Pubbl. Ven, 2 Ago 2019
La qualificazione dei rapporti di lavoro tra legislazione nazionale, europea e giurisprudenza
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Camilla Della Giustina
Partendo da quanto è disciplinato dal legislatore nel codice civile italiano si vuole analizzare la disciplina della qualificazione dei rapporti di lavoro sottolineando le difficoltà concrete che emergono nel qualificare un rapporto di lavoro come autonomo o dipendente.
Sommario: 1. Introduzione; 2.Lavoro autonomo e subordinato: origine, definizione, differenze e somiglianza; 3. Lavoro autonomo e subordinato alla luce della giurisprudenza italiana; 4. Definizione di lavoratore subordinato nel diritto dell’Unione Europea.
1. Introduzione
La qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato trova le sue radici nelle Istitutiones di Gaio e costituisce un aspetto classico ma assolutamente complesso del diritto del lavoro. Il legislatore nazionale ha disciplinato le due fattispecie in due articoli del codice civile ma lo stesso codice prevede delle fattispecie caratterizzate dal potere riconosciuto al committente di impartire istruzioni o ordini al debitore della prestazione caratterizzante il rapporto contrattuale. Partendo da questo aspetto, è nata in dottrina la necessità di distinguere e disciplinare le ipotesi discriminando le varie fattispecie e, quindi, individuare le situazioni nelle quali l’interferenza del creditore costituisca esercizio del potere riconosciutogli dalla prestazione oppure possa essere classificata come potere direttivo tipico del datore di lavoro[1].
La disciplina nazionale e la relativa giurisprudenza risultano estremamente copiose nell’individuare i criteri necessari al fine di operare detta distinzione frutto di una antica tradizione giuridica. Nel diritto comunitario si rinviene una breve definizione sintetica in quanto tutta l’attenzione viene spostata nel garantire la libertà di circolazione dei lavoratori e la possibilità riconosciuta loro di insediarsi in un territorio comunitario al fine di svolgere l’attività lavorativa.
2. Lavoro autonomo e subordinato: ordine, definizione, differenze e somiglianze.
La distinzione tra lavoro autonomo e subordinato rappresenta un aspetto classico della materia “Diritto del lavoro”. Essa risale alle Istitutiones di Gaio[2] nelle quali si rinviene il riferimento alla locatio operarum e alla locatio operis. La prima disciplina la fattispecie di un soggetto, locatore, che si impegna a prestare temporaneamente ad un altro soggetto, conduttore, la propria attività lavorativa dietro corrispettivo. La seconda, al contrario, prevede sempre la presenza di due soggetti, il locatore e il conduttore, ma, in essa, il conduttore presta al locatore un determinato servizio o lavoro avente ad oggetto una res che viene fornita dal locatore, il tutto dietro corrispettivo di una mercede. La differenza sostanziale tra le due fattispecie è che nella locatio operarum è il conduttore che presta la mercede, mentre nella locatio operis è il locatore e prestarla[3]. Entrambi questi istituti vennero poi codificati nel Codice civile italiano nel 1865 sotto l’espressione locazione di opere, la quale veniva definita dall’art. 1570 come il contratto mediante il quale una delle due parti si obbligava a fare per l’altra una determinata cosa verso corresponsione di una mercede[4].
Il codice civile del 1942 non riporta alcuna definizione di lavoro subordinato. L’art. 2094 c.c. definisce come prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Secondo la dottrina prevalente, l’elemento esclusivo del lavoro subordinato sembra essere rinvenibile nell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro nonché nell’esplicarsi del potere di quest’ultimo in poteri di controllo e disciplinari[5]. L’espressione alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore è stata interpretata da una parte della dottrina come se fosse un’endiadi, altra parte della dottrina, invece, ha posto l’accento sull’espressione alle dipendenze del prestatore di lavoro al fine di consentire l’ingresso a particolari criteri indicati della subordinazione. Attualmente, come sottolineato prima, la subordinazione viene identificata come assoggettamento del prestatore ed eterodirezione. Questa costruzione dottrinale è stata criticata poiché è stato evidenziato come l’assoggettamento a particolari direttive del committente possa essere compatibile altresì con un rapporto di lavoro autonomo[6]. Sono stati definiti dalla giurisprudenza come indici sintomatici della subordinazione del lavoratore l’essere assoggettato a determinati orari di lavoro, il percepire una retribuzione a tempo indipendentemente dal risultato conseguito, utilizzare i mezzi posti a disposizione dal datore di lavoro[7].
Contrapposto al lavoro subordinato si rinviene la tipologia del lavoro autonomo disciplinata dall’art. 2222 c.c. rubricato contratti d’opera e disciplinante la seguente fattispecie: quando una persona si obbliga a compiere verso corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente si applicano le norme di questo capo salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV. Il lavoro autonomo può essere definito come un’attività produttiva[8] caratterizzata dal fatto di essere svolta solamente con l’intervento di chi la pone in essere. Può aversi la fattispecie di lavoro autonomo qualora ricorrano i seguenti requisiti: sussista una produzione posta in essere verso corrispettivo, quindi a titolo oneroso, e senza vincolo di subordinazione. Il termine prevalentemente deve essere interpretato nel senso che il soggetto possa utilizzare alternativamente fattori necessari per esternare la propria opera o fattori neutri in relazione alla qualificazione della tipologia di lavoro[9].
La differenza intercorrente tra lavoro subordinato e autonomo può essere spiegata alla luce di due teorie elaborate in dottrina. Secondo una prima teoria, all’origine del rapporto di lavoro subordinato si troverebbe la differenza relativa alla propensione al rischio: data l’esistenza di una situazione di incertezza in relazione alle agli imprevisti che possono ripercuotersi sulla produttività, il soggetto avente maggiore sicurezza relativamente ai propri mezzi, capacità organizzative nonché quello che risulta essere maggiormente informato e propenso al rischio offrirebbe al soggetto più insicuro la garanzia di percepire un reddito costante. Una seconda teoria, invece, sottolinea come il rapporto di lavoro subordinato sia essenzialmente finalizzato al risparmio dei costi di transazione: l’imprenditore, infatti, negozia con il lavoratore una volta per tutte l’obbligazione di obbedienza del lavoratore all’imprenditore e questo mediante l’esercizio del potere unilaterale di direzione[10].
Nonostante le differenze esistenti fra il lavoro autonomo e subordinato è possibile rintracciare una caratteristica accomunante entrambi. Si deve notare come elemento essenziale delle fattispecie prese in esame sia lo svolgimento di un lavoro, ossia di un facere a carattere eminentemente personale. Questa caratteristica si contrappone al contratto di appalto[11]: in esso la realizzazione di un’opera avviene mediante un’organizzazione di grande/media impresa cui l’obbligato è preposto e presuppone una vasta organizzazione di mezzi[12]. Inoltre, nella definizione del contratto di appalto compare il termine rischio: esso rappresenta un elemento essenziale di questo contratto e riguarda, essenzialmente, la responsabilità contrattuale piena in capo al prestatore e relativa al buon funzionamento dell’organizzazione posta a disposizione del committente. Rischio, in riferimento all’attività lavorativa personale, significa assunzione delle conseguenze derivanti da eventuali impedimenti personali del prestatore, come ad esempio malattia, maternità, ecc[13].
3. Lavoro autonomo e subordinato alla luce della giurisprudenza italiana
Secondo giurisprudenza costante della Corte di Cassazione l’esistenza del vincolo di subordinazione deve essere valutata dal giudice di merito analizzando il grado di specificità dell’incarico conferito, al modo della sua attuazione. La Suprema corte ha altresì precisato come si possa far riferimento a criteri complementari e sussidiari nel caso in cui non si riesca ad apprezzare in modo agevole l’assoggettamento del lavoratore alle dipendenze altrui a causa della peculiarità delle mansioni svolte. Questi criteri fanno riferimento a: continuità delle prestazioni, osservanza di un orario predeterminato, una retribuzione prestabilita e versata a cadenze fisse, assenza in capo al lavoratore di una struttura, anche se minima di struttura imprenditoriale[14]. Analizzando il criterio della continuità della prestazione offerta dal lavoratore è stato chiarito come essa riguardi l’obbligo giuridico di effettuare delle prestazioni nonché di mantenere a disposizione del datore di lavoro la propria energia lavorativa[15].
Nonostante il potere direttivo del datore di lavoro sia sempre stato considerato uno degli elementi portanti della definizione di lavoratore subordinato, la Cassazione ha enucleato una nuova fattispecie, quale quella di subordinazione attenuata, avente le seguenti caratteristiche: assenza di manifestazione del potere direttivo del datore di lavoro, esistenza dell’obbligazione a carico del lavoratore consistente nel porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e di impiegare le stesse con continuità e in conformità alle direttive generali dettate dal datore di lavoro[16]. Un’ipotesi di questa fattispecie è rinvenibile qualora si tratti di prestazioni aventi natura intellettuale e che, proprio per questo, sono difficilmente adattabili ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro e con continuità regolare[17]. Esempi possono essere l’attività giornalistica, la professione medica svolta a favore di organizzazioni imprenditoriali come le case di cura, il lavoro dirigenziale[18].
Nel 2018[19] la Cassazione ha ricordato come spetti al suo giudizio solamente la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al fine di qualificare un rapporto di lavoro come subordinato o autonomo. Al contrario non può essere sindacata dalla Cassazione stessa la valutazione delle risultane processuali alla luce delle quali il giudice di merito ha ritenuto il rapporto controverso rapporto di lavoro autonomo o subordinato, a condizione che vi sia una adeguata motivazione e non sussistano vizi logici e giuridici[20].
Successivamente la Corte ha ricordato che ogni attività umana, a condizione che sia economicamente rilevante, può essere oggetto sia di un rapporto di lavoro autonomo che subordinato e che l’elemento tipico che contraddistingue la subordinazione deve essere individuato nell’assoggettamento del prestatore di lavoro nei confronti del datore. Detto assoggettamento può desumersi da una serie di indici sussidiari (continuità della prestazione, osservanza di un determinato orario di lavoro), elementi, questi, che, anche se possiedono natura sussidiaria, possono costituire indici dai quali è possibile rilevare la subordinazione. Infine la Cassazione ha ribadito che l’esistenza del vincolo di subordinazione debba essere accertato in concreto valutando la specificità dell’incarico conferito: qualora la prestazione dedotta sia estremamente elementare o ripetitiva e predeterminata nelle modalità di esecuzione, o, al contrario risultati essere dotata di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale, creativo al fine di distinguere tra lavoro autonomo o subordinato è necessario fare ricorso ai criteri sussidiari.
Con ordinanza n. 17384/2019[21] la Suprema corte ha precisato nuovamente che nella qualificazione di un rapporto come lavoro subordinato o autonomo il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare dirimente in quanto è necessario far riferimento ad ulteriori criteri distintivi sussidiari (durata del rapporto, modalità di erogazione del compenso, la presenza o meno di una seppur minima organizzazione imprenditoriale, ecc). Successivamente rileva come l’individuazione di detti elementi sussidiari spetti al giudice di merito in quanto essi assumono rilevanza sul piano probatorio e di conseguenza consentono al giudice di elaborare o meno un giudizio presuntivo[22] relativo alla presenza e alla sussistenza dei medesimi. Infine la Cassazione precisa che la mancanza di prova di uno di questi elementi sussidiari (nella fattispecie l’orario di lavoro) possa di per sé solo implicare un vizio di sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito della fattispecie astratta ex art. 2094 c.c.
4. Nozione di lavoratore subordinato nel diritto dell’Unione Europea
La direttiva 2003/88/CE definisce lavoratore subordinato qualsiasi persona impiegata da un datore di lavoro, compresi i tirocinanti e gli apprendisti ad esclusione dei domestici, mentre datore di lavoro viene definito come qualsiasi persona fisica o giuridica che sia titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e abbia la responsabilità dell’impresa e/o dello stabilimento (art. 3).
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea[23] individua l’elemento dirimente al fine di qualificare un rapporto di lavoro come subordinato nella eterorganizzazione ossia una condizione che esclude l’indipendenza organizzativa del lavoratore ed include l’incapacità del lavoratore stesso di offrire le proprie prestazioni sul mercato ad altri utenti assumendo su se stesso il rischio imprenditoriale.
Come si nota da quanto stabilito dalla direttiva sopra citata nonché dalla pronuncia della Corte di Giustizia, la distinzione tra lavoratore autonomo e subordinato si fonda quasi ed esclusivamente sull'esistenza e sulla sopportazione del rischio imprenditoriale; è questo l’elemento decisivo al fine di qualificare un lavoratore come autonomo o dipendente.
Tutta la disciplina e l’elaborazione giurisprudenziale del diritto comunitario si incentra sull’art. 45 TFUE[24] riguardante la libera circolazione dei lavoratori all’interno del territorio dell’Unione Europea.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Proia G., Manuale di diritto del lavoro, CEDAM, 2016, pag. 111.
[2] Si tratta di un manuale scritto da Gaio (V sec.) arrivato ai giorni nostri quasi per intero e senza alterazioni: vennero scoperte nel 1816 a Verona. Si tratta di un’opera divisa in quattro libri: il primo dedicato alle personae, il secondo e il terzo alle res ed il quarto alle actiones. Marrone M., Istituzioni di diritto romano, Palumbo, 2006, pag. 47-52.
[3] Burdere A., Manuale di diritto privato romano, UTET, 1993, pag. 464-465.
[4] Marinelli L., Ulteriori criteri per la qualificazione del rapporto di lavoro, in Diritto dei lavori, n.2, 2013, pag. 158.
[5] Proia G., Manuale di diritto del lavoro, CEDAM, 2016, pag. 108.
[6] Carinei F., Tamajo R., Treu T., Diritto del lavoro. Volume 2: Il rapporto di lavoro subordinato, UTET; 2016, pag. 9.
[7] Vedi Cassazione n. 22289/2014, 18320/2016.
[8] Modello comportamentale costituito da tanti singoli comportamenti rilevanti sul piano normativo nel loro insieme e che, in ragione di questo, si presentano come una sequenza coordinata in modo strutturale e funzionale. Affinchè si possa parlare di attività produttiva è necessario che lo scopo perseguito debba essere riconosciuto a livello sociale come produttivo, quindi, questa sequenza deve essere indirizzata alla produrre un’utilità prima non esistente. Cian M., Diritto commerciale, Giappichelli, 2014, pag. 30.
[9] Cian M., Diritto commerciale, Giappichelli, 2014, pag. 35.
[10] Ichino P., Lezioni di diritto del lavoro, Giuffrè, 2004, cap. IV.
[11] Art. 1655 c.c.: l’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o servizio verso corrispettivo in denaro.
[12] Trabucchi A., Istituzioni di diritto civile, CEDAM, 2018, pag. 1070-1071.
[13] Ichino P., Lezioni di diritto del lavoro, Giuffrè, 2004, cap. III.
[14] Cassazione civile, sez. Lavoro, n. 1893/2007.
[15] Cassazione civile n. 3913/1986.
[16] Cassazione civile, sez. Lavoro, n. 8569/2004.
[17] Cassazione civile, sez. Lavoro, n. 5886/2012.
[18] Il dirigente si caratterizza per essere l’alter ego dell’imprenditore, questa formula ha cominciato a rappresentare una parte della categoria dirigenziale in quanto affiancata da diverse figure professionali come middle o law management. Del Punta R., Il valzer delle tutele: ancora su art. 7 stat. Lav., recesso ad nutum e licenziamento del dirigente, in MGL, 2003, pag. 683.
[19] Ordinanza n. 7587/2018.
[20] L’art. 360 c.p.c elenca i motivi che consentono alla parte soccombente di impugnare i provvedimenti con ricorso per cassazione, si tratta di motivi di puro diritto poiché è escluso dal giudizio di legittimità ogni riesame diretto del fatto riguardante il merito della causa. I motivi sono i seguenti: questioni di giurisdizione, questioni di competenza, per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi di lavoro, nullità della sentenza o del procedimento, omesso esame in relazione a un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Consolo C., Spiegazioni di diritto processuale civile, volume II Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Giappichelli, 2015, pag. 557-570.
[21] La corte di appello di Lecce aveva confermato la pronuncia di primo grado riconoscendo quindi la natura subordinata della collaborazione prestata.
[22] Le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice ricava da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato (art. 2727 c.c.). All’interno del genus presunzioni si distinguono quelle semplici e quelle legali. Relativamente alle prime l’art 2729 c.c. prevede che le presunzioni non disciplinate dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Si tratta quindi di un ausilio per il giudice: egli, infatti, attraverso un ragionamento induttivo probabilistico ricava l’esistenza o la falsità di fatti storici non conosciuti avendo come base di partenza dei fatti assodati.
Le seconde, presunzioni legali, sono disciplinate dal legislatore e agiscono sulla ripartizione dell’onere della prova, si dividono in presunzioni relative superabili quindi con la prova contraria, e presunzioni assolute non superabili producendo la prova contraria. Consolo C., Spiegazioni di diritto processuale civile, volume II Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Giappichelli, 2015, pag. 301.
[23] Corte di Giustizia, sez. I, FNV Kunsten Informatie en Media c. Regno di Olanda, C-418/13.
[24] La libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione è assicurata. Essa implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli stati membri per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica essa importa il diritto di:
- Rispondere a offerte di lavoro effettive
- Di spostarsi liberamente a tal fine nel territorio degli stati membri
- Di prendere dimora in uno degli stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali
- Di rimanere, a condizioni che costituiranno l’oggetto di regolamenti stabiliti dalla Commissione, sul territorio di uno Stato membro dopo aver occupato un impiego.
Le disposizioni del presente articolo non
sono applicabili agli impieghi della pubblica amministrazione.