Pubbl. Ven, 6 Dic 2019
La concorrenza nel mercato delle professioni legali
Modifica pagina
Riccardo Samperi
Progetto di ricerca in Diritto della concorrenza di ammissione al XXXV Corso di dottorato in Scienze economiche, aziendali e giuridiche presso l´Università Kore (a.a. 2019/2020).
Abstract [ita]: Il progetto affronta la tematica delle restrizioni alla concorrenza nel mercato dei servizi legali (con specifico riguardo alle professioni di notai ed avvocati), proponendo soluzioni concrete per rafforzare la concorrenza, in conformità ai principi del diritto europeo.
Abstract [Eng]: The project addresses the issue of restrictions on competition in the legal services market (with specific regard to the professions of notaries and lawyers), proposing concrete solutions to strengthen competition, in accordance with the principles of European law.
Sommario: Introduzione; 1. Determinazione dei compensi; 2. Pubblicità dei servizi professionali; 3. Rapporti con i colleghi e con i clienti e regole di condotta generali; 4. La valutazione della necessarietà e proporzionalità delle restrizioni; 5. Stato dell’arte – Base scientifica di partenza; 6. Risultati scientifici attesi; 7. Bibliografia essenziale; 8. English Version.
Introduzione
Il mercato concorrenziale è caratterizzato da una pluralità di imprese che concorrono tra loro nell’offrire beni o servizi ai consumatori, i quali danno origine alla domanda aggregata.
Il punto di equilibrio del mercato di beni e servizi è determinato dall’intersezione tra curva di domanda aggregata e curva di offerta aggregata. In altri termini, il mercato è in equilibrio quando la domanda eguaglia l’offerta. I fattori che incidono sull’offerta sono il costo dei fattori produttivi (ivi compresi tutti i costi collegati alla permanenza e all’ingresso nel mercato: ad esempio, tasse) e il margine di probabile remunerazione dei fattori stessi. La domanda invece dipende dal prezzo del prodotto finale. Ora, in un mercato concorrenziale, le imprese sono stimolate a raggiungere una sempre maggiore efficienza, per trarre profitto o comunque per rimanere all’interno del mercato; le imprese inefficienti, invece, saranno tagliate fuori. Anche i consumatori saranno stimolati ad impiegare con parsimonia e profitto il loro denaro: acquisteranno soltanto bene che siano in grado di fornire loro una utilità (reale o presunta), evitando quindi gli sprechi.
Dunque, un’economia autenticamente concorrenziale aumenta il benessere generale della società[1], al punto che oggi la concorrenza viene considerata come un vero e proprio bene in senso giuridico[2].
La disciplina della concorrenza rappresenta il punto di partenza per lo sviluppo un’economia di mercato pluralista e libera, caratterizzata da diversità dei prodotti offerti, incremento della libertà di scelta, miglioramento della qualità dei prodotti e autocontrollo dei prezzi[3].
L’articolo 101 TFUE vieta tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all'interno del mercato unico europeo[4].
Le più significative limitazioni della concorrenza dei servizi professionali consistono nella fissazione e nella raccomandazione dei compensi professionali, nelle restrizioni alla diffusione della pubblicità, nella presenza ingiustificata di regimi di riserva di attività, nelle limitazioni relative all’organizzazione dell’attività professionale e nella previsione di un numero predeterminato di professionisti che possono iscriversi all’albo ed esercitare la professione (notai). Quanto al primo aspetto, contrariamente a quanto da taluni asserito[5], non sussiste alcun nesso di causalità tra numero programmato, tariffe uniformi e predeterminate e (asserita) migliore qualità dei servizi professionali prestati. Inoltre la pubblicità dei professionisti, anche di carattere comparativo e diffusa con qualsiasi mezzo di comunicazione, consente di colmare le lacune informative degli utenti nella scelta del servizio. Infine, la più ampia flessibilità dei modelli organizzativi dell’attività professionale permette ai professionisti di disporre di maggiori strumenti per rispondere alla domanda di servizi professionali.
In riferimento alla categoria dei notai, esiste una restrizione ulteriore, costituita dal numero predeterminato di posti. Il numerus clausus determina, di fatto, un oligopolio legale. Costituisce cioè una barriera legale all’accesso nel mercato dei servizi notarili, falsando gravemente la concorrenza nel settore. Ad aggravare la situazione concorre la predeterminazione legale dei compensi notarili, che di fatto determina una uniformazione del prezzo. La caratteristica dell’oligopolio è che il punto di equilibrio del mercato non è più dato dall’intersezione tra domanda ed offerta, con la conseguenza che le imprese (in questo caso i notai) venderanno una quantità minore di beni o servizi ad un prezzo maggiore rispetto a quello di libero mercato. In sostanza, l’accesso programmato alla professione notarile determina una perdita secca di benessere economico e sociale che, in un’ottica di analisi costi
– benefici, non risulta giustificata dai vantaggi conseguibili (certezza dei traffici giuridici), e ciò perché gli stessi vantaggi potrebbero essere ottenuti attraverso metodologie di gran lunga meno nocive per la concorrenza[6], quale, ad esempio, l’estensione del sistema catastale tavolare, proprio delle province autonome di Trento e Bolzano, al resto del territorio nazionale. Ad oggi, infatti, la proprietà dei beni immobili si acquista in virtù del contratto di compravendita, mentre la trascrizione serve solo per rendere l’atto opponibile a terzi. In Trentino Alto Adige – Sudtirol (così come in Germania ed Austria), la proprietà viene trasferita non già con la stipulazione del contratto, bensì con l’iscrizione dell’atto nel registro immobiliare[7]. Una misura del genere, riducendo i costi delle transazioni, darebbe linfa vitale al mercato immobiliare, garantirebbe l’esigenza di certezza del diritto anche meglio dell’attuale sistema.
Secondo il diritto antitrust, regolamentazioni restrittive possono essere giustificate soltanto in ragione degli interessi pubblici connessi con l’esercizio di una determinata professione.
In tal senso, la verifica della necessarietà e della proporzionalità delle limitazioni della concorrenza tra professionisti impone che le restrizioni devono essere “oggettivamente necessarie per raggiungere un obiettivo di interesse generale chiaramente articolato e legittimo e devono costituire il meccanismo meno restrittivo della concorrenza atto a raggiungere tale obiettivo”[8].
A conferma di ciò, la giurisprudenza europea non esclude a priori la legittimità di interventi volti a porre limitazioni alla concorrenza, tuttavia deve trattarsi di limitazioni giustificate dalla necessità di salvaguardare interessi di pari rango rispetto a quello concorrenziale[9].
La conformazione del sistema ordinistico ai principi concorrenziali è necessaria affinché ai professionisti sia riconosciuta ed assicurata la più ampia libertà di iniziativa economica di cui all’articolo 41 della Costituzione[10].
1. Determinazione dei compensi
La fissazione di tariffe da parte di un organismo rappresentativo di una categoria, ancorché non vincolanti, secondo l’orientamento nazionale e comunitario, produce l’effetto di uniformare i comportamenti di mercato degli iscritti in merito ad una delle principali forme in cui si esplica la concorrenza, ossia il prezzo di vendita del servizio. Sul punto, i principi antitrust statuiscono che anche le tariffe meramente raccomandate costituiscono intese restrittive della concorrenza di per sé, in quanto strumento idoneo ad uniformare i prezzi[11].
Secondo il diritto antitrust, i professionisti sono equiparati alle imprese e l’ordine professionale, in quanto ente rappresentativo di imprese, è un’associazione di imprese, assoggettato quindi alle regole antitrust[12].
I tariffari adottati da enti rappresentativi di imprese, ancorché attive nella fornitura di prestazioni professionali, costituiscono deliberazioni di associazioni di impresa, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 287/90 e dell’art. 101 del TFUE, suscettibili di essere sindacate sotto il profilo antitrust. I tariffari, finalizzati alla fissazione orizzontale dei prezzi di fornitura di prestazioni professionali, costituiscono restrizioni della concorrenza in violazione del diritto antitrust.
Parimenti, le norme deontologiche, contenute nei codici deontologici, adottate da organismi rappresentativi di imprese, che impongono espressamente il rispetto dei tariffari ovvero che a questi rinviano tramite il riferimento a clausole generali, quali il decoro o la dignità della professione, come parametri per la determinazione del compenso professionale, per le ragioni anzi dette, costituiscono restrizioni della concorrenza in violazione del diritto antitrust.
Il Decreto ministeriale 55/2014, così come novellato dal decreto del Ministero della Giustizia 8 marzo 2018, n. 37, contiene il Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012,
n. 247. Orbene, nel caso in esame, non soltanto sono previsti dei tariffari, ma questi sono addirittura contenuti in un Decreto ministeriale. Sebbene non vincolanti, nella prassi costituiscono un autorevole parametro di quantificazione della remunerazione professionale e ciò a discapito della concorrenza. Anche per i notai i compensi sono determinati da un tariffario approvato con Decreto ministeriale (20 luglio 2012, n. 140). In tale ipotesi, tuttavia, a differenza che per gli avvocati, la determinazione legale del compenso ha natura vincolante, con la conseguenza che il notaio non è libero di determinare il proprio compenso[13].
2. Pubblicità dei servizi professionali
La pubblicità dei servizi professionali costituisce un’importante fase del processo concorrenziale, in quanto facilita l’ingresso di nuovi operatori, costituisce per gli operatori già presenti sul mercato uno stimolo all’innovazione e rappresenta uno strumento atto a colmare le lacune informative dei fruitori dei servizi professionali.
Al riguardo, la disciplina dell’articolo 35 del codice deontologico forense appare fortemente restrittiva. La norma non contempla espressamente il termine “pubblicità”, infatti è rubricata Dovere di corretta informazione. In linea generale è possibile affermare che l’avvocato può usufruire di qualsiasi mezzo per dare informazioni sulla propria attività[14]; nel fare ciò, tuttavia, essi devono rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.
Non è ammessa la pubblicità comparativa con altri professionisti. Non devono essere date informazioni equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive o che contengano riferimenti a titoli, funzioni o incarichi non inerenti all’attività professionale. È di tutta evidenza che una disposizione di tal fatta sembra mirare più a proteggere la categoria professionale, piuttosto che a dotare il cliente di tutte le informazioni utili ai fini della scelta del professionista. Il titolo concernente determinati incarichi, studi, esperienze o specializzazioni del professionista, lungi dall’arrecare pregiudizio alla categoria professionale, può solamente supportare il potenziale cliente nella formazione della propria scelta.
Il punto 15 del codice deontologico notarile ammette la pubblicità informativa. La quale deve comunque essere improntata al generico criterio della sobrietà, e deve avere ad oggetto i dati personali attinenti all’attività e “situazioni ed elementi organizzativi fondati su dati obiettivi e verificabili”, nel rispetto dell’indipendenza, della dignità e della integrità della funzione pubblica nonché del segreto professionale. È vietata la pubblicità ingannevole, comunque attuata. Il concetto di dignità ed integrità della funzione pubblica è stato non di rado utilizzato nella prassi dai consigli notarili per sanzionare comportamenti ritenuti lesivi del decoro della categoria. In realtà, lungi dal ledere il decoro professionale dei notai, si trattava di comportamenti concorrenziali assolutamente legittima alla luce del diritto della concorrenza e delle delibere dell’AGCOM (emblematico è il caso del notaio sanzionato dal proprio consiglio dell’ordine per il numero eccessivo di pratiche e dunque per l’eccessivo volume di affari).
In realtà, “il divieto o limitazione di pubblicità [troverebbe, n.d.r.] la sua ratio nell’idea che gli atti di pubblicità [esporrebbero, n.d.r.] il professionista al discredito sociale, perché equiparano l’attività professionale a quella commerciale e, in tal modo, implicano che la prestazione professionale sia considerata alla stregua di una merce o di un prodotto”[15].
La tesi esposta risulta decisamente anacronistica, se si considera che oggi i servizi legali resi da avvocati e notai sono pacificamente equiparati a qualsiasi altro servizio o prodotto reso da una impresa commerciale. Dunque vi è una restrizione della libertà di iniziativa economica privata, tutelata dall’articolo 41 della Costituzione, non giustificata dalla contestuale tutela di interessi costituzionalmente rilevanti.
3. Rapporti con i colleghi e con i clienti e regole di condotta generali
Nei codici deontologici vi sono disposizioni concernenti per lo più i rapporti con i colleghi e con i clienti che si prestano ad ostacolare o disincentivare la concorrenza tra professionisti, in ragione dei divieti previsti ovvero degli adempimenti richiesti.
Si tratta, il più delle volte, di disposizioni che vietano o rendono ingiustificatamente ardua l’adozione di una serie rilevante di condotte con il risultato di limitare fortemente la possibilità dei professionisti di intraprendere iniziative volte ad acquisire nuovi clienti.
L’articolo 23, comma 3, del Codice deontologico forense stabilisce che l’avvocato, dopo il conferimento del mandato, non deve intrattenere con il cliente e con la parte assistita rapporti economici, patrimoniali, commerciali o di qualsiasi altra natura, che in qualunque modo possano influire sul rapporto professionale, salvo quanto previsto dall’art. 25 in materia di accordi di definizione del compenso. Qualora intenda proporre giudizio contro un collega, l’avvocato è tenuto ad avvisarlo preventivamente (art. 38), salvo che ciò pregiudichi la tutela del giudizio da tutelare
Il codice deontologico notarile, al punto 19, stabilisce che nei rapporti con i colleghi il notaio deve comportarsi secondo i principi di correttezza, collaborazione e solidarietà. La norma prevede altresì che determinate condotte, espressamente tipizzate, costituiscono violazioni dei suddetti principi. In particolare si avrà un illecito disciplinare se il notaio non informa il collega, con la dovuta riservatezza, di possibili errori od omissioni nei quali si ritenga che egli sia incorso o se esprime di fronte al cliente, in qualunque forma, valutazioni critiche sull'operato o sul comportamento in genere dei colleghi, salvi i rilievi tecnici necessari per la corretta esecuzione della prestazione[16]. In buona sostanza si tratta di condotte che mirano a tutelare una anacronistica forma di “decoro” professionale, e che di certo ostacolano il principio della libertà di concorrenza senza essere giustificate dalla salvaguardia di interessi pubblici di pari rango.
L’articolo 147 della legge notarile pone delle stringenti regole di condotta per i notai, stabilendo che “è punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione, il notaio che pone in essere una delle seguenti condotte: a) compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile; b) viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato; c) fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, ovvero servendosi dell’opera di procacciatori di clienti, di richiami o di pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro ed al prestigio della classe notarile. La destituzione è sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi all’ultima violazione”.
Il profilo più problematico è sicuramente quello relativo alla presunzione assoluta di concorrenza illecita nel caso di riduzione di onorari, diritti o compensi, di ricorso a procacciatori di clienti o ad altri mezzi di pubblicità non confacenti al decoro e al prestigio della classe notarile.
La norma è stata modificata dal decreto legislativo 1° agosto 2006 n. 249, recante “Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e), della L. 28 novembre 2005, n. 246”, entrato in vigore il 26 agosto 2006, ossia successivamente alla legge Bersani, n. 248/2006 (in vigore dal 12 agosto 2006).
Si deve notare, in primo luogo, che l’art. 147, nella versione precedente, conteneva sostanzialmente le medesime disposizioni riprodotte nella nuova disposizione sopra-riportata, prevedendo, infatti, che “il notaro che in qualunque modo comprometta con la sua condotta nella vita pubblica e privata la sua dignità e reputazione e il decoro e prestigio della classe notarile, o con riduzioni degli onorari e diritti accessori faccia ai colleghi illecita concorrenza, è punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno, e nei casi più gravi con la destituzione. La destituzione sarà sempre applicata qualora il notaro, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per contravvenzione alla disposizione del presente articolo, vi contravvenga nuovamente”.
Dalla comparazione tra le due previsioni emerge l’assenza di sostanziali modifiche, giacché la nuova disposizione si limita ad introdurre la disposizione sub b), che mitiga le sanzioni disciplinari mediante la previsione di un tempo massimo per la rilevanza della recidiva, tenta di tipizzare le condotte di illecita concorrenza e sancisce, in una fonte normativa di rango primario, la rilevanza delle limitazioni sulla pubblicità dei notai dettate nel codice deontologico.
Considerata l’assenza di modifiche sostanziali apportate dalla descritta nuova previsione, potrebbe ritenersi che questa, in quanto contenuta in un atto legislativo entrato in vigore successivamente alla legge Bersani, possa ripristinare sia i divieti consistenti nell’inderogabilità delle tariffe minime, sia le limitazioni circa la diffusione della pubblicità dei notai previste nel codice deontologico, superando, in tal modo, le innovazioni introdotte dalla riforma Bersani.
In altri termini, potrebbe ritenersi che la nuova disposizione, non dettando una disciplina giuridica effettivamente innovativa, sia finalizzata ad impedire che, per i notai, trovi applicazione il dettato della legge Bersani sui profili relativi alla determinazione del compenso professionale e all’attività pubblicitaria dei notai.
In merito alla novella introdotta dal decreto legislativo n. 249/2006, tuttavia, i rappresentanti del Consiglio notarile hanno sostenuto che “il nuovo art. 147 è certamente vigente ma, mancando la norma deontologica applicativa dello stesso, di fatto tale previsione non troverà applicazione”. Essi hanno precisato, peraltro, che “nel notariato si è sviluppato un dibattito all’interno del quale è stata sostenuta con forza anche la tesi che una norma speciale successiva non può non prevalere sulla legge 248/2006”.
A fronte di tali elementi, si deve ritenere applicabile la riforma Bersani contenuta nell’art. 2 della legge n. 248/2006 ai notai, considerate la sostanziale mancanza di innovatività dell’art. 30, principalmente le lettere b) e c), del decreto legislativo n. 249/2006 e l’assenza di una norma di attuazione, come affermato dal Consiglio Notarile[17]. Sarebbe tuttavia auspicabile un intervento chiarificatore del legislatore al fine di rimuovere ogni dubbio circa l’effettiva applicabilità della riforma Bersani.
4. La valutazione della necessarietà e proporzionalità delle restrizioni
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in più occasioni, ha affermato che la fissazione di tariffe inderogabili minime o fisse costituisce un vincolo ingiustificato all’esercizio dell’attività professionale, evidenziando come le tariffe predeterminate, da una parte, non siano idonee a garantire la qualità delle prestazioni e, dall’altra, non consentano al professionista di gestire un’importante variabile del proprio comportamento economico, rappresentata appunto dal prezzo della prestazione. Quanto alla necessarietà delle tariffe, l’Autorità ha precisato inoltre che la regolazione di un’attività economica tramite la fissazione di tariffe può essere giustificata solo se funzionale a sopperire a fallimenti del mercato oppure a colmare lacune informative dei fruitori dei servizi. In merito alle tariffe dei servizi professionali notarili, tali esigenze non appaiono riscontrabili. L’esistenza di asimmetrie informative potrebbe semmai giustificare soltanto la previsione di tariffe massime[18].
Talvolta i professionisti hanno tentato di reintrodurre una tariffa prestazionale minima attraverso il ricorso alla nozione di decoro della professione. Il parametro di riferimento per valutare la “decorosità” del compenso richiesto è costituito dalla tariffa minima, con la reintroduzione quindi, sotto celate spoglie, dell’obbligo di rispettare i minimi tariffari. Al riguardo, l’AGCOM ha rilevato, che l’utilizzo di tali concetti giuridici indeterminati con riferimento alla determinazione del compenso non sia giustificato sotto il profilo antitrust, considerato, peraltro, che sono previste sanzioni disciplinari per i professionisti che richiedono compensi non decorosi oppure non adeguati alla dignità professionale e che storicamente la nozione di decoro ha costituito il fondamento dell’inderogabilità delle tariffe minime.
La conformità delle regole deontologiche ai principi della concorrenza impone il rispetto dei seguenti criteri:
- non dovrebbero contenere divieti ovvero imporre adempimenti ulteriori rispetto a quelli che costituiscono ipotesi di concorrenza sleale ai sensi del diritto civile, e ciò in considerazione dell’equiparazione dei professionisti alle imprese;
- non dovrebbero essere utilizzate le nozioni di decoro e dignità professionale al fine di limitare le condotte dei professionisti concernenti i rapporti tra colleghi ovvero le iniziative volte all’acquisizione della clientela.
5. Stato dell’arte – Base scientifica di partenza
La problematica dell’adeguamento dei regimi professionali alle regole antitrust di diritto europeo è stata fino ad ora sostanzialmente trascurata sia da parte della dottrina, giuridica ed economica, che da parte della giurisprudenza, come testimoniato dalla scarsità del materiale reperibile. Ed anzi, la maggior parte degli articoli scientifici sul punto denota un atteggiamento alquanto conservatore rispetto all’inevitabile ingresso del meccanismo concorrenziale nell’ambito dei servizi professionali.
È interessante, invece, l’attività portata avanti dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, anche mediante il contradditorio con gli organi professionali, nel tentativo di rendere effettivamente concorrenziale il settore delle libere professioni (non soltanto legali).
Nonostante il disinteresse mostrato dal mondo accademico, la tematica è di scottante attualità, come si evince dalle numerose, seppur disorganizzate, iniziative legislative in materia di concorrenza ed in considerazione del precario stato di salute dell’economia italiana. Per tali ragioni la proposta di ricerca risulta particolarmente innovativa rispetto allo stato dell’arte esistente.
6. Risultati scientifici attesi
La presente ricerca intende individuare criticità e possibili soluzioni al problema delle restrizioni della concorrenza nel mercato dei servizi legali. Il risultato scientifico atteso vuole fungere da stimolo propositivo per le autorità competenti ad assicurare il rispetto delle regole della concorrenza in Italia e nel mercato unico europeo (Autorità garante della concorrenza e del mercato, Parlamento, Governo, e nello specifico Ministero della Giustizia e dell’Economia, Ordini professionali, imprese professionali e fruitori dei servizi).
L’incremento della concorrenza nel mercato legale può rendere il sistema maggiormente efficiente, e dunque aumentare il benessere sociale complessivo della popolazione. Ora, se da un lato è vero che la professione del notaio, a differenza di quella dell’avvocato, non è suscettibile di una liberalizzazione totale, è pur vero che le restrizioni alla concorrenza (e in particolare il numerus clausus) sono eccessivamente invasive e restrittive del valore costituzionalmente tutelato della libertà di iniziativa economica privata, dunque c’è un ampio margine di intervento per aumentare il livello concorrenziale.
Note e riferimenti bibliografici
Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, 1776.
Mario Libertini, Diritto della concorrenza dell’Unione europea, Milano, 2014, 2.
Umberto Troiani, La regolamentazione della concorrenza tra regole per le imprese e gli interessi dei consumatori, 2005, su https://www.tb.camcom.gov.it.
Salvatore Lamarca, La disciplina dei cartelli nel diritto antitrust europeo ed italiano. Una guida teorico-pratica, Torino, 2017.
Giuseppe Sobbrio, Economia del settore pubblico, Milano, 2010, 18.
AA. VV., Lineamenti di diritto privato, a cura di Mario Bessone, Torino, 2017, 761.
Filippo Zatti, Riflessioni sull’art. 41 Cost.: la libertà di iniziativa economica privata tra progetti di riforma costituzionale, utilità sociale, principio di concorrenza e delegificazione, Forum Costituzionale, Saggio destinato agli “Scritti in onore di Claudio Rossano”.
Mario Libertini, Diritto della concorrenza dell’Unione europea, Milano, 2014, 171.
Matteo Manfredi, Le professioni legali nel mercato unico europeo tra libertà di circolazione e concorrenza, su JusOnline n. 3/2017.
John Sloman, Dean Garratt, Elementi di economia, Bologna.
Eugenio Picozza, Vincenzo Ricciuto, Diritto dell’economia, Torino, 2017, 26 – 38.
Note
[1] Adam Smith, La ricchezza delle nazioni, 1776.
[2] M. LIBERTINI, Diritto della concorrenza dell’Unione europea, Milano, 2014, 2 e ss.
[3] U. TROIANI, La regolamentazione della concorrenza tra regole per le imprese e gli interessi dei consumatori, 2005, su https://www.tb.camcom.gov.it.
[4] S. LAMARCA, La disciplina dei cartelli nel diritto antitrust europeo ed italiano. Una guida teorico-pratica, Torino, 2017.
[5] Studio GP Notai Associati, Chi è il notaio, su www.gpnotai.it/IlNotaio-GPnotai.pdf., secondo cui “il numero programmato sul territorio (i notai sono in numero limitato a ragione della funzione pubblica svolta e sono legati alla loro sede di assegnazione, come i giudici, per garantire a tutto il territorio, anche il più disagiato, l’assistenza) è sinonimo di qualità, poiché i notai giungono alla professione dopo studi estremamente rigorosi e si sono riconosciuti tra gli operatori del diritto più qualificati e con altissime responsabilità”. Tale affermazione presta il fianco a numerose critiche: il notaio svolge una funzione pubblica, al pari dei magistrati, ma, a differenza di questi, non percepisce uno stipendio fisso, bensì un onorario che, di fatto, lo equipara ad una impresa privata, con la differenza che l’accesso al mercato dei servizi notarili è limitato dal numero chiuso. In secondo luogo, si afferma che, essendovi un limite numerico, accedano alla professione notarile soltanto i candidati più preparati; tuttavia tale affermazione non corrisponde al vero. In realtà, l’accesso alla professione dei candidati più preparati è assicurato dalla severità delle prove. Il numero chiuso, anzi, lungi dal rappresentare una garanzia di qualità della prestazione, costituisce un ostacolo allo sviluppo, al miglioramento e all’efficientamento delle prestazioni erogate. Infatti, ipotizzando, ad esempio, che il numero dei candidati astrattamente idonei all’esercizio della professione sia superiore al numero di sedi disponibili, verrebbe ingiustificatamente negato l’accesso mercato dei servizi notarili a quei soggetti che, pur essendo perfettamente in grado erogarli, siano siano in eccesso rispetto al numero di sedi disponibili. Inoltre, se vi fosse libero accesso alla professione notarile, la qualità della prestazione resa aumenterebbe attraverso il meccanismo della concorrenza, la quale tenderebbe a privilegiare soltanto i professionisti effettivamente dotati di maggiori competenze
[6] G. SOBRIO, Economia del settore pubblico, Milano, 2010, 18.
[7] AA. VV., Lineamenti di diritto privato, a cura di M. BESSONE, Torino, 2017, 761.
[8] Così, testualmente, Comunicazione della Commissione europea del 9 febbraio 2004 “Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali”; poi ripresa nella successiva Comunicazione del 5 settembre 2005 su “I servizi professionali - Proseguire la Riforma”.
[9] In riferimento alla distanza minima tra farmacie prevista dalla legge spagnola, la Corte di giustizia dell’Unione europea
ha affermato che le restrizioni alla libertà di stabilimento, che siano applicabili senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che siano atte a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario al raggiungimento dello stesso. Inoltre, ai sensi dell’art. 52, n. 1, TFUE, la tutela della sanità pubblica può giustificare restrizioni alle libertà fondamentali garantite dal Trattato come la libertà di stabilimento. Più precisamente, restrizioni alla libertà di stabilimento possono essere giustificate dall’obiettivo di garantire alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualità (v. sentenza Commissione/Italia, punto 52. L’importanza di tale obiettivo è confermata dagli artt. 168, n. 1, TFUE e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a termini dei quali, in particolare, nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione europea è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. Ne consegue che l’obiettivo di assicurare alla popolazione una fornitura di medicinali sicura e di qualità può giustificare una normativa nazionale come quella spagnola.
[10] F. ZATTI, Riflessioni sull’art. 41 Cost.: la libertà di iniziativa economica privata tra progetti di riforma costituzionale, utilità sociale, principio di concorrenza e delegificazione, Forum Costituzionale, Saggio destinato agli “Scritti in onore di Claudio Rossano”.
[11] M. LIBERTINI, Diritto della concorrenza dell’Unione europea, Milano, 2014, 171.
[12] La norma è direttamente applicabile anche a notai e avvocati, equiparati dal punto di vista giuridico alle imprese dall’articolo 1, comma 821, della Legge di stabilità del 2016 (Legge 28 dicembre 2015, n. 208). Essa dà attuazione alla Raccomandazione della Commissione europea del 6 maggio 2003 relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese. Viene considerata impresa ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti.
[13] M. MANFREDI, Le professioni legali nel mercato unico europeo tra libertà di circolazione e concorrenza, su JusOnline n. 3/2017.
[14] Tale sembra il significato dell’inciso “quali che siano i mezzi utilizzati”, contenuta nel comma 1 dell’articolo 35.
[15] M. MANFREDI, ibidem, 318 – 319.
[16] Ulteriori condotte sanzionate disciplinarmente dalla norma sono: iniziare o proseguire in prestazioni demandate o già in corso presso colleghi, senza previamente informarli e senza prestarsi per fare ad essi ottenere i compensi eventualmente spettanti; non informare i colleghi del proposito di assumere alle proprie dipendenze impiegati o collaboratori in genere operanti presso di loro; nel caso di divergenze di opinioni o di controversie con i colleghi, non prestarsi a cercare una composizione per il tramite del Consiglio Notarile; non prestarsi sistematicamente a scambi di opinioni e di informazioni con i colleghi; non provvedere, o provvedere con ritardo o negligenza, a porre a disposizione dei colleghi richiedenti, seppure con onere di spesa a loro carico, copie di atti e documenti necessari per ricevere atti; non prestarsi a sostituire i colleghi che per necessità dovuta a malattia o altro impedimento non possano ricevere determinati atti, anche al di fuori dai casi di nomina del coadiutore.
[17] Non è dunque condivisibile quanto affermato nel 2008 dalla Corte di Cassazione, secondo cui i notai, in quanto pubblici ufficiali, non svolgono attività di impresa e sono quindi sottratti alle regole comunitarie in materia di concorrenza, dovendosi quindi ritenere la disciplina nazionale relativa a tale categoria professionale pienamente coerente con il Trattato CE (Cass., sez. III civ., n. 9878/08).
[18] Per quanto riguarda, in particolare, il tema della correlazione tra qualità della prestazione e obbligatorietà delle tariffe, l’Autorità intende ricordare di avere approfondito tale aspetto già nella “Relazione sull’attività svolta nel biennio 2004- 2005”, nell’ambito della quale è stata messa in discussione l’esistenza di una relazione di causa/effetto tra la predeterminazione degli onorari e la qualità dei servizi prestati. È stato sottolineato come la qualità delle prestazioni dovrebbe essere garantita da altre misure, quali quelle che regolano le condizioni di accesso alla professione e la responsabilità professionale. In particolare, non si è ritenuto condivisibile l’argomento secondo cui la qualità sarebbe espressione del livello al quale la tariffa è fissata. Secondo questa prospettiva, infatti, la qualità risulterebbe determinata ex ante e, pertanto, ad un livello necessariamente minimo ed uniforme, già assicurato, come detto, dai meccanismi di selezione all’accesso. La qualità deve contribuire, invece, allo sviluppo della professione e, quindi, costituire un elemento dinamico che, in quanto tale, non può che emergere ex post, al momento dello svolgimento della prestazione e dal confronto che il professionista stesso dovrebbe svolgere con prestazioni analoghe offerte dai propri concorrenti. In tal senso, pertanto, si potrebbe sostenere che qualità e tariffe uniformi sono strumenti in contraddizione tra loro, essendo la prima un elemento di differenziazione, la seconda di omologazione del servizio professionale.