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Pubbl. Sab, 17 Ago 2019
Sottoposto a PEER REVIEW

La fattispecie di compossesso ad usucapionem

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Tania Terranova


Sull´ammissibilità del compossesso ad usucapionem di quota indivisa.


Sommario: 1. Il possesso e l’usucapione: profili generali. - 2. Elementi costitutivi dell’usucapione. -  2.1.(Segue) Il possesso utile.- 2.2. (Segue) Il decorso del tempo.- 3. Il compossesso. -  4. Il compossessore-comproprietario. - 4.1. (Segue): Il coerede, il condomino e il convivente more uxorio. – 4.2. (Segue): La sopravvenuta qualità di successore nel compossesso. – 5. Cenni conclusivi.

Abstract: Co-possession ad usucapionem to obtain ownership or other rights in rem implicates the simultaneous presence of many indefectible elements in compliance with article 1140 of the Italian civil code. In relation to co-possession pro indiviso, this piece is aimed to analyse the admissibility of this de facto situation towards the acquisition ad usucapionem of another person’s right pro quota, recalling case law and the jurisprudence of the Supreme Court.

1. Il possesso e l’usucapione: profili generali.

Il Codice Civile del 1942, nell’attribuire rilevanza giuridica alle situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di diritti reali, ha stabilito ai sensi dell’art. 1140, 1° comma, c.c. che «il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale».

Attribuire rilevanza giuridica ad una situazione di mero fatto significa riconoscere al possessore la possibilità di tutelare la propria posizione senza dimostrare la titolarità del diritto corrispondente; per tale ragione l’aspetto fondamentale dell’istituto de quo risiede nel comportarsi uti dominus senza che abbia rilievo la titolarità effettiva del diritto stesso[1].

Il possesso rileva principalmente quale possibile presupposto per l’acquisto della proprietà del bene posseduto, sicché l’esercizio del possesso continuato e ininterrotto del bene mobile o immobile protratto per il tempo richiesto dalla legge attribuisce il diritto in capo al possessore (alla determinazione del tempus possessionis concorrono la successione nel possesso e l’accessione del possessore) [2].

Così normando, il legislatore ha inteso favorire chi nel tempo utilizza e rende produttivo il bene a discapito del proprietario rimasto inerte. In tal senso, la Suprema Corte ha chiarito che per aversi usucapione occorre il possesso protratto per un certo lasso di tempo, ma affinché il possesso sia utile ad usucapire è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto che dimostri in modo inequivoco l’intenzione di esercitare un potere di signoria sulla cosa, corrispondente a quella del proprietario per il decorso del tempo a tale scopo dalla legge prescritto[3].

A specificazione di quale sia l’ambito operativo dell’istituto de quo, in primo luogo, va osservato che l’usucapione, pur operando solo in via residuale per i beni mobili[4], si applica essenzialmente ai beni immobili, alle universalità di mobili e ai beni mobili registrati.

Tale situazione, però, non comporta l’acquisto immediato del diritto reale, ma implica, bensì, che il possesso durevole sia anche legittimo.

Si deve osservare, infine, che tale istituto non opera a favore del mero detentore; ciò significa che non sarebbe usucapibile un diritto personale di godimento da parte di chi abbia avuto la semplice detenzione di fatto della cosa e conseguentemente abbia esercitato le facoltà di tale diritto (salva ovviamente la possibilità di usucapire il diritto reale di cui si sia esercitato il potere di fatto a seguito dell’eventuale mutamento della detenzione in possesso ai sensi dell’art. 1141 c.c.)[5].

2. Elementi costitutivi dell’usucapione.

Affinché l’istituto dell’usucapione possa operare, è necessaria la compresenza di due indefettibili elementi: il possesso della res da parte di chi non è il titolare del diritto effettivamente esercitato e il decorso di un periodo di tempo legislativamente determinato in ragione alla natura del bene posseduto. La presenza di ulteriori requisiti -quali trascrizione e possesso di un titolo idoneo-  non rileva ai fini dell’applicazione dell’istituto de quo, ma comporta solamente la riduzione del tempo utile ad usucapionem (usucapione abbreviata).

2.1.(Segue): Il possesso utile.

Dalle disposizioni codicistiche è dato desumere che non tutti i rapporti possessori sono utili ai fini dell’acquisto del diritto per usucapione. In particolare il possesso utile ad usucapionem concerne “i possessi in senso tecnico”, ossia quelli che realizzano una delle fattispecie previste dall’art. 1140 c.c. corrispondenti all’esercizio della proprietà o di un diritto reale di godimento.

Orbene, affinché si verifichi il possesso ad usucapionem è necessaria, pertanto, la sussistenza di un comportamento continuativo e durevole che dimostri in modo inequivoco l’intenzione di esercitare un potere di signoria sulla cosa corrispondente a quello del proprietario o del titolare di un “ius in re aliena[6].

Nello specifico, per il prodursi dell’effetto tipico dell’usucapione, tuttavia, non basta neppure il possesso in senso tecnico, è necessario, infatti, che il possesso sia legittimo[7].

Secondo elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, i requisiti del possesso utile ai fini dell’usucapione sono disciplinati dalle disposizioni contenute nell’intero capo II del titolo VIII del libro terzo del Codice Civile, le quali stabiliscono che è necessario che esso presenti determinate caratteristiche e, precisamente, che sia continuato, ininterrotto e che possa definirsi “nec vi nec clam”. L’art. 1163 c.c., difatti, dispone che il possesso acquistato in modo violento o clandestino non giova per l'usucapione se non dal momento in cui la violenza o la clandestinità sia cessata.

Inoltre, la situazione possessoria, ai fini dell’usucapione, necessita di essere “pubblica”, ossia esercitata in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti[8].

Va osservato, infine, che gli atti di mera tolleranza non possono servire di fondamento all’acquisto del possesso utile[9]. Pertanto, alla stregua di qualsivoglia circostanza del caso concreto riconducibile all’altrui spirito di accondiscendenza, ragioni di amicizia o buon vicinato, la lunga durata del godimento del bene è inidonea ai fini dell’usucapione[10].

2.2. (Segue): Il decorso del tempo.

In relazione al requisito della durata del possesso, va osservato che il tempus possessionis varia in relazione alla tipologia di bene che si possiede.

In particolare, il tempo necessario ad usucapire la proprietà dei beni immobili e delle universalità di beni mobili (e degli altri diritti reali di godimento sopra i medesimi beni) è di venti anni.

Se il possessore è in buona fede e può vantare un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà[11], debitamente trascritto, la proprietà dei beni immobili e delle universalità di beni mobili si acquista in virtù del possesso continuato per dieci anni dalla data di trascrizione del titolo.

In relazione ai fondi rustici, l’istituto dell’usucapione speciale agraria, all’art. 1159 bis, 1° comma, c.c., prevede che la proprietà dei suddetti fondi con annessi fabbricati situati in comuni classificati montani dalla legge si acquista in virtù del possesso continuato per quindici anni, mentre al secondo comma dell’articolo de quo è prevista  l’usucapione speciale quinquennale per la piccola proprietà rurale, qualora l’acquisto sia in buona fede, sia avvenuto in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà e che sia debitamente trascritto.

Quanto all’usucapione dei beni mobili, in mancanza di titolo idoneo, la proprietà dei beni mobili (e degli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi) si acquista in virtù del possesso continuato per dieci anni qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede, mentre se il possessore è in mala fede, il tempo necessario per usucapire è di venti anni.

Infine, l’art. 1162 c.c., prevede l’usucapione speciale e ordinaria dei beni mobili registrati. Nello specifico, colui che acquista un bene mobile iscritto in pubblici registri in buona fede e con titolo idoneo debitamente trascritto, compie in suo favore l’usucapione col decorso di tre anni dalla data della trascrizione , diversamente, in mancanza di tali condizioni l’usucapione si compie col decorso di dieci anni.

3. Il compossesso.

Dopo aver fatto una breve disamina di quelli che sono i requisiti e gli effetti del possesso, senza incorrere in inutili ripetizioni, va precisato che l’acquisto del diritto per usucapione richiede il possesso effettivo ma non anche il possesso esclusivo.

Giurisprudenza consolidata, difatti, risolve i problemi relativi al compossesso facendo applicazione dei principi generali in tema di potere di fatto sulla cosa e animus possidenti.

Di conseguenza, il cosiddetto “compossesso”, raffigurato come possesso riferito ad un diritto reale spettante pro quota ai singoli partecipanti alla comunione, può condurre all’usucapione del diritto medesimo quando ciascuno dei comunisti compia atti effettivi di possesso uti dominus e con l’animus rem sibi habendi in modo continuativo e svolgendo attività che si palesino in modo inequivoco come esercizio del diritto di proprietà o di altro diritto reale.[12]

Giova osservare che queste formule erano espressamente oggetto di previsione codicistica. Per vero, l’art. 523 del progetto preliminare del codice civile prevedeva che “il possesso può  appartenere a più persone per quote indivise od in solido, a seconda che il diritto corrispondente sia divisibile o indivisibile”[13].

Tuttavia, tale previsione, non essendo stata inserita nel testo definitivo del Codice Civile perché ritenuta superflua, ha dato avvio ad una fase di ricerca in ordine al fondamento del compossesso. Parte della dottrina, sforzandosi di riempire di contenuto la definizione di tale situazione possessoria, attraverso un processo di definizione/esclusione estromise dall’ambito del compossesso soltanto la posizione del partecipante alla comunione strutturata e organizzata su base contrattuale o su base legislativa mediante la normativa del possesso congiunto[14].

Superati i vari tentativi definitori, può affermarsi che il punto di partenza dal quale prendere le mosse è pacificamente rappresentato dalla circostanza che il compossesso, ovvero il possesso del compartecipe, è l’attività corrispondente all’esercizio del diritto reale su un bene unitario posta in essere da una pluralità di soggetti quali singoli possessori[15]. Si badi, però, che oggetto del dominio di fatto non è la quota ideale, bensì la cosa nella sua interezza circoscritta unicamente e astrattamente dall’esercizio del potere di fatto degli altri comunisti.

Ciò ha condotto alla pacifica applicabilità del compossesso, la quale trova giustificazione nella circostanza che il nostro ordinamento tende a tutelare e a dare massimo rilievo a tutte le situazioni di fatto perduranti del tempo e soprattutto a quelle situazioni che rimuovo l’incertezza[16].

4.  Il compossessore -  comproprietario.

Quanto all’acquisto della proprietà esclusiva da parte di un comproprietario-compossessore, in giurisprudenza si è affermato che la manifestazione esteriore e non equivoca del comunista deve concretizzarsi in atti costituenti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo et animo domini della cosa, incompatibili con il permanere del possesso altrui sulla stessa[17].

Tale situazione di compossesso, che consiste nell’esplicazione del comune potere di fatto sul bene in tota et in qualibet parte dello stesso da parte di più soggetti, non esige l’esclusione del possesso del proprietario, né richiede che il compossessore effettivo ignori l’esistenza del diritto altrui, ma, tuttavia, non vale la contraria eventualità di escludere l’animus possidendi che sorregge i comportamenti effettivamente tenuti dal possessore il quale abbia usato della cosa “uti condominus[18].

Pertanto, salva la costituzione del possesso esclusivo in capo ad un singolo comunista, il compossessore-comproprietario non può acquisire la proprietà della res per usucapione, in quanto l’utilizzazione della cosa comune, anche se più intensa non vale di per sé ad essere configurata quale possesso ad excludendum[19].

Di conseguenza, affinché il compossessore possa estendere il suo possesso in termini di esclusività sull’intero bene al di là della misura del potere del singolo partecipante, occorre l’esteriorizzazione di un comportamento materiale che sin dall’inizio  manifesti in maniera non equivoca un possesso in aperto contrasto col permanere del compossesso altrui[20].

4.1. (Segue): Il coerede, il condomino e il convivente more uxorio.

Alla stregua di quanto finora esposto, va osservato che, stante le diverse situazioni di contitolarità sul bene diverse dalla semplice comproprietà, i principi descritti in tema di compossesso in genere si applicano, altresì, in ambito ereditario, condominiale e in tema di convivenza di fatto.

In tema di compossesso ereditario dall’art. 714 c.c. è desumibile il confronto tra possesso esclusivo dei beni ereditari e il godimento separato di parte dei beni medesimi.

Invero, dalla lettera dell’articolo de quo, qualora uno o più coeredi godano separatamente di parte dei beni dell’asse ereditario, la divisione dell’asse medesimo non viene ostacolata, salvo che si instauri un possesso in termini di esclusività con l’inequivoca volontà di possedere uti dominus.

In questo senso, la Suprema Corte ha precisato che il coerede, il quale dopo la morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi: a tal fine, egli, che già possiede "animo proprio" ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere "uti dominus" e non più "uti condominus", non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall'uso della cosa comune[21].

In altri termini, il coerede che sia già nel possesso del bene ereditario “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, può usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso. Difatti conta esclusivamente che vi sia un possesso esclusivo, che si palesa allorché il coerede goda del bene uti dominus e non più uti condominus in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui[22].

Con riferimento al compossesso condominiale è opportuno far cenno brevemente al requisito del corpus possessionis, ossia alla relazione materiale del soggetto con la res.

L’espressione suindicata, discostandosi parzialmente dalle comuni partizioni del possesso, non deve intendersi nella concreta, effettiva e perdurante ricorrenza di forme di fruizione della cosa, bensì nella possibilità materiale che un soggetto possa fruire e trarre le utilità dalla cosa considerata in modo unitario cumulando momenti di inerzia con momenti operosi, cosicché possa aversi possesso anche se il bene non è concretamente fruito in modo ininterrotto[23].

Esempio classico di tale tipologia di possesso è il compossesso condominiale.

Gli ermellini, nel valutare la questione e riprendendo un precedente orientamento giurisprudenziale, hanno statuito che le parti comuni dell’edificio formano oggetto di compossesso pro indiviso che viene esercitato in maniera diversa a seconda che le parti comuni siano oggettivamente o soggettivamente utili alle singole unità immobiliari[24].

Per vero, tale circostanza riconduce alla previsione di cui all’articolo 1117 c.c. che nel disciplinare le parti comuni del condominio accoglie un’elencazione non tassativa delle stesse; pertanto appare pacifico ritenere che il diritto di condominio ricomprenda non solo parti necessarie per la stessa esistenza dell’edificio (c.d. condominialità necessaria) o  beni oggettivamente funzionali alle singole abitazioni come ad esempio le facciate o i tetti (c.d. condominialità funzionale)  ma anche quelle parti che per caratteristiche strutturali obiettive sono destinate semplicemente all’uso o al godimento comune.

Di conseguenza, le parti soggettivamente utili alle singole unità immobiliari, con il perdurare dell'attività dei singoli condomini, possono formare oggetto di proprietà esclusiva, in quanto funzionali alla proprietà del singolo (ad esempio le scale o i pianerottoli)[25].

Infine, per quanto concerne il convivente more uxorio, la Suprema Corte, pronunciandosi su questioni relative ad immobili di proprietà esclusiva di uno dei due soggetti parte del rapporto di coniugio o di ménage di fatto, ha costantemente evidenziato che il solo fatto della convivenza, anche se determinata da rapporti intimi, non pone di per sé in essere nelle persone che convivono con chi possiede il bene un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso autonomo sullo stesso bene o come una sorta di compossesso[26].

Il possesso, pertanto, può espandersi e consolidarsi nelle mani del convivente solo nel momento in cui vi sia inoperatività del proprietario-possessore. Con la conseguenza che al convivente non proprietario, in presenza di un possessore iure proprietatis che con lui goda dei medesimi beni, debba riconoscersi una posizione dipendente, riconducibile alla detenzione autonoma e qualificata dalla stabilità della relazione familiare, con la conseguente esclusione di ogni possibilità di usucapione[27].

Diversamente, nel caso in cui i conviventi more uxorio siano comproprietari dell'immobile, la fattispecie de qua segue il regime giuridico della comunione ordinaria previsto dagli artt. 1100 e ss. del codice civile[28].

Secondo il paradigma normativo evocato, qualora la proprietà o altro diritto reale, spetti in comune a più persone, i comunisti esercitano il potere di fatto sulla cosa a medesimo titolo, servendosi della cosa comune senza impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

La Suprema Corte ha sancito il principio secondo cui il partecipante alla comunione può usucapire l’altrui quota indivisa del bene comune senza necessità di interversio possessionis, ma attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusività; a tal fine si richiede che tale mutamento del titolo (art. 1102, 2º comma, c.c.) si concreti in un comportamento materiale connotato da esclusività, durevole nel tempo ed in aperto contrasto con il permanere del compossesso altrui[29].

Di conseguenza, la posizione del convivente more uxorio comproprietario, nella qualità di compossessore pro indiviso avente oggetto l’intera cosa comune, può pacificamente condurre all’acquisto del diritto posseduto, in quanto trova il suo fondamento nel titolo di comproprietario.

4.2. (Segue): La sopravvenuta qualità di successore nel compossesso.

Costituisce affermazione pacifica che l’accessione del possesso ex art. 1146, 2° comma, nel disporre che il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore per goderne degli effetti, si riferisce non solo al successore a titolo particolare mortis causa, bensì anche ai successori inter vivos[30].

Tale principio, secondo la Suprema Corte è stato ritenuto applicabile nel caso in cui il compossessore pro indiviso di un bene, abbia successivamente conseguito, in virtù di un titolo astrattamente idoneo a giustificare la traditio, il possesso esclusivo di una porzione del medesimo.

In tal caso, il compossessore, cumulando il proprio compossesso al possesso del dante causa, può completare il periodo del possesso utile ai fini dell’usucapione della quota altrui[31].

5. Cenni conclusivi.

Cercando di tirare le somme di quanto sin ora esposto, un dato appare chiaro, nella proprietà indivisa il compossesso come conseguenza della contitolarità del diritto reale, fa capo egualmente a tutti i partecipanti alla comunione e concerne ogni frazione della cosa oggetto del dominio di fatto.

Invero, il comunista che voglia giovarsi dell’operatività dell’usucapione deve palesare l’intenzione inequivoca di esercitare il possesso nomine proprio sull’intera cosa, poiché, fino a quando vi è la presenza degli altri partecipanti alla comunione, si ritiene che gli atti compiuti dal singolo comunista ultra quota, siano more solito tollerati dagli altri comunisti - compossessori.

Dunque, il compossessore che già possiede uti condominus, trovandosi già in un possesso pieno, sebbene a titolo di comproprietà, può usucapire il bene senza necessità di interversio possessionis purché estenda inequivocabilmente il preesistente compossesso il termini di esclusività.

Pertanto, alla luce di quanto affermato dalla Suprema Corte, è fondamentale precisare che il quid pluris necessario affinché il compossessore possa usucapire l’altrui quota è rappresentato dal possesso ad excludendum, ossia l’esistenza di uno specifico rapporto con il bene tale da escludere gli altri partecipanti[32].

Note e riferimenti bibliografici

[1] A. TORRENTE - P.SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2011, pp. 334 ss.

[2] La successione nel possesso è applicabile solo ai successori universali, ossia agli eredi, mentre l’accessione del possesso – di cui si discorre all’art. 1146, 2° comma, c.c. – è applicabile solo a chi acquista il possesso a titolo particolare (compratore, legatario, etc..). (A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, op.cit. , pp. 344 e ss.).

[3] Cass. civ., sez. I, sentenza n. 1458 del 30/05/1963.

[4] In particolare, il codice civile stabilisce che, se un soggetto non ha acquistato regolarmente la proprietà su un bene mobile, ne può ugualmente diventare titolare: se ne mantiene il possesso esclusivo per almeno 10 anni ininterrottamente; se tale possesso viene esercitato pubblicamente e non in modo nascosto; se egli sia in buona fede. Qualora il possessore sia in mala fede, il possesso utile ad usucapire dovrà necessariamente ed ininterrottamente durare per 20 anni (P.POLA, L’usucapione, Padova, 2011, pp.70 e ss.).

[5] In tal caso, si realizzerebbe l’interversio possessionis, ossia la conversione della detenzione in possesso per causa proveniente un terzo o per suo atto di opposizione mediante il quale afferma il proprio possesso sulla cosa disconoscendo il possesso altrui (F. CARINGELLA, Studi di diritto civile, Milano, 2007, p. 46).

[6] Cass. civ., sez. II, sentenza n. 11000 del 9 agosto 2001.

[7] Il codice vigente ha soppresso la menzione del possesso legittimo. Tuttavia, l’art 685 del codice del 1865 prevedeva che «Il possesso è legittimo quando sia continuo, non interrotto, pacifico, pubblico, non equivoco, e con animo di tenere la cosa come propria» (A. GAMBARO - U. MORELLO, Trattato dei diritti reali, Vol. I, Milano, 2011, p. 612.).

[8] R. MAZZON, Il possesso, Padova, 2011, p. 227

[9]  Secondo costante orientamento di legittimità, gli atti di tolleranza, che secondo l'art. 1144 cod. civ., non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso, sono quelli che, implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà, comportano un godimento di modesta portata, incidente molto debolmente sull'esercizio del diritto da parte dell'effettivo titolare o possessore, e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità (o da rapporti di buon vicinato sanzionati dalla consuetudine), i quali mentre a priori ingenerano e giustificano la "permissio", conducono per converso ad escludere nella valutazione a posteriori la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone (Cass. civ., sez. II, sentenza n. 15739 del 13/08/ 2004).

[10] M. DE GIORGI, L'usucapione. Aspetti sostanziali e profili processuali controversi, Milano, 2012, p. 8.

[11] Titolo idoneo a trasferire il diritto di proprietà può essere, per esempio, un contratto di compravendita.

[12] Corte appello Cagliari sentenza del 28/05/1996 in Riv. giur. Sarda, 1997, p.39.

[13] A. MONTEL – G. SEGRE’, Il possesso, vol. 54, Torino, 1962, p. 87.

[14] M. TOMMASINI, La quota di possesso a non domino, Milano, 2012, p. 97.

[15] M. ZORTEA, Processo di quota indivisa, in Giur. merito, 3, 2001, p. 1188.

[16] Su questa linea, merita ricordo la teoria ordita da Angelo Falzea intorno all’efficacia preclusiva, in cui i fatti che la producono prescindono dalle situazioni giuridiche pregresse in quanto finalizzati a rimuovere l’incertezza dovuta al tempo. (A. FALZEA, Capacità, Efficacia giuridica, Fatto giuridico, Manifestazione, Voci estratte dall’Enciclopedia del diritto. Edizione ad uso degli studenti, Milano, 1999, pp. 178 e ss).

[17] Cass. civ., sez. II, sentenza n. 5127 del 26/05/1999.

[18] Cass. civ., sez. II, sentenza n.13082 del 09/09/2002.

[19] G. CIAN – A. TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, 8°ed, Padova, p.1117.

[20] Cass. civ., sez. II, sentenza n. 12961 del 29/09/2000.

[21] Cass. civ., sezII, sentenza n. 7221 del 25/03/2009.

[22] E. TEDESCO, L’usucapione dei beni ereditari da parte del coerede, in giustiziacivile.com, 3/2019, pp.11 e ss.

[23] N. DE SALVO, Compossesso di bene condominiale ed onere della prova, in jus civile, 4, 2017, pp. 376 ss.

[24] Cass. civ., sez. II, sentenza n. 24471 del 17 ottobre 2017.

[25] Tribunale Rimini n.218 del 28/02/2018 e Tribunale Termini Imerese n.16 del 13/02/2007,

[26] Cass. civ., sez. II, sentenza n. 1745 del 7 febbraio 2002.

[27]Cass. civ., sez. II, sentenza n.9786 del 14/06/2012; Cass., civ., sez. III, sentenza n.10377 del 27/04/2017.

[28] Tale ipotesi è applicabile anche alla comproprietà della casa coniugale tra coniugi, qualora la stessa sia stata acquistata prima del matrimonio. I coniugi, di conseguenza saranno comunque comproprietari della casa coniugale ma in virtù del regime disciplinato dagli artt. 1100 ss. c.c. (G. CONTIERO, L’assegnazione della casa coniugale, Milano, 2007, pp. 260 e ss).

[29] Cass. civ., sez. II, sentenza n. 16841 del 11/08/2005; Cass. civ., sez. II, sentenza n. 10294 del 23/10/1990.

[30] Cass., civ., sez. II, sentenza n. 4525 del 30/07/1984.

[31] Sul cumulo del compossesso pro indiviso e il successivo possesso esclusivo vedasi: Cass. civ., sez. II, sentenza n.4428 del 24/02/2009, Cass. civ., sez. II, sentenza n. 1049 del 27/02/1989 e Cass. civ., sez. II, sentenza n. 20303 del 23/07/2008.

[32] E. TEDESCO, op.cit., pp. 3 ss.