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Pubbl. Sab, 10 Ago 2019

L´ergastolo ostativo alla luce della sentenza nel caso Viola c. Italia della Corte di Strasburgo

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Salvatore Natalizio


Lo scorso 13 giugno la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa sulla compatibilità del c.d. ergastolo ostativo – con una storica pronuncia – censurandone l’attuale fisionomia per contrasto con il principio della dignità umana e condannando l’Italia per la violazione dell’art. 3 CEDU.


Sommario: 1. L’ergastolo: tipologie ed ambito applicativo. 2. Problemi di legittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo. 3. La vicenda esaminata dalla Corte EDU. 4. Spunti di riflessione.

1. L’ergastolo: tipologie ed ambito applicativo.

L’ergastolo è una pena detentiva a carattere perpetuo[1] prevista dall’art. 22 c.p.[2] per alcuni delitti contro la personalità dello Stato, contro l’incolumità pubblica e contro la vita; in altri termini, l’ergastolo è la pena massima riconosciuta nel nostro Paese ed equivale alla reclusione a vita[3].

Tuttavia il carattere di perpetuità della privazione della libertà personale risulta attenuato dall’art. 176, co. 3, c.p. a mente del quale «il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale[4] quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena».  

L’art. 54 l. n. 354/1975 (ord. penit.), inoltre, prevede un’ulteriore riduzione di pena (quarantacinque giorni per ogni semestre di pena scontata) quale riconoscimento della partecipazione prestata dal condannato all’opera di rieducazione.

Infine la riforma penitenziaria del 1986 ha consentito che il condannato all’ergastolo possa essere ammesso ai permessi premio ed alla semilibertà, rispettivamente, dopo l’espiazione di almeno dieci anni e venti anni di pena.

Ictu oculi si potrebbe affermare – con tutte le cautele imposte dalla singola fattispecie concreta – che la pena dell’ergastolo si ispira oggi all’idea della c.d. esecuzione progressiva[5], per cui gli atteggiamenti sociali del condannato possono tradursi in una graduale apertura del regime detentivo.

Sebbene tali argomentazioni trovino terreno fertile nell’applicazione del c.d. ergastolo semplice o “ordinario” - e cioè ove la detenzione a vita si accompagna alla concessione di benefici di vario genere, in dipendenza della buona condotta del carcerato - non può dirsi altrettanto nel caso in cui taluno commetta uno dei gravi delitti previsti dall’art. 4 bis ord. penit.[6] e non collabori con la giustizia a norma dell’art. 58 ter ord. penit.  

In quest’ultima ipotesi si parla di ergastolo ostativo, previsto per l’appunto dall’art. 4 bis ord. penit., in cui viene descritta una situazione connotata da una maggiore severità ed asprezza, stante una irreversibile presunzione legislativa assoluta di pericolosità.

Appare evidente, dunque, come l’ergastolo ostativo – nel caso in cui il condannato non collabori con la giustizia ex art. 58 ter ord. penit. né si trovi in una delle condizioni equiparate ex lege all’utile collaborazione – presenti tutti gli elementi di una vera e propria pena perpetua non essendo concessa, al reo, la possibilità di accedere ad alcuno dei summenzionati benefici penitenziari.

Invero, l’unica possibilità di tornare alla vita libera per tali condannati è la collaborazione con la giustizia che non vuol dire sempre ravvedimento, in quanto essa può essere talvolta il frutto di valutazioni utilitaristiche, talaltra una mera scelta di opportunità al fine di accedere ad un diverso e meno rigido regime detentivo[7]. In tal modo, l’esecuzione della pena diventa strumento di pressione diretto ad ottenere collaborazione, facendo dell’apparato carcerario un ingranaggio attivo dell’azione investigativa, con evidente violazione del principio del nemo tenetur se detegere[8].

2. Problemi di legittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo.

Limitandoci, per il momento, ad esaminare il nostro panorama nazionale, l’ergastolo ostativo, così come delineato precedentemente, pone seri dubbi di legittimità costituzionale.

Stante la sua natura perpetua, tale pena detentiva è stata ripetutamente criticata sotto un duplice punto di vista.

In primo luogo, l’ergastolo sembra urtare con il principio rieducativo sancito nell’art. 27, co. 3, Cost. secondo il quale «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato» e, prima ancora, con il principio di umanità della pena, non offrendo al condannato la possibilità di un ritorno nella società[9].

In secondo luogo, sembra creare problemi di legittimità costituzionale il carattere fisso dell’ergastolo che si porrebbe in contrasto con le esigenze di individualizzazione della pena che si ricavano dal combinato disposto degli artt. 3 e 27 Cost.[10]

La Corte costituzionale, intervenuta ripetutamente sulla questione[11], ha sempre sostenuto la legittimità dell’ergastolo in relazione all’art. 27, co. 3, Cost. affermando che la funzione della pena non sia unicamente il riadattamento dei delinquenti e che l’istituto della liberazione condizionale consente il reinserimento dell’ergastolano nel consorzio civile[12].

Le criticità costituzionali della pena perpetua non sono state ravvisate neppure dalla Corte di Cassazione che, in un recente arresto, ha recisamente negato l’esistenza di un autonomo tipo di pena qualificabile come “ergastolo ostativo” nell’ordinamento giuridico[13].

Malgrado questa uniformità di pensiero che ha contraddistinto tanto la giurisprudenza costituzionale quanto quella di legittimità, è doveroso segnalare la pronuncia n. 149 del 21 giugno 2018[14] in cui, per la prima volta, una dichiarazione di illegittimità costituzionale investe frontalmente una forma di ergastolo[15]

Nella sentenza appena richiamata i giudici della Consulta pongono dapprima l’accento sui benefici penitenziari che svolgono un ruolo fondamentale in vista di un «progressivo reinserimento armonico della persona nella società» e successivamente sul principio della progressività trattamentale e flessibilità della pena il quale, non solo è «sotteso all’intera disciplina dell’ordinamento penitenziario», ma costituisce diretta «attuazione del canone costituzionale della finalità rieducativa della pena».

Infine, la Corte, sul presupposto di una effettiva impossibilità per il giudice di accertare e valorizzare – per ventisei anni – una positiva partecipazione da parte del condannato all’offerta rieducativa, si sofferma sul principio della non sacrificabilità della funzione precipua della pena che risponde ad un imperativo costituzionale in grado di garantire il reinserimento del condannato nella società[16].

In questo contesto, il segnale trasmesso dalla Corte costituzionale acquista una connotazione innovativa, essendo destinato a trovare un’eco anche al di là dei confini nazionali per poter finalmente anteporre la dignità umana ad ogni slogan carcerocentrico, in un’ottica di riscatto individuale del reo.

3. La vicenda esaminata dalla Corte EDU.

Giunti a questo punto è bene analizzare, seppur brevemente, la vicenda fattuale sottoposta all’attenzione dei giudici di Strasburgo.

Il sig. Marcello Viola veniva condannato alla pena dell’ergastolo per una serie di delitti avvinti dal vincolo della continuazione, tra i quali figurano quello di associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis c.p. ed una serie di delitti fine, quali l’omicidio, il sequestro di persona aggravato dall’evento morte ed il porto illegale d’armi da fuoco.

Dal 2000 al 2006, il ricorrente veniva sottoposto al regime del c.d. carcere duro di cui all’art. 41 bis ord. penit. A fronte della decisione del Ministero della giustizia di prolungare tale regime detentivo per un anno, il sig. Viola proponeva reclamo dinanzi al Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila. In tale circostanza, l’autorità giudiziaria accoglieva le doglianze del ricorrente valorizzando i progressi compiuti da quest’ultimo nel percorso rieducativo e rilevando come il Ministero non avesse adeguatamente dimostrato quel perdurante mantenimento dei contatti con l’organizzazione mafiosa che giustifica la protrazione del regime del carcere duro.

Una volta conclusosi il regime detentivo di cui all’art. 41 bis ord. penit., il sig. Viola formulava due domande dirette ad ottenere un permesso premio e, successivamente, chiedeva di poter accedere alla liberazione condizionale. Tali domande venivano, però, sempre rigettate sulla base di argomentazioni quanto meno dubbie.

Poiché anche le richieste di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 bis ord. penit. per contrasto con il principio di rieducazione della pena di cui all’art. 27, co. 3, Cost. venivano respinte, il sig. Viola decideva, infine, di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando l’insussistenza di una concreta possibilità di liberazione e la “non riducibilità”, di fatto, della sua pena. A parere del ricorrente, infatti, contrasta con l’art. 3 CEDU un assetto che pone l’ergastolano (la cui collaborazione non può essere considerata impossibile o irrilevante in ragione del ruolo di promotore dell’associazione) di fronte ad un dilemma: decidere di collaborare, rinunciando però alla propria convinzione di essere innocente e accettando il rischio di mettere in pericolo la propria vita e quella dei familiari a causa di un’eventuale ritorsione mafiosa, oppure decidere di non collaborare, rinunciando così ad ogni possibilità di accedere alla liberazione condizionale[17].

Il punctum dolens dell’intera vicenda sembra concretarsi nella presunzione assoluta di pericolosità sociale[18] prevista dall’art. 4 bis ord. penit.

Difatti, il legislatore, dettando tale norma, ha inteso fornire una severa risposta esecutiva alla ferocia della criminalità organizzata, intervenendo drasticamente sulle condizioni e sui termini per l’accesso ai benefici previsti dalla legge n. 354/1975; ciò sul presupposto che la commissione di alcuni reati legittimi una presunzione, pressoché assoluta, di pericolosità dei relativi autori e, quindi, una diversa offerta trattamentale, rappresentata da percorsi di rieducazione più severi o comunque differenziati rispetto a quelli ordinari[19].

La pena inflitta al ricorrente sarebbe, in altre parole, incomprimibile non offrendo alcuna prospettiva di rilascio e/o alcuna possibilità di riesame; da ciò ne consegue l’evidente violazione degli articoli 3 e 8 CEDU.

A parere di chi scrive, la ratio che ha animato il legislatore penale nella predisposizione dell’art. 4 bis ord. penit. sembra contrastare non solo con il dettato costituzionale ma anche con quanto previsto dalla CEDU che, al già menzionato art. 3, fa espresso divieto di ogni forma di tortura e di pene o trattamenti inumani e degradanti.

Invero, il principio della dignità umana che discende dalla predetta norma – e che costituisce il “cuore” del sistema di protezione dei diritti convenzionale – impedisce di privare gli individui della propria libertà senza garantire loro, al contempo, la possibilità di poter, un giorno, riacquistare tale libertà[20].

La Corte europea, richiamando i principi elaborati dalle sentenze Vinter e Hutchinson c. Regno Unito e Murray c. Paesi Bassi, ricorda che, affinché sia rispettato il divieto di trattamenti inumani e degradanti di cui alla citata disposizione convenzionale, è necessario che la pena sia riducibile de iure e de facto e che l’ordinamento, conseguentemente, assicuri un meccanismo di revisione della condanna alla pena perpetua così da offrire al condannato, decorso un certo periodo di detenzione, concrete possibilità di liberazione.

Invero, l’effettiva possibilità di accedere alla liberazione condizionale e, quindi, la riduzione della pena in oggetto è subordinata, per il condannato, alla scelta di collaborare con la giustizia[21].

Tale scelta, però, da un lato non può essere intesa come libera e volontaria perché dettata da ragioni opportunistiche o legate alla preoccupazione di eventuali ritorsioni del gruppo mafioso e dall’altro finisce, di fatto, con il parametrare la pericolosità del soggetto esclusivamente al momento della commissione del fatto[22].

Appare quantomeno censurabile, dunque, la scelta del legislatore italiano di considerare la collaborazione con la giustizia quale unica prova possibile del ravvedimento del detenuto, rendendo di fatto la pena dell’ergastolo ostativo “non comprimibile” e privando, altresì, il condannato della possibilità di ri-guadagnare, un giorno, la propria libertà.

In tal senso la stessa Corte EDU ha affermato che «un detenuto condannato all’ergastolo incomprimibile ha il diritto di sapere […] che cosa deve fare perché la sua liberazione sia possibile e quali sono le condizioni applicabili», precisando che le autorità nazionali devono fornire ai detenuti condannati all’ergastolo una reale possibilità di reinserimento.

In conclusione, la Corte di Strasburgo, ha constatato una lesione della dignità umana ed ha condannato lo Stato italiano a versare al ricorrente la somma di 6.000 euro, asserendo che la pena dell’ergastolo ostativo non possa, in alcun modo, essere qualificata come comprimibile ai sensi dell’art. 3 CEDU.

4. Spunti di riflessione.

La vicenda esaminata ed il relativo monito della Corte europea dei diritti dell’uomo potrebbero rappresentare un importante punto di partenza affinché venga quantomeno modificata – se non addirittura abolita – la disciplina dell’ergastolo ostativo.

Orbene, tenendo bene a mente che la sentenza pronunciata lo scorso 13 giugno non è ancora definitiva poiché il Governo ha la possibilità di rimettere il caso dinanzi alla Grande Camera occorre, in ogni caso, ricordare come tale questione da tempo bussi (invano) alle porte del legislatore italiano.

Finanche gli Stati Generali[23] per la riforma dell’esecuzione penale in Italia hanno espresso forti dissensi sull’attuale sistema penitenziario affermando, nella Relazione illustrativa, che: «Non sono ammesse presunzioni legali di irrecuperabilità sociale. Nessuna pena deve rimanere per sempre indifferente all’evoluzione psicologica e comportamentale del soggetto che la subisce. Postulati, questi, che debbono ritenersi impliciti nella funzione rieducativa assegnata alla pena dalla nostra Costituzione: quel dovere di “tendere” alla rieducazione significa che il risultato non deve mai essere né imposto, né certo, ma neppure deve essere mai ritenuto impossibile. In definitiva, va riconosciuto al condannato il diritto alla speranza […]».

Ogni detenuto, anche se condannato alla pena dell’ergastolo, deve poter beneficiare delle misure progressive (che vanno dal lavoro all’esterno alla liberazione condizionale), destinate ad accompagnarlo nel suo “cammino verso l’uscita”: ciò perché il sistema penitenziario italiano si fonda sul principio della progressione trattamentale, secondo il quale la partecipazione attiva al programma individuale di rieducazione e il passare del tempo possono produrre degli effetti positivi sul condannato e promuovere il suo pieno reinserimento nella società.

In definitiva, se la punizione rimane uno degli obiettivi della detenzione, le politiche penali europee mettono ormai l’accento sull’obiettivo di risocializzazione, che riguarda anche i detenuti condannati all’ergastolo.

Le riflessioni formulate dalla Corte europea potrebbero, finalmente, essere assimilate dal legislatore italiano nell’ottica di un dialogo internazionale che costituisce la vera sfida verso la costruzione di un sistema integrato di tutela dei diritti, affinché la dignità umana non soffra ennesime immotivate restrizioni basate unicamente sull’asprezza del carcere quale panacea di tutti i mali.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Uno sguardo d’insieme mostra come in Europa la pena detentiva perpetua è presente nella maggior parte degli ordinamenti. Talora i paesi che non prevedono una pena di tale contenuto fissano però tetti massimi molto elevati per la pena detentiva a tempo.

[2] La disposizione citata prescrive che: «La pena dell’ergastolo è perpetua ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto».

[3] S. Coppola, "Cos’è l’ergastolo ostativo", in La Legge per Tutti , 8 dicembre 2018.

[4] Per una disamina dell’istituto giuridico della liberazione condizionale si v. L. Filippi - G. Spangher - M. F. Cortesi, Manuale di diritto penitenziario, quarta edizione, Giuffrè editore, Milano, 2016, pp. 110 ss.

[5] G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale - parte generale, sesta edizione, Giuffrè editore, Milano, 2017, p. 635.

[6] Tale articolo, rubricato “Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti”, elenca una serie di delitti tra cui rientrano, a titolo esemplificativo, quelli commessi per finalità di terrorismo, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza e associazione di tipo mafioso.

[7] R. Nuzzo, "L’ergastolo ostativo: prospettive di riforma e recenti orientamenti della giurisprudenza europea", in La sanzione penale oggi (Noto, 2014), 3/2015, pag. 48.

[8]  F. Della Casa, Le recenti modificazioni dell’ordinamento penitenziario: dagli ideali smarriti della «scommessa» anticustodialistica agli insidiosi pragmatismi del «doppio binario», in V. Grevi (a cura di), L’ordinamento penitenziario tra riforme ed emergenza, Padova, 1994, p. 117.

[9] G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale - parte generale, cit., pp. 636-637.

[10] Cfr. L. Broli - F. King, Art. 22 c.p., in E. Dolcini - G. Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, Milanofiori, Assago, 2011, p. 316.

[11] Con la sentenza 28 aprile 1994, n. 168 la Corte ha ribadito il proprio orientamento statuendo che la pena dell’ergastolo «attualmente, non riveste i caratteri della perpetuità».

[12] Corte cost. 21 novembre 1974, n. 264.

[13] Cass. pen., Sez. I, 30 aprile 2014, n. 18206.

[14] C. Cost., sent. 21 giugno 2018 (dep. 11 luglio 2018), n. 149, Pres. Lattanzi, Est. Viganò.

[15] Cfr. A. Galluccio, "Ergastolo e preclusioni all’accesso ai benefici penitenziari: dalla Corte costituzionale un richiamo alla centralità del finalismo rieducativo della pena", in Questione Giustizia, 16 luglio 2018.

[16] E. Dolcini, Dalla Corte Costituzionale una coraggiosa sentenza in tema di ergastolo (e di rieducazione del condannato), in Diritto Penale Contemporaneo, 18 luglio 2018 

[17] S. Santini, Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”: dalla corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana, in Diritto Penale Contemporaneo, 1 luglio 2019.

[18] Si ricorda, a tal proposito, l’istituzione della “Commissione Palazzo”, incaricata, con decreto del Ministero della Giustizia del 10 giugno 2013, di elaborare un progetto di riforma del sistema penale. Nello specifico, la Commissione, presieduta dal Prof. Francesco Palazzo, ha proposto di modificare le disposizioni regolanti l’ergastolo stabilite dall’articolo 4 bis ord. penit., al fine di sostituire la presunzione assoluta di pericolosità sociale in presunzione relativa.

[19] V. Citraro, "I divieti di cui all’art. 4 bis ord. penit.", in De iure criminalibus - Diritto penale e procedura.

[20] S. Santini, "Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta "via di scampo”: dalla corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana", pubbl. cit.

[21] Il contenuto di questa collaborazione è disciplinato dall’articolo 58 ter ord. penit., secondo cui il condannato deve fornire alle autorità elementi decisivi che permettano di prevenire le conseguenze ulteriori del reato o di facilitare l’accertamento dei fatti e l’identificazione dei responsabili dei reati. Il condannato è dispensato da tale obbligo se tale collaborazione può essere qualificata come “impossibile” o “inesigibile” e se prova la rottura di ogni legame attuale con il gruppo mafioso.

[22] S. Santini, "Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”: dalla corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana", pubb. cit.

[23] Gli “Stati Generali sull’Esecuzione Penale”, riuniti in 18 gruppi di lavoro, sono stati indetti il 19 maggio 2015 dal Ministro della giustizia Andrea Orlando al fine di discutere i profili salienti dell’attuale sistema di esecuzione penale e penitenziaria. Tutti i documenti elaborati dai tavoli e la relazione finale elaborata dal Comitato di esperti presieduto dal Prof. Glauco Giostra sono pubblicati sul sito del Ministero della giustizia.