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Pubbl. Gio, 8 Ago 2019

Meritevolezza e claims made: compatibilità sopravvenuta o perdurante dissidio interpretativo?

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Maria Erica Gangi
Avvocato


Analisi di una presunta attualità dell’art. 1322, c. 2, c.c. alla luce di mutati e innovativi interventi normativi che, in sede Pretoria, hanno consentito una lettura diversa del fenomeno autonomistico.


Sommario: 1. Origine del concetto di “meritevolezza”; 2. Meritevolezza: concetto anacronistico o attuale? Una lettura attraverso il filtro dell’art. 2645 ter c.c.; 3. Meritevolezza e clausola claims made: un nuovo approdo normo – dottrinario; 4. La validità della “claims made” in sede Pretoria

1. Origine del concetto di “meritevolezza”

Il presente contributo intende valorizzare l’evoluzione che il nostro Ordinamento ha conosciuto circa la perdurante attualità del giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. In verità centrale nell’ottica di causa in astratto, meno nevralgico con l’assunzione della causa in concreto quale scrutinio che l’interprete è chiamato a svolgere riguardo la ammissibilità di uno schema contrattuale.

Un’esposizione ordinata postula l’analisi del dato normativo.

L’art. 1322 c.2 c.c. ammette e sdogana la c.d. autonomia contrattuale intesa quale facoltà delle parti di ricorrere a schemi negoziali non previsti dalla Legge purché “diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.

Evidente, dunque, il limite codificato cui l’agire delle parti è sotteso: il perseguimento di un interesse che sia socialmente rilevante in un’ottica di “benessere astratto” a nulla valendo l’interesse individuale che la singola parte intenda perseguire.

Un giudizio di tal fatta è stato – per lungo tempo – ritenuto immobilistico, paralizzante di quell’autonomia contrattuale teorizzata già in epoca fascista nonostante il clima politico particolarmente insidioso, insinuoso e pervicace delle scelte individualmente compiute.

Un criterio, quello della meritevolezza, abbarbicato alla c.d. causa in astratto1 secondo cui la validità e conseguente ammissibilità del modello contrattuale prescelto doveva essere discussa guardando agli elementi essenziali del contratto, essi necessitavano di una astrazione interpretativa al fine di essere valutati in maniera conferente al “tipo” legislativo; medesimo criterio era teorizzato riguardo al modello c.d. atipico, di esso l’interprete isolava elementi socialmente rilevanti che potevano trovare accoglimento nel sostrato di riferimento divenendo dunque modelli “socialmente meritevoli”.

L’entrata in vigore della Costituzione del 1946, conseguente al decadimento del Regime fascista nonché di tutte le teorizzazioni ad esso connesso, ha registrato una valorizzazione dell’”Io”, dell’individuo quale essere dotato di propri bisogni, di proprie necessità ed interessi perseguibili attraverso il modello contrattuale ritenuto maggiormente confacente.

Il mutamento di rotta è stato epocale: il contratto non è più visto come strumento di rilievo sociale collettivo ma personale ed individuale, limite ancestrale cui i paciscienti debbono attenersi è il rispetto dei confini imposti dalla Legge, indi dei principi supremi su cui il nostro sistema si fonda visti nelle regole di correttezza, diligenza, buona fede intesa in senso oggettivo e soggettivo2, del resto, regole tutte che trovano il loro ancoraggio normativo nel principio di solidarietà ex art. 2 Cost.

L’intervento interpretativo portato dalla Nostra Carta fondamentale ha, conseguentemente, determinato il decadimento della c.d. causa in astratto in favore della causa in concreto: il giudizio di ammissibilità contrattuale deve, necessariamente, principiare dallo scrutinio circa l’interesse in concreto perseguito dalle parti; ove questo sia meritevole di tutela perché non contrario ai dettami normativi non v’è legittimo motivo per impedirne il riconoscimento e l’affermazione sociale – giuridica.

Ebbene, l’analisi testé compiuta appare propedeutica per ritenere quantomeno anacronistico il giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c.: non più indefettibile, secondo alcuni teorizzatori sarebbe superato, lettera morta del codice, priva di un’effettiva attualità; a riprova di ciò verrebbe condotto in analisi il disposto dell’art. 2645 ter c.c.3 che si occupa della trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a Pubbliche Amministrazioni, o ad altri Enti o persone fisiche per la cui ammissibilità è necessaria la riscontrata meritevolezza dell’interesse perseguito.

Così composti i termini del dibattito4: secondo un primo formante l’art. 1322 c.c. avrebbe perduto tutta la propria attualità né potrebbe continuare ad essere visto quale filtro per “modulare e controllare” l’autonomia contrattuale, sarebbe scrutinio eccezionale tant’è che ove il Legislatore lo ritenga ancora indispensabile abbia provveduto ad indicarlo espressamente (vd. art. 2645 ter c.c.); altro orientamento ha, invece, ritenuto ancora valido e meritevole detto brocardo seppur con riguardo alla previsione di cui al comma 1 e non anche 2 il cui tessuto normativo – letterale potrebbe, ad onor del vero, non più essere conferente all’attuale sistema causalistico.

2. Meritevolezza: concetto anacronistico o attuale? Una lettura attraverso il filtro dell’art. 2645 ter c.c.

Al fine di meglio comprendere detta diatriba dottrinaria appare di interesse guardare alla peculiarità di cui l’art. 2645 ter c.c. è espressione.

Correttamente ritenuto indice normativo di quella tanto predicata separazione patrimoniale ammessa anche nel nostro Ordinamento, subordina la validità di detta operazione economica a taluni presupposti invocati al fine di soddisfare – e non contrastare – alcuni tra i principi centrali su cui la dottrina contrattualistica poggia5.

Innanzitutto la forma scritta, l’atto pubblico è lo strumento richiesto affinché la parte possa validamente destinare, beni mobili registrati o immobili, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a Pubbliche Amministrazioni o ad altri Enti o persone fisiche; sui predetti beni si crea un vincolo di indisponibilità nella misura in cui essi possono venire utilizzati unicamente per il perseguimento del fine giustificato dal ricorso al modello in commento.

La struttura indicata dal Legislatore consente di guardare con benevolenza alla separazione patrimoniale atteso che essa avverrebbe con atto scritto soggetto a trascrizione, opponibile ai terzi e quindi idoneo a giustificare quelle pretese di tutela nascenti in capo al beneficiario della disposizione che, in tal modo, ben può invocare la tutela reipersecutoria propria dei diritti reali.

Si è registrata, in tal modo, una perfetta innovazione del sistema senza mortificare i principi di tassatività e tipicità dei diritti reali né il regime di opponibilità cui gli stessi sottendono.

Tuttavia, perché la disposizione abbia piena validità, è necessario che l’atto venga disposto al fine di perseguire un interesse meritevole di tutela, talmente rilevante da giustificare il sacrificio di altro interesse, parimenti centrale, quello del ceto creditorio di non vedersi ridotta la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.

Molto si è discusso sulla natura di questo interesse.

Secondo alcuni doveva trattarsi di aspetto peculiare, indefettibile e ancestrale la cui valutazione, tuttavia, sarebbe stata compiuta in via preliminare alla parte, rimettendo così ad un giudizio interno la “misura” di interessi più o meno rilevanti.

Altra scuola di pensiero, invece, ritenne doversi compiere lo scrutinio di meritevolezza guardando agli interessi di rilievo Costituzionale circa la cui fondatezza nulla si sarebbe potuto proferire.

L’analisi condotta sull’art. 2645 ter c.c. e la ribadita meritevolezza di cui esso è portatore, hanno indotto il primo formante sopra delineato a propendere per una perdita di centralità dell’art. 1322 c.c., invero, in caso contrario, di certo non vi sarebbe stato bisogno di esprimere positivamente il ruolo centrale dell’interesse meritevole di tutela per giustificare l’atto di disposizione patrimoniale.

La precisazione compiuta dal Legislatore è, invece, da intendere quale superamento di quella regola per lungo tempo ritenuta aurea.

3. Meritevolezza e clausola claims made: un nuovo approdo normo - dottrinario

Nondimeno l’analisi sulla permanente centralità dell’art. 1322 c.c. non può compiersi senza guardare ad altra branca essenziale costituita dalle clausole di claims made la cui natura e il cui ricorso hanno molto fatto discutere la scientia iudicis.

Preliminarmente va dato atto del complesso iter giurisprudenziale che ha conosciuto il nostro Ordinamento per giungere ad una pacifica declaratoria di ammissibilità delle stesse: questione tanto controversa che ha richiesto diversi interventi del Supremo Consesso diradati in soli due anni (Sentenze del 2016 – 2017 e, da ultimo, SS.UU 2018).

La peculiarità della clausola di cui si discute – originariamente – era giustificata dal fatto che essa derogasse al principio di cui all’art. 1917 c.c.6 in materia di responsabilità civile, considerabile quale tipo del più ampio genus responsabilità per danni.

Precisamente a norma del disposto codicistico è onere dell’assicuratore tenere indenne l’assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare ad un terzo in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo, ossia durante la vigenza, del contratto. Ne discende che secondo detto schema a nulla vale il momento temporale della richiesta, che ben può essere ampiamente successiva rispetto al tempo di validità del contratto, purché essa si riferisca ad un evento cagionato al terzo in concomitanza del periodo di validità del contratto medesimo.

In base alla norma appena citata l’alea – quale elemento tipico del contratto di assicurazione – è legato al momento in cui si perfeziona l’illecito a prescindere dalla richiesta di risarcimento che da esso possa dipendere. Di regola, invero, la “normale” assicurazione copre unicamente i rischi verificatisi durante il c.d. periodo assicurato.

Mediante l’apposizione della clausola claims made il rischio assicurato muta: non è più il compimento dell’illecito ma la richiesta avanzata dal terzo presuntivamente danneggiato che, per essere positivamente evasa, deve venire presentata durante il periodo di validità e vigenza della polizza.

Potrebbe sembrare un meccanismo iniquo, discutibile e foriero di presuntive situazioni di assoggettamento ai danni dei contraenti beneficiari ma non è così.

Sono ragioni storiche che hanno visto affermarsi – già nell’800 – in seno al mercato assicurativo il proliferare di clausole di tal fatta: la loro funzione è stata quella di arrestare l’aumento dei costi per indennizzo generato dall’espansione quantitativa e qualitativa della tutela risarcitoria, in specie con riguardo all’alveo dei rischi lungolatenti, nonché nei settori afferenti la responsabilità da prodotto difettoso o, ancora, nell’ambito della responsabilità professionale con particolare riguardo a quella del sanitario.

Detto mutato assetto storico – economico ha portato le imprese di assicurazione a dover circoscrivere l’operatività dell’assicurazione ai soli sinistri che fossero reclamati dal terzo durante la vigenza del contratto al fine di consentire alla Società assicurativa di conoscere, con prospettabile anticipo, il tempo limite entro cui essere tenuta a manlevare il proprio assicurato senza, dunque, essere esposta a richieste avanzabili sine die che, a norma dell’art. 1917 c.c., ove comprovate avrebbero dovuto trovare accoglimento.

Non v’è dubbio che un sistema di tal fatta ha sortito non pochi dubbi negli ambienti dottrinali7.

Ritenuta la claims made una clausola vessatoria, lesiva dei principi di equità e correttezza, stigmatizzata perché – si asseriva – esponeva il beneficiario ad uno stato di preordinata soggezione nonché di scarsa tutela nella misura in cui il contraente avesse pagato il premio, secondo le cadenze concordate, per poi trovarsi privo di adeguata copertura quantunque la richiesta di risarcimento fosse giunta dopo la validità del contratto assicurativo.

Dogmi che hanno coinvolto anche lo scrutinio sulla meritevolezza del contratto di cui all’art. 1322 c.2 c.c. secondo cui la volontà dei paciscienti è tenuta a perseguire una utilità sociale; analisi questa che mutuata sul contratto assicurativo con clausola claims made avrebbe portato al necessario giudizio “caso per caso” cui il Giudicante avrebbe dovuto sottoporre l’accordo medesimo affinché lo stesso fosse espressione di quei sommi principi ordinistici su cui il nostro sistema si fonda.

4. La validità della “claims made” in sede Pretoria

Compiute le teorizzazioni sul punto occorre riconoscere l’attenzione che l’argomento ha destato in seno alla giurisprudenza di legittimità coinvolta in soli due anni con ben quattro differenti arresti pretori.

Punto di partenza dell’arresto compiuto dalla Cassazione nel 20168 è stata la atipicità della clausola claims made.

Non codificata né riconducibile ad un tipo normativo astrattamente previsto, gli Ermellini non ne hanno ipso iure professato la nullità, nondimeno è stato evidenziato il doveroso scrutinio ex professo da compiere circa il rispetto della clausola inserita nel contratto assicurativo con i principi di equità, buona fede, correttezza, tutti espressione della regola aurea di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.

L’anno seguente9 – senza soluzione di continuità con quanto in precedenza chiosato – la Cassazione ha ritenuto di stigmatizzare tutte quelle clausole che non comprendessero le cc.dd. richieste postume ossia formulate in un momento successivo rispetto al periodo di validità contrattuale.

L’anno della svolta è certamente stato il 201810 in cui le Sezioni Unite si sono espresse mutando l’originario quadro di riferimento e principiando l’analisi circa la meritevolezza o meno di dette clausole da un dato di fatto differente: l’intervenuta tipizzazione di clausole di tal fatta medio tempore intervenuta ad opera del Legislatore, ponendo in essere, di fatto, un’attività grazie alla quale clausole tanto discusse fossero – finalmente – dotate di una identità normativa ed adeguata domiciliazione nel nostro Ordinamento.

Il primo riferimento è alla Legge n. 24/2017 nota come Legge Gelli – Bianco che si è inerpicata nell’arduo compito di regolare e definire il complesso alveo circa la natura della responsabilità civile tanto della struttura sanitaria che dell’esercente la professione medica presso la prima operante. In occasione di detto intervento il Legislatore ha provveduto a disciplinare anche i profili assicurativi dettando disposizioni sulle condizioni essenziali delle polizze di responsabilità civile medica.

Sul punto granitico è l’art. 11 della L. 24/2017 a norma del quale “la garanzia assicurativa deve prevedere una operatività temporale anche per gli eventi accaduti nei dieci anni antecedenti la conclusione del contratto assicurativo, purché denunciati all’impresa di assicurazione durante la vigenza temporale della polizza (…)”

È evidente la discontinuità creata tra l’art. 11 in commento e l’art. 1917 c.c.: centrale – in punto di responsabilità civile del sanitario – è il momento in cui venga fatto reclamo ad opera del danneggiato; perché la società assicurativa possa manlevare il soggetto beneficiario è, tuttavia, presupposto tipizzato che l’evento lesivo sia stato denunciato durante la vigenza temporale della polizza.

Occorre corroborare la seguente analisi guardando all’Obiter Dictum elaborato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2018.

Invero, assunto prodromico da cui ha principiato l’analisi del giudizio di legittimità è l’intervenuta tipizzazione ad opera del Legislatore delle clausole claims made, fattore questo che ha determinato il superamento del giudizio improntato alla logica propria della meritevolezza contrattuale che, invece, avvince unicamente le condizioni e clausole negoziali atipiche.

Per la claims made è stato lo stesso Legislatore ad attribuire la patente di tipicità e intrinseca liceità della stessa codificando detto mutamento sia nella Legislazione speciale, di cui l’art. 11 L. 24/2017 è piena espressione, che in quella codicistica.

A giudizio delle Sezioni Unite – tuttavia – nulla osta a che possa compiersi una valutazione in concreto delle ragioni, e dunque del sostrato economico – sociale, che abbia indotto i paciscienti ad optare per il modello del contratto assicurativo dotato di clausola claims made.

All’uopo dovrà, pertanto, tenersi conto delle condizioni informative adeguatamente espletate nei confronti del beneficiario della polizza nonché della effettiva convenienza contrattuale in suo favore.

Parimenti nessuna soggezione dovrà essersi registrata ai danni del beneficiario tale da indurre una violazione del sinallagma.

Ove, a contrario, lo scrutinio in concreto condotto riveli uno schema funzionale a vessare la c.d. parte debole (ossia il beneficiario della polizza) dovrà concludersi per la violazione del giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.1 c.c.

Invero, potrebbe ipotizzarsi un modello negoziale inficiato da responsabilità precontrattuale: specificatamente secondo l’archetipo del contratto valido ma svantaggioso11 la parte debole avrebbe diritto ad ottenere cospicuo risarcimento del danno patito per aver stipulato un accordo che di certo avrebbe concluso, seppur a condizioni meno inique, dunque maggiormente rispettose delle proprie esigenze e, soprattutto effettivamente riflessive di un soddisfatto onere informativo da parte del soggetto c.d. forte a ciò preposto.

Deve, indi, concludersi per una generale ammissibilità della clausola claims made, non foss’altro perché lo stesso Legislatore si è espresso in tal senso procedendo ad un’opera di positiva normazione12, nondimeno uno scrutinio in concreto è sempre caldeggiato dalla Giurisprudenza giusto al fine di assicurare tutela piena alle parti e garanzia verso un modello contrattuale che sia – realmente – calzante e plasmato sulle di loro esigenze. 

Note e riferimenti bibliografici

  1. V. Roppo; Il Contratto – Trattato di diritto Privato a cura di G. Iudica e P. Zatti; II Ed. Giuffrè Editore;
  2. I concetti di “buona fede, correttezza e diligenza” sono espressione del principio di solidarietà ex art. 2 Cost. nonché degli artt. 1174, 1337 e 1338 c.c.;
  3. Art. 2645 ter c.c. testualmente recita: “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall'articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”;
  4. Per una migliore composizione del dibattito vedasi: R. Giovagnoli; Il Contratto; Itaedizioni;
  5. Il riferimento è al principio di tassatività e tipicità dei diritti reali; di opponibilità degli atti nonché di tassatività degli atti soggetti a trascrizione ex art. 2643 c.c.;
  6. Art. 1917 c.c. testualmente recita:  “Nell'assicurazione della responsabilita' civile l'assicuratore e' obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilita' dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi. L'assicuratore ha facolta', previa comunicazione all'assicurato, di pagare direttamente al terzo danneggiato l'indennita' dovuta, ed e' obbligato al pagamento diretto se l'assicurato lo richiede. Le spese sostenute per resistere all'azione del danneggiato contro l'assicurato sono a carico dell'assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse. L'assicurato, convenuto dal danneggiato, puo' chiamare in causa l'assicuratore;
  7. Un approfondimento è contenuto in R. Giovagnoli; Il Contratto; La meritevolezza del Contratto; Itaedizioni;
  8. Sentenza n. 9140/2016: non sempre e non per forza deve predicarsi la nullità della clausola claims made;
  9. Sentenza n. 10506/2017: giudizio di radicale immeritevolezza che colpiva ogni clausola non espressamente comprensiva delle cc.dd. richieste postume, ossia formulate dopo la scadenza della polizza;
  10. Sentenza Sezioni Unite n. 22437/2018: la clausola claims made è in sé valida, sul punto il diverbio è sopito per merito della intervenuta tipizzazione legislativa;
  11. Autorevole dottrina ritiene di individuare un opportuno referente normativo di detto meccanismo nel dolo incidens di cui all’art. 1440 c.c.;
  12.  Ultronei interventi positivi atti a codificare la claims made nel nostro Ordinamento sono dati dall’art. 2 D. Min. 22 Settembre 2016 in materia di Responsabilità civile Avvocati nonché dalla Legge n. 124/2017, art. 1 c.