adatto in cui hanno trovato sedime e dimora le teorizzazioni di un nuovo ambito della responsabilità civile, frutto dello sbiadimento dei contorni netti delle due figure della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale[25]. Il divario palese della distinzione classica si è andato man mano svilendo per due ordini di ragioni. La prima sta nel fatto[26]che l'obbligazione sembrerebbe sempre più orientata verso l'identificazione di macro-aree e settori dilatati in posizione tangente alle due diverse forme di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, in particolar misura, anche, in virtù del sistema sovranazional-europeo[27]. La seconda ragione, invece, risiederebbe nel nuovo punto di prospettiva da cui la dottrina[28] ha iniziato ad osservare l'obbligazione, a decorrere da una determinata epoca in poi. Per tale motivo, la distinzione classica delle due forme istituzionali di responsabilità si ritrova affiancata da figure ibride, generate dal largo spazio che la dottrina prevalente[29] ha dato a teorizzazioni d'oltralpe, trasponendole nella visione del rapporto obbligatorio, la cui struttura evolve, sempre di più, da «elementare» con fulcro nella obbligazione (prestazione) verso un rapporto obbligatorio «a struttura complessa» ed «allargata». La valorizzazione di tale aspetto emerge dal confronto dottrinale in relazione al nesso funzionale[30] esistente in seno al rapporto obbligatorio. 

A ben guardare, è da una serie di obblighi connessi alla prestazione principale, preordinati ad una più efficiente realizzazione del rapporto obbligatorio che, principia il punto di svolta della dottrina italiana verso l'elaborazione di figure quali, gli "obblighi di protezione" e "l'obbligazione senza prestazione" ed è trampolino della teoria del "contatto sociale" che trova la sua forma archetipale nella responsabilità precontrattuale[31].

L'incipit di tale evoluzione ha trovato slancio nella vivace dottrina tedesca del '900, trasfusasi nell'evoluzione di suggestive teorie, mosse dalla esigenza di superare la struttura pandettistica del sistema codicistico germanico[32]. Fu, appunto, ad opera della dottrina tedesca che la concezione di matrice romanistica dell'obbligatio (come rapporto semplice basato sul mero interesse alla prestazione) divenne oggetto di una profonda revisione. Di fatto, tramite la dottrina germanica agli inizi del secolo scorso, si operò una profonda mutazione del visus del rapporto obbligatorio, elaborando la teoria degli obblighi di protezione. Tale teorica ha avuto uno sviluppo pressoché parallelo in Francia, con l'elaborazione delle “obligation de securitè” frutto di una storica sentenza della Corte di Cassazione francese del 1911[33] in tema di responsabilità del vettore per danni ai passeggeri. Del pari, nei sistemi di common law il “contract” si considera comprensivo dei c.d. “Duties of care” in salvaguardia dei beni e dell'integrità della controparte contrattuale[34]. Sviluppo parallelo si è avuto nella teorica italiana, principiando dalla elaborazione del concetto della culpa in contrahendo, sempre di origine tedesca, poi sviluppata nella sua evoluzione simmetrica nei vari paesi europei da parte delle rispettive dottrine.

3.1 La culpa in contrahendo: la natura giuridica ed l’elaborazione concettuale nella dottrina italiana.

La matrice teorica tedesca della culpa in contrahendo [35] si affacciò sul panorama teorico-giuridico, consentendo di compiere il primo passo per ricondurre, entro l'alveo contrattuale, la categoria della responsabilità precontrattuale [36]. La teoria della culpa in contraendo ebbe origine in Germania sulla base di studi condotti in materia di inadempimento contrattuale. L’esigenza di approfondire la tematica nasceva dalla mancanza di una normativa idonea nel codice civile tedesco (ante riforma 2002). La funzione della teoria era tale da rendere prospettabile la responsabilità contrattuale, anche, dove un contratto non ci fosse. Il fulcro utilizzato era la rilevanza dell’obbligo di tutte le parti di tenere un comportamento improntato alla buona fede durante la fase delle trattative pre-stipulatorie.

Nel nostro ordinamento, l’ingresso fu dato da una nota teoria[37], dove si configurò la responsabilità precontrattuale, intesa come contrattuale (e non extracontrattuale), dando origine, così, al costrutto base di altre forme teoriche tra le quali quella del contatto sociale. Operava con l'anticipazione degli effetti negoziali alla fase di formazione del contratto, avvalendosi di norme a struttura aperta di cui agli artt. 1337[38] e 1338 c.c.. Le norme erano, così, ricondotte al sistema dell’art. 1218 c.c., e ... “non a quello dell’art. 2043 c.c., poiché l’illecito aquiliano è da riportare alla violazione di doveri assoluti, che sorgono al di fuori di una relazione specifica fra soggetti determinati”. Gli obblighi reciproci di correttezza hanno origine nella fase delle trattative e della formazione del contratto. Come si legge negli scritti giurista da cui promana, essi sono “in funzione dello specifico interesse di protezione di ciascuna parte nei confronti dell’altra in quanto tale,[...] , attraverso la relazione instaurata dalle trattative, [e così] viene investita di una specifica possibilità (che altrimenti non avrebbe) di ingerenze dannose nella sfera giuridica della controparte. Quando una norma giuridica assoggetta lo svolgimento di una relazione sociale all’imperativo della buona fede, ciò è un indice sicuro che questa relazione sociale si è trasformata, sul piano giuridico, in un rapporto obbligatorio, il cui contenuto si tratta, appunto, di specificare a stregua di una valutazione di buona fede[39]. Il concetto di buona fede, qui, è inteso nel senso oggettivo[40].

Il fautore[41] della dottrina sostenitrice della teoria contrattuale della responsabilità precontrattual ravvisò, così, nelle norme codicistiche dell'artt. 1337 e 1338 c.c., una sostanziale complementarietà tra regola della correttezza e principio di solidarietà. La correttezza, così, conterrebbe il significato e la portata del principio “alterum non laedere” letto in ragione del “contatto negoziale” creato dal rapporto obbligatorio.

In tale ottica, il rapporto obbligatorio precontrattuale si pone quale sinonimo di una clausola generale della tutela dell’“affidamento[42] di un soggetto nella lealtà e correttezza di un altro soggetto con cui entri in rapporto. Il concetto di affidamento ha assunto, in tale ottica, una portata più o meno ampia ed implica una valutazione secondo buona fede del contegno delle parti contrattuali[43]

3.2 Gli obblighi di protezione. Evoluzione della teoria nell’ordinamento italiano e natura giuridica.

La categoria dogmatica della culpa in contraendo si fonda su un principio di ambìta tutela della violazione della sfera giuridica altrui e vede ascritta alla stessa area di responsabilità (contrattuale)[44] un'altra figura: quella degli “obblighi di protezione”.

L’introduzione nel nostro sistema di questa categoria si ebbe per opera di nota dottrina[45] [46], posta sulla base teorica delle elaborazioni giuridiche tedesche di Heinrich Stoll[47] e dall' elaborazione della teoria delle «violazioni contrattuali positive» elaborata dal giurista Hermann Staub[48]. La complessa elaborazione concettuale su accennata, è stata oggetto di acquisizione e di rimodulazione, rispetto al nostro ordinamento giuridico, ad opera della dottrina indicata[49], la quale principiando, in tale analisi, dalla ricostruzione della categoria in termini di responsabilità contrattuale della culpa in contrahendo è approdata ad una concettualizzazione[50] che sviluppa una teoria basata sull'idea di rapporto obbligatorio che ricomprenda il “vinculum iuris”, in cui assente la prestazione, il ruolo di polo di aggregazione venisse svolto dagli “obblighi di protezione[51]. Pertanto, il “vinculum iuris” è l’indice sintomatico dell’esistenza del rapporto obbligatorio e degli obblighi di protezione di cui si correda. In tale ottica la fonte degli stessi è, e resta, la legge e, più precisamente, riconducibile all’interno della terza categoria prevista dall’art. 1173 c.c. supportato dall’interpretazione del rapporto in base alle clausole generali di correttezza e buona fede. Ciò determina l’induzione di nuovi obblighi contrattuali, sia pur autonomi[52], che si aggiungono a quelli che le parti abbiano già previsto, come sostenuto del resto, anche da giuristi del calibro di Rodotà[53].

Da un diverso punto di vista, la portata del concetto di obbligazione ex lege, ex art 1173 c.c., pur nella sua esattezza, non risulta esaustiva e sufficiente quale base normativa sia per la culpa in contrahendo sia per gli obblighi di protezione. Infatti, nel caso del rapporto precontrattuale, si rileva che il fatto in coerenza del quale la legge fa nascere gli obblighi di protezione è “l’affidamento obiettivo[54] ingenerato in una parte dal comportamento dell’altra, sinteticamente espresso sul piano linguistico dal concetto di “buona fede”. Cosicché, sotto lo specifico profilo degli obblighi di protezione, la tesi maggioritaria[55], che raccolse crescenti adesioni, ricondusse il fondamento degli obblighi di protezione nel nostro sistema giuridico al principio di correttezza ex l’art. 1175 c.c., (analogo all'omologo tedesco al § 242 B.G.B. ante riforma del 2002). Gli obblighi di protezione, in quanto categoria generale del rapporto obbligatorio hanno trovato nel nostro ordinamento la loro normativa fondamentale proprio nell’art. 1175[56] del codice civile del 1942[57], basandosi sulla suddetta clausola della regola della correttezza, riferita genericamente al rapporto obbligatorio e non solo al contratto.  

In tale ottica il principio di correttezza dettato dall'art. 1175 c.c., quale criterio generale troverebbe applicazione diretta in tutte quelle ipotesi non espressamente previste da discipline specifiche. L'operatività, anche qui, discende dall'ossequio al principio solidaristico dettato dall'art 2 Cost..

In virtù di queste aperture teoriche, la dottrina italiana[58], non guardò più solo all'obbligazione ed al contenuto della prestazione, ma ad un più ben ampio oggetto del rapporto obbligatorio contenente, l'interesse oltre che verso un bene o un servizio, anche, verso la salvaguardia di beni e di valori, non necessariamente legati alla prestazione, arricchita dallo scopo di fondo di tutelare la sfera personale e patrimoniale delle parti del rapporto obbligatorio, esposte al “plausibile” rischio di un danno determinato, derivante dalla relazione particolare tra le stesse instaurata.

3.3 La responsabilità per violazione dell’affidamento ed il contatto sociale alla luce del sistema giuridico e delle fonti del diritto: l’obbligazione senza prestazione.

Attraverso l’operazione di generalizzazione del modello normativo[59] della norma di cui all’art. 1337 c.c.[60], gli obblighi di protezione si emanciparono dall’obbligo di prestazione, acquisendo autonomia strutturale e natura legale, con ciò facendo spazio, così, al concetto di «obbligazione senza obbligo primario di prestazione»[61].

Questa diviene lo strumento funzionale adatto a dar veste giuridica a vicende diverse da quella precontrattuale, ma suscettibili di essere risolte nella stessa forma, trovando copertura nella terza categoria atipica delle fonti dell’obbligazione di cui all’art. 1173 c.c..  Anche qui la radice teorica proviene dalla dottrina tedesca. Lo studioso Gunther Haupt, in una nota monografia nel 1941 elaborò la teoria sui rapporti contrattuali di fatto[62]. Partendo da tale presupposto ermeneutico, letto in una versione evolutiva della teoria, un altro Autore, Hans Dolle[63] pochi anni dopo teorizzò il concetto di contatto sociale qualificato da uno scopo da cui derivassero soli obblighi di protezione[64].  L'attenzione era posta sul dato che gli obblighi di comunicazione, di informazione, di custodia ecc. (della fase delle trattative e del contratto) andavano a costituire singoli atteggiamenti di un complesso rapporto, in cui si traduce l’impegno reciproco delle parti.  Il giurista K. Larenz, poi, elaborò Il concetto[65] dell’obbligazione senza obbligo primario di prestazione, al fine di rappresentare in maniera dogmaticamente compiuta sia, il particolare legame che si instaura tra i soggetti che avviano trattative contrattuali sia, l’autonomia degli obblighi di protezione in un rapporto privo di prestazione principale.  In Italia il prevalente versante dottrinario favorevole alla teoria dell’«obbligazione senza prestazione» è capeggiato dal giurista, Carlo Castronovo[66], cui va la menzione per aver generalizzato l’"obbligazione senza prestazione", emancipandola dagli angusti confini della "culpa in contraendo".  L’obbligazione senza prestazione diviene strumento funzionale per qualificare vicende diverse da quella precontrattuale, ma suscettibili di essere risolte nella stessa forma giuridica trovando copertura nella terza categoria atipica delle fonti dell’obbligazione di cui all’art. 1173 c.c.. quale una norma aperta. [67].

Il modello del rapporto obbligatorio senza prestazione può, quindi, trovare valido impiego ogniqualvolta vi sia un contatto sociale»[68] tra soggetti non legati da un preesistente rapporto contrattuale, che sia caratterizzato, come avviene nelle trattative negoziali, dall’ affidamento di una parte nei confronti dell’altra. Nel caso del contatto sociale, l'affidamento viene fondato sulla professionalità o su una situazione oggettivamente qualificata, in funzione delle quali si determinano obblighi di correttezza o di protezione verso chi ha riposto nello status una ragionevole fiducia. Sicché «quella implicata dall’obbligazione senza prestazione [si presenta come] una responsabilità contrattuale riportata al suo valore semantico come responsabilità da violazione degli obblighi creati dalla buona fede sulla scorta di un affidamento socialmente rilevante; non riconducibile [quindi] all’inadempimento dell’obbligazione come prestazione, né tampoco all’obbligazione nata da contratto, ma parimenti lontana dalla responsabilità del passante[69]»[70].

In tal modo la circolazione dei rapporti di protezione fuoriesce dallo stretto circuito delle ipotesi, direttamente o indirettamente, riconducibili alla culpa in contrahendo, per occupare spazi diversi.

La categoria in discorso si presenta composta, pertanto, da un lato, dal particolare legame che si instaura tra i soggetti che avviano trattative contrattuali e, da un altro lato, dall’autonomia degli obblighi di protezione in un rapporto privo di prestazione principale. Questo è il punto nodale della problematica dell’obbligazione senza prestazione poiché la teoria si fonda, proprio, sull’ipotizzabilità di obblighi di protezione ab origine avulsi da un obbligo di prestazione e, ciò nonostante, in grado di dar vita, in caso di danno, a responsabilità contrattuale come conseguenza tipica della violazione di obblighi[71]. Per la dottrina prevalente, quindi, si è trattato di una generalizzazione del modello di obbligazione elaborato per la culpa in contraendo, determinata dall’esigenza di definire l’ambito di applicazione (e, pertanto delineare i confini) della responsabilità contrattuale e di quella aquiliana. L’intento era anche quello di evitare applicazioni improprie della responsabilità contrattuale, da parte nostra dottrina, saldamente ancorata alle ipotesi di violazione dell’obbligo di prestazione[72].

Da questa prospettiva il passo successivo è l’evoluzione del concetto di affidamento di cui sopra si è discusso.

L’affidamento, qui, riceve in dote nella dottrina prima e nella giurisprudenza italiana, poi, l’epiteto di contatto sociale, ossia quella relazione speciale, appunto, di affidamento. Da ciò, la necessità di analizzare le peculiarità del contatto tra soggetti non legati da un preesistente rapporto contrattuale, che disciplina quelle aree del diritto definite dalla dottrina, non a caso, ‹‹al confine tra contratto e torto››.

Resta da chiarire quale sia la natura della responsabilità derivante dalla lesione del descritto affidamento e dei correlati obblighi di protezione. Secondo la dottrina maggioritaria, pur in assenza di una prestazione in senso tecnico, valorizzando il momento relazionale del contatto che si instaura tra soggetti, la responsabilità che ne discenderebbe sarebbe da ricondurre nell‘alveo dell'inadempimento di obbligazioni ex art. 1218 c.c.[73].

3.4 Il contatto sociale Germania e in Italia: parallelismi e divergenze.

E’ necessario, ora, fare alcune osservazioni in parallelo, per definire l'ambito esatto di sviluppo nel nostro paese e per comprendere il modo in cui è stato utilizzato dalla giurisprudenza.

In Germania il «contatto sociale»[74],nella sua autonoma accezione, di istituto di derivazione dottrinaria[75], sembra ormai aver ricevuto (in seguito alla riforma del diritto delle obbligazioni del 2001) una disciplina nel § 311 BGB (codice civile tedesco), dove il legislatore l'inserisce quale fonte di obblighi di protezione (ähnliche geschäftliche kontakte). In questi termini si indica un tipo di fonte dell’obbligazione, che comprende le situazioni accomunate dall’esistenza di un rapporto qualificato tra le parti, in virtù del quale sorgono per entrambe – o anche per una sola di esse – obblighi di comportamento a contenuto specifico, pur in assenza della conclusione di un contratto. Se, però, la sequenza logico-sistematica della dottrina tedesca è arrivata a culminare nella codificazione, in Italia non accade altrettanto.

La dottrina italiana elabora i concetti tedeschi, ma lo fa in maniera discontinua e con contrasti al suo interno, peraltro, senza che si approdi ad una forma normativa delle teorie in tema. Infatti, come meglio si vedrà in seguito, è la giurisprudenza[76] ad aver generato, in maniera contrastata in quanto ora tangente ad una teoria ora ad un'altra, la corrente applicativa in ius novarum oggi nota come «contatto sociale», basandosi sull'egida delle varie elaborazioni dottrinarie. Prima della formulazione teorica dell’istituto in oggetto, si sosteneva che la disciplina in materia di responsabilità contrattuale (artt. 1218 ss. c.c.) si applicasse unicamente all’inadempimento delle obbligazioni nascenti da contratto, mentre tutte le fattispecie, in cui non sussistesse un rapporto contrattuale, venivano accomunate nella figura dell’illecito extracontrattuale e nella relativa regolamentazione (art. 2043 c.c.)[77]. Con l'elaborazione teorica dell'autonoma figura della responsabilità “da contatto”, mossa dal proposito di dare risposta alle aspettative di inquadramento sistematico di fattispecie di danno difficilmente collocabili, in ragione del loro genere “ibrido”[78], la dottrina prevalente trova la matrice ideale nella teoria civilistica della responsabilità per inadempimento senza obblighi di prestazione, che abbraccia casi per la classificazione dei quali non appare del tutto adeguata né la figura dell’illecito extracontrattuale, né quella dell’illecito contrattuale.

La più accreditata dottrina[79] ha richiamato come casi ascrivibili a tale categoria la responsabilità da informazioni false o inesatte fornite da un professionista, come anche l’attività del sanitario dipendente da una struttura nel cui esercizio provochi danni ad un paziente affidato alle sue cure (ovviamente ante ingresso della legge n. 24/2017). Si annovera, anche, la responsabilità del dipendente scolastico per danni che un alunno si sia auto-inflitto.

E' stata considerata in circostanze del genere, la non esaustività del risarcimento mediante la figura dell’illecito extracontrattuale, poiché questa farebbe capo a una generica “responsabilità del passante” che non è adattabile alle ipotesi considerate. Altrettanto inadeguata è apparsa la responsabilità per inadempimento da illecito contrattuale, in quanto presuppone la sussistenza di un’obbligazione contrattuale, che invece non è dato rinvenire.  In tali casi, infatti, né la violazione del principio del neminem laedere, né l’inadempimento della prestazione contrattuale – poiché, appunto, non esistente – sono in grado di dare origine all’obbligazione risarcitoria. In questo senso, la fonte resterebbe individuabile nella lesione di autonomi obblighi di protezione, visti in una prospettiva più specifica. L’espressione “contatto sociale” fa, infatti, riferimento a un rapporto “socialmente tipico” ove -anche prescindendo da un precedente vincolo pattizio, in senso stretto-, il danneggiante è legato al danneggiato da una relazione di fatto. Ne discende che graverebbe in capo al primo un dovere di protezione di specifici beni giuridici e, per il secondo, di conseguenza, un obiettivo affidamento nella professionalità dell’altro soggetto. E ciò proprio in ragione del fatto che si tratti di un rapporto «qualificato di contatto sociale», dunque ricollegato ad una funzione atipica di tutela dell'integrità fisica, della personalità, del patrimonio, ovvero di protezione di altrui interessi rilevanti nella misura in cui ( sorti in itinere o esposti a pericolo in ragione dello stesso contatto ) siano tali da giustificare l’affidamento della controparte.

Il riferimento normativo in materia è dato dall’art. 1173 c.c. il quale, non esaurendo nella propria elencazione le possibili fonti di obbligazione al solo contratto e all'illecito, delinea attraverso la dizione “da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità con l’ordinamento giuridico” un sistema aperto, che si caratterizza per l’atipicità delle fonti, tra le quali ben potrebbe annoverarsi il contatto sociale.

4. Osservazioni sulla figura della responsabilità da contatto sociale: i criteri applicativi.

Ricapitolando di seguito i termini del complesso discorso dottrinario, è possibile enucleare i criteri applicativi del contatto sociale.

Si è detto sopra che, memore della esperienza tedesca a riguardo, illustre dottrina[80], riesce a soddisfare il fine ultimo del moto espansivo della responsabilità contrattuale, ossia quello di approntare una maggiore tutela a fattispecie poste a cavallo tra la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale.  Si è visto dall’ excursus storico-giuridico dei precedenti paragrafi come la categoria del contatto sociale si ponga l’obiettivo di dimostrare che, anche, nel nostro ordinamento, gli obblighi di protezione possono essere fonte di responsabilità contrattuale, seppur svincolati da una prestazione principale. La premessa centrale del ragionamento (poi, ampliata) è l’adesione alla esposta teoria che afferma la natura contrattuale della responsabilità precontrattuale[81]. Secondo questa corrente di pensiero, la relazione tra due soggetti diretta alla stipulazione di un negozio si qualifica come fonte di un particolare rapporto obbligatorio, riconducibile alla terza categoria delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c. Il fatto, cui la legge ricollegherebbe la nascita del rapporto obbligatorio precontrattuale, è l’affidamento obiettivo ingenerato in una parte dal comportamento dell’altra, vincolata alla buona fede. Partendo dal presupposto che, nella fase precontrattuale, l’affidamento tra le parti è fonte di una obbligazione senza obbligo primario di prestazione, la dottrina favorevole al contatto sociale tenta di individuare altre ipotesi nelle quali un contatto comporti un identico modello di tutela. Lo scopo è quello di fornire una forma giuridica adeguata a tutte le fattispecie nelle quali il danno non può dirsi derivare da una casuale non desiderata di collisione tra soggetti terzi[82].

La teoria tiene presente, comunque, che l’affidamento può generare una responsabilità contrattuale soltantonin presenza di un altro elemento in grado di giustificare il superamento dei confini della responsabilità aquiliana. Vediamo qual è.

La natura atipica della categoria ha indotto ad individuare preventivamente i presupposti in presenza dei quali la tesi, favorevole al contatto sociale, e la giurisprudenza aderente, ritengono di poter applicare la teoria in esame.

Tre sono i presupposti che divengono parametro di valutazione dell'impermanenza del contatto sociale.

Il primo è un “contatto tra sfere giuridiche differenti”, in presenza delle quali la responsabilità aquiliana viene considerata insoddisfacente. Il secondo è rappresentato dalla “qualifica del danneggiante” in base al suo un preciso status. La garanzia di una “soglia” di certezza è fornita da prescrizioni di legge oppure dal conseguimento di titoli abilitativi alla professione, che demandano l'esecuzione di specifiche attività ad un soggetto qualificato. Il terzo requisito è costituto dall' “affidamento” generato dal danneggiante in capo al danneggiato. Punto centrale resta, quindi, l'“affidamento”, legato al criterio specifico della professionalità, considerato come fonte di un’obbligazione contrattuale. L’affidamento, qui, è inteso come affidamento nella professionalità dell’agente e non tanto come affidamento nel risultato. Quest'ultimo, però, intanto, assurge al rango di vinculum iuris, in quanto diretta espressione dell'espansione del criterio dell'atipicità delle fonti delle obbligazioni contenuto all'art. 1173 c.c.. In tale contesto, la figura del professionista viene presa in considerazione in un’accezione ampia. Qui il professionista non è solo un soggetto con doveri di correttezza e di informazione, ma anche chi, all’interno di una struttura sanitaria o scolastica, per la sua peculiare attività, è garante della salute o dell’incolumità personale o patrimoniale del terzo. Parimenti, è annoverabile in questa categoria la pubblica amministrazione, che, occupandosi istituzionalmente dell’interesse generale, ha il dovere di adempiere gli obblighi costituzionalmente previsti di buon andamento e imparzialità.

L’obbligazione che sorge dal «contatto» di sfere giuridiche differenti, come quella scaturente dalle trattative precontrattuali, ha la sua fonte nell’art. 1173 c.c.. Questa norma viene, così letta, come indice dello sganciarsi del sistema delle fonti dell’obbligazione e, quindi, anche dai criteri dalla rigidità esistenti della legislazione previgente. Se, infatti, si ha riguardo al contratto ed al fatto illecito, è evidente che l’art. 1173 c.c. si riferisca alle obbligazioni nel senso tradizionale del termine, il cui contenuto è costituito in primo luogo dall’obbligo di una prestazione in ambiente contrattuale.  Parallelamente, l'inciso dell'ultima parte della norma, ossia, «ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico» assumerebbe il valore di espressione in grado di contenere, anche, le obbligazioni consistenti in soli obblighi diversi, cioè le obbligazioni senza prestazione[83].

A ben guardare, la norma contenuta all'art. 1173 c.c. non esclude, ma anzi ammette, la possibilità che si inseriscano tra le fonti “principe”, criteri normativi soprattutto di rango costituzionale, quali ad esempio quello del diritto alla salute, che trascendono singole posizioni legislative. Proprio la portata ampia e flessibile della disposizione e l’indeterminatezza della formulazione di tale articolo costituiscono l’aggancio normativo dell’istituto del rapporto obbligatorio derivante da contatto sociale, come vero e proprio “tertium genus” delle fonti dell’obbligazione. Su un piano di teoria generale, un tale ampliamento della responsabilità contrattuale a scapito di quella aquiliana sembra, però, difficilmente giustificabile nell’ambito di un ordinamento nel quale l’illecito è disciplinato mediante una norma generale.

Non è un caso, quindi, che chi propugna questa teoria del contatto sociale[84] parta dal presupposto che il nostro sistema sia caratterizzato dalla tipicità, seppur evolutiva, dell’illecito civile. Si è contestato, però, che i requisiti sui quali poggia l’affermazione di una responsabilità da contatto sociale, (vale a dire l’esercizio di una attività protetta e l’affidamento del terzo nell’altrui professionalità), possano allargare eccessivamente lo spettro di azione[85].

5. - L’applicazione giurisprudenziale del contatto: la responsabilità dell’insegnante per le autolesioni dell’alunno.

Tirando le fila del faticoso discorso articolato sul contatto sociale a partire dalla esegesi diacronica della figura fino ai suoi elementi strutturali, è possibile, adesso, portare quest'assioma nel concreto con tutto il suo carico del quadro teorico di riferimento.

Un dato pare essere pacifico. Allo stato attuale, la giurisprudenza, nella sua espressione massima, ha definitivamente accolto la teoria del contatto sociale qualificato, legittimando, così dall’interno, una impostazione teorica guardata con molte perplessità dalla gran parte della dottrina.

In base all’uso che ne fa la giurisprudenza, bisogna valutare, ora, a chi e a che cosa giovi tutto cio: cui prodest?

L’ingresso del contatto sociale nella prassi applicativa della Suprema Corte fu consacrata, ab origine, in tema di responsabilità del medico dipendente da struttura sanitaria con la celeberrima sentenza della Corte di Cassazione n. 22.1.1999 n.589[86]. La pronuncia tracciò il solco del contatto sociale, determinando l'affermarsi della categoria come costrutto generale. In tema di responsabilità medica la legge n. 24/2017 delinea un cambio di rotta. Ciò non toglie valore all’impianto della sentenza della Corte di Cassazione n. 22.1.1999 n.589, poiché, di seguito, la Suprema Corte ha esteso l’applicazione del regime della responsabilità ex art 1218 c.c. ad altre ipotesi, riconducibili alla tipologia giuridica del contatto sociale. Una di queste è stata elaborata dalla Suprema Corte che l’ha individuata nel caso in cui si verifichi un danno alla persona e l’affidamento legittimo venga riposto nei confronti di un soggetto professionale, qual è l’insegnante, che si afferma avere, oltre all’istituzionale dovere di discenza, anche, quello di sorvegliare allievi minorenni[87].

L’attenzione di questo contributo cade su questa ipotesi trattata nella pronuncia della Corte di Cassazione civile, sez. III, 26.07.2019, n. 20285.

L'argomento trattato dalla Corte si inserisce in una tematica di più ampio respiro non solo di natura giuridica, ma anche socio- culturale. Ciò fornisce l’occasione per riflettere in termini giuridici sull'attualità di una società “attaccata” dal progressivo affievolimento dei valori fondanti del rispetto per gli altri. Anche la Scuola, come molti altri settori della odierna società, è diventata luogo di conflitti, ove frequentemente, molto più del passato, si assiste ad episodi lesivi fisici e psichici a danno di soggetti siano essi docenti o discenti. Ed inoltre controversie legate ad atti di danneggiamento materiale, al vandalismo delle strutture, a furti, ed altro, tali da divenire fattore scatenante dell'aumento della litigiosità giudiziaria. Il tema specifico si interseca con la responsabilità dell’insegnante per le lesioni dell’alunno e per le sue conseguenze sul piano giuridico.

A tal riguardo, il quadro normativo di riferimento è rappresentato principalmente dagli artt. 1218, 2043, 2047, 2048 c.c. distinguendosi una responsabilità dell’Amministrazione Scolastica e del precettore (insegnante) di due tipi, ossia a seconda che gli alunni subiscano o provochino danni durante il tempo in cui dovrebbero essere vigilati dal personale scolastico.

La responsabilità dell’Amministrazione Scolastica sarà contrattuale, se la domanda è fondata sull’inadempimento dell’obbligo di vigilanza ovvero di tenere o meno un determinato comportamento.

Sarà invece extracontrattuale, se la domanda è fondata sulla violazione del principio del neminem laedere (si confrontino: Cass. 16947/2003; Cass. 3680/2011). Quest’ultima, da un lato attiene alla omissione rispetto all’obbligo di vigilanza sugli alunni (artt. 2047 e 2048 c.c.) e, dall’altro, arriva ad estendersi all’omissione rispetto agli obblighi di organizzazione, controllo e custodia (artt. 2043 e 2051 c.c.).

In entrambi i casi la sussistenza della responsabilità civile dell’Amministrazione Scolastica consegue a quella dei propri dipendenti, tenuti all’osservanza dei suddetti obblighi, in virtù del principio organico di cui all’art. 28 della Costituzione, ove si tratti di insegnanti di una Scuola pubblica. Ciò è, anche, previsto dall’art. 61, 2° comma L. 312/1980, laddove è esclusa la possibilità che i docenti statali possano esser convenuti direttamente in giudizio nelle azioni di risarcimento danni per culpa in vigilando, quale che sia il titolo contrattuale o extracontrattuale, salvo l’azione di rivalsa della P.A., in caso di dolo o colpa grave.

In altre parole, è prevista in materia la surrogazione, nel lato passivo, della Amministrazione al personale scolastico nella obbligazione risarcitoria verso i terzi danneggiati e la conseguente esclusione della legittimazione passiva degli insegnanti, tanto nelle azioni per danni arrecati ad altro alunno quanto nella ipotesi di danni arrecati dall’allievo a se stesso (c.d.autolesione), salvo, come visto, la rivalsa della P.A., ma nei soli casi in cui sia dimostrato il dolo o la colpa grave, limite quest’ultimo operante verso l’Amministrazione ma non verso i terzi (si confronti in tal senso Cassazione S.U. n.9346 del 2002). Quest’ultimi, quindi, potrebbero ottenere il risarcimento danno anche in caso di colpa lieve[88].

Precisato quanto sopra, occorre, a questo punto, affrontare una delle questioni più dibattute in dottrina e giurisprudenza, nell’ambito della responsabilità degli operatori scolastici e del suo personale.

Nello specifico, è necessario stabilire la natura giuridica della responsabilità dell’operatore scolastico in caso di autolesione allorché, cioè l’allievo abbia arrecato a sé stesso il danno addebitabile ad una inadeguata vigilanza o sorveglianza di chi aveva tale compito, essendo abbastanza pacifico che il danno provocato a terzi rientri nella sfera di applicazione dell’art. 2048 c.c.. Il problema di fondo attiene alla possibilità di applicare alla descritta fattispecie di autolesione la norma dettata in tema di responsabilità dei precettori dall’art. 2048 c.c.. Tale norma disciplina la responsabilità dei precettori e di coloro che insegnano un mestiere o un’arte per i danni cagionati dal fatto illecito dei loro allievi o apprendisti per il tempo in cui erano sotto la loro vigilanza.

5.1 Le impostazioni maggioritaria e minoritaria ed i contrasti giurisprudenziali.

In dottrina, secondo l’interpretazione prevalente della norma dell’art. 2048 c.c.., la tendenza è stata nel senso di inquadrare, all’interno della regola, le fattispecie di danno cagionato dall’allievo a terzi, di tal che dovrebbe risolversi negativamente il problema relativo alla possibilità di interpretare in modo estensivo la norma, in modo da ricomprendere nel suo campo applicativo anche fattispecie diverse, come quella del danno cagionato dall’allievo a sé stesso.

Su tale problema le opinioni si sono divise. Una impostazione parte dal presupposto che l’art. 2048 c.c. disciplini la responsabilità dei precettori per il fatto illecito commesso dagli alunni. La norma si porrebbe all’interno del complesso sistema della responsabilità civile come norma eccezionale rispetto alla clausola generale di cui all’art. 2043 c.c.. A questa lettura aderisce parte della giurisprudenza[89]. L’ impostazione prende le mosse da un’interpretazione letterale dell’art. 2048 c.c., chiarendo che tale norma è applicabile solo se il minore danneggi un terzo. Quindi, ad essa non può ricondursi il caso di autolesioni dell’allievo in quanto tale condotta non integra un illecito[90]. Secondo il dato letterale dell’art. 2048, 2° comma, c.c., la non applicabilità al caso in cui il minore procuri a sé stesso una lesione sarebbe, altresì, conseguenziale alla circostanza che la prova liberatoria prevista dal terzo comma dello stesso articolo vada opposta al terzo danneggiato e, non già, all’incapace che si sia auto procurato un pregiudizio. Al contempo il danno che alunno si è auto procurato non resterebbe sfornito di tutela, poiché la responsabilità viene comunque rinvenuta nell’ambito del principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c., che sanziona l’illecito extracontrattuale, inteso come violazione del dovere generale di rispetto altrui, attuata mediante la lesione di interessi, quindi tutelata nella vita di relazione[91].  

La condotta omissiva colposa ex art. 2043 c.c., determinante il danno ingiusto sofferto dall’alunno, viene, quindi, individuata nella violazione dello specifico obbligo giuridico di impedire l’evento che grava sui docenti in relazione al dovere di vigilare sui minori affidati alle loro cure durante l’orario scolastico[92].  Ma vediamone i passaggi salienti.

Punto nodale di questa impostazione, che giustifica l’impossibilità di estendere il raggio d’azione della norma a fattispecie di danno diverse da quelle espressamente indicate, è la sua natura di norma eccezionale rispetto a quella generale di cui all’art. 2043 c.c..  Non sembra perciò proponibile un’estensione applicativa che vada al di là del caso specifico previsto. Ciò si spiega in base al dato che il legislatore, discostandosi dalla regola generale di cui all’art. 2043 c.c., ha previsto per i minori danneggiati dai loro coetanei l’inversione dell’onere probatorio, caricando i soggetti tenuti alla loro sorveglianza del peso di dimostrare di non aver potuto impedire il fatto.  La presunzione di cui all’art. 2048 c.c. opererebbe, quindi, esclusivamente con riguardo ai danni provocati dal minore a terzi, e non anche nel caso di danno procurato a sé stesso, per la quale ipotesi rimarrebbe, come unica strada percorribile per il ristoro, l’applicazione dell’art. 2043 c.c., senza agevolazione alcuna sul piano probatorio[93]. Tra i motivi che hanno fatto propendere per una interpretazione restrittiva della norma, oltre a quello (già citato) della sua natura di norma eccezionale, vi è quello di dare una disciplina comune, in tema di autolesione, all’art. 2048 c.c. e all’art. 2047 c.c., norme che hanno applicazione “alternativa e non concorrente”, in dipendenza dell’accertamento dell’esistenza della capacità di intendere e di volere , ma per le quali accade di frequente che sul piano applicativo vi siano interferenze, non essendo agevole accertare se un minore abbia o meno una capacità tale da percepire il peso delle proprie azioni [94].

In considerazione del fatto che l’art. 2047 c.c. ha rilevanza solamente esterna, essa non si applica nelle ipotesi in cui gli incapaci siano soggetti passivi dell’evento di danno, ma nel solo caso in cui essi cagionino danni a terzi. Uguale disciplina va stabilita per l’art. 2048 c.c..

In senso diametralmente opposto si era espressa, però, altra impostazione in giurisprudenza [95], che individuava nell’obbligo di vigilanza del precettore un’imposizione a tutela non solo dei terzi, ma anche degli allievi affidati alla sua custodia, e conduceva all’interno dell’art. 2048 c.c., anche, la fattispecie di danno perpetrato dall’allievo a sé stesso.

Si poneva, pertanto, il requisito dell’ “illiceità del fatto-causa” tra gli elementi non necessari per esperire l’azione di responsabilità. Questo orientamento ha affermato la natura di responsabilità extracontrattuale, più precisamente di colpa presunta, anche, quando l’allievo ha provocato il danno a sé stesso attraverso la sua condotta, in quanto l’obbligo di vigilanza che grava sull’insegnante è, non solo, a tutela dei terzi, ma anche degli stessi minori a lui affidati.     Invero, il fatto che l’allievo abbia procurato un danno a sé stesso sarebbe indice, di per sé, di un difetto di vigilanza e, quindi, di una colpa presunta. Si configurerebbe, così, una responsabilità soggettiva aggravata poiché sull’insegnante incomberebbe l’onere di fornire la prova liberatoria consistente nella dimostrazione di aver adottato una vigilanza, nel caso concreto, adeguata all’età ed al normale grado di comportamento dei minori affidatigli. (in tal senso, da ultimo, Cassazione 11453/2011).  La diversità del criterio di imputazione non è di poco conto sul piano del regime probatorio, in quanto, laddove dovesse applicarsi l’art. 2043 c.c., piuttosto che l’art. 2048 c,c., la prova della colpa, così come gli altri elementi costitutivi dell’illecito civile extracontrattuale, sarebbe, in base ai principi generali, a carico del danneggiato.  Non operando la presunzione di colpa in vigilando, il cui effetto è quello di invertire l’onere probatorio, spetterebbe al soggetto che ha promosso l’azione risarcitoria l’onere di fornire la prova del fatto, del danno subito ed, inoltre, la prova del nesso di causalità tra la condotta tenuta dall’insegnante e evento lesivo cioè, del mancato o insufficiente grado di vigilanza in relazione alle circostanze concrete. Applicando, invece, l’art. 2048 c.c., l’onere probatorio del danneggiato sarebbe meno gravoso, esaurendosi nella dimostrazione che il fatto si è verificato nel tempo in cui il minore è rimasto affidato alla scuola, mentre spetterebbe all’insegnante dimostrare di non aver potuto impedire l’evento (si veda in tal senso Cassazione n. 6331 del 1998).

5.2 La risoluzione del contrasto: La sentenza della Corte di Cassazione Sezioni Unite del 17.06.2002 n. 9346.

Il contrasto che si generato, sorto tra i due orientamenti della Suprema Corte, è stato risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione con la nota sentenza 17/06/2002 n° 9346 che accolgono una diversa impostazione del problema. La Suprema Corte non solo ha negato l’applicazione dell’art. 2048 co. II°, all’insegnante in caso di autolesione, ma ha anche affermato la natura contrattuale della responsabilità con conseguente inapplicabilità dell’art. 2043 c.c. con importanti conseguenze sul piano probatorio, come già sopra anticipato. Con la pronuncia del 27 giugno 2002, n. 9346, le Sezioni Unite hanno adoperando la teoria del contatto sociale applicata alla responsabilità dell’insegnante per le lesioni che l’alunno cagioni a se stesso.

In primo luogo rilevano l’inconsistenza dell’orientamento estensivo delle norme. L’art. 2047 c.c., norma “gemella” rispetto all’art. 2048 c.c., contiene una presunzione di colpa in capo ai soggetti tenuti alla sorveglianza degli incapaci di intendere e volere e viene applicata dalla prassi pretoria ai soli danni arrecati ai terzi, di tal che sarebbe illogico differenziare il campo di applicazione dell’art. 2048 c.c.. Risolvendo il contrasto, gli Ermellini affermano il principio sulla base del quale la presunzione di responsabilità ex art. 2048 c.c. si applica solo ai fatti illeciti commessi dall’alunno nei confronti dei terzi e non anche nella fattispecie esaminata che riguardava più propriamente una ipotesi di autolesione. In secondo luogo, la Corte evidenzia un argomento letterale. Alla base dell’aggravio della responsabilità vi sarebbe il fatto illecito del soggetto educato o vigilato: ciò mancherebbe nel caso delle lesioni cagionate dal medesimo a sé stesso[96]. La vera novità, però, si ritrova nel passaggio successivo: la Corte, una volta esclusa l’applicabilità della presunzione ex art. 2048 comma 2 c.c., anziché aderire alla disciplina dell’illecito aquiliano, qualifica sia la responsabilità dell’istituto che dell’insegnante come contrattuale.

5.3 (Segue) La scelta della Cassazione in favore dell’allievo danneggiato e gli estremi di applicazione del contatto sociale.

L’intenzione è quella di alleviare l’onere probatorio che, ai sensi dell’art. 2043 c.c. dovrebbe restare a carico dell’allievo.

La Cassazione sceglie, allora, la strada della contrattualità del rapporto tra amministrazione ed alunno, configurando un contatto sociale rilevante tra allievo e insegnante. La Cassazione pone in esecuzione gli elementi strutturali del “contatto sociale” cioè: “contatto tra sfere giuridiche differenti”, “qualifica del danneggiante” e l’ “affidamento”. In particolare, la relazione qualificata che deriva dal “contatto sociale” tra allievo e insegnante determinerebbe in capo a quest’ultimo, accanto all’obbligo di istruire e educare, anche un obbligo di protezione onde evitare che l’allievo procuri a sé stesso delle lesioni. La violazione di tali obblighi sarebbe sanzionata dalla responsabilità di natura contrattuale ex art. 1218 c.c.[97] secondo l’impostazione dottrinaria del Castronovo. Le Sezioni Unite raggiungono, in questo modo, l’obiettivo di attribuire una tutela più adeguata all’allievo, senza intaccare né forzare le fondamenta del sistema della responsabilità civile in generale e dell’art. 2048 c.c.  in particolare. Infatti, l’affievolimento del carico probatorio in favore dell’allievo danneggiato è figlio della qualificazione della responsabilità dell’insegnante come contrattuale da contatto sociale con diretta applicazione delle regole di cui all’art. 1218 c.c.. Da ciò ne discende l’applicazione del regime probatorio previsto per tale tipologia di responsabilità, in particolare, con l’adattamento dei criteri espressi dalla quasi coeva sentenza n. 13533/2001.

Ovvie sono le conseguenze. Nelle controversie per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, l'attore avrà l’onere di provare soltanto che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto. A discolpa la controparte dovrà dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile.

Ma a ben guardare il regime probatorio può ritenersi assolutamente simile a quello previsto per i danni cagionati a terzi dall’art. 2048 c.c.. Come si è già illustrato, di fatto la norma prevede l’inversione dell’onere probatorio a favore del danneggiato in base alla presunzione di colpa in capo al precettore, cui è consentito liberarsi dalla responsabilità solo provando di non aver potuto impedire il fatto[98].

Si è, tuttavia, rilevato[99] come lo sforzo dei Supremi Giudici di sollevare il danneggiato dall’onere della prova della responsabilità dell’insegnante, potrebbe dimostrarsi vano, poiché il riconoscimento di una responsabilità diretta contrattuale in capo all’istituto attrarrà le doglianze sugli istituti stessi, essendo più conveniente tale azione rispetto all’azione contro l’insegnante per la maggiore solvibilità degli stessi.

All’impostazione accolta dalle Sezioni Unite nel 2002 si è conformata la quasi unanime giurisprudenza successiva, sia di legittimità che di merito. Anche di recente, il suddetto indirizzo si è andato consolidando mediante l’adozione di varie pronunce tra cui si annoverano precedenti giurisprudenziali conformi quali Cassazione civ. sez. III, 28 aprile 2017, n. 10516, Cassazione 16/02/2015 n° 3081, Cassazione 22/09/2015 n° 18615, Cassazione 12/10/2015 n° 20475, Cassazione 04/02/2014 n° 2413, Cassazione 04/10/2013 n° 22752, Cassazione 15/05/2013 n° 11751.

6. La pronuncia Corte di Cassazione civile, sez. III, del 26 luglio 2019, n. 20285.

La pronuncia della Corte di Cassazione civile, sez. III, del 26 luglio 2019, n. 20285 rientra nella corrente maggioritaria dettata dalla Corte di Cassazione a Sezioni unite n. 9346 del 2000. La fattispecie trattata è quella delle autolesioni dell’alunno. Nella decisione in commento la Corte si interessa, inoltre, di un argomento ancora più specifico, cioè la responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato ex art. 1218 c.c.. in concorso con la fattispecie di risarcimento extracontrattuale ex art 2051 c.c..

Il caso al vaglio della Corte di legittimità fu incardinato a mezzo di ricorso notificato il 30/10/2017, rubricato al R.G.n. 25883/2017 ad opera della difesa del Ministero dell'Istruzione dell'Università e della ricerca (MIUR) avverso la sentenza della Corte d'appello di Lecce, n. 741/2017 del 5.7.2017.  La Corte di merito aveva accertato la responsabilità del Ministero riconducendo la sua responsabilità ai dettami dell’articolo 1218 c.c., e dell’articolo 2051 c.c., per le lesioni subite da un minore di anni 8, il quale all’uscita da scuola subiva la ferita alla mano a causa dell’urto sul vetro della porta d'uscita dell’istituto. Il padre del minore lo attendeva nelle prossimità. La Corte d’Appello sentenziava dichiarando la responsabilità del Ministero ed il conseguenziale obbligo della compagnia assicuratrice di manlevarlo. Il merito si risolve nella declaratoria di responsabilità sia contrattuale sia per danni ex art 2051 c.c. in ragione della omessa custodia del Ministero per lo sfondamento della vetrata poiché non ritenuta in sicurezza e cagionante lesioni personali al bimbo. Il Ministero ricorrente deduceva in Cassazione tre motivi a supporto della proposizione del proprio ricorso.  Il primo motivo consisteva nella violazione degli artt. 1218, 2051,1227 e 2697 c.c. e dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Il secondo motivo deduceva l’omissione dell’esame di un fatto decisivo in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, in riferimento alla dinamica del sinistro come da risultanze probatorie. Il mancato esame atteneva l'ipotesi di caso fortuito, tale da escludere la responsabilità dell'amministrazione affidataria nei confronti del bambino. Il terzo motivo atteneva alla violazione e falsa applicazione dell'art. 1218 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. La deduzione si imperniava sulla circostanza che la Corte di merito non aveva preso in considerazione che la “responsabilità per la sicurezza e l'incolumità degli alunni al momento dell'uscita fosse stata contrattualmente ripartita fra due distinti soggetti, e in particolare affidata a una cooperativa cui era assegnato il compito di vigilare sugli alunni nel periodo immediatamente successivo al termine degli orari di lezione”. Il ricorso incidentale della Compagnia assicuratrice ulteriori tre motivi, uno dei quali atteneva all’assenza di responsabilità della stessa ed il venir meno del proprio obbligo di copertura assicurativa: “Con il primo motivo del ricorso incidentale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la compagnia assicuratrice deduce violazione o errata applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, per mancata considerazione della inoperatività della garanzia assicurativa; con il secondo motivo la compagnia assicuratrice deduce il vizio di omessa motivazione su un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale l'affidamento "in convenzione" della sorveglianza sugli alunni in orario extra scolastico, che avrebbe comportato l'assenza di responsabilità del Ministero e l'omessa valutazione di inequivocabili istanze istruttorie; con il terzo motivo di ricorso incidentale deduce violazione o errata applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n.3, per avere la Corte liquidato somme risarcitorie in misura superiore a quelle richieste, integrante un vizio di ultrapetizione[100].

La Corte Suprema ritiene infondati i tre motivi di ricorso del Ministero e della compagnia assicuratrice. Il rigetto è motivato in relazione ai profili di insussistenza della richiesta nullità della sentenza per erronea applicazione delle norme sulla dedotta responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

La Corte di Cassazione rileva, in motivazione, la correttezza della pronuncia della Corte di merito. Quest’ultima, a giudizio della Cassazione, avrebbe svolto una valutazione esatta della dinamica del sinistro. Esatta sarebbe, anche, la declaratoria di responsabilità del Ministero convenuto, con conseguente obbligo della compagnia assicuratrice di manlevarlo. Negli stessi termini anche il procedimento logico-giuridico che la Corte di merito ha ritenuto di adottare dichiarando la responsabilità dell’istituto sia in termini contrattuali che da omessa custodia del Ministero per lo sfondamento della vetrata, non ritenuta in sicurezza, causa dell’evento lesivo ai danni del bimbo. I giudici di Piazza Cavour affermano che: “la valutazione della responsabilità è avvenuta nel rispetto degli oneri probatori gravanti sulle parti e in considerazione della duplice natura della responsabilità scolastica, contrattuale ed extracontrattuale, che il danneggiato ha ritenuto di dover dedurre in via parallela e concorrente[101].  

Sotto il profilo della responsabilità extracontrattuale, classificabile di tipo oggettivo, la Corte rimarca l'omessa manutenzione della struttura in condizioni di sicurezza e la responsabilità ragion per cui i danni cagionati derivano da una cosa in custodia ex art. 2051 c.c.. La natura oggettiva art. 2051 c.c, non viene in esame tanto in relazione valutazione di un comportamento o di un'attività colposa del custode, quanto per la relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa. Esso opera in tema di riparto dell'onere della prova: il danneggiato deve provare l'esistenza del nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo; il danneggiante, per liberarsi, deve provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva. Il fattore estraneo interruttivo del rapporto eziologico -come fa notare la Corte in pronuncia- deve essere idoneo ad interrompere quel nesso causale e, cioè, un fattore esterno (che può essere anche il fatto di un terzo o dello stesso danneggiato) il quale “presenti i caratteri del caso fortuito e, quindi, dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità (Sez. 3, Sentenza n. 24083 del 17/11/2011; Sez. 3, Sentenza n. 11227 del 08/05/2008). Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., è dunque comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume al limite rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1 e ciò in relazione alla sua effettiva incidenza causale sull'evento dannoso, che può anche essere esclusiva (Sez. 6-3, Ordinanza n. 27724 del 30/10/2018)” [102].

La mancanza della prova del caso fortuito che il Ministero avrebbe dovuto fornire poteva concernere la dimostrazione processuale dell’atteggiamento incauto del bimbo che si fosse messo a correre al momento dell'uscita, fermo restando l’eventuale inconferenza della prova essendo una condotta del tutto prevedibile e frequente nei bambini in tenera età.

In pronuncia, la Cassazione richiama a sostegno del carattere extracontrattuale un precedente. La nota sentenza n. 14107 del 27.06.2011 della sezione III della medesima Suprema Corte. Qui si afferma l’obbligo di curare la manutenzione degli edifici adibiti a scuola materna ed al contempo ammette il concorso tra azione di natura contrattuale ex art. 2087 cod. civ. e l’azione ex art. 2043 in ragione dell’obbligo di natura pubblicistica dell’ente alla manutenzione degli edifici[103]

Secondo il decisus n. 20285 /2019 in esame, sono da evidenziare altri due punti che sostanziano l’altro titolo di responsabilità, cioè quello contrattuale. Il primo è che le potenziali condizioni di pericolo per i terzi a causa della struttura mal custodita avrebbero richiesto una maggiore cautela del custode dei minori in fase di uscita. Il secondo riguarda la presenza all’atto dell’uscita di un terzo soggetto esterno al rapporto tra il bimbo e la scuola, cioè, una cooperativa affidataria della vigilanza. I due punti sono uno complementare all’altro dati gli aspetti giuridici assunti dalla sorveglianza effettuata, in concreto, da un terzo-cooperativa affidataria.

La Corte affronta la questione dell’affidamento esterno del servizio e delle funzioni di vigilanza sui minori o incapaci pronunciandosi nel senso che non può in alcuna maniera comportare una esimente dalla responsabilità contrattuale del Ministero. Osserva che, l’obbligo di sorveglianza è di “natura primaria” . Esso grava in capo al soggetto affidatario, permanendogli il dovere di vigilanza anche e nonostante l’intermediazione di un terzo soggetto in funzione di sorveglianza. Sostiene la Corte che “[…] in tale ipotesi, i doveri di protezione permangono sull'istituto scolastico, e al contempo impongono il controllo e la vigilanza del minore o dell'incapace fino a quando non intervenga un altro soggetto ugualmente responsabile, chiamato a succedere nell'assunzione dei doveri connessi alla relativa posizione di garanzia che, ovviamente, non può coincidere con il soggetto cui è assegnata solo una quota parte delle funzioni che competono all'affidatario (v. Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 10516 del 28/04/2017; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2413 del 04/02/2014; Cass.Sez. 3 -, Sentenza n. 10516 del 28/04/2017)”. Ciò detto la responsabilità così impostata si configurerebbe in capo al solo Istituto. Per giunta, essendo la responsabilità "da contatto sociale qualificato" implicherebbe l'assunzione dei cd. “doveri di protezione”, di cui artt. 1175 e 1375 c.c.. che impongono il controllo e la vigilanza del minore (o dell'incapace) fino a quando non intervenga il controllo di un diverso soggetto ugualmente responsabile oppure la sorveglianza del genitore. 

L’aspetto contrattuale della responsabilità dell’istituto esplica i propri effetti, anche, sul rigetto della seconda censura dell’assicuratore, attinente al piano della copertura assicurativa. Per la Corte è, altrettanto, infondata. Precisa che “il motivo non tiene conto della ratio decidendi contenuta nella sentenza che riguarda la responsabilità del Ministero non solo per l'omessa custodia dell'edificio ex art. 2051 c.c., ma anche per l'omessa vigilanza dei minori ex art. 1218 c.c., quest'ultima certamente rientrante nei rischi assicurati”. Il discorso della Corte prosegue in modo conseguenziale per ciò che riguarda l'obbligo di manleva dell'assicuratore. Esso viene in questione già solo per il fatto che l'affidatario assicurato si è reso responsabile contrattualmente dell'infortunio-evento rientrante nella garanzia assicurativa. L’infortunio -si è già osservato- nasce dalla omessa vigilanza dei minori all'interno del complesso scolastico. Sulla garanzia assicurativa non ha, infatti, nessuna incidenza “l'affidamento a terzi dell'organizzazione della fase di uscita dalla scuola” poiché la compagnia assicuratrice è estranea al rapporto tra la scuola e l’affidatario esterno dei servizi.

La responsabilità della scuola resta, infatti, connessa alla l'omessa custodia della struttura dell'edificio ed al mancato obbligo di vigilanza, riconducibile alla violazione dell'obbligo primario, gravante esclusivamente sull'istituto affidatario, di esercitare adeguata vigilanza sulla condotta dei minori soprattutto in presenza di concreti pericoli interni: i doveri di protezione permangono sull'istituto scolastico. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale, con ogni conseguenza in ordine alle spese.

7. Osservazioni sull’applicazione del contatto sociale alle autolesioni dell’alunno.

Il centro del discorso motivazionale della Corte, come svolto nella pronuncia in parola, è sintetizzabile in un inciso riportato nel testo della stessa: “[…] la valutazione di responsabilità in termini di commissione di un illecito extracontrattuale da omessa custodia nel caso in esame rileva anche sotto il profilo contrattuale, perché le condizioni di pericolo per i terzi della struttura, a loro volta, avrebbero richiesto una maggiore cura nella custodia dei minori in fase di uscita, rilevando tali aspetti riguardo agli obblighi di vigilanza […]”.

Il punto nodale della pronuncia è la valutazione di responsabilità in termini di commissione di un illecito extracontrattuale da omessa custodia. Per la Suprema Corte, il danno patito dal minore aveva come causa efficiente l’omessa manutenzione dei beni strutturali dell’edificio (porta a vetri) di cui è stata omessa la custodia dall’istituto scolastico responsabile.  Il danneggiamento della persona del minore che subisce lesione crea, perciò ed innanzi tutto, un fatto illecito disciplinato dall’art.2051 c.c.. Orbene, guardando la struttura dell’art. 2051 c.c., si osserva che la norma prevede che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose in custodia, salvo che non provi il fatto fortuito.

Una tradizionale impostazione (ora minoritaria) interpreta la responsabilità in questione come una presunzione di colpa per la violazione dell’obbligo di custodia. I sostenitori della teoria prevalente, invece, considerano la natura oggettiva della responsabilità del custode. In realtà, La norma delinea una presunzione di “responsabilità” e non di “colpa”. La prova liberatoria si basa, quindi, sulla dimostrazione del caso fortuito e del comportamento diligente del custode. Qui mancano entrambi. La dimostrazione deve riguardare la circostanza che il danno non è stato provocato dalla cosa ma da un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva idoneo a interrompere il nesso causale fra il fatto e l’evento ed estraneo al dinamismo della cosa in custodia quale può essere una forza irresistibile, l’illecito di un terzo, l’uso imprudente e macroscopicamente illogico della cosa.

Pertanto, la pronuncia della Corte di Cassazione civile, sez. III, del 26 luglio 2019, n. 20285 afferma che l’istituto scolastico non è stato in grado di provare dalla circostanza che il bimbo si fosse messo a correre al momento dell'uscita. Afferma, poi, che la condotta del minore di tenera età (8 anni) è del tutto prevedibile e corrisponde ad una metodica frequente per quella fascia di età. La duplicazione del concetto nella motivazione ai fini della declaratoria della responsabilità aquiliana è, a parere di chi scrive, ultronea dato che l’onere della prova grava ex lege in capo a custode. Questi è tenuto a dare prova di un fatto fortuito interruttivo del nesso causale che qui il Ministero non dimostra affatto: di qui la responsabilità ex art. 2051 c.c.. Ma, d’altro canto, dal punto di vista della responsabilità ex art 1218 c.c, l’osservazione della Corte acquista una maggiore valenza. Infatti, alla Corte di Appello prima, ed alla Corte di cassazione poi, tanto basta perché venga addebitata la responsabilità contrattuale per lesioni dell’alunno a carico del ministero. A ben guardare, lo stesso evento dannoso (lesione della mano) è al centro di un unico episodio a cui sono ricollegabili due tipi di responsabilità: la prima è per i danni da cosa mal custodita; la seconda è legata al motivo stesso per il quale il bambino si trovava nell’istituto scolastico: l’istruzione.

Una volta accertati i danni da cosa mal custodita discende, di conseguenza, la responsabilità per omesso obbligo di vigilanza. Ciò vale a dire che, intanto il bambino si fa male a causa del vetro che si infrange in quanto nessuno controllava adeguatamente i bambini all’uscita per evitare il verificarsi di quell’episodio o di altri potenzialmente dannosi. Il ragionamento logico-giuridico della Corte beneficia del precedente delle Sezioni Unite della Suprema Corte del 27 giugno 2002, n. 9346, ove si dice che «la presunzione di responsabilità posta a carico dei precettori dall'art. 2048, comma 2, c.c., trova applicazione in relazione al danno causato dal fatto illecito dell'allievo nei confronti dei terzi; mentre in relazione al danno che l'allievo abbia cagionato a sè stesso tale previsione non trova applicazione, poiché non può ritenersi esistente, in tal caso, un fatto illecito obiettivamente antigiuridico. In detta seconda ipotesi, la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che — quanto all'istituto scolastico — l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo alla scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni».

E’ proprio l'accoglimento della domanda di iscrizione a creare un vincolo negoziale relativamente al quale diviene rintracciabile, qui, il primo dei tre presupposti che assurgono come parametro di valutazione dell'impermanenza del contatto sociale: “contatto tra sfere giuridiche differenti”. Data la qualifica di soggetto pubblico, con cui si instaura il rapporto, si riesce a configurare anche il secondo elemento del contatto rappresentato dalla “qualifica del danneggiante” in base al suo un preciso status, che vale a interpretare il terzo requisito costituto dall' “affidamento” generato dal danneggiante in capo al danneggiato. L’affidamento trova una soglia di aderenza normativa proprio attraverso il richiamo che la Corte fa ad un altro suo precedente.

Si è già accennato alla sentenza n. 14107 del 27.06.2011 della sezione III della medesima Suprema Corte richiamata nella pronuncia in commento. Qui, si evidenzia l’obbligo dell’istituto di curare la manutenzione degli edifici adibiti a scuola materna ed al contempo ammette il concorso tra azione di natura contrattuale ed extra contrattuale in ragione dell’obbligo di natura pubblicistica dell’ente alla manutenzione degli edifici. Punto centrale è, quindi, l'“affidamento”, legato al criterio specifico della professionalità, considerato come fonte di un’obbligazione contrattuale nascente dagli obblighi di protezione di vigilanza e custodia dell’istituto scolastico danneggiante.

Partendo, proprio dalla responsabilità contrattuale dichiarata nella sentenza in commento è possibile svolgere alcune osservazioni additive.

Si è detto che il presupposto di base su cui si fonda la responsabilità contrattuale dell’insegnante per le lesioni dell’alunno è l’accoglimento della domanda di iscrizione presso l’Istituto Scolastico e la conseguente ammissione dell’allievo a Scuola. Tale circostanza genera il vincolo negoziale da cui discendono altri obblighi quali quello di vigilare sulla sicurezza ed incolumità dell’alunno per tutto il tempo in cui il medesimo fruisce della prestazione scolastica. Da tale obbligo consegue che l’Istituto Scolastico è tenuto a “predisporre tutti gli accorgimenti necessari ed idonei ad evitare i danni che l’alunno possa procurare a sé stesso, sia all’interno dell’edificio che nelle pertinenze scolastiche, di cui abbia la custodia, messe a disposizione per eseguire la propria prestazione, compreso il cortile antistante e pertinenziali dell’edificio scolastico ove viene consentito l’accesso e lo stazionamento degli utenti ed in particolare degli alunni[104].

L’obbligo di vigilanza e sorveglianza che l’Istituto Scolastico è tenuto ad osservare, è modulato sulla base di una condotta diligente secondo i criteri di normalità, da valutarsi anche in relazione alla sua capacità tecnica-organizzativa. Il contenuto di tali obblighi in riferimento al c.d. contatto sociale comporta conseguenze specifiche a carico dell’insegnante verso l’allievo, configurandosi come responsabilità avente fonte autonoma.

A questo punto un’altra osservazione sorge spontanea. La responsabilità dell’ Amministrazione scolastica e degli insegnanti presenta i due limiti.

Il primo è un limite esterno, rappresentato dal periodo dell’affidamento dell’alunno alla Scuola, che decorre dal momento dell’ingresso e termina al momento dell’uscita dalla Scuola stessa e che si specifica in un limite temporale fissato dalle norme contrattuali, che stabiliscono l’orario in cui l’insegnante esercita la propria attività e vigilanza sui minori. E’ un limite territoriale. E’ costituito normalmente dall’edificio scolastico e dalle sue pertinenze. Entro tale lasso di tempo rientrerebbero, quindi, non solo i momenti in cui si svolgono le attività strettamente didattiche, ivi compresi quello della c.d. ricreazione ma, anche, lo spostamento da un locale all’altro della Scuola, il servizio di mensa, le gite scolastiche, i viaggi di istruzione ed, infine, le uscite dalla scuola [105].

Il secondo limite è interno: è costituito dalla impossibilità di impedire il fatto, quindi nella dimostrazione che è stata esercitata una sorveglianza sugli studenti con uno scrupolo tale da impedire il fatto dannoso. È necessario, quindi, che venga provato da parte dell’Istituto scolastico (e dall’insegnante chiamato in rivalsa), il caso fortuito ossia un evento straordinario non prevedibile o superabile con la diligenza del caso “concreto”.

La prova liberatoria è stata resa più gravosa dalla giurisprudenza (Cassazione n. 23202 del 2015) dove l’obbligo è di dimostrare di aver adottato, in via preventiva, le misure idonee a scongiurare la situazione di pericolo capace di determinare l’evento pregiudizievole, è stato rapportato all’età, al grado di maturazione degli allievi, alle condizioni ambientali etc.. L’onere della prova liberatoria, ai sensi dell’art.1218 c.c., grava sul soggetto obbligato alla vigilanza nella misura in cui è tenuto a dimostrare che l’inadempimento è stato dovuto a causa a lui “non imputabile”. Se poi si guarda al “criterio di imputazione” della responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. si può osservare che il limite dell’imputazione della responsabilità oggettiva ex art 2051 c.c., intanto opera in quanto intervenga un fattore causale ed esterno al custode, ossia, il caso fortuito e, quindi, un fattore caratterizzato dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità (Sez. 3, Sentenza n. 24083 del 17/11/2011; Sez. 3, Sentenza n. 11227 del 08/05/2008), a condizione che attenga alle modalità di causazione del danno.

8. Conclusioni.

A questo punto, dopo il lungo excursus appare possibile inquadrare il contatto sociale e valutare la valenza generale della figura.

Alla luce dell’esame approntato -in linea generale- sulla figura del contatto sociale appare che lo scopo ultimo, più o meno dichiarato, sia quello dell'applicazione della disciplina più favorevole prevista dalla responsabilità contrattuale rispetto a quella extracontrattuale.

L'operatività di questa categoria è emersa in fattispecie in cui il paradigma della «responsabilità del passante»[106] (alias: illecito aquiliano ex art 2043 c.c.) è apparsa insoddisfacente laddove, pur mancando un contratto, non sembrava potersi ritenere del tutto inesistente un rapporto tra i soggetti determinati. La fonte normativa dell’obbligazione da contatto sociale risiederebbe nella definizione atipica dell’art. 1173 c.c., ultimo periodo, ossia, in ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico. Il contatto sociale entra in gioco, quindi, in tutti quei casi in cui la lesione di un diritto sorga da una fonte di obbligazioni e non da un fatto illecito o da un contratto. Ma, nel raffronto con l‘obbligazione nella sua configurazione originaria, il contatto sociale presenta un aspetto problematico, privo come è di quello che finora era stato considerato non solo il cuore del rapporto obbligatorio ma, anche, il suo requisito essenziale, cioè la prestazione.

Il contatto sociale opera mettendo in relazione soggetti fino a quel momento estranei. Il tramite è il danno cagionato ad un soggetto, nei confronti del quale uno specifico obbligo di attenzione esiste già, sia pure in forma generica[107].  La fonte resta l’art. 1173 c.c.. il cui addentellato normativo, misto alle disposizioni che -ad esempio- gravano gli istituti scolastici in ragione di determinati obblighi precauzionali, rendono possibile il risarcimento del danno anche quando non sia prodotto direttamente dal soggetto responsabile ma rientri nella sua spera di disposizione. Ciò accade nei casi di auto lesione dell’alunno dove emerge tout court la dinamica applicativa del contatto sociale.

Domandandosi, il contatto sociale “cui prodest ?”, si ottiene una risposta lapidaria tratta dalla lettura della dottrina e della giurisprudenza: il danneggiato è l'effettivo beneficiario. Nell’ipotesi delle autolesioni dell’alunno appare evidente come l’obiettivo sia di attribuire una tutela più adeguata all’allievo, senza intaccare né forzare le fondamenta del sistema della responsabilità civile in generale. Le Sezioni Unite del 2002 raggiungono tale scopo e le altre pronunce successive ne seguono il percorso. Il vantaggio del contatto sociale applicato alla fattispecie concreta dell’allievo autoleso, in realtà, si caratterizza per un dato che accomuna tutte le ipotesi attratte nell’alveo del contatto sociale stesso: l’affievolimento del carico probatorio in favore del danneggiato.

Il danneggiato, infatti, è favorito dall’applicazione della disciplina contrattuale mutuata dall’applicazione dell’art. 1218 c.c. che prevede un onus probandi sicuramente più agevole di quello previsto per la responsabilità aquiliana.  Nel caso specifico dell’allievo danneggiato, il maggior favore probatorio è figlio della qualificazione della responsabilità dell’insegnante come contrattuale da contatto sociale.

Una osservazione è d’uopo in merito ai vantaggi del contatto sociale.

La teoria del contatto sociale non ha mancato di suscitare un forte interesse sia nella letteratura giuridica che nell’applicazione giudiziale, così da divenire fonte di un inesauribile dibattito che tende continuamente ad evolvere. Il pericolo avvertito è quello di un eccessivo ampliamento del campo di applicazione della responsabilità ex art. 1218 c.c., che si paventa sotto il particolare profilo del tentativo di canonizzare della figura dogmatica che finirebbe per tradurla in un vero proprio genus tra le forme di responsabilità.

Nel quadro prospettico delineato, la responsabilità civile da contatto balza in evidenza come l'esigenza di una efficiente applicazione normativa sempre più rivolta alla giustizia del caso concreto[108], oggi prevalente, rispetto ad una finalità effettiva della responsabilità civile[109].

La tendenza moderna parrebbe essere la riparazione della vittima in forma risarcitoria. Così parrebbero indirizzate anche le pronunce attuali dei giudici di legittimità. Ciò corrisponde ad una parallela finalità deterrente nei confronti del danneggiante[110]. Le difficoltà maggiori consistono nell'operare in contesto della "liquidità" giuridica adeguata alle costanti evoluzioni normative rapportate alle esigenze espresse dalla società. Si tratta, ormai, di difficoltà già più volte affrontate e superate dai Giudici di merito e di legittimità, i quali hanno fornito, in varie pronunce, le risposte più adeguate alle istanze che la realtà sociale, sempre così variegata, avanza.

Il rilievo assunto in questo ambito dalle clausole generali (in particolare, buona fede e correttezza), per il cui tramite il principio di affidamento si esprime negli obblighi di protezione, i quali, a loro volta, consentono il punto di evoluzione nella c.d. «obbligazione senza obbligo primario di prestazione», permettono ai Giudice la loro solidificazione, avvalendosi dei “polmoni del sistema normativo”, costituito dalle clausole generali esistenti. Il risultato è di consentire la ricerca di risposte adeguate in termini di ineludibile tutela effettiva. La responsabilità da contatto sociale, nei termini in cui la giurisprudenza di legittimità l'ha intesa ed applicata, appare una di quelle risposte adeguate.

Note e riferimenti bibliografici

[1] L’espressione “diritto liquido” è tratta dal volume F. Di Ciommo, O. Troiano, (a cura di), Giurisprudenza e autorità indipendenti nell'epoca del diritto liquido. Studi in onore di Roberto Pardolesi, La Tribuna, 2018. Si confrontino anche Il diritto liquido: giurisprudenza e autorità indipendenti nel (c'era una volta?) sistema delle fonti, atti del convegno, 5 novembre 2018, LUISS, Roma Giornata di studi in onore di Roberto Pardolesi: <L’ordinamento giuridico italiano appare attualmente in una fase di profondissima trasformazione. Non a caso la dottrina, da qualche tempo, discute diffusamente di certezza del diritto, prevedibilità dell’esito dei giudizi, oltre che di giustizia, proporzionalità, ragionevolezza ed equità delle soluzioni pretorie. A tutti questi temi, come noto, Roberto Pardolesi ha dedicato, anche di recente, attente riflessioni. Il suo settantesimo compleanno è, dunque, parsa occasione propizia per raccogliere contributi in argomento tra i suoi allievi ed amici e per organizzare una giornata di studi in suo onore, che si propone di contribuire al dibattito in materia e nell’ambito della quale il liber amicorum verrà consegnato al festeggiato>.

[2] La ragione più liquida è un principio dogmatico in forza del quale è possibile respingere una domanda sulla base della soluzione di una questione assorbente, senza il necessario previo esame delle altre. La ratio è che In tali casi la questione assorbente è ritenuta di più agevole soluzione - anche se logicamente subordinata. Si veda in tal senso  Rasia L. M., La “Ragione più Liquida” nella motivazione della sentenza, in professionegiustizia.it, 08.03.2019;

M. Manzin, "Dalle norme codificate al diritto “liquido”: effetti della secolarizzazione sul ragionamento processuale" in S. Amato, C. Amato Mangiameli A, L. Palazzani (edited by), Diritto e secolarizzazione. Studi in onore di Francesco D'Agostino, Torino: Giappichelli, 2018, p. 315-339. - ISBN: 978-88-921-1460-9.  

[3] R. Garofoli, "Il giudice tra creatività interpretativa e esigenze di legalità e prevedibilità", in Federalismi.it, Riv. Dir. Pubbl., Editoriale, 30 ott. 2019, ISSN 1826-3534.

[4] Cassazione, Sezioni Unite, 12.12. 2014 n. 26242, Relatore: Travaglino Giacomo.

Si vedano anche Cass. Civ., sez. un., 12.12.2014, n. 26242, conferma della sentenza della C. App. di Brescia del 13.1.2011, in NGCC 2015 - Parte prima, Wolters Kluwer Italia, p 299 - 315 con nota N. Rizzo, "Il rilievo d’ufficio della nullità preso sul serio", id., pp. 315 – 324; Toschi Vespasiani F., "La portata della rilevazione d’ufficio della nullità contrattuale e del giudicato implicito", in Questione Giustizia, n. 21 gennaio 2015.

Più di recente Cass. 8 marzo 2017, n. 5805.

[5] La tendenza degli ultimi decenni è strettamente connessa alla più rilevante novità nell'ambito dei metodi applicativi delle norme, che risiede nella loro previa interpretazione in chiave costituzionale. Si prefigura, pertanto, un modello generale dell'attività giuridica interpretativa in cui il metodo sistematico-teleologico costituisce la struttura portante. E’ superfluo notare quanto con ciò stesso sia mutato il modello accreditato dall'art. 12 delle disp. prel. al codice civile italiano, che non conosce l'interpretazione sistematica se non nella versione logico-formale. In generale si rinvia a F. Viola e G. Zaccaria, "Diritto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica giuridica", UT ed., Laterza, Roma-Bari, 2000. Cfr., tra gli altri, Aa.Vv., "Il metodo nella scienza del diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1997; F. Rimoli, "Costituzione rigida, potere di revisione e interpretazione per valori", in Giurisprudenza costituzionale, 1992, p. 3712 ss.; A. Baldassarre, "L'interpretazione della Costituzione, e G. Azzariti, Interpretazione e teoria dei valori: tornare alla Costituzione", entrambi in A. Palazzo (a cura di), "L'interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo", ESI, Napoli 2001, rispettivamente, pp. 215 ss. E 231 ss..

[6] E. Incenti, "La responsabilità da contatto sociale nella giurisprudenza di legittimità", in Responsabilità Civile e Previdenza, fasc.6, 2016, pag. 2065.

[7] L’espressione si riferisce all’ inquadramento sistematico relativa a fattispecie di danno difficilmente collocabili, data la loro natura “ibrida” a metà strada “tra contratto e torto”. In materia, C.Castronovo, "L'obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto", in “Scritti in onore” di L. Mengoni, Milano, 1995, I, 148, ss; C.Castronovo, "Tra contratto e torto l'obbligazione senza prestazione" ne La nuova responsabilità civile, 2006, 443, e ss; C. Castronovo, "Sentieri di responsabilità civile europea", in Eur. dir. priv., 2008, pp. 787 ss.,797 ss.; C. Castronovo, "Ritorno all’obbligazione senza prestazione", in Eur. e dir. priv., 2009, etc.

[8] G. Visentini, "Cos'è la responsabilità civile", ESI, 2009, p.17 ss.

[9] G. Chiodi, "La responsabilità contrattuale nel primo novecento giuridico italiano", in La responsabilidad Contractual en su formulación histórica y en su confguración actual, 2015,Editorial Dykinson Madrid,p.216.

[10] G. D’Amico, "La responsabilità contrattuale: attualità del pensiero di Giuseppe Osti", Riv. Dir. Civ., Gen.- Febb. 2019, p. 2.

[11] Il riferimento va a Giuseppe Osti fautore della teoria oggettiva. Per un approfondimento sul pensiero di Osti si veda G. D’Amico, "La responsabilità contrattuale: attualità del pensiero di Giuseppe Osti", in Riv. Dir. Civ., Gennaio-Febbraio 2019, CEDAM. La teoria è sostenuta anche da altri autori quali F. Galgano, G. Visintini ed è basata sul testo normativo della legge e sui lavori preparatori del codice. La teoria oggettiva intende la responsabilità contrattuale sussistente in ragione dell’inadempimento del debitore. Questi è responsabile dell’inadempimento in ragione del solo fatto oggettivo del suo verificarsi. Non ha alcuna incidenza che sia in colpa oppure no. Lo esime dalla responsabilità solo in caso l’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile. Che deve essere oggettiva e assoluta. Incombe al debitore per la sua liberazione da responsabilità la prova che l'inadempimento sia dipeso da un fatto che era imprevedibile ed inevitabile.

[12] C. Castronovo, op. cit. su La nuova responsabilità civile, Milano 2006

[13] La norma aveva il suo omologo nell’ordinamento francese nell’art. 1382 del Code Napoleon. Nella compilaziomne del Code Napoléon furono utilizzati gli scritti e le idee di un noto giurista francese Robert Joseph Pothier tra i cui scritti si ricordano "I Trattati dei contratti dei proprj, e dei feudi" di G. R. Pothier, Robert Joseph Pothier, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, 1837, "Le Pandette di Giustiniano", 1835,  Robert Joseph Pothier,1835, 3° editions - first published in 1834, "Le Pandette Di Giustiniano 2" di Robert Joseph Pothier, Oxford University, 1833 .

[14] Si vedano in proposito G. Chironi, "La colpa nel diritto civile odierno. Colpa extracontrattuale", I e II Tomo, Torino, 1886 e 1887; G. Venezian, "Danno e risarcimento fuori dai contratti", in Opere giuridiche, Roma 1919.

[15] Il riferimento va ad A. Flamini, "Dei delitti e dei quasi-delitti", contributo in "La codificazione nell’Itali Postunitaria 1865-2015", in Quaderni degli annali della facoltà giuridica dell’università di Camerino, 2/2016, p. 5 e ss.

[16] Al punto n. 556 della Relazione al Re si esplicita che “non si è considerata la duplice figura dei quasi-contratti e … dei quasi- delitti, che non hanno mai potuto giustificarsi né da un lato tradizionale essendo ignorata al diritto romano classico, né dal dato sostanziale essendo priva di un contenuto determinato”.

[17] L’ autore A. Flamini, "Dei delitti e dei quasi-delitti", op.cit., p. 10, riporta la valorizzazione del dettato codicistico attraverso i dettami della Costituzione. L’autore ricorda in merito al valore costituzionale dei principi generali della Costituzione il metodo eumeneutico di interpretazione delle norme ordinari indicando P. Rescigno, "Per una lettura del Codice Civile" in Giur. It. 1968, IV, c., 209 ss. Ancora si veda P. Perlingieri, "Il diritto civile nella legalità costiuzionale secondo il sistema italo -comunitario delle fonti", Napoli, 2006. Si citano in proposito del medesimo A. Flamini, "Responsabilità civile e Costituzione", in Annali della facoltà giuridica Camerino, Nuova Serie , II, 2013 p.15

[18] Si confronti note precedenti per i riferimenti letterari dello studioso Pietro Rescigno.

[19] In tal senso: L. Mengoni, "Responsabilità contrattuale", in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1072; Salvi, "Responsabilità extracontrattuale", in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988,1187; C. Castronovo, sub art.1176, in Comm. Cendon,IV, Torino,1991,§5.2.; G. Alpa, "La responsabilità civile", Milano, 1999, 102 ss.; Corsaro, "Tutela del danneggiato e responsabilità civile", Milano,2003,5 ss.; Salvi, "La responsabilità civile", Milano, 2005, 13 ss.; cfr : S. Rossi, "Contatto sociale (fonte di obbligazione)", in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento V, 2010 Utet, Torino , 346 -348.

[20] Cfr. Cass. 18238/2003.

[21] Cfr. Cass. 3102/2000

[22] Cfr. Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533 in Foro it., 2002, I, p. 769.

[23] Relazione al Codice Civile, "Testo e Relazione Ministeriale Biblioteca - Camera dei Deputati", Istituto poligrafico dello Stato, Roma 1943 - ANNO XXI in https://www.consiglionazionaleforense.it/.Si legge al Capo 794 che: “Fonte di responsabilità può essere il comportamento della persona (fatto proprio), ovvero una determinata relazione con l'autore del fatto o con la cosa (animata o inanimata) da cui il danno è derivato. La responsabilità per fatto proprio si fonda sulla colpa; quella per fatto di altre persone si fonda o sulla colpa propria e altrui (art. 2043 del c.c.) ovvero, trattandosi di persone che operano nella sfera giuridica del soggetto responsabile (art. 2049 del c.c.), soltanto sulla colpa altrui. La responsabilità inerente alla relazione del soggetto con cose o animali (art. 2051 del c.c. e art. 2052 del c.c.) riceve particolare disciplina. Non preme tanto di esporre le varie giustificazioni che essa può avere, per scegliere quella che sembri meglio persuasiva, quanto di rilevare che in esso, non può ritenersi operante il principio della pura causalità. Infatti, anche quella dottrina che, nel caso di danno da cose o animali, riteneva di poter parlare di responsabilità, obiettiva, ammetteva la prova liberatoria del caso fortuito, ossia di una causa non imputabile, e comprendeva nel caso fortuito il fatto di un terzo del quale non si debba rispondere e la colpa dello stesso danneggiato. Quale danno cagionato dalla cosa deve considerarsi quello prodotto dall'incendio che si è in essa sviluppato. La responsabilità del custode pertanto deve essere in tale caso regolata dall'art. 2051, sempre che, naturalmente, tra custode e danneggiato, non vi sia un rapporto contrattuale; se tal rapporto vi sia, si osservano le norme degli art. 1588 del c.c., primo comma, e art. 1611 del c.c.. L'onere della prova liberatoria incombe sul detentore della cosa, ed ha per contenuto l'identificazione della causa non imputabile dell'incendio, in modo che la causa ignota rimane a carico del detentore medesimo. L'esempio di una legislazione straniera (legge francese 17 novembre 1922) che addossava al terzo danneggiato l'onere di provare la colpa del detentore della cosa, criticato da autorevoli giuristi dello stesso paese, non era da seguire e non è stato seguito. Nessuna ragione vi era per non considerare sullo stesso piano, quale danno prodotto dalle cose in custodia, quello manifestatosi attraverso un incendio e quello prodotto da esplosioni, emanazioni nocive, scolo di liquidi corrosivi, ecc. La durezza di tale situazione fatta al detentore può essere corretta mercé contratti di assicurazione. Nel nuovo codice si è tenuta presente l'unità del criterio misuratore della colpa, sia contrattuale che extracontrattuale. Per entrambe si ha riguardo al comportamento dell'uomo di media o normale diligenza e cioè del buon padre di famiglia, che va adeguato, come si è già detto (n. 559), alla natura del rapporto cui si ricollega il dovere di condotta. Quanto all'onere della prova circa la colpa, nel caso di responsabilità per fatto proprio (art. 2043) si è mantenuto fermo, di regola, il principio tradizionale secondo il quale esso incombe sul danneggiato. Talora, con riferimento a casi particolari il principia suddetto pone difficoltà al danneggiato; ma il giudice può ovviarvi utilizzando al massimo presunzioni semplici e regole di comune esperienza. In modo che non appariva necessario seguire la tendenza innovatrice di coloro che avrebbero preferito fondare la disciplina dei fatti illeciti sullo spostamento dell'onere della prova, dal danneggiato che afferma la colpa al danneggiante che la nega. Questo spostamento talora è però necessario. Fu consacrato nel codice abrogato per talune responsabilità indirette (articoli 1153, secondo, terzo, quinto e sesto comma, corrispondenti all'art. 2048 del c.c. del nuovo codice), e tale norma è stata estesa ad altri casi: chi è obbligato a sorvegliare un incapace, per quanto tenuto ai danni da quello prodotti sulla base di una responsabilità diretta, deve dare la prova liberatoria (art. 2047 del c.c., primo comma). (Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)”.

[24] Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 443 ss.; Id., L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto, in AA.VV., Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, I, Milano, 1995, 147 ss.. C. Castronovo, Obblighi di protezione e tutela del terzo, , 1976, 123 ss.; C. Castronovo,  «Obblighi di protezione», in Enc. giur., XXI, Roma, 1990; C. Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa dir. priv.,2008, p. 315 ss..; C. Castronovo, L’interesse legittimo varca la frontiera della responsabilità civile, in Europa e dir. privato, 1999, p. 1262 ss.; C. Castronovo, Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso, in Europa e dir. Privato, 2004, 69.; C. Castronovo, Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in Eur. dir. priv,2009, III, p. 679 ss..

[25] In tal senso: L.Mengoni, "Responsabilità contrattuale", in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1072; C. Castronovo, sub art.1176, in Comm. Cendon,IV, Torino,1991,§5.2.; G. Alpa, "La responsabilità civile", Milano, 1999, 102 ss.; cfr: S. Rossi, "Contatto sociale (fonte di obbligazione)", in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento V, 2010 Utet, Torino, 346 -348

[26]In particolare: il riferimento va a Giardina, "La distinzione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale", in Trattato della responsabilità contrattuale. Inadempimenti e rimedi, a cura di Visintini, I, Padova, 2009, 73 ss.; Giardina, "Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Significato attuale di una distinzione tradizionale", Milano,1993, 82 ss.; nello stesso senso è Busnelli, "Verso un possibile riavvicinamento tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale", RCP, 1977, pag.748 ss.; Roppo, "Il contratto", in Tratt. Iudica e Zatti, Milano, 2001, 185.

[27] E. Guella, "Il carattere autonomo degli obblighi di protezione nei sistemi italiano e tedesco: "Le ricadute sulla Struttura del Rapporto Obbligatorio e sulla qualificazione della responsabilità", Deutsch-Italienische Studien – Studi Italo-Tedeschi Vol. 8, 2016, Editorial: Publisher & Zentrum für Europäische Rechtspolitik,Distributor: Fachbereich Rechtswissenschaft Universität Bremen Universitätsallee, GW 1,28359 Bremen-www.zerp.eu.

[28] E. Betti, "Teoria generale delle obbligazioni", I, Milano,1953, 99 ss.; L. Mengoni, "Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi» (Studio critico)", RDC, 1954, I, 185 ss.; Benatti, "Osservazioni in tema di Doveri di protezione", RTPC, 1960, 1342 ss.; Scognamiglio, "Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale", in NN.D.I., XV, Torino, 1968, 670 ss.; C. Castronovo, "Obblighi di protezione", in Enc. giur., XXI, Roma, 1990.

[29] C. Castronovo, "La nuova responsabilità civile 3", Milano 2006, p. 443 s..

[30] S. ROSSI, "Contatto sociale (fonte di obbligazione)", in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento V, 2010 Utet,Torino,346ss. ove l'autore sottolinea più precipuamente che “....il distacco tra le due figure sia andato gradatamente scemando, in ragione, da un lato, dell’espansione dello spettro dell’obbligazione che da rapporto elementare ha acquisito carattere a struttura complessa, arricchito da una serie di obblighi accessori, collegati alla prestazione principale da un nesso funzionale unitario e preordinato alla migliore realizzazione del rapporto obbligatorio ), e dall’altro, in ragione delle più recenti evoluzioni della responsabilità...” in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento V, 2010 Utet, Torino, 346 e ss con riferimento alla definizione di E. Betti, "Teoria generale delle obbligazioni", I, Milano,1953, 99 ss.; nello stesso senso : Mengoni, "Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi» (Studio critico)", RDC, 1954, I, 185 ss.; Giardina, "La distinzione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale", in Trattato della responsabilità contrattuale. Inadempimenti e rimedi, a cura di Visintini, I, Padova, 2009, 73 ss.; ed altri autori citati tra cui: C. Castronovo, Obblighi di protezione, in Enciclopedia giuridica, XXI, Roma,1990.

[31] S Rossi, "Contatto sociale (fonte di obbligazione)", in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento V, 2010 Utet, Torino.

[32] Si confronti: M.Comuzzo, "Gli obblighi di protezione", 2012, tesi di dottorato, pubblicazione, Università degli studi Udine, Centro di ricerca: Dipartimento scienze giuridiche - DISG , cfr. pp. 31-33 note 64-65, dove l'autore sottolinea in riferimento al codice civile tedesco Il Bürgerliches Gesetzbuch, entrato in vigore nel 1900, che l'esigenza è sorta a seguito della stesura del codice in forma pandettistica ed a tal proposito precisa che: << Tale struttura si denota per la redazione sistematica, con la quale il sistema normativizzato doveva soddisfare l'inquadramento dettato gius-positivistico in modo logico e consequenziale. Il BGB è disponibile nella versione italiana tradotta da S. Patti per la casa editrice Giuffré. Si annota che oggi la funzione della teoria e della culpa in contrahendo e delle Schutzpflichten non ha più molta ragione di esistere in Germania. Difatti, dal 1° gennaio 2002 è entrata in vigore la legge sulla modernizzazione del diritto delle obbligazioni,(Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts) che ha ampiamente modificato la disciplina previgente, contenuta nel BGB, in materia di inadempimento contrattuale. La suddetta legge di riforma è stata approvata il 26 novembre 2001 e, come detto, è entrata in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo. Si colloca all’interno di una riforma più ampia del diritto tedesco, basti pensare che solo quattro anni prima oggetto di intervento di revisione era stato il codice penale. In particolare, la riforma del BGB ha riguardato: i) la disciplina della prescrizione; ii) l’introduzione nel codice civile di una serie di leggi speciali, che disciplinavano elementi dell’obbligazione contrattuale; iii) la codificazione dei principi in materia di obblighi di protezione e di culpa in contrahendo; iv) la disciplina dell’inadempimento.

Cfr., sul punto, CANARIS, Die Reform des Rechts der Leistungsstörungen, in JZ, 2001, p. 499 ss. Ora, l’istituto dell’inadempimento legato all’impossibilità della prestazione ovvero al ritardo è stato sostituito da una clausola generale “la violazione dell’obbligo”(Pflichtverletzung), cui è intimamente collegato il giudizio di responsabilità sui danni lamentati dal creditore. Tale nuova clausola è idonea a ricomprendere tutte le tipologie di doveri altri rispetto a quello di prestazione elaborati dalla dottrina e giurisprudenza tedesca nelle more di vigenza del “vecchio” codice civile; vi rientrano, invero, gli obblighi precontrattuali, quelli ex contractu e ex lege, quelli primari e quelli accessori. Per alcune tipologie di obblighi, poi, il legislatore tedesco ha previsto una tutela ad hoc, attraverso l’introduzione di norme specifiche: ad esempio, il § 241, comma II, BGB stabilisce che <>. Con tale norma è stato dato definitivo ingresso agli obblighi di protezione, prima tutelati solo attraverso la clausola generale della buona fede di cui al § 242 BGB. E ancora, in termini più generali, è stata espressamente affermata la natura complessa del rapporto obbligatorio. Anche la responsabilità per culpa in contrahendo ha ricevuto specifica disciplina: il § 311, commi II e III, BGB così recita: <241 sorge anche in virtù: 1. dell’avvio di trattative precontrattuali;2. prima dell’avvio delle trattative contrattuali, allorché una parte, ai fini di una prospettazione o di una preparazione della conclusione del contratto, accorda all’altra la possibilità di incidere sui propri diritti, beni ed interessi, o gliene affida la protezione;3. oppure da contatti negoziali similari. III. Un rapporto obbligatorio con obblighi di cui al comma 2 del § 241 può sorgere anche nei confronti di soggetti che non sono destinati a diventare parti del contratto. In particolare, un rapporto obbligatorio siffatto sorge allorché il terzo induce le parti a riporre fiducia in misura notevole nella sua persona, e in virtù di questo affidamento riesce a influire sullo svolgimento delle trattative o sulla stipulazione del contratto>>.

[33] Cass. Civ., 21 novembre 1911, in S. 1912, 1, p. 72. In senso conforme, Cass. Civ., 27 gennaio 1913, in S. 1913, p. 177.

[34] Sacco, "Concordanze e contraddizioni in tema di inadempimento contrattuale (una veduta d’insieme)", in Europa dir. priv., 2001, p. 131 ss ; In merito si vedano anche: V. Benson, "The Theory of Contract Law", Cambrige, 2001, p. 18 ss.; Alpa – Delfino, "Il contratto nella common law inglese", Padova, 1997, p. 10 ss.; I. Musio, "Breve analisi comparata sulla clausola generale della buona fede", in comparazionedirittocivile.it ; F. Viglione, "L’interpretazione del contratto nel common law inglese. Problemi e prospettive", in Rivista di diritto civile, supplemento annuale di studi e ricerche, 2008, Cedam, Padova.

[35] R.von Jhering, "Culpa in contrahendo oder Schadensersatzbei nichtgen oder nicht zur Perfection gelangtenVertra¨gen, in Jherings Jahrbu¨ cher", 4,1861; R.von Jhering, opera cit. in D’Amico, "La responsabilità precontrattuale", in Trattato del contratto, a cura di Roppo, Milano, 2006, 980,

[36] A favore della natura contrattuale, C. Castronovo, "L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto", cit., 458; Turco, "Interesse negativo e responsabilità precontrattuale", Milano, 1990, 238; L. Mengoni, "Sulla natura della responsabilità precontrattuale", RDC, 1956,II, 360 ss.; Benatti, La responsabilità precontrattuale, Milano,1963, 126;

R. Scognamiglio, "Contratti in generale", in Comm. Scialoja e Branca, Bologna- Roma, 1970, 213 ss.; Rovelli, "Correttezza", in Digesto. civ., IV, Torino, 1989, 426.

A favore della responsabilità aquilliana :C.M. Bianca, "Diritto civile", III, Il contratto, Milano, 2000; Checchini, "Rapporti non vincolanti e regola di correttezza", Padova, 1977, 259 ss.; Roppo, "Il contratto", cit., 184 ss.; Carresi, "Il contratto", in Tratt. Cicu e Messineo, II, Milano, 1987, 734.

[37] L. Mengoni," Sulla natura della responsabilità precontrattuale", in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 360 (da ultimo, nel senso della riconducibilità della responsabilità precontrattuale allo schema dell’art.1218", F. Galgano, "Le antiche e le nuove frontiere del danno risarcibile", in Contratto e impr., 2008, p. 91.

[38] L'art 1337 cc., esprime una regola di condotta secondo lealtà e correttezza, nella duplice accezione negativa, come dovere di astenersi da qualsiasi condotta lesiva dell’interesse altrui, e positiva, come dovere di collaborazione al fine di promuovere o soddisfare le reciproche aspettative. Secondo la dottrina maggioritaria, l'art 1337 cc. si riporta al concetto di buona fede cd. oggettiva nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. In tal senso F. Benatti, "La responsabilità precontrattuale", Giuffrè, Milano, 1963, pp. 47 – 49 precisa il concetto di buona fede in senso oggettivo, che rileva agli effetti dell’art. 1337 c.c. secondo cui la responsabilità precontrattuale ha fondamento normativo nell’art. 1337 c.c.. Tale norma detta un generale criterio di comportamento delle parti contraenti, impone loro di comportarsi, reciprocamente, l’una nei confronti dell’altra, in modo conforme al canone fondamentale della buona fede.

Altri autori si sono curati di distinguere tale accezione oggettiva, dalla buona fede cd. soggettiva, ossia la buona fede che rileva come stato soggettivo: secondo autorevole dottrina, in tale accezione soggettiva, la buona fede rileva o come ignoranza di ledere l’altrui diritto, o come erronea convinzione di agire iure oppure ancora come affidamento in una situazione giuridica apparentemente diversa da quella reale (Bessone M. – D’Angelo A., voce Buona fede, in Enc. giur., V, p. 1; si confronti anche Giannini M. S., "L’interpretazione dell’atto amministrativo e la teoria generale dell’interpretazione", Giuffrè, Milano, 1939, pp. 142 e ss.). Si annota anche una tesi meno recente, condivisa da autorevole dottrina (Montel A., voce Buona fede, in Noviss.dig., II, p. 602; Natoli U., "Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento giuridico italiano", in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 18), il concetto di buona fede ha carattere unitario, con ciò intendendo che sia l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, sia l’opportunità di tutelare il soggetto che versi in una situazione di errore sono espressione di un medesimo principio etico e giuridico unitario. Secondo tale orientamento deve, pertanto, disconoscersi la distinzione giuridico – concettuale tra buona fede in senso oggettivo ed in senso soggettivo. In particolare, secondo tale orientamento, nelle ipotesi in cui la buona fede viene in rilievo come atteggiamento psicologico, essa implica anche una valutazione del comportamento posto in essere dal soggetto in termini di conformità al canone della correttezza, in quanto l’erronea rappresentazione di una circostanza imprime al comportamento un carattere di correttezza: in altri e più semplice termini, chi è in buona fede agisce correttamente, ossia secondo buona fede, con la conseguenza che non vi è alcuna distinzione tra essere in buona fede e comportarsi secondo buona fede in quanto espressioni del medesimo principio metagiuridico si confronti in tal senso cfr. Bonfante P., Scritti giuridici vari, II, Unione Tipografico – Editrice Torinese, Torino, p. 717). Secondo minoritaria dottrina, la buona fede ex art. 1337 c.c. impone solamente obblighi negativi di astensione da comportamenti sleali (Betti E., Teoria generale delle obbligazioni, I, Giuffrè, Milano, 1953, pp. 81 – 82).; Di Benedetto, "Diritto civile", op. cit., 509 – 510; Nanni L., Le trattative, in Nuova giur. civ. comm., 1989, II, p.137.)

[39] L. Mengoni, "Sulla natura della responsabilità precontrattuale", in Riv. dir. comm., 1956, II, p.360.

[40] Come è noto, si intende per buona fede “soggettiva” lo stato psicologico di un soggetto, ovvero la sua percezione della realtà, che si atteggia, di volta in volta come erronea convinzione di agire in conformità del diritto, come ignoranza di ledere un diritto altrui, come affidamento in una situazione apparente, ma difforme dalla effettiva realtà giuridica. Diversamente, il concetto di buona fede intesa in senso “oggettivo” è, invece, riconducibile ad una esperienza generalizzata di un fatto o di un comportamento considerato in sé per sé, assumendo la natura di una obiettiva regola di condotta. L’attuale codice civile italiano menziona più volte l’espressione buona fede (tra cui, agli artt. 535, 534, 936, 937, 938, 1147, 1153, 1155, 1159, 1162, 1175, 1337, 1358, 1375, 1415, 1416, 1445, 1460 c.c.).

[41] L. Mengoni, "Sulla natura della responsabilità precontrattuale", in Riv. dir. comm., 1956, II, p.360 e ss

[42] L’affidamento non va confuso, però, con il concetto di fiducia, intesa in senso tecnico, poiché attraverso l’affidamento si suole tutelare uno stato di “fiducia” su un fatto giuridico presente o passato e non su un fatto futuro. Il dovere di buona fede, incorpora l’affidamento delle parti nel suo incondizionato rispetto.

Diversamente, invece, L. Bigliazzi Geri, "L’interpretazione del contratto", in Commentario Schleisinger, (artt. 1362 – 1371), Milano, 1991, p. 211, secondo cui la buona fede oggettiva non accorda rilevanza all’affidamento, poiché, mentre l’affidamento deve considerarsi quale criterio unilaterale di risoluzione di un conflitto di interessi, la buona fede, invece, rappresenta un criterio bilaterale e qualitativo.

[43] Si veda sull’argomento, tra gli altri, G. Meruzzi, "La trattativa maliziosa", Padova, 2002, p. 106; V. Pietrobon, voce Affidamento, in Enc. giur. Treccani, I, Ist. Enc. it., Roma, 1988, p. 1 e ss.; ID., "Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico", Padova, 1990, p. 3, secondo l’Autore l’affidamento ha un ruolo “consistente nella realizzazione di una giustizia sostanziale anche nei rapporti fra le parti di un contratto”.

[44]Così C. Castronovo, "Obblighi di protezione", op. cit.. E' stato osservato dall'Autore che la «culpa in contrahendo» e la violazione degli « obblighi di protezione» - in quanto fondate sullo stesso presupposto (violazione della sfera giuridica altrui) e ascritte alla stessa area di responsabilità  (quella contrattuale), nell’esecuzione del contratto - si individuano come indicative di lesioni uguali sul piano formale e solo diverse dal punto di vista temporale».

[45] E.Betti, "Teoria generale delle obbligazioni", Milano 1953.

[46] Betti, "Teoria generale delle obbligazioni", cit.; Mengoni, op. cit.. Si confronti anche Benatti, "Doveri di protezione", cit., p. 222..  Si vedano anche C. Castronuovo, "Obblighi di protezione", voce, in Encicl. Giur. Treccani, Roma, 1990, Vol. XXI.

[47] H. Stoll, "Abschied von derLehre von der positiven Vertragsverletzungen", in Arch. Civ.Pr., 136,1932, 288 ss.; Id., "Die Lehere von den Leistungsstorungen", Tubingen, 1936,27 ss; H.Staub, "Die positiven Vertragsverletzungen", Berlin, 1904, 93ss.; H.Kress, "ehrbuch des allgemeinen Schuldrechts", Munchen,1929,578ss.; C.W.Canaris, "Schutzgesetze-Verkehrspflichten-Schutzplifchten", in Festschrift fur ; Karl Larenz, Munchen, 1983, 27 ss., trad. it. in "Norme di protezione,obblighi del traffico, doveri di protezione", RCDP,1983, 297 ss.

[48] H. Staub, "Die positiven Vertragsverletzungen und ihre Rechtsfolgen", in Festschr. F. den XXVI Deutschen Juristentag, pubblicata sotto forma di monografia nel 1904 (ristampe nel 1913 e nel 1969). L’opera è stata tradotta in Italia da G. Varanese col titolo Le violazioni positive del contratto, Napoli,2001. Le informazioni sono consultabili all’indirizzo www.treccani.it.

[49] E. Betti, op. cit., 96; L.Mengoni, "Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di«mezzi»", op. cit., 366; Id., "La parte generale delle obbligazioni", RCDP, 1984, 515 ss.. Contributi piu particolareggiati in argomento sono quelli di: Benatti, "Osservazioni in tema di «doveri di protezione»", cit.,1342; Id., "Doveri di protezione", in Digesto/civ., VII, Torino,1991,221;.; C. Castronovo, "Obblighi di protezione e tutela del terzo", J, 1976, 123 ss.. Aspetti critici vengono rilevati da: P. Rescigno, "Incapacità naturale e adempimento", Napoli, 1950, 51ss.; Bigliazzi Geri, "Buona fede nel diritto civile", in Digesto/civ., II, Torino, 1988, 169; ed altri .

[50] L.Mengoni, "Sulla natura della responsabilità precontrattuale",cit., 360 ss

[51] Si veda in tal senso quanto afferma L. Mengoni, nello scritto: "Sulla natura della responsabilità precontrattuale", op. cit., pagg. 369 ss.. , ove secondo Luigi Mengoni, sia nella fase delle trattative che della formazione del contratto : [ … ] «gli obblighi di comunicazione, di informazione, di custodia costituiscono singoli atteggiamenti in un complesso rapporto, in cui si traduce, variamente specificandosi secondo le circostanze e la natura del regolamento negoziale avuto di mira, l’impegno reciproco delle parti, fissato dall’art. 1337 cod. civ., di comportarsi secondo buona fede».

[52] Si è fatto notare in dottrina a cura di C. Castronovo che gli obblighi di protezione si inseriscono, senz’altro, in un  rapporto di natura quale può essere un contratto , ma conservano una loro autonomia. Ciò perché la fonte primaria  da cui traggono origine è la legge. Il riferimento bibliografico è C. Castronovo, Obblighi di protezione, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma 1990, vol. XXI.

[53] S. Rodotà, "Le fonti di integrazione del contratto", Giuffré, Milano, 2004; Più di recente si veda F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni scientifiche italiane, Napoli,2017, 781 e ss.

[54] Cfr. Castronovo, "La nuova responsabilità civile 3", Milano, 2006, 468, nt. 58.; Mengoni, "Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi»", cit., 368; Carusi, "Correttezza (obblighi di)",in Enc. dir., X, Milano, 1962, 709 ss.

[55] Tra i sostenitori di questa tesi non è però pacifico il fondamento degli obblighi di protezione: accanto alla opinione maggioritaria che rinviene tale fondamento. In tal senso, da ultimo L. Lambo, "Responsabilità civile e obblighi di protezione", in Danno e resp., 2008, p. 140. Tra i sostenitori nel principio di buona fede integrativa di cui all’art. 1375 c.c. (L. Mengoni, Obbligazioni «di risultato» e obbligazioni «di mezzi», in riv. di dir. comm.,1954; F. Benatti, Osservazioni in tema di «doveri di protezione», in Riv. trim. proc. civ., 1960, p. 1351).  

Sulla sostanziale equiparazione delle nozioni di correttezza e buona fede, L. Nanni, "La buona fede contrattuale", I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale, collana diretta da F. Galgano, Padova, 1988, p. 145 ss..

Per E. Betti, "Teoria generale delle obbligazioni", I, Milano, 1953, 65, i precetti enunciati dagli artt. 1175 e 1375 c.c. assolverebbero, invece, distinte funzioni: la correttezza imporrebbe all’obbligato solo doveri di segno negativo, mentre la buona fede, in senso opposto, solo doveri di carattere positivo.

[56] L.Mengoni, "Sulla natura della responsabilità precontrattuale", in Riv. dir. comm., 1956, II, p. 360.

[57]  In tal senso anche C.Castronovo, "Obblighi di protezione e tutela del terzo", cit., 123 ss.;Id., "Obblighi di protezione", cit., § 3.2., 4.2 e § 8 per cui gli obblighi di protezione in quanto categoria generale del rapporto obbligatorio sono una scoperta relativamente recente della scienza giuridica e solo ancor piu` di recente hanno trovato nel nostro ordinamento la loro fonte normativa fondamentale nell’art. 1175 del codice civile del 1942.

[58] Il riferimento è, a Emilio Betti e Luigi Mengoni, ma anche a Falzea, "L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore", Milano, 1947, p. 52 ss.; Giorgianni, "L’obbligazione. La parte generale delle obbligazioni". Milano, 1951, p. 148 ss. .

[59] Come sostenuto da autorevole dottrina (cfr:l. Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., 364.), citazione «quando una norma giuridica (come nel nostro caso l’art. 1337 c.c.) assoggetta lo svolgimento di una relazione sociale all’imperativo della buona fede, ciò è un indice sicuro che questa relazione si è trasformata, sul piano giuridico, in un rapporto obbligatorio, il cui contenuto si tratta appunto di specificare a stregua di una valutazione di buona fede». Posto che l’art. 1337 c.c. costituisce un’estensione della buona fede contrattuale alla fase delle trattative, appare quindi coerente alla ricostruzione del sistema attribuire identica natura alla responsabilità per violazione della buona fede, a prescindere che trovi espressione nell’ambito del rapporto contrattuale o nel rapporto pre-negoziale (cfr Benatti, Culpa in contrahendo, CeI, 1985, 304; Rovelli, La responsabilità precontrattuale, in Tratt. Bessone,XIII, II, Torino, 2000, 372.).

[60] Confronta fonte in nota precedente: “quando una norma giuridica assoggetta lo svolgimento di una relazione sociale all’imperativo della buona fede, ciò è un indice sicuro che questa relazione si è trasformata, sul piano giuridico, in un rapporto obbligatorio, il cui contenuto si tratta appunto di specificare a stregua di una valutazione di buona fede stessa”.

[61] C. Castronovo, "L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto", cit., 147 ss.; Id., "La nuova responsabilità civile 3", cit., 443 ss.; Concetto, quello dell’obbligazione senza obbligo primario di prestazione (Schuldverha¨ltnis ohne prima¨re Leistungspflicht), elaborato da K. Larenz, "Lehrbuch des Schuldrechts 14", I, Mu¨nchen,1987, 104 ss.

[62] Günter Haupt, "Der Luftraum. Eine staats- und völkerrechtliche Studie", Breslau 1931; id, "Die allgemeinen Geschäftsbedingungen der deutschen Banken", Leipzig 193; id, "Gesellschaftsrecht", Tübingen 1939; ed in particolare id, "Über faktische Vertragsverhältnisse", Leipzig 1941 disponibile in traduzione lingua italiana con il titolo Gunter Haupt, sui rapporti contrattuali di fatto, curatore dell' opera della traduzione di G. Varanese, Giappichelli, Torino, 2012.

[63] Tra gli altri Hans Dolle, "Rechts- vergleichende Bemerkungen zum Problem des kiinftigen gesetzlichen", 1953 .L'Autore giunse a tale risultato partendo da due presupposti: la culpa in contrahendo e la teoria dei c.d. obblighi di protezione (Schutzpflitchen). Mediante la culpa in contrahendo, lo studio condotto da Jhering in tema di responsabilità precontrattuale, fu esteso fino a creare concettualmente il rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione, con il quale si consentì sul piano pratico la risarcibilità di quei danni che una parte cagionava all’altra nel corso delle trattative precontrattuali, e che non potevano essere risarciti in via aquiliana dato il sistema di tipicità degli illeciti proprio del § 823 BGB (ante riforma 2002).

[64] Si veda in proposito di recente, C. Castronovo, "L’eclissi del diritto civile", Milano, 2015 pp. 138;142-145.

[65] Concetto, quello dell’obbligazione senza obbligo primario di prestazione (Schuldverha¨ltnis ohne prima¨re Leistungspflicht), elaborato da K. Larenz, Lehrbuch des Schuldrechts14, I, Mu¨nchen, 1987, 104 ss. al fine di rappresentare in maniera dogmaticamente compiuta sia il particolare legame che si instaura tra i soggetti che avviano trattative contrattuali che l’autonomia degli obblighi di protezione in un rapporto privo di prestazione principale.

[66] C. Castronovo, "Ritorno all’obbligazione senza prestazione", in Eur. dir. priv, 2009, III.

[67] In dottrina si è fatto rilevare che l’intero sistema delle obbligazioni e dei contratti fa capo a tale disposizione poiché nell’inciso finale “ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità all’ordinamento giuridico” predispone un’apertura che ha consentito un orientamento costituzionale di tutte le posizioni obbligatorie al di fuori della definizione contrattuale tipica. Proprio nei termini dell’art 1173 c.c. trova ingresso il “contatto sociale qualificato”, dove si assiste al fenomeno di un danno, che pur verificatosi in assenza di un vincolo contrattuale viene spostato nell'area della responsabilità contrattuale attraverso l'individuazione di un rapporto obbligatorio derivante da una fonte diversa dal contratto stesso. Per l’approfondimento sulla struttura del contatto sociale si veda in tal senso, A.Santoro, "La responsabilità da contatto sociale: profili pratici e applicazioni giurisprudenziali" ,2012, Milano,Giuffré.

[68] Sulla differenza tra rapporti contrattuali di fatto e obbligazioni da contatto sociale si veda Stella Richter, "Contributo allo studio dei rapporti di fatto nel diritto privato", RTPC, 1977, 157; C. Castronovo, "La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio", EDP, 2003, 157; Faillace, "La responsabilità da contatto sociale", Padova, 2004, 33 ss.; Sarica, "Il contatto sociale fra le fonti della responsabilità civile: recenti equivoci della giurisprudenza di merito", CeI, 2005, 97.

[69] La figura della responsabilità del passante è stata efficacemente evocata per la prima volta da C. Scognamiglio, Introduzione al convegno "La responsabilità di diritto civile della pubblica amministrazione” tenutosi a Siena il 22-23 maggio 1998.

[70] La qualificazione richiamata è tratta estratta da: S Rossi, "Contatto sociale" (fonte di obbligazione) in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento V, 2010 Utet, Torino.

[71] Cfr: così Castronovo, "L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto", cit., 448

[72] C.Castronovo, "L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto", in cit., p. 147 ss.; ID., "Tra contratto e torto l’obbligazione senza prestazione", in La nuova responsabilità civile, cit., p. ; ID., La nuova responsabilità civile, cit., 468 ss.; Di Majo, "La responsabilità contrattuale", cit., p. 27 ss.; Busnelli, "Dopo la sentenza n. 500. La responsabilità civile oltre il muro degli interessi legittimi", in Riv. dir. Civ., 2000, I, p. 335 – 340; C. Castronovo, "L’eclissi del diritto civile", Milano, 2015, cit. , p.130 ss. Qui l'Autore richiama come ascrivibili a tale categoria la responsabilità da informazioni false o inesatte fornite da un professionista, come anche l’attività del professionista sanitario dipendente da una struttura sanitaria provochi danni ad un paziente affidato alle sue cure. Si annovera ancora la responsabilità del dipendente scolastico per danni che un alunno si sia auto-inflitto, così come la responsabilità della pubblica amministrazione come si vedrà in seguito di recente approdo da parte di recenti pronunce giurisprudenziali.

[73] C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, 2006, opera cit.

[74] G.Haupt,Uber Faktische Vertragsverha¨ltnisse, in Festschrift der LeipzigerJuristenfakulta¨t fur F. Siber, II, Leipzig, 1943, 23;e` stato approfondito in materia di Schutzpflichten da H.Dolle, Aussergesetzliche Schuldpflichten,ZStW, (103) 1943, 67 ss. Sulla differenza tra rapporti contrattuali di fatto e obbligazioni da contatto sociale si veda Stella Richter, "Contributo allo studio dei rapporti di fatto nel diritto privato", RTPC, 1977, 157; C. Castronovo, "La responsabilità civile in Italia al passaggio del millennio", EDP, 2003, 157; Faillace, "La responsabilità da contatto sociale", Padova, 2004, 33 ss...

[75] Il concetto di «contatto sociale», risale a G. Haupt, che lo inquadrava nell’ambito dell’analisi dei rapporti contrattuali di fatto.

[76] Preme sin d'ora rammentare sull’argomento un’importante pronuncia della Corte di Cassazione in materia di responsabilità medica, ove quest’ultima, dopo aver tracciato un bilancio degli orientamenti sino ad allora emersi, ha indicato come possibile spiegazione la categoria del rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione insieme alla, maggiormente diffusa, categoria dei rapporti contrattuali di fatto, da cui tuttavia scaturiscono obbligazioni di contenuto completo. In tale pronuncia il riferimento è al contatto sociale e non all’affidamento, ma sicuramente per il ragionamento che la sorregge costituisce uno dei punti di partenza su cui edificare il progetto di riconoscimento dei doveri di protezione. Si confronti Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro it., 1999, I, p. 3332: “L'obbligazione del medico dipendente dal S.s.n. per responsabilità professionale nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale" ha natura contrattuale. Consegue che relativamente a tale responsabilità i regimi della ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione sono quelli tipici delle obbligazioni da contratto d'opera intellettuale professionale”.

[77] La citata dottrina ora indicata viene affiancata da altra dottrina che, con pari intento modernizzatore del rapporto obbligatorio, configura gli obblighi altri mediante la relazione caratterizzata dallo status, inteso come attività professionale specializzata sottoposta a determinate regole di comportamento volte al perseguimento di certi fini, che potrebbe configurarsi come la fonte unica che suscita affidamento e genera obblighi di conservazione. Il riferimento è ad C. Scognamiglio, Sulla responsabilità dell’impresa bancaria per violazione di obblighi discendenti dal proprio status, GI, 1995, 356, 363 ss.; Id., Ancora sulla responsabilità della banca per violazione di obblighi discendenti dal proprio status, BBTC, 1997, II, 655 ss.

[78] Il riferimento è a C. Castronovo, "L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto", op.cit..

[79] Ci si riferisce a C. Castronovo, "L’eclissi del diritto civile", Milano, 2015, cit., p.130 ss. Il testo è stato abbondantemente commentato nella rivista Europa e diritto privato vol 4/2016 da vari autori (ndr, si confronti nota 77).

[80] Si fa riferimento qui alle impostazioni dei vari autori che si sono occupati del contatto sociale. Per una ricapitolazione dettagliata dell’impostazione e dei caratteri del contatto sociale, S Rossi: "Contatto sociale" (fonte di obbligazione), in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Appendice di aggiornamento V, 2010 Utet, Torino.

[81] Nello stesso senso, ex multis, Mengoni, "Sulla natura della responsabilità precontrattuale", in Riv. dir. comm. E obbligazioni, 1956, II, 370; Romano, "Buona fede (Diritto privato)", in Enc. dir., Milano, 1959, V, 682; Benatti, "Culpa in contrahendo", in Contratto e impresa, 1987, 303 ss.; Stella Richter, "La responsabilità precontrattuale", Torino, 1996, 124 ss; Galgano, "Diritto civile e commerciale", II, 1, 1990, 466-467; Visintini, "La reticenza nella formazione dei contratti", Padova, 1972, 100 ss.; Messineo, "Il contratto in genere", I, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1973, 365; Di Majo, "Delle obbligazioni in generale", in Comm. Scialoja-Branca, sub art. 1173, Bologna-Roma, 1988, 201 ss.; Turco, "Interesse negativo e responsabilità precontrattuale", Milano, 1990, 425 ss.; Franzoni, "Dei fatti illeciti", in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 22.

In giurisprudenza, pochissime sono le sentenze però che ad oggi affermano la natura contrattuale della culpa in contrahendo, e, tra di esse, v. App. Milano, 2.2.1990, in Giur. it., 1992, I, 2, 49 ss., con nota di Arietti, "Culpa in contrahendo e responsabilità da prospetto"; Trib. Milano, 11.1.1988, in Giur. comm., 1988, II, 585 ss., con nota di Ferrarini, "Investment banking, prospetti falsi e culpa in contrahendo"; App. Milano, 6 .11.1987, in Giur. it., 1988, I, 2, 796; Trib. Milano, 17.9.1973, commentata in Nanni, "La buona fedecontrattuale", ne I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale , IV, Padova, 1988, 113; App. Palermo, 6.4.1971, in Giur. di Merito, 1973, I, 603; App. Venezia, 11.1.4.1953, in Foro padano, 1954, I, 1150. In giurisprudenza, tra le ultime, v., per la natura extracontrattuale, Cass., 16.7.2001, n. 9645, in Giust. civ. mass., 2001, 1404; Cass., 29.4.1999, n. 4299, in Giur. it., 2000, 932; Cass., 30.8.1995, n. 9157, in Giust. civ. mass., 1995, 1568; Cass., 13.12.1994, n. 10649, in Mass. Foro it.,1994.

[82] Così Castronovo, "L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto", in La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, 177-178, già pubblicato in Scritti in onore di L. Mengoni , Milano, 1995, 147 ss..

[83] L’inciso finale dell'art. 1173 c.c. è, però, a lungo rimasto privo di applicazioni di rilievo, nonostante, le sollecitazioni e indicazioni fornite dal dibattito dottrinale Ex pluris, si veda, Scognamiglio, "Sulla responsabilità dell’impresa bancaria per violazione di obblighi discendenti dal proprio status", in Giur. it., 1995, IV, 362 ss. Si veda anche Giorgianni, "Appunti sulle fonti delle obbligazioni", in Riv. dir. civ., 1965, I, 72 ss. L’elaborazione dottrinale successiva (Rescigno, Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, 151, e Di Majo, "Delle obbligazioni in generale", in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 175; Id., "Obbligazione: Teoria generale", in Enc. giur.,XXI, Roma, 1990. La dottrina aveva colto un’analogia tra il riservare all’ordinamento giuridico il giudizio di idoneità di ogni singolo atto o fatto idoneo alla produzione di obbligazioni e il riconoscimento dell’autonomia privata nella creazione di tipi contrattuali, ulteriori rispetto a quelli nominati, ai sensi del 2° co. dell’art. 1322 c.c.. Contrario è, però Bianca, "Diritto civile", vol. 4 "L’obbligazione", Milano, 1990, 5 ss., che tende a circoscrivere la portata innovativa della formulazione dell’art. 1173 c.c.), affinando e arricchendo di accenti moderni l’acquisizione dell’atipicità delle fonti dell’obbligazione, l’ha coordinata con una maggiore sensibilità al dato normativo costituzionale. Dopo aver individuato gli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale, i principi di eguaglianza sostanziale e le esigenze di tutela della persona a fronte dell’esercizio di attività economiche private, sono state prospettate poi una serie di figure sintomatiche di situazioni economico-sociali, suscettibili di assumere efficacia vincolante alla luce dei principi dell’ordinamento così richiamati, e dunque qualificabili come idonee a produrre obbligazioni.

[84] C. Castronovo, "Le frontiere nobili della responsabilità civile", in La nuova responsabilità civile. Regola e metafora, Milano, 1991, 40 ss.

[85]Così Forziati, "La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il contatto sociale conquista la cassazione", in Resp. civ. e prev., 1999, 679 ss., che sarcasticamente include nella categoria la responsabilità dell’automobilista nei confronti del pedone e quella dell’infermiere nei confronti del paziente di una clinica. Infatti, in entrambe le ipotesi il soggetto agente ha conseguito un’abilitazione, e, per questo, sussisterebbe da parte del soggetto leso un affidamento nell’altrui professionalità o nell’altrui comportamento responsabile. Il pericolo paventato, peraltro, sembra materializzarsi, data la continua estensione della teoria a fattispecie diverse. V., a tal proposito, Cass., 23.10.2002, n. 14934, in Nuova giur. comm., 2004, I, 116 ss., con nota di Barbanera. La responsabilità da contatto sociale approda anche tra i notai, che, pur non applicandola nel caso concreto, in linea di principio, considera la responsabilità da contatto configurabile anche per il notaio. Riconosce, infatti, che l’attività professionale del notaio rientra tra quelle protette e crea un affidamento nel soggetto che riceve la prestazione. Per questo motivo, tale attività deve avere sempre le stesse caratteristiche e qualità previste dalle norme di varia natura che la presiedono, non potendosene prescindere nei casi in cui la prestazione non sia effettuata sulla base di un contratto di prestazione d’opera professionale intellettuale, poiché ciò determina in ogni caso una sua responsabilità.

[86] Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro it., 1999, I, p. 3332. Proprio in questa sfera, il legislatore, a più riprese, ha dato un evidente segnale di volerne definire i contorni per contenerne il perimetro, addirittura, arrivando a profilare una presa di distanze per ridimensionare il fenomeno del contatto sociale stesso, praticando normativamente, il superamento della prospettazione contrattualistica costante nelle pronunce di legittimità. La scia evolutiva che fa capo alla citata sentenza della Cass. 22.1.1999, n. 589, fronteggia questa diversa prospettazione del legislatore, il quale si esprime con la legge 8 novembre 2012, n. 189, per una riconduzione della responsabilità del medico dipendente da struttura sanitaria all'alveo dell'art 2043 c.c., dato non recepito dalla giurisprudenza, che è rimasta granitica sulla posizione della responsabilità contrattuale. Il legislatore è tornato, di recente, a misurarsi in tema responsabilità professionale del personale sanitario, con nuove prospettazioni normative al vaglio di Camera e Senato sfociate nella Legge n. 24 del 8.3.2017, con cui è radicata, così, la convinzione di volere inquadrare il problema riguardante non solo il medico, ma tutte le professioni sanitarie , riconducendo la responsabilità del sanitario strutturato alla forma della responsabilità extracontrattuale  dell’obbligazione.

[87] Si tratta di Cass., S.U., 27.6.2002, n. 9346, in Foro it., 2002, I, 2635 ss., con nota di Di Ciommo, La responsabilità contrattuale della scuola (pubblica) per il danno che il minore si procura da sé: verso il ridimensionamento dell’art. 2048 c.c.; in Resp. civ. e prev., 2002, 1022 ss., con nota di Facci, Minore autolesionista, responsabilità del precettore e contatto sociale; in Corriere giur., 2002, 1293-1296, con nota di Morozzo della Rocca, Le Sezioni Unite sul danno cagionato al minore da se stesso ; in Danno e resp., 2003, 51 ss., con nota di Lanotte, Condotta autolesiva dell’allievo: non risponde l’insegnante.

[88] È opportuno rilevare, a tale ultimo riguardo, che, mentre il dolo riguarda l’ipotesi (del tutto eccezionale) in cui l’insegnante abbia previsto e voluto l’evento dannoso come conseguenza della propria azione od omissione, la colpa grave va identificata in una vasta ed evidente difformità tra l’atteggiamento previsto e quello doveroso, ossia in una massima imprudenza ed inammissibile negligenza del comportamento del dipendente (cfr. Corte dei Conti Sez. II03/04/1989 n° 63).

[89] Corte di Casszione, 13 maggio 1995, n. 5268, in Nuova giur. civ. comm., 1996, I, p. 239, con nota di L. Zaccaria, Sulla responsabilità civile del personale scolastico per i danni sofferti dal minore; Cassazione, 10 febbraio 1999, n. 1135, in Giur. it., 2000, I, 1, c. 506, con nota di V. Pandolfini, Sulla responsabilità dei precettori e dell’ente scolastico per il danno cagionato dall’allievo a sé medesimo.

[90] S confronti, in questo senso, Cassazione, 12.7.1974, n. 2110, in Giur. it., 1975, I, 1, 70; Cass., 13.5.1995, n. 5268, in Nuova giur. comm., 1996, I, 239, con nota di Zaccaria, Sulla responsabilità civile del personale scolastico per i danni sofferti dal minore; Cassazione, 10.2.1999, n. 1135, in Rep. Foro it., 2000, Danni civili, n. 269. In dottrina, cfr. Franzoni, "Dei fatti illeciti", in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993, 351; Id., "Illecito dello scolaro e responsabilità del maestro elementare", in Danno e resp., 1997, 454.

[91] Bianca M., "Diritto Civile" vol. V "La Responsabilità", Giuffrè, Milano, 1987 p. 582.

[92] S veda in tal senso, Cassazione n. 1135 del 1989).  

[93] In tal senso, in dottrina, M. Franzoni, "Illecito dello scolaro e responsabilità del maestro elementare", nota a Cassazione, 24 febbraio 1997, n. 1683, in Danno e Resp., 1997, 4, p. 454., Cassazione n. 8390/1995; Cass azione n. S.U. 7454/1997; Cass. n. 6331/19988; Cass. n. 11453/2011.

[94] Sul punto, si veda D’Aquino, "Regime aquiliano differenziato e colpevolezza dell’incapace", in Danno e resp., 1996, 291;

[95]  Si confronti : Cass., 26.6.2001, n. 8740, in Foro it., 2001, I, 3098, con nota di Di Ciommo, "L’illiceità (o antigiuridicità) del fatto del minore (o dell’incapace) come presupposto per l’applicazione dell’art. 2048 (o 2047) c.c."; Cass., 11.8.1997, n. 7454, in Danno e resp., 1998, 260, con nota di Rossetti, "La P.A. risponde del danno causato dall’alunno a sé medesimo".

[96] Al riguardo, le S.U. con la nota sentenza 17/06/2002 n° 9346 precisano che l’indirizzo restrittivo trova conferma nella condivisibile opinione di autorevole dottrina “secondo cui nella ricostruzione della disciplina della responsabilità aquiliana l’art. 2048 CC è concepito come norma di propagazione della responsabilità in quanto, presumendo una colpa in educando o vigilando, chiama a rispondere genitori, tutori, precettori, maestri d’arte per il fatto illecito cagionato dal minore a terzi. La responsabilità civile nasce come responsabilità del minore verso terzi e si estende ai suddetti soggetti

[97] In questo modo, come efficacemente rilevato in dottrina, S. Faillace, "La responsabilità da contatto sociale", Padova, 2004., p. 54 ss..

[98] si veda, Cassazione 22 aprile 2009, n. 9542.

[99] S. Faillace, "La responsabilità da contatto sociale", op. cit., p. 62.

[100]Il virgolettato è riportato dal testo di Cassazione civile sez. III - 26/07/2019, n. 20285

[101]Il virgolettato è riportato dal testo di Cassazione civile sez. III - 26/07/2019, n. 20285

[102]Il virgolettato è riportato dal testo di Cassazione civile sez. III - 26/07/2019, n. 20285

[103]Nella specie si trattava di un Comune obbligato, dalla L. 18 marzo 1968, n. 444, art. 7, a curare la manutenzione degli edifici adibiti a scuola materna e tale obbligo, di natura pubblicistica. Ne discende la responsabilità del Comune per la violazione di tale diritto in conseguenza del proprio inadempimento, una volta che in fatto sia stato accertato il nesso causale tra detto inadempimento ed il fatto dannoso. Si veda teso della sentenza Cassazione civile sez. III, 27/06/2011, n.14107 in Giust. civ. 2012, 10, I, 2395.

[104] Si confronti in particolare Cassazione n. 3680/2011, Cassazione n. 1769/2012, Cassazione n. 11751/2013, Cassazione n.22752/2013, Cassazione n. 2413/2014, Cassazione n. 23202/2015 ed altre.

[105] Ad esempio, gradini di ingresso dell’edificio scolastico: può, dove ne ricorrano i presupposti, avere referente giuridico nell’articolo 2051 c.c. relativo alla responsabilità del custode Si veda in tal senso Cassazione n. 3081 del 2015.

[106] La figura della responsabilità del ―passante è stata efficacemente evocata per la prima volta da C. Scognamiglio, Introduzione al convegno ―La responsabilità di diritto civile della pubblica amministrazione” tenutosi a Siena il 22-23 maggio 1998.

[107] Così parafrasando quanto sostenuto da già citata dottrina (ndr, v. retro).

[108] G. Vettori, "Contratto Giusto e rimedi effettivi", in Riv. trim. dir e proc. civ., 2015, p. 791. Ulteriore riferimento è a N. Bobbio, Sul ragionamento dei giuristi, in Riv dir civ. 1955, p 3 ss., richiamato da Vettori, "Regole e Princìpi. Un decalogo", in Persona e Mercato, 2015, p. 52.; Grossi, Sull'odierna 'incertezza' del diritto, in Giust. civ., 2014, p.18., Da ultimo, sull'interpretazione si veda l'originale riflessione di Bin," A discrezione del giudice. Ordine e disordine una prospettiva quantistica”, Franco Angeli, Roma, 2013; N. Irti, "Nichilismo giuridico", Roma,-Bari, 2015; "La crisi della fattispecie", Riv. dir. proc., 2014, I, 36; "Un diritto incalcolabile", in Riv. dir. proc., 2105, p. 11 ss.; C. Castronovo, "Eclissi del diritto civile", Milano, 2015, p. 237 ss.; Benedetti, "Fattispecie e altre figure di certezza", in Persona e Mercato, 2015, p.67.; Lipari, "I civilisti e la certezza del diritto", in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, p.115.

[109] G. Alpa, "Diritto della responsabilità civile", Roma-Bari, 2003, p. 290 ss.; M. FranzonI, Il danno risarcibile, in Tratt. Franzoni, Milano, 2004, p. 621 ss.; P.G. Monateri, La responsabilità civile, in Tratt. Sacco, Torino, 1998, p. 19 ss.; La responsabilità civile nella giurisprudenza della Corte costituzionale, a cura di M. Bussani, Napoli, p. 3 ss.

[110] G. Alpa, "Diritto della responsabilità civile", Roma-Bari, 2003, cit., p. 291: «Distribuzione dei rischi e allocazione dei costi sono esito di un processo culturale che…si apre a una prospettiva per così dire “sociale” o collettiva, fermo il fatto che preoccupazione del legislatore non è più (soltanto) quella di individuare il responsabile e di stabilire a quali condizioni questi è obbligato a riparare il danno, ma diventa (anche) quella di istituire criteri di riparazione dei rischi che consentano, al tempo stesso, di assicurare la più ampia tutela dei danneggiati e di distribuire le perdite nel mondo economico. Il problema del danno, nei suoi riflessi economici, diviene così un problema di carattere sociale, e si tende perciò a studiare il modo di contenere anche gli effetti indotti sul piano dei costi sopportati dalla collettività».

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