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Pubbl. Ven, 29 Mag 2015

Dichiarata illegittima la valutazione delle prove concorsuali dopo sedici anni dall’assunzione, il concorso è annullabile?

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Giuseppe La Corte


Può disporsi l’annullamento del concorso, a distanza di ben sedici anni, dopo che i vincitori sono stati regolarmente assunti e inseriti nell’apparato organizzativo? Il Consiglio di Stato - C.d.S., Ad.Pl. 4/2015 - ci fornisce la risposta.


Quando la pronuncia giurisdizionale, che dichiara la mancata legittimità della valutazione delle prove concorsuali, sopraggiunge dopo sedici anni dall’approvazione della graduatoria e dall’assunzione in servizio dei vincitori, il ricorrente illegittimamente estromesso che tutela può vantare?

Il caso di specie è il seguente: la ricorrente partecipava ad un concorso pubblico, indetto da un Comune nel 1997, per la copertura di tre posti -dei quali uno riservato al personale interno- di funzionario tecnico di ragioneria. Il bando indicava le prove che dovevano sostenersi nonché la composizione della Commissione esaminatrice. Con apposita nota del presidente della Commissione d’esami, nel 1999, la ricorrente veniva informata di non poter accedere alle prove orali non avendo riportato una valutazione sufficiente in entrambi gli elaborati. Chiedendo l’accesso agli atti per poter visionare la documentazione amministrativa relativa al concorso, la stessa constatava che la votazione a lei attribuita era stata data da una commissione non regolarmente costituita e senza previa determinazione dei criteri di valutazione delle prove sostenute.

Ricorreva, quindi, innanzi al T.A.R. chiedendo l’annullamento del provvedimento recante la sua mancata ammissione alla successiva prova orale, degli atti prodromici relativi alla nomina dei commissari d’esame nonché dei relativi verbali. Si costituivano i controinteressati, impiegati da oltre un decennio presso l’amministrazione comunale, che chiedevano l’inammissibilità e la reiezione del ricorso.

Il Tribunale di primo grado respingeva il ricorso. L’Autorità Giudicante sosteneva che la nomina di uno dei componenti della Commissione fosse valida, in quanto gli atti di incarico, pur non costituendo atti formali di nomina, erano idonei a supportare la qualità di esperto per la competenza e la professionalità acquisita. Riguardo ai criteri, il T.A.R. sosteneva che la predeterminazione degli stessi non potesse considerarsi elemento imprescindibile ai fini della legittimità concorsuale, perché trattasi di un'attività rimessa alla discrezionalità amministrativa, quando la valutazione avvenga mediante punteggio numerico. Era inammissibile, di conseguenza, un’eventuale valutazione degli elaborati da parte dell’Autorità Giudicante, attività riservata alla discrezionalità tecnica della Commissione.

Per comprendere in pieno il ragionamento del Tribunale sopra accennato è necessario, se non imprescindibile, avere chiara la distinzione tra discrezionalità amministrativa e tecnica.

La discrezionalità amministrativa è definita come il criterio che orienta l'azione della Pubblica Amministrazione nella scelta tra più comportamenti giuridicamente leciti (c.d. interessi secondari) per il perseguimento dell'interesse pubblico (c.d. primario). La discrezionalità amministrativa consta, dunque, di due fasi, la prima è quella ricognitiva dei vari interessi coinvolti e la seconda è quella che, sulla base della ponderazione degli stessi, procede ad emanare il provvedimento.

La discrezionalità tecnica ricorre quando l'esame di fatti o di situazioni, rilevanti per l'esercizio del potere pubblico, necessitino del ricorso a cognizioni tecniche o scientifiche di carattere specialistico. Nell'esercizio della discrezionalità tecnica, quindi, l'Amministrazione compie una valutazione di fatti alla stregua di canoni scientifici e tecnici, e non svolge alcuna comparazione tra l'interesse pubblico primario e gli interessi secondari al fine di individuare la soluzione più opportuna per l'interesse da perseguire.

In ogni caso la discrezionalità amministrativa non può sfociare nell'arbitrio essendo vincolata al limite costituito dal perseguimento dell'interesse pubblico, nonché dal rispetto dei criteri di ragionevolezza, imparzialità e da un'informazione esatta e completa da conseguirsi attraverso un'adeguata istruttoria.

Con appello proposto nel 2002, l’appellante chiedeva la riforma della sentenza appellata riproponendo le censure sollevate nel primo grado di giudizio. Si costituivano gli altri due impiegati interessati che, replicando ai motivi avversari, chiedevano il rigetto.

La sezione remittente, sulla necessità della predeterminazione dei criteri stessi in un momento in cui possa escludersi che quest’ultimi possano favorire alcuni concorrenti, riteneva sussistente l’illegittimità degli atti non essendo stati fissati, ex ante, i criteri di valutazione da parte della Commissione esaminatrice.              

Il caso di specie veniva rimesso all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in merito alla questione "se il giudice amministrativo possa non disporre l’annullamento della graduatoria del concorso, risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato e disporre, invece, che al ricorrente spetti il risarcimento del danno, malgrado questi abbia solo chiesto l’annullamento della graduatoria, quando la pronuncia giurisdizionale sopraggiunga dopo moltissimo tempo dalla nomina dei vincitori e cioè quando questi abbiano consolidato le proprie scelte di vita e l’annullamento comporti un impatto devastante nelle loro vite".

A tal proposito basti pensare al caso in cui il giudice avesse disposto, repentine, l’annullamento dell’intera procedura concorsuale, per cui la graduatoria è un atto finale. Gli effetti sarebbero stati devastanti per i vincitori del concorso già impiegati nell’amministrazione comunale da oltre quindici anni.

Sul punto, infatti, un orientamento giurisprudenziale, C.d.S 2817/2011, alla luce di quanto disposto dal co. 3 dell’articolo 34 c.p.a.- quando nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto ai fini risarcitori - sostiene che non sarebbe necessaria un' espressa richiesta risarcitoria dell’interessato essendo la sussistenza del predetto interesse valutata ex officio dal giudice.

Il Consiglio di Stato, nella recente sentenza de qua, rilevando che nel petitum l’appellante chiedeva la sola rinnovazione degli atti e che la stessa avesse ancora interesse alla decisione e al solo annullamento dei provvedimenti impugnati, non condivide le argomentazioni proposte in sede di ordinanza di rimessione, “non potendo ammettersi che in presenza di un atto illegittimo per il quale sia stata proposta una domanda demolitoria potrebbe non conseguire l’effetto distruttivo dell’atto per una valutazione ex officio del giudice”.

L’azione di annullamento si distingue da quella risarcitoria: la prima ha ad oggetto la illegittimità del fatto, la seconda la illiceità, inoltre, nel primo caso l’effetto sarà demolitorio, nell’ulteriore  caso risarcitorio per equivalente o in forma specifica.

Si badi, cosa diversa dalla sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente, sarebbe la possibilità del giudice di scegliere la forma di tutela più opportuna per il caso sottoposto alla sua attenzione, in virtù degli artt. 99 e 112 c.p.c. “corrispondenza tra il chiesto e il  pronunciato

L’interesse all’annullamento, pertanto, deve ritenersi persistente, non rilevando a tal fine il tempo trascorso. La durata del processo, infatti, ex art. 6 CEDU, “non può andare in danno al ricorrente e infliggergli un doppio danno”.

Avendo la Sezione remittente accertato la illegittimità degli atti concorsuali “non può che concludersi nel senso dell’accoglimento dell’appello e l’annullamento degli atti impugnati”.

Alla luce delle considerazioni sopra riportate, pertanto, il principio di diritto emesso dalla Corte è il seguente:“Sulla base del principio della domanda, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso non può ex officio limitarsi a condannare l’amministrazione al risarcimento dei danni anziché procedere all’annullamento degli atti impugnati che abbia formato oggetto della domanda dell’istante e di fronte al quale persiste il suo interesse, ancorché la pronuncia possa derivare pregiudizio ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall’emanazione degli atti ed ad essi debba seguire il rinnovo della procedura seguita”.