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Pubbl. Gio, 11 Lug 2019

Le motivazioni delle Sezioni Unite sulla Cannabis Light

Ilaria Taccola
AvvocatoUniversità di Pisa


Un breve commento alle motivazioni delle Sezioni Unite sulla commercializzazione dei prodotti derivati dalla cannabis sativa L.


In data 10 Luglio 2019, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha depositato le motivazioni in merito alla commercializzazione della cannabis sativa L.

In data 10 Luglio 2019, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha depositato le motivazioni in merito alla commercializzazione della cannabis sativa L.

Brevemente, la vicenda deriva dalla revoca del sequestro da parte del Tribunale del riesame di Ancona di 13 chili di foglie e inflorescenze di cannabis, per il reato ex artt. 73 commi 1, 2, 4 e 80, comma 2 D.P.R. 309/90. Revoca, questa, limitata ai prodotti contenenti una percentuale di THC non superiore allo 0,6%.

Successivamente, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ancona aveva proposto ricorso per cassazione avverso la revoca del sequestro da parte del Tribunale del riesame di Ancona, adducendo violazione di legge e vizio di motivazione. Infatti, secondo il Procuratore l’esclusione della punibilità prevista dalla Legge n. 242/2016 si rivolge solo in favore del coltivatore e non può essere estesa a coloro che commercializzano foglie e inflorescenze derivate dalla cannabis sativa L.

Invero, si deve precisare che in merito alla commercializzazione dei prodotti derivati dalla coltivazione della canapa, si sono riscontrati due diversi orientamenti interpretativi.

In breve, secondo la tesi maggioritaria contraria alla commercializzazione dei prodotti derivati dalla canapa, la legge n. 242 del 2006 non prevede la vendita dell’hashish e marijuana. Tale assunto deriva dal fatto che la suddetta legge legittima unicamente la coltivazione della canapa per i fini commerciali elencati dall’art. 1, comma 3.

Pertanto, dall’analisi della normativa sulla coltivazione della canapa, si deduce l’illeceità della commercializzazione delle inflorescenze e della resina. Di conseguenza, secondo questa interpretazione, il principio di THC consentito si riferirebbe unicamente alle piante oggetto di coltivazione e non ai prodotti derivati. Per tali motivi, la cannabis sativa L., avendo natura di sostanza stupefacente, integrerebbe la fattispecie di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90.

Al contrario, secondo la tesi minoritaria favorevole alla commercializzazione dei prodotti derivati dalla canapa, l’intento della legge 242/2006 sarebbe quello di promuovere la coltivazione della canapa e pertanto, essendo lecita la coltivazione, di conseguenza anche i prodotti derivati non possono essere sanzionati secondo la normativa del T.U. stupefacenti.

Alla luce del suddetto contrasto interpretativo, con ordinanza 8 febbraio 2019 la quarta sezione penale della Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell'art. 1, comma 2, della legge 2 dicembre 2016, n. 242, e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L., rientrino o meno, e se sì, in quali eventuali limiti, nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano, pertanto, penalmente irrilevanti ai sensi di tale normativa”.

Si deve precisare che la Sezione remittente ritiene più aderente alla normativa sulla coltivazione della canapa la tesi favorevole, benché minoritaria. Tale assunto deriva dal fatto che, secondo la sezione rimettente, tra le finalità della legge 242/2006 rientrerebbe anche la produzione di alimenti contenenti residui di THC. Pertanto, sarebbe una contraddizione consentire il consumo di questi alimenti e allo stesso tempo vietarne la commercializzazione.

Al contrario, le Sezioni Unite hanno ritenuto di aderire alla tesi maggioritaria contraria alla commercializzazione dei prodotti derivati dalla canapa.

Infatti, analizzando la normativa, le Sezioni Unite hanno rilevato che:

1) la legge n. 242 del 2016 è volta a promuovere la coltivazione agroindustriale di canapa delle varietà ammesse (cannabis sativa L.), coltivazione che beneficia dei contributi dell'Unione europea, ove il coltivatore dimostri di avere impiantato sementi ammesse;

2) si tratta di coltivazione consentita senza necessità di autorizzazione, ma dalla stessa possono essere ottenuti esclusivamente i prodotti tassativamente indicati dall'art. 2, comma 2, della legge n. 242 del 2016 (esemplificando: dalla coltivazione della canapa di cui si tratta possono ricavarsi fibre e carburanti, ma non hashish e marijuana);

3) la commercializzazione di cannabis sativa L. o dei suoi derivati, diversi da quelli elencati dalla legge del 2016, integra il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, anche se il contenuto di THC sia inferiore alle concentrazioni indicate all'art. 4, commi 5 e 7 della legge del 2016. L'art. 73, cit., incrimina la commercializzazione di foglie, inflorescenze, olio e resina, derivati della cannabis, senza operare alcuna distinzione rispetto alla percentuale di THC che deve essere presente in tali prodotti, attesa la richiamata nozione legale di sostanza stupefacente, che informa gli artt. 13 e 14 T.U. stupefacenti”.

Pertanto, si è giunti alla conclusione che la cessione, la messa in vendita e la commercializzazione dei prodotti non elencati dalla L. n. 242/2006 integri il reato ex art. 73 T.U. stupefacenti.

Tuttavia, le Sezioni Unite hanno ribadito il principio per cui per l’integrazione del reato ex art. 73 D.P.R. 309/90 non rileva il superamento della dose media giornaliera, ma il fatto che la sostanza abbia capacità drogante rispetto alla singola assunzione.

Pertanto, è necessario che il giudice analizzi la concreta offensività della condotta con riferimento alla capacità drogante della sostanza. Invero, le Sezioni Unite hanno ribadito il principio per il quale “ciò che occorre verificare non è la percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza ceduta, bensì l'idoneità della medesima sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante”.

Concludendo, alla luce dell’analisi della normativa, la commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., infatti, integra la fattispecie ex art. 73, d.P.R. n. 309/1990. Tuttavia, all’interprete è demandata la verifica della concreta offensività delle condotte rispetto alla capacità drogante delle stesse

Per tali motivi, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio:

La commercializzazione di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, e che elenca tassativamente i derivati della predetta coltivazione che possono essere commercializzati; pertanto, integrano il reato di cui all'art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/90, le condotte di cessione, di vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”

Qui potete leggere le motivazioni delle Sezioni Unite: link

Qui potete leggere il breve commento al Tribunale di Genova sulla commercializzazione della cannabis light: link