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Pubbl. Sab, 9 Nov 2019

Analogia e interpretazione estensiva: il gioco dei ruoli

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Eleonora Zizzo


Il confine tra le aree dell’analogia e dell’interpretazione estensiva nel diritto penale, tra nozione e prassi giudiziaria. Alcune ipotesi controverse alla luce degli interventi di maggiore rilievo della giurisprudenza di legittimità


Sommario: 1. Premessa; 2. Gli interventi di maggior rilievo della giurisprudenza; 2.1. Estensione della disciplina sulla stampa alle testate online; 2.2. L'intepretazione della nozione di "privata dimora"; 2.3. Reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico; 2.4. Applicabilità dell'art. 384, co 1 cp. al convivente di fatto.

1. Premessa 

La legalità intesa nella sua accezione di determinatezza (precisione o tassatività)1 quale obbligo che grava in capo al legislatore di delineare con sufficiente precisione il contenuto della norma penale sì da offrire alla conoscenza dei consociati un quadro normativo certo e ben definito ex art. 25 Cost.2, fonda il divieto di analogia in materia penale -espressamente previsto ai sensi dell'art. 14 disp. prel. cc.- ammettendo al contempo la possibilità di far ricorso all'interpretazione estensiva3. In generale, mentre per interpretazione si intende attribuire alla disposizione uno dei possibili e plausibili significati ricompresi nel perimetro del suo tenore letterale4, dovendo poi il giudice identificarne il significato sulla base della sua ratio, delle intenzioni del legislatore storico e del contesto sistematico in cui si inserisce la norma, per analogia si intende il meccanismo attraverso il quale colmare la lacuna presente all'interno di quella data disposizione5. Il divieto, però, è relativo: è vietata l’analogia in malam e con riferimento alle norme eccezionali, contrastanti orientamenti si contendono il terreno in relazione alle scusanti, mentre consentita in bonam. Il problema si pone quando la lacuna presente all'interno della disposizione è volontaria, cioè frutto di una scelta deliberata e consapevole del legislatore. A riguardo, diverse sono state le ipotesi oggetto di indagine in giurisprudenza.

2. Gli interventi di maggior rilievo della giurisprudenza
2.1. Estensione della disciplina sulla stampa alle testate online

In primo luogo ci si è chiesti se al direttore di un periodico telematico si applica perlomeno l'art. 57 cp., che prevede una autonoma responsabilità del direttore che omette di esercitare sul contenuto del periodico, da lui diretto, il controllo necessario ad impedire col mezzo della pubblicazione siano commessi reati. Specificatamente, Cass. pen., 29 novembre 2011, n. 44126, nel negare l'applicabilità dell'art. 57 cp., ha valorizzato il dato testuale osservando che la suddetto disposizione penale si riferisce alla carta stampata. Ad avviso dei giudici di legittimità, perché possa parlarsi di stampa in senso giuridico - ex art. 1 L. 47/48 - occorre che vi sia una riproduzione tipografica e che il prodotto di tale attività sia destinata alla pubblicazione e quindi deve essere effettivamente distribuito tra il pubblico. Nel dettaglio si osserva che le pubblicazioni rese note mediante la rete informatica difettano di entrambi i requisiti6. Tale lettura ormai appare anacronistica ed esposta a giudizio di illegittimità costituzionale per irragionevole disparità di trattamento dell'informazione giornalistica a seconda che venga veicolata su carta o su web. Per questo la giurisprudenza di legittimità ha da ultimo7affermato che la definizione tecnica di stampa di cui sopra non è quella alla quale bisogna riferirsi per delineare l'ambito applicativo dell'art. 57 cp., che anzi presuppone una nozione figurata di stampa. Ricorrerebbe stampa in presenza, quindi, di due requisiti: testata e periodicità regolare della pubblicazione e diffusione al pubblico di notizie legate all'attualità. Tenendo, dunque, conto di questa nuova concezione di stampa, nell'ambito applicativo dell'art. 57 cp, pertanto, sono inclusi tanto la stampa online quanto il direttore del periodico online.

2.2. L'intepretazione della nozione di "privata dimora"

Le Sezioni Unite8 hanno poi recentemente affrontato un altro rilevante problema interpretativo, relativamente all'annosa questione se rientrino o meno nel concetto di privata dimora, previsto nella fattispecie di furto cd. in abitazione, ex art. 624 bis, anche gli esercizi commerciali e gli altri luoghi di lavoro aperti al pubblico. L'orientamento prevalente è in senso estensivo, di intendere cioè il concetto di privata dimora più ampio di quello di abitazione e pertanto in grado di ricomprendere tutti i luoghi al cui interno un soggetto possa vantare un generico ius excludendi, e in cui egli si trattenga per compiere, anche in maniera transitoria e contingente, atti della propria vita privata, tra i quali pacificamente rientrano anche le attività lavorative di natura professionale, commerciale o imprenditoriale. Le Sezioni Unite invece ritengono che un simile ampliamento della nozione sia in contrasto sia con il dato letterale, sia con la ratio, sia con un’interpretazione sistematica della norma incriminatrice in questione. Infatti, il significato letterale di per sè esclude tutti i casi in cui manchi un rapporto stabile tra il luogo e l’individuo con la sola eccezione dei casi in cui il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa.

2.3. Reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico

Ulteriore questione ha riguardato la fattispecie incriminatrice ex art. 615 ter c.p. relativamente alla possibilità o meno di ritenere integrato il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico nel caso in cui un soggetto agente, pur lecitamente introdottosi nel server dell'ufficio, persegue finalità diverse da quelle per le quali la facoltà di accesso gli era stata attribuita. Le Sezioni Unite9 a riguardo affermano che tale condotta integra la fattispecie: invero il soggetto agente, attraverso la violazione oggettiva delle indicazioni per cui era consentito l'accesso, va oltre l'autorizzazione sfociando così nell'area del penalmente illecito: si è inteso dare avvio ad un’interpretazione giurisprudenziale unitaria, ponendo l'accento anche alle condotte di accesso o di permanenza in un sistema protetto che rappresentino uno sviamento di potere, in violazione dei doveri di fedeltà volti a guidare l’azione del soggetto agente.

2.4. Applicabilità dell'art. 384, co. 1 c.p. al convivente di fatto

La questione pare farsi maggiormente annosa con esplicito riferimento, poi, alle cause di esclusione della colpevolezza: situazioni cioè in presenza delle quali il legislatore esclude la punibilità per mancanza di rimproverabilità dell’agente rispetto ad un fatto oggettivamente illecito, potendo essere ravvisato il fondamento nel fatto che la colpevolezza richiede anche la cd. esigibilità del comportamento conforme al precetto penale. La questione si è vivacemente posta nel vagliare l'estensibilità dell'art. 384 co. 1 ai conviventi di fatto. Dal dato letterale si evince la possibilità di estendere tale causa di non punibilità - pacificamente intesa dalla giurisprudenza prevalente come scusante - a tutti coloro i quali abbiano commesso uno dei reati ivi tassativamente previsti per “la necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore". “Prossimo congiunto” rappresenta, quindi, un elemento normativo che necessita di essere spiegato e specificato facendo ricorso all’art. 307, co 4 cp.: dopo la legge Cirinnà e soprattutto dopo il correttivo del 2017, nella nozione di "prossimo congiunto", sono stati equiparati il coniuge e la parte dell'unione civile, ma continua a non essere menzionato - esattamente come non lo era anche prima della riforma del diritto di famiglia ex L. 76/2016 - il convivente di fatto. Occorre dunque analizzare la disciplina legislativa ante e post riforma. Prima della legge Cirinnà era certamente esclusa la possibilità di interpretare estensivamente l'art. 307 co 4 cp. non essendo il convivente di fatto ricompreso nelle maglie del suo tenore letterale; non era possibile nemmeno operare per analogia, dal momento che la lacuna presentata dalla disposizione appariva volontaria. In effetti, la disposizione era caratterizzata da una puntualità descrittiva: in ordine al dato oggettivo, venivano tassativamente previsti i reati, commessi i quali, sarebbe stato possibile invocare la causa di non punibilità10; in ordine al dato psicologico, veniva descritta la situazione di pressione che avrebbe dovuto subire il soggetto che invocava l'applicazione della suddetta; in ordine al dato soggettivo, veniva fornita la nozione tecnica di prossimo congiunto. Sollevata questione di legittimità costituzionale, la Consulta confermava il consolidato e granitico orientamento in forza del quale non potevano essere trattate in modo uguale situazioni differenti, perché differente era la base normativa di riferimento: la convivenza di fatto rileva sensi dell'art. 2 Cost. come formazione sociale all'interno della quale il singolo è libero di esprimere la propria personalità ed è caratterizzata dalla affectio quotidiana in qualsiasi momento revocabile, mentre maggiore dignità possiede la famiglia fondata sul matrimonio ex art. 29 Cost. per serietà e certezza del vincolo dal quale discendono reciprocità e corrispettività di diritti e di obblighi11. La Legge Cirinnà, disciplinando le unioni tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto, ma solo registrate (cd. convivenze di fatto di diritto) e non anche dunque quelle di mero fatto, agli effetti penali equipara al coniuge solo la parte dell'unione civile e non anche il convivente di fatto. Oggi più che mai dunque la lacuna ex art. 307 co. 4 c.p. appare volontaria non potendosi ammettere l'intervento analogico. Preclusa la strada dell'analogia, residua quella dell'interpretazione estensiva che, se percorribile, pone un ulteriore problema in merito a quale tipo di convivenza, se di diritto o di mero fatto, poterla applicare. La Cassazione, contrariamente al tradizionale orientamento, ha affermato che non estendere la disciplina anche al convivente di fatto, avrebbe esposto la disposizione al vulnus dell'incostituzionalità per disparità di trattamento sia tra convivenza e matrimonio che tra convivenza e unione civile: la Cassazione opera quindi una cd. “interpretazione valoriale”, tenendo dunque conto dei valori in gioco. Tale interpretazione, avallata anche dalla lettura convenzionalmente orientata dell'art. 8 CEDU che intende la famiglia in maniera sostanziale12, diviene costituzionalmente orientata ed estende l’ art. 384 cp. al convivente di fatto, tanto di diritto che di mero fatto, poiché in sede penale ciò che rileva è la situazione di fatto, il legame, il rapporto tra soggetti come tra coniugi.


Note e riferimenti bibliografici
1 G. Contento, "Corso di diritto penale", CACUCCI, 1989.
2 F. Mantovani, "Diritto Penale", CEDAM, 2001.
3 R. Garofoli, "Manuale di diritto penale. Parte Generale", Nel diritto, 2018.
4 G. Marinucci, E. Dolcini, "Corso di diritto penale", GIUFFRE', 2001.
5 In logica si intende per ragionamento analogico, quel ragionamento in cui, opposti due termini in somiglianza tra loro, si estende all'uno il predicato dell'altro, secondo la formula: S è simile a M; M è P; S è P.
6 Cass., 16/ 07/2010, n. 35511.
7 Cass. Sez. Un., 11/01/2019, n. 1275.
8 Cass. Sez. Un., 22/06/2017, n. 31345.
9 Cass. Sez. Un., 7/02/2012, n. 4694.
10 Cass. pen. Sez. V, 22/10/2010, n. 41139; Sez. II, 17/02/2009, n. 20827; Sez. VI, 28/09/2006, n. 35967.
11 Corte Cost., nn. 237/1986, 352/1989, 8/1996, 121/2004, 140/2009.
12 Corte EDU, 13/06/1979, Marckx v. Belgio.