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Pubbl. Gio, 19 Set 2019

Contratto di compravendita e atti interruttivi della prescrizione della garanzia per vizi. La parola alle Sezioni Unite.

Camilla Della Giustina
Dottorando di ricercaUniversità della Campania Luigi Vanvitelli


E´ ammissibile l´interruzione della prescrizione mediante atto stragiudiziale?


Sommario: 1. Introduzione; 2. Il contratto di compravendita; 3. La garanzia per i vizi: natura, presupposti, termine, effetti immediati e mediati; 4. La decisione delle Sezioni Unite in materia di prescrizione.

Sommario: 1. Introduzione; 2. Il contratto di compravendita; 3. La garanzia per i vizi: natura, presupposti, termine, effetti immediati e mediati; 4. La decisione delle Sezioni Unite in materia di prescrizione.

1. Introduzione

Di recente le Sezioni Unite hanno pronunciato un’importante sentenza in materia di compravendita. Sebbene la richiesta rivolta ad esse fosse quella di stabilire quali atti potessero essere qualificati come idonee cause di interruzione della prescrizione il Supremo Collegio ha affrontato le questioni cruciali che emergono in materia di compravendita. Il contratto in esame è sicuramente la tipologia contrattuale maggiormente utilizzata nella prassi ma allo stesso tempo quella dalle implicazioni teoriche maggiormente complesse.

L’impulso fornito dalla sentenza delle Sezioni Unite ha spinto ad elaborare un contributo relativo alla disamina del contratto di compravendita e alla vexata quaestio delle garanzie derivanti dal contratto stesso per approdare infine alla pronuncia giurisprudenziale.

2. Il contratto di compravendita

Il contratto di compravendita rappresenta una delle principali tipologie di contratto immobiliare. L’art. 1470 c.c., disposizione di apertura della disciplina, definisce la vendita come il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.

Lo schema contrattuale del contratto di compravendita rappresenta il paradigma cui fanno riferimento tutti gli altri schemi contrattuali siano essi tipici o atipici. Si tratta del contratto di scambio più diffuso nella realtà dei traffici ma al tempo stesso il più importante sia per la sua funzione economica, sia per il suo valore pragmatico sia per la differenza di sottospecie, clausole e variazioni che presenta[1].

La legge richiede la forma scritta ad substantiam[2], a pena di nullità, mediante atto scritto o scrittura privata autenticata. Il contratto di compravendita al fine di essere trascritto e quindi suscettibile di essere opponibile ai terzi deve essere redatto da un notaio: affinchè un atto possa essere trascritto nei pubblici registri è richiesto l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata.

Oggetto del contratto di compravendita è un bene determinato o determinabile, quindi il contratto deve contenere gli estremi del bene e nel caso si tratti di un bene immobile devono essere altresì indicati i permessi di costruire, si dovrà indicare il prezzo della vendita, le modalità di versamento dello stesso, l’eventuale partecipazione di un intermediario alla conclusione dell’affare[3].

La funzione, causa, del contratto di compravendita è rappresentata dallo scambio di un bene verso il corrispettivo di una somma di denaro. Il contratto ha come presupposto essenziale un diritto che preesiste in capo al venditore e che viene trasferito, come tale, al compratore. Sono le attribuzioni patrimoniali oggetto dello scambio che rendono caratteristico lo schema contrattuale adottato: le due prestazioni contrapposte qualificano il contratto come sinallagmatico[4].

Dal contratto di compravendita nascono in capo a ciascuna delle parti delle obbligazioni ex art. 1476 e 1498 c.c.

Il primo articolo elenca le obbligazioni del venditore, precisamente: consegnare la cosa al compratore, fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto se l’acquisto non è effetto immediato del contratto[5] ed infine garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa. L’obbligazione del compratore è quella di pagare il prezzo nel termine e nel luogo fissati[6]. Quando il contratto di compravendita ha per oggetto un bene immobile spesso le parti si fanno assistere da un intermediario immobiliare. Da qui deriva la prassi di ricorrere a due strumenti diversi prima di concludere il contratto definitivo di compravendita: la proposta irrevocabile di acquisto (preliminare di preliminare) e/o il contratto preliminare d’acquisto.

La proposta irrevocabile o preliminare di preliminare ha lo scopo di “bloccare” l’immobile al quale il promissario acquirente è interessato nel mentre che lo stesso compie una serie di operazioni finalizzate all’acquisto del bene in questione, come, ad esempio ottenere la concessione di un mutuo o attendere l’avverarsi di determinate condizioni. Questa proposta è spesso accompagnata da una cauzione e viene sottoposta da parte dell’intermediario immobiliare al promittente venditore che può decidere di accettarla o meno.

In un primo momento questo contratto era stato ritenuto nullo dalla giurisprudenza: la Suprema Corte riteneva che si trattasse di un contratto che "darebbe luogo a una inconcludente superfetazione, non sorretta da alcun effettivo interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente"[7]. Date le contrapposte interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali sono intervenute le Sezioni Unite con una sentenza[8] grazie alla quale è stata riconosciuta validità al contratto preliminare di preliminare.

Questa sentenza riconosce che nella contrattazione immobiliare si possano distinguere tre fasi che portano alla conclusione del contratto di compravendita. La prima fase di questo procedimento, definita come preliminare e non definitiva, gioca un ruolo essenziale nella quale sussiste l’esigenza di fermare l’affare. Il preliminare di preliminare risulta essere valido qualora ricorrano le seguenti indicazioni: non si riduce in un mero obbligo di obbligarsi, vi è l’indicazione delle parti e del bene oggetto di compravendita e del prezzo del medesimo e, soprattutto, la non applicazione dell’art. 2932 c.c[9]. La caratteristica che il giudice dovrà valutare per ritenere valido il preliminare di preliminare è la validità dello stesso e la possibilità del medesimo di produrre effetti ex art. 1351 c.c., 2932 c.c. nella parte in cui fa riferimento agli effetti obbligatori ed esclusa l’esecuzione in forma specifica.

L’altro strumento antecedente alla stipula del contratto definitivo di compravendita è il contratto preliminare, definito nella prassi in modo improprio come compromesso. Con il contratto preliminare le parti si impegnano a stipulare il contratto definitivo. Detto contratto deve essere stipulato in forma scritta[10], oltre a questo qualora si volesse procedere alla trascrizione del preliminare nei registri immobiliari esso deve rivestire la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e sarà di conseguenza richiesto l’intervento del notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò abilitato.

Il contratto preliminare deve contenere dei requisiti minimi quali il consenso delle parti, la forma scritta, l’oggetto, il prezzo. Può contenere anche degli elementi accessori come: termine[11], caparra[12], condizione[13], acconto[14], clausola penale[15] per l’inadempimento totale o parziale.

Oltre a tutti questi strumenti di tutela qualora una delle parti si dovesse opporre alla stipulazione del contratto definitivo l’altra parte può rivolgersi al giudice chiedendo l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 c.c. ottenendo una sentenza sostitutiva del rogito[16] o agire ex art. 1453 c.c. per chiedere la risoluzione del contratto e risarcimento del danno[17].

In conclusione, si può indicare la differenza intercorrente tra il contratto di compravendita e il contratto rent to buy. Quest’ultimo può essere definito come il contratto che prevede l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto del conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto[18].

3. La garanzia per vizi: natura, presupposti, termine, effetti immediati e mediati

Il codice civile del 1942 prevede una responsabilità del venditore per i vizi della cosa preesistenti alla conclusione del contratto[19], il tutto a tutela della posizione del compratore. Questa responsabilità del debitore viene qualificata come garanzia derivante dal contratto di compravendita.

Non tutta la dottrina concorda nel definire come garanzia questa responsabilità del debitore in quanto "se si tiene presente che i vizi della cosa di cui si tratta sono preesistenti alla conclusione del contratto e che presupposto perchè possa sussistere una responsabilità del venditore è che il compratore li abbia ignorati nel momento della conclusione non sembra dubbio che in realtà il fenomeno consista in una falsa rappresentazione della realtà che ha condotto una delle parti a stipulare il contratto per un oggetto avente certe caratteristiche negative rimaste ignote o prive di certe caratteristiche positive ritenute esistenti"[20]. Sviluppo di questa impostazione è quello di considerare l’esercizio delle azioni edilizie[21] come azioni di impugnativa del contratto per errore[22]: in questo modo vi sarebbe un concorso tra azione di garanzia e azione generale di annullamento.

Obiezione che si può muovere a questa impostazione concerne la differenza esistente tra le due tipologie di errori. L’errore vizio presuppone una falsa rappresentazione della realtà mentre l’errore redibitorio prevede un’esatta rappresentazione che non ha avuto concretamente attuazione.  Oltre a questo l’annullamento per errore implica un contratto invalido mentre l’errore redibitorio si fonda su un contratto valido.

Contrapposta a questa impostazione dottrinaria vi è la concezione secondo la quale la garanzia ex art. 1476 n.3 c.c. integrerebbe una autonoma obbligazione del venditore di tipo assicurativo. Questa autonoma obbligazione assumerebbe il connotato di surrogato della pretesa di esatto adempimento nell’ipotesi in cui l’effetto traslativo non dovesse essere conforme a quanto pattuito. In questa prospettiva "la garanzia si delinea come assicurazione contrattuale di un risultato, come promessa di indennizzo da corrispondersi al verificarsi del “rischio” assicurato indipendentemente dai profili di colpevolezza"[23].

Questa ricostruzione costruisce tutta la teoria su una fictio: risulta difficile comprendere come un’azione, qualificata come un surrogato dell’inadempimento, sia protesa allo scioglimento del negozio, seppur in maniera diversa. Oltre a questo le azioni edilizie prevedono che la pretesa risarcitoria alla condizione che "il venditore non riesca a provare di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa ex art. 1494 c.c."

Un’altra impostazione dottrinaria ritiene che la garanzia per vizi della cosa venduta possa essere qualificata come responsabilità da culpa in contrahendo[24] per violazione delle regole di correttezza. Il ricorso quindi al concetto di obbligo di informazione consente ai sostenitori di questa teoria di evidenziare come la fase delle trattative negoziali e la conseguente in esecuzione della vendita siano collegati. Tutto questo però priva di un senso logico il risarcimento dei danni previsto dall’art. 1494 c.c.

Nonostante la presenza di tutte queste ricostruzioni la dottrina prevalente ritiene che la garanzia sorga dai principi generali dell’inadempimento delle obbligazioni inteso come non-esecuzione[25]. Questa ricostruzione teorica ritiene che sebbene il contratto di compravendita appartenga alla disciplina “speciale” questo non implica, in primo luogo, eccezionalità della responsabilità, e, in secondo luogo," non esclude nemmeno l’integrazione della disciplina dettata dall’art. 1490 c.c. con le regole generali sulla responsabilità contrattuale"[26].

In relazione alla natura dell’azione redibitoria vi sono essenzialmente due tesi contrapposte. Una prima tesi ritiene che l’azione redibitoria non goda di autonomia in quanto considerata come species dell’azione di risoluzione del contratto. Il punto di partenza è l’art. 1492 c.c il quale prevede che "nei casi indicati dall’art. 1490 il compratore può chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo salvo che per determinati vizi gli usi escludano la risoluzione del contratto". Questa disposizione verrebbe letta in combinato disposto con l’art.1450 c.c. il quale consente la risoluzione del contratto per inadempimento di una delle parte a condizione che l’inadempimento non abbia scarsa importanza rispetto all’interesse dell’altra parte.

La dottrina appena citata ritiene, quindi, che l’art. 1492 c.c. sia un’ipotesi di un inadempimento di non scarsa importanza che darebbe luogo all’azione di risoluzione del contratto ex art. 1450 c.c. Si è fatto notare, però, che "la scarsa importanza dell’inadempimento può ravvisarsi, ad esempio, quando l’inesattezza sia agevolmente eliminabile mediante una riparazione o mediante la sostituzione di un determinato pezzo"[27].

Vi è chi sostiene che l’azione redibitoria possieda una natura autonoma e indipendente. Questa indipendenza comprende gli effetti mediati derivanti dal suo esercizio anche se risulta necessario per il completamento della disciplina dell’azione in questione far riferimento alle norme generali in materia di risoluzione del contratto. A sostegno di detta tesi vi è l’espressione dell’art. 1497 c.c. la quale concede al compratore la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali quando "la cosa venduta non abbia le qualità promesse o quelle essenziali per l’uso cui è destinata e il difetto di qualità ecceda i limiti di tolleranza stabiliti dagli usi." Questa risoluzione del contratto deve essere esercitata nel rispetto dei termini di prescrizione e decadenza indicati dall’art. 1495 c.c.

L’art. 1497 c.c. consente di svolgere alcune riflessioni. In primo luogo si può dire che la garanzia per vizi redibitori è diversa da quella disciplinata dall’art. 1497 c.c. In secondo luogo alla garanzia disciplinata dall’art. 1497 c.c. viene concesso il rimedio dell’azione generale di risoluzione del contratto a condizione che si rispettino i termini indicati dall’art. 1495 c.c. Infine la risoluzione disciplinata nell’art.1492 c.c. relativa ai vizi redibitori risulta essere diversa dall’azione ordinaria di risoluzione che risulta invece applicabile nel caso di mancanza di qualità ex art.1497 c.c.

Ulteriori indizi legislativi che militano a favore dell’autonomia dell’azione redibitoria sono:

  1. Irrilevanza della colpa del venditore ai fini della titolarità in capo al compratore del diritto alla risoluzione ex art. 1492 c.c. L’azione ordinaria di risoluzione, a contrario, rappresenta una sanzione per l’inadempimento imputabile a titolo di colpa.
  2. Viene attribuita massima importanza agli usi: il compratore può chiedere la risoluzione a meno che questa non venga esclusa dagli usi in relazione all’esistenza di determinati vizi ex art. 1492 c.c.
  3. La restituzione della cosa acquistata come condizione per l’esercizio di detta azione quando la cosa non sia perita in conseguenza dei vizi ex art. 1492 comma 3 c.c.
  4. Particolari termini stabiliti per questa azione ex art. 1495 c.c.[28]

L’art.1492 c.c. indica il presupposto affinchè sia esperibile l’azione redibitoria ossia che "la cosa venduta sia affetta da vizi che la rendano inidonea all’uso a cui è destinata o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore". Si deve capire in che cosa consistano questi vizi che legittimano il compratore ad esperire l’azione redibitoria. Per consolidato orientamento dottrinale per vizi si devono intendere le imperfezioni materiali della cosa che attengono al processo di fabbricazione, produzione, conservazione o formazione della stessa oppure le deficienze che colpiscono la cosa nella struttura, nella composizione, nell’aspetto estrinseco e incidono sulla sua utilizzabilità e valore[29]. Restano esclusi i vizi di diritto ossia quelli relativi alla condizione giuridica della res: questi danno luogo a rimedi particolari ossia l’esistenza di oneri o diritti di godimento appartenenti a terzi (art. 1489 c.c.)[30].

Si richiede che i vizi appena descritti preesistano rispetto al momento della conclusione del contratto o che esistano le cause dei vizi sopravvenuti alla conclusione dell’accordo contrattuale. Qualora i vizi dovessero sopravvenire alla conclusione del contratto e siano imputabili al venditore legittimano il compratore a ricorrere agli ordinari rimedi contrattuali in quanto causati da un inesatto adempimento dell’obbligo di consegna ex art. 1477 comma 1 c.c[31].

Se questo è un presupposto esplicito l’elaborazione dottrinaria ha rinvenuto altri tre presupposti che legittimano il compratore ad esercitare l’azione redibitoria. Il primo è contenuto nell’art. 1490 comma 2 c.c.: il patto con cui si esclude o limita la garanzia non ha effetto se il venditore ha taciuto in mala fede[32] al compratore i vizi della cosa. Dato che la disciplina per i vizi è dispositiva le parti con apposito patto possono incidere sia sull’oggetto della garanzia, quindi sui singoli vizi che rilevano, sia sul contenuto della garanzia medesima quindi sulle azioni esperibili dal compratore e sull’onere di denunzia[33]. Il secondo presupposto si ricava dall’art. 1491 c.c.: Non è dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa; parimenti non è dovuta, se i vizi erano facilmente riconoscibili, salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi. Il problema sorge in relazione ai vizi riconoscibili: si ritiene che detta ipotesi si concretizzi solo qualora la cosa sia contrattata a vista o se la res oggetto del contratto possa essere esaminata dal compratore. Si ritiene che vizi facilmente riconoscibili siano quelli che si possono riconoscere utilizzando una minima diligenza e procedendo ad un esame superficiale del bene. Oltre a questo la riconoscibilità dei vizi deve essere rapportata alle conoscenze e capacità personali dell’acquirente[34].

La dichiarazione del venditore esonera il compratore da ogni sforzo di diligenza anche nel caso in cui l’alienante ignorasse senza colpa l’esistenza dei vizi. Questo si spiega per il fatto che il compratore ripone una particolare fiducia nella dichiarazione effettuata dal compratore.

Qualora la dichiarazione fornita dal venditore contenga generiche assicurazioni sulla bontà o sanità della merce non rende garante il venditore per i difetti manifesti. Stesso ragionamento si può applicare alla generica esaltazione della merce che suole farsi da parte di produttori e rivenditori negli avvisi pubblicitari e nelle offerte al pubblico[35].

Corollario che si trae da questo secondo presupposto è che se la cosa consegnata è perita a causa dei vizi il compratore può chiedere la risoluzione del contratto, se invece è perita per caso fortuito, per colpa del compratore o se quest’ultimo l’ha alienata o trasformata al compratore può riconoscersi solamente il diritto a domanda una riduzione del prezzo (art. 1492 comma 3 c.c.)[36]. Una parte della dottrina ritiene che questa previsione codicistica sia espressione del principio res perit domino. I sostenitori di questa tesi applicano la disposizione in esame in senso ampio ossia in qualsiasi altra ipotesi in cui la restituzione della res sia divenuta impossibile per causa non imputabile al venditore. Esempi sono lo smarrimento della cosa, l’espropriazione di essa, l’essere divenuta incommerciabile per espressa disposizione di legge o per provvedimento dell’autorità amministrativa. Coerentemente si ritiene che il compratore possa esperire l’azione di risoluzione del contratto nell’ipotesi in cui dopo l’alienazione o la trasformazione della cosa la riacquisti o la ripristini[37].

Un’altra parte della dottrina distingue a seconda delle ipotesi di perimento della cosa, di smarrimento, ed infine di trasformazione/alienazione. Nel primo caso (perimento) si dovrebbe ammettere il diritto del compratore a chiedere ed ottenere la risoluzione del contratto in quanto non avendo il compratore tratto alcuna utilità, lo scioglimento del vincolo costituisce il rimedio necessario per ristabilire l’equilibrio delle posizioni dei contraenti. Nella seconda ipotesi (smarrimento) il negare la risoluzione del contratto risulta essere applicazione del principio res perit domino. Nelle ultime ipotesi (alienazione e trasformazione) la preclusione alla risoluzione del contratto trova la sua giustificazione nella volontà del compratore, purchè consapevole dei vizi di disporre della cosa acquistata e dunque di mantenere in vita il contratto. In quest’ultimo caso rimane impregiudicato il diritto del compratore ad ottenere la riduzione del prezzo[38].

Questa impostazione ritiene, dunque, che il compratore, ammesso alla redibitoria nonostante l’alienazione o la trasformazione eseguite nell’ignoranza dei vizi una volta che sia stata pronunciata la risoluzione sia tenuto a prestare l’equivalente della res stessa[39]

Qualora la res oggetto del contratto sia affetta da vizi il compratore può decidere di attivare due strumenti di tutela: chiedere la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto salvo che in relazione a determinati vizi la risoluzione sia esclusa dagli usi (art. 1492 comma 1 c.c.). Nel caso in  il compratore dovesse decidere di avvalersi del rimedio della risoluzione del contratto deve rispettare dei termini sia di decadenza che di prescrizione. 

L’art. 1495 c.c. detta i termini di decadenza (comma 1 e 2) e  di prescrizione (comma 3) affinchè il compratore eserciti in modo efficace l’azione di risoluzione del contratto ex art. 1492 comma 1 c.c.

Il termine di decadenza è di otto giorni dalla scoperta del vizio o nel diverso termine fissato dalle parti[40] o dalla legge[41]. La denuncia, per la quale non è richiesta una forma particolare, si ritiene effettuata correttamente qualora venga inviata prima dello scadere dei termini. Non risulta quindi necessario che sia ricevuta entro lo stesso termine dal venditore.

La denunzia, atto giuridico in senso stretto[42], è sufficiente che contenga una generica e sommaria contestazione dei vizi medesimi e deve essere reiterata nell’ipotesi in cui emergano nuovi vizi ad eccezione dell’ipotesi in cui i nuovi vizi risultino essere collegati a quelli denunciati tempestivamente. Può essere effettuata dal compratore o da qualsiasi terzo che agisca per suo conto anche in assenza di procura[43] e può essere comunicata al venditore o ad una diversa persona autorizzata a riceverla[44].

Il termine di prescrizione, ex art. 1495 comma 3 c.c., prevede che il diritto del compratore alla risoluzione si prescrive nel termine di un anno dalla consegna della cosa. Nell’ipotesi in cui non vi sia stata la consegna il termine decorre dal momento in cui il compratore ha conseguito l’effettiva disponibilità della cosa. Inoltre qualora il compratore avesse avuto la disponibilità in un momento anteriore alla conclusione del negozio il termine decorre da quel momento. Infine se il compratore ha scoperto il vizio prima della consegna il termine decorre sempre da essa[45].

L’esercizio vittorioso dell’azione redibitoria da parte del compratore fa conseguire ad egli la risoluzione del contratto[46]. Alla risoluzione del contratto di compravendita si devono quindi riferire gli effetti immediati del suo esperimento.

 A seguito dell’avvenuta risoluzione nascono in capo alle parti le obbligazioni di restituzione e di rimborso, l’art.1493 comma 1 c.c. prevede infatti che in caso di risoluzione del contratto il venditore deve restituire il prezzo e rimborsare al compratore le spese e i pagamenti legittimamente fatti per la vendita, al comma successivo stabilisce che il compratore deve restituire la cosa se questa non è perita in conseguenza dei vizi[47].

Questa affermazione consente di escludere che il giudice adito per la risoluzione della compravendita possa oltre a pronunciare la risoluzione di detto contratto condannare il convenuto o l’attore alle specifiche restituzioni in mancanza di una specifica domanda di parte. Il giudice quindi, in assenza di specifica domanda di parte, non potrebbe di sua iniziativa condannare l’attore a una determinata prestazione.

Le due prestazioni di restituzione si devono considerare tra di loro come indipendenti. Questa affermazione concorre a ritenere come non corretto una corrente giurisprudenziale[48] secondo la quale il giudice dopo aver accolto la domanda redibitoria non potrebbe pronunciare la condanna del venditore alla restituzione del prezzo senza condizionare tale condanna alla contemporanea restituzione da parte del compratore della cosa[49].

Gli effetti mediati della risoluzione del contratto, ex art. 1493 comma 1 c.c., fanno riferimento alle due parti contrattuali ossia il venditore e il compratore.

Il venditore, dopo che sia stata dichiarata dal giudice la risoluzione del contratto, è tenuto a restituire il prezzo a lui pagato. Si discute se egli sia tenuto a corrispondere anche gli interessi sul prezzo. La risposta della dottrina maggioritaria sembra essere favorevole anche se la divisione avviene circa la decorrenza degli stessi. Per una parte decorrono dal giorno del pagamento eseguito dal compratore, per altri dal giorno della domanda giudiziale di risoluzione[50]. Oltre a questo il venditore è obbligato a rimborsare le spese e i pagamenti effettuati in modo legittimo per la vendita[51].

Il compratore, una volta che sia stata pronunciata la risoluzione del contratto, deve restituire la res oggetto del medesimo ma non anche i frutti della stessa: questi sono dovuti solo dal giorno della risoluzione. Il compratore è esonerato dall’obbligo di restituzione quando la cosa sia perita in conseguenza dei vizi o quando ne abbia perso al disponibilità per una diversa causa riprovabile al venditore prima della decisione giudiziale e anche nell’ipotesi di caso fortuito[52].

Qualora il perimento della cosa dovesse verificarsi dopo la risoluzione del contratto è doveroso ricordare che è sorta in capo al compratore una vera e propria obbligazione restitutoria: i soli principi applicabili sono quelli relativi all’inadempimento ex art. 1218 c.c. e all’impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c[53].

4. La decisione delle Sezioni Unite in materia di prescrizione

Di recente le Sezioni Unite hanno elaborato una pronuncia[54] estremamente complessa in tema di compravendita nella quale vengono trattate tutte le questioni maggiormente discusse e controverse relative alla disciplina del contratto in esame. La Seconda Sezione civile ha ritenuto necessario una pronuncia delle Sezioni Unite in quanto oggetto del contenzioso era una questione di particolare importanza. Essa riguarda, infatti, l’istituto della garanzia per vizi nel contratto di compravendita e l’aspetto relativo agli atti idonei ad interrompere la prescrizione ex art. 1495 comma 3 c.c. ai sensi dell’art. 2943 c.c diversi dalla proposizione della domanda giudiziale[55].

Un primo orientamento giurisprudenziale[56] ritiene che la prescrizione della garanzia ex art 1495 comma 3 c.c. viene interrotta dalla manifestazione stragiudiziale del compratore al venditore di volerla esercitare anche nell’ipotesi in cui il compratore si riservi successivamente la scelta tra la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. La Seconda Sezione osserva come questa impostazione distingua fra garanzia, situazione giuridica autonoma, e azioni edilizie che derivano dalla garanzia.

Questa questione rimanda alla risoluzione del problema relativo alla natura giuridica della garanzia per vizi e al suo rapporto con la garanzia[57].

Le Sezioni Unite dopo aver accennato alle varie posizioni dottrinarie presenti ritengono che la responsabilità risarcitoria del venditore presuppone che egli versi in una situazione di colpa, i rimedi dell’art. 1492 c.c., invece, prescindono da questa e sono azionabili per il fatto oggettivo della esistenza dei vizi. Il fondamento della responsabilità per vizi rinviene il suo fondamento nel fatto che il bene consegnato non corrisponde all’oggetto dovuto alla luce di quanto previsto nell’atto di autonomia privata.

Nella pronuncia in esame le Sezioni Unite richiamano la “loro” sentenza n. 11748/2019. Con questa pronuncia la garanzia per vizi è stata definita come responsabilità contrattuale anche se non corrispondente in toto a quella ordinaria. La responsabilità per inadempimento deriva dalla non-esatta esecuzione del contratto di compravendita. Questa non-esatta esecuzione si riflette sia dal punto di vista dell’efficacia traslativa in quanto il bene è affetto da delle anomalie, sia in relazione all’idoneità all’uso cui è destinato. Viene altresì ricordato come i vizi devono essere preesistenti rispetto alla conclusione del contratto dato che il bene deve essere consegnato dal venditore nello stato in cui si trovava al momento della vendita ex art. 1477 c.c.

Solo l’inesistenza di tali tipi di vizi che consente di realizzare oltre che il sinallagma genetico quello funzionale, la responsabilità relativa alla loro garanzia prescinde da ogni giudizio di colpevolezza basandosi sul dato oggettivo dell’esistenza dei vizi stessi e traducendosi nella conseguente assunzione del rischio, di origine contrattuale, da parte del venditore di esporsi all’esercizio dei due rimedi edilizi.

Un secondo orientamento[58] ritiene che solamente l’esercizio dei mezzi processuali possa risultare idoneo ad evitare la perdita della garanzia. L’assunto sul quale si basa questa soluzione è che l’esercizio delle azioni edilizie da parte del compratore porta a qualificare la posizione del venditore come di mera soggezione. Da ciò deriva che la prescrizione dell’azione può essere interrotta efficacemente solamente mediante la proposizione della domanda giudiziale e non da atti di costituzione in mora.

Le Sezioni Unite[59] ritengono che la prescrizione della garanzia per vizi possa essere interrotta dalla comunicazione del compratore al venditore di voler esercitare detta azione. È facoltà del compratore decidere successivamente la scelta del rimedio da esercitare a condizione che la riserva abbia come oggetto lo stesso diritto rispetto al quale si interrompe la prescrizione.

Con l’esercizio dell’azione il compratore fa valere la pretesa contrattuale all’esatta esecuzione del contratto. Di conseguenza qualora questa tutela dovesse risultare insoddisfatta vi sono i rimedi sostanziali che perseguono una tutela diretta o indiretta. Posto che si tratta di azionare il diritto alla garanzia derivante dal contratto si deve applicare la disciplina generale della prescrizione compresa la parte relativa alla interruzione e sospensione della stessa.

Il compratore quando si avvale della garanzia fa valere l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore e conseguentemente si deve ammettere che lo possa fare attraverso la manifestazione di una volontà extraprocessuale. A questo aspetto si riferisce l’art. 1492 c.c. nella parte in cui prevede che la scelta è irrevocabile quando è fatta con domanda giudiziale.

Sulla base di tutto questo le Sezioni Unite arrivano alla conclusione secondo la cui è ammissibile l’interruzione della prescrizione con un atto stragiudiziale fermo rimanendo che l’interruzione si limita a far perdere ogni efficacia al tempo già trascorso prima del compimento dell’atto senza interferire con il modo di essere del diritto. Di conseguenza le domande giudiziali, gli atti di costituzione in mora da parte del compratore sono cause idonee di interruzione della prescrizione. L’effetto prodotto dagli atti appena citati è che, dopo averli esercitati entro l’anno dalla consegna, comincia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione della durata di un anno. Oltre a questo queste cause di interruzione perseguono lo scopo di favorire una risoluzione stragiudiziale della controversia.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Bianchi G., Il contratto de vendita, Utet, 2009, pag. 75.

[2] Viene richiesta per i negozi solenni, per costante orientamento giurisprudenziale la forma scritta deve essere rivestita solo dagli elementi essenziali del contratto (Cassazione n. 5385/2011, n. 5197/2008, n. 7274/2005. Trabucchi A., Istituzioni di diritto civile, Cedam, 2018, pag. 137.

[3] Dagnino F., Rossi A., Contratti e contenzioso nel settore immobiliare, Altalex, 2017, pag. 18-21.

[4] Bianchi G., Il contratto de vendita, Utet, 2009, pag. 85

[5] L’obbligo principale del venditore differisce a seconda che si tratti di vendita con efficacia reale immediata o obbligatoria.  Nel primo caso la proprietà della cosa venduta passa in capo al compratore ex art. 1376 c.c. e quindi il venditore è tenuto a consegnare la cosa cioè attuare la tradizione del possesso. Nella seconda tipologia di vendita il venditore deve in primis far acquistare al compratore la proprietà della cosa mediante la consegna o l’individuazione. Trabucchi A., Istituzioni di diritto civile, Cedam, 2018, pag. 1007-1008.

[6] In mancanza di pattuizioni e salvi gli usi diversi il pagamento deve avvenire al momento della consegna e nel luogo dove questa si esegue. Se il prezzo non si deve pagare al momento della consegna il pagamento si fa al domicilio del venditore.

[7] Cassazione civile n. 8038/2009.

[8] Sentenza n. 4628/2015.

[9] L’art. in questione prevede che se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. Nel caso del preliminare di preliminare la parte inadempiente dovrà corrispondere solamente il risarcimento del danno.

[10] Il preliminare deve possedere la stessa forma che la legge richiede per il contratto definitivo.

[11] Si deve distinguere tra termine essenziale e semplice. Qualora sia previsto il secondo il ritardo avrà come conseguenza la morosità della parte inadempiente ma il contratto resterà valido. Invece, se si tratta di termine essenziale, comporta la risoluzione del contratto che avviene automaticamente ex art. 1457 c.c. ad eccezione che la parte nel cui interesse è stato fissato il termine non chieda entro tre giorni l’esecuzione nonostante la scadenza del termine.

[12] La caparra confirmatoria può essere definita come l’acconto come un anticipo sul pagamento del bene, ma, a differenza dell’acconto non è rimborsabile in quanto svolge la funzione di risarcimento: se il contratto non viene concluso per responsabilità imputabile al promissario acquirente il promissario venditore ha diritto di trattenerla senza dover dimostrare il danno. A contrario, qualora il contratto non venisse concluso per responsabilità imputabile al promissario venditore, egli dovrà restituire il doppio di quanto pattuito a titolo di caparra.  Qualora il contratto venisse dichiarato nullo con sentenza con sentenza passata in giudicato il promissario venditore deve restituire la somma ricevuta a titolo di caparra in quanto diviene sine causa il titolo che giustificava il versamento.

Nel caso in cui non sia specificato il titolo per il quale viene concessa la somma si ritiene che si tratti di una caparra.

[13] Si tratta della previsione dell’art. 1353 c.c.: le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto ad un avvenimento futuro e incerto.

[14] Si tratta di un anticipo sul pagamento del bene e l’altra parte non ha diritto di trattenerlo nemmeno nell’ipotesi in cui si sia verificato un danno. Deve essere restituito nell’ipotesi in cui il contratto non venga concluso.

[15] È una clausola mediante la quale si conviene che in caso di inadempimento o ritardo il responsabile di questi è tenuto a corrispondere una somma a titolo di risarcimento del danno. Le caratteristiche della clausola penale sono essenzialmente due: limitare il risarcimento in quanto preventivamente determinato e pagamento della penale a prescindere dalla prova del danno.

[16] Al fine di ottenere la sentenza favorevole la parte diligente deve eseguire la sua prestazione  o effettuare offerta formale.

[17] Dagnino F., Rossi A., Contratti e contenzioso nel settore immobiliare, Altalex, 2017, pag. 4-15.

[18] F., Rossi A., Contratti e contenzioso nel settore immobiliare, Altalex, 2017, pag. 27.

[19] Questa disciplina è suscettibile di essere applicata a tutti i contratti di scambio nei quali una delle prestazioni consista nel dare la proprietà o altro diritto reale di godimento su una cosa corporale. Gorla G., voce Azione redibitoria, in Enciclopedia del diritto, 1959, pag. 875.

[20] Ferri G.B., La vendita in generale. Le obbligazioni del venditore. Le obbligazioni del compratore, in Trattato di diritto privato, di Rescigno P. Utet, 2000, pag. 557.

[21] Sono denominate in questo modo in quanto concesse dagli edili curuli e si tratta dell’actio redibitoria e dell’actio aestimatoria. La prima si doveva esperire davanti al tribunale degli edili curuli entro sei mesi utili e diretta previa restituzione dello schiavo e di ogni acquisto derivato a ottenere la restituzione del prezzo pagato. La seconda concessa al compratore entro l’anno al fine di ottenere dal venditore una riduzione del prezzo proporzionale alla diminuzione del valore conseguente all’esistenza di vizi non dichiarati. Burdese A., Manuale di diritto privato romano, Utet,1993, pag. 459.460.

[22] A differenza dell’errore vizio la disciplina della garanzia prescinde dalla falsa rappresentazione nella determinazione negoziale.

[23] Mengoni L., Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Rivista di diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, fasc. 1-2, 1953, pag. 15.

[24] Incorre in essa la parte che si sia comportata scorrettamente durante la fase preparatoria dell’accordo contrattuale. In questo modo violazione della buona fede e responsabilità sono collegate. La responsabilità precontrattuale si può avere in diverse ipotesi, alcune sono espressamente indicate dalle legge altre rientrano nella previsione legislativa dell’art.1337 c.c. (le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede). Si ritiene che anche la previsione dell’art. 1338 c.c. (la parte che conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato senza sua colpa nella validità del contratto) rientri nel genus responsabilità precontrattuale.

[25] Valentino D., I contratti di vendita, tomo secondo, Utet, 2007, pag.  1080-1095.

[26] Grassi U., I vizi della cosa venduta nella dottrina dell’errore. Il problema dell’inesatto adempimento, Edizioni scientifiche italiane, 1996, pag. 289.

[27] Bianca C.M., La vendita e la permuta, Utet, 1993, pag. 950.

[28] Garofalo L., Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, in Tutele rimediali in tema di rapporti obbligatori. Archetipi romani e modelli attuali, a cura di Garofalo L., Giappichelli, 2015, pag. 31-88.

[29] Bianca C.M., La vendita e la permuta, Utet, 1993, pag. 894-895. Mirabelli G., I singoli contratti, Utet, 1968, pag. 97.

[30] Romano S., Vendita, contratto estimatorio in Trattato di diritto civile diretto da Grosso G., Santoro-Passarelli F., Vallardi, 1960, pag. 262.

[31] La cosa deve essere consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita.

Terranova C.G., voce Azione redibitoria, in Enciclopedia giuridica, Giuffrè, 1988, pag. 9.

[32] Per alcuni si deve intendere non solo come dolo ma anche come colpa grave.

[33] Rubino D., La compravendita, Giuffrè, 1962, pag. 861.

[34] Terranova C.G., voce Azione redibitoria, in Enciclopedia giuridica, Giuffrè, 1988, pag. 12-13.

[35] Bianca C.M., La vendita e la permuta, Utet, 1993, pag. 918.

[36] Questo costituisce il terzo ed ultimo presupposto per l’esperimento dell’azione redibitoria.

[37] Rubino D., La compravendita, Giuffrè, 1962, pag. 805.

[38] Falzone Calvisi M.G., La garanzia per vizi, Giuffrè, 1996, pag. 530.

[39] Cassazione civile n. 1759/1980.

[40] Stando al tenore dell’art.2965 c.c. non può rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto pena la nullità. Si ritiene che operi anche a favore del venditore: risulta nullo il patto con il quale le parti allunghino il termine di otto giorni in modo da rendere eccessivamente difficile per il venditore la prova delle sue possibili eccezioni relative ai vizi. Rubino D., La compravendita, Giuffrè, 1962, pag. 831.

[41] L’art. 1511 in materia di vendita di cose trasportate da un luogo ad un altro stabilisce che il termine ordinario in relazione ai vizi apparenti decorre dal giorno del ricevimento della merce.

[42] Non richiede la capacità di agire in quanto non ha carattere negoziale e perchè non importa pregiudizio per il denunziante.  Bianca C.M., La vendita e la permuta, Utet, 1993, pag. 1025.

[43] Non risulta necessaria in quanto non si tratta di disporre o di esercitare diritti del compratore ma semplicemente di compiere un atto di utile gestione per la sfera giuridica di tale soggetto.

[44] Bianca C.M., La vendita e la permuta, Utet, 1993, pag. 1022-1025.

[45] Mirabelli G., I singoli contratti, Utet,1962, pag. 113.

[46] In questo si differenzia dalla tradizione giuridica romana. Nell’ordinamento dell’età classica, infatti, il giudice del processo redibitorio una volta che aveva accertato che l’oggetto della contratto di compravendita (schiavo o animale) era affetto da un vizio non apparente e nemmeno dichiarato invitava l’attore ad eseguire in favore della controparte alcune azioni. Tra di esse vi era la redibizione della res. Una volta effettuata questa prestazione il giudice invitava il convenuto ad eseguire delle prestazioni in favore dell’attore come ad esempio la restituzione del prezzo. L’adempimento delle prime costituiva un onere per l’attore/compratore in quanto in mancanza di esse il processo sarebbe terminato, le seconde evitavano al convenuto/venditore la condanna. Garofalo L., L’impossibilità della redibizione nella riflessione dei giuristi classici in Tutele rimediali in tema di rapporti obbligatori. Archetipi romani e modelli attuali a cura di Garofalo L., Giappichelli, 2015, pag. 1-29.

[47] In giurisprudenza non sembra che sia così limpida questa disposizione. La cassazione, infatti, ha stabilito che in ipotesi di perimento della cosa dopo la proposizione della domanda di risoluzione spetta al compratore mantenutosi nel possesso della cosa compravenduta dimostrare che la sua obbligazione di restituzione si è estinta in dipendenza dell’avvenuto fortuito. Cassazione civile n. 11892/1991.

[48] Cassazione civile n. 2610/1964.

[49] Bianca C.M., La vendita e la permuta, Utet, 1993, pag. 971-972.

[50] Tatarano G., Art. 1493 in Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, a cura di Perlingieri P., Libro IV, Edizioni Scientifiche, 1991, pag. 861.

[51] Rubino D., La compravendita, Giuffrè, 1962, pag. 816.

[52] Gallo P., Arricchimento senza causa e quasi contratti (I rimedi restitutori) in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco R., Utet, 1996, pag. 226.

[53] Da questo deriva come conseguenza logica che qualora il venditore abbia intimato per iscritto la restituzione della cosa al compratore in un momento anteriore alla pronuncia di risoluzione del contratto il compratore si trova in mora da quel momento. Qualora la restituzione della cosa divenga impossibile per causa a lui non imputabile egli non è liberato ed è tenuto a risarcire il danno a meno che non provi che il bene sarebbe ugualmente perito presso il venditore ex art.1226 c.c.

Schiavone S., Art. 1492 in Commentario al codice civile diretto da Cendon P., Giuffrè, 1993, pag. 933.

[54] La pronuncia trae origine da un ricorso per Cassazione avverso alla sentenza del Tribunale di Taranto (n. 1449/2013 pronunciata contro la sentenza n. 118/2009 del giudice di pace) la quale respinse le eccezioni di decadenza e prescrizione in quanto in relazione alla prescrizione il Tribunale ritenne che le diverse comunicazioni non potevano ritenersi atti idonei ad interrompere il decorso del termine prescrizionale.

[55] Ordinanza n. 23857/2018 depositata il 31/1/2018.

[56] Si tratta delle pronunce della seconda sezione n. 18477/2003, 20332/2007 e 20705/2017.

[57] Posta l’ampia trattazione e disamina effettuata nei precedenti paragrafi si riporta solamente l’orientamento sostenuto in questa pronuncia.

[58] Sezione seconda n. 8417/2016.

[59] Cassazione civile, Sezioni Unite, n. 18672/2019, 11/7/2019.