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Pubbl. Mer, 7 Ago 2019

Sospensione condizionale della pena d´ufficio: per le Sezioni Unite se non è richiesta non va motivata

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Alessandra Inchingolo


«L´imputato, in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, [...] non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata applicazione del beneficio qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di appello» (sentenza n. 22533 del 2019)


La sentenza in commento richiama l'istituto della sospensione condizionale della pena. Si tratta di una causa estintiva del reato, che  determina una sospensione integrale, ma provvisoria dell'esecuzione della pena. Questa può poi risolversi alternativamente nell'estinzione del reato e della pena oppure nella revoca del beneficio concesso, nei casi in cui non vi è stato adempimento degli obblighi imposti o nelle ipotesi di reiterazione dell'attività criminale.Il presupposto indefettibile è che la pena vada ancora in tutto o in parte espiata.

L'art. 597, V comma, c.p.p., stabilisce che il Giudice d'appello in sentenza può anche d'ufficio applicare la sospensione condizionale della pena.

Ma a quali condizioni il giudice di secondo grado deve motivare il concreto esercizio del potere-dovere di applicare d’ufficio la sospensione condizionale della pena?

Le SS.UU. del Supremo Collegio, con pronunzia n. 22533 del 2019 hanno stabilito che «fermo restando il dovere del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere ufficioso di applicare la sospensione condizionale della pena, l’imputato, in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, specialmente se sopravvenute al giudizio di primo grado, non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata applicazione del beneficio qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di appello». 

Il caso si pone all’attenzione a seguito di sentenza del tribunale monocratico di Castrovillari del 13/03/2013 che ha condannato l’imputato F.S. all’esito di un giudizio abbreviato condizionato alla pena di anni tre di reclusione per aver detenuto 166g di sostanza stupefacente di tipo Marijuana e dodicimila euro di multa, confisca della sostanza e pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici. In secondo grado, la Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva ridotto il trattamento sanzionatorio ad anni uno di reclusione e venti giorni, quattromila euro di multa e revoca della pena accessoria.

Avverso tale ultima pronuncia l’imputato ha proposto ricorso per cassazione enunciando quattro motivi di doglianza.

Col primo motivo veniva eccepito il vizio di motivazione in  quanto il tribunale di primo grado, nel decidere, aveva utilizzato illegittimamente i referti delle analisi chimiche eseguite dalla Polizia scientifica di Reggio Calabria, nonostante tale documentazione non fosse presente nel fascicolo processuale al momento della richiesta del giudizio abbreviato.

Col secondo motivo, si deduceva un altro vizio di motivazione, sostenendo che l’assenza di motivi rivelatori della condotta di cessione della sostanza stupefacente non era stata affatto considerata dal giudicante , ossia non erano stati rinvenuti strumenti atti alla misurazione e al confezionamento di dosi di sostanza stupefacente, nè erano stati rinvenuti elenchi di potenziali clienti e non era stato trovato denaro illegittimamente acquisito.

Col terzo motivo si eccepiva la mancata qualificazione del fatto di lieve entità e la mancata valutazione in termini di modesta rilevanza oggettiva della violazione e piuttosto della favorevole condotta dell’imputato.

Il quarto motivo deduceva la mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena benché vi fossero tutte le condizioni per la sua concessione e la mancata motivazione di tale diniego.

Il Supremo Collegio investito della questione, ritenendo sussitente l’obbligo del Giudice d’appello di motivare comunque la mancata applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, rimetteva alle Sezioni Unite la risoluzione del contrasto giurisprudenziale.

Il contrasto originava da due correnti interpretative.

Un primo orientamento1 ritiene che il giudice d’appello non deve concedere necessariamente il beneficio della sospensione condizionale della pena né deve motivare la sua decisione se l’imputato ha genericamente richiesto i benefici senza aver specificato a quale di essi si riferisca.

Un secondo orientamento2 invece ritiene doveroso da parte del giudice motivare, seppur in via sintetica, la concessione o il diniego del beneficio in questione, dovere peraltro attribuitogli dall’art. 597 c.p.p, V comma.

Tuttavia, un accento viene posto e va ad accomunare i due orientamenti, ossia che la richiesta del beneficio sia fatta da parte dell’imputato e sia motivata. Con sentenza della VI Sez dela Cassazione n. 32966 del 2001 si ha una rilettura dell’art. 597 c.p.p. che discostandosi dall’orientamento prevalente sostiene che il potere-dovere del giudice d’appello di motivare la concessione o il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena risponde anche ad una necessità di controllo della legalità dell’operato del giudice sia in seno al procedimento che fuori, soggiacendo e obbedendo al dovere di responsabilità , democrazia e pubblicità delle sue funzioni.

Se si ritenesse non sussistente l’obbligo di motivazione da parte del Giudicante, vorrebbe dire aderire ad una concezione del potere giurisdizionale in senso potestativo e formale a discapito di una funzione garantistica e conforme al principio costituzionale cristallizzato nell’art. 111, sesto comma.

Tuttavia, però la parte deve fare espressamente richiesta della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, laddove ne ricorrano i presupposti.

Dunque, il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di concedere o meno il predetto beneficio e la mancata motivazione non possono costituire motivo di doglianza in sede di ricorso per cassazione se tale potere – dovere non è stato sollecitato dalla parte nel corso del giudizio d’appello.

Questo il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione a risoluzione del contrasto giurisprudenziale emerso in seno alla III Sezione del Supremo Collegio investito del ricorso da parte dell’imputato.

Note

1. Sez. 7, n. 16746 del 13/01/2015 Ciaccia, Rv 263361; Sez. 4 n.1513 del 3/12/2013, Shehi, Rv.258484;Sez.4, n. 43113 del 18/09/2012, Siekierske, Rv. 253641; Sez.6, n. 30201 del 27/06/2011, Ferrante, Rv. 256560; Sez. 6, n. 7960 del 26/01/2007, Calluso, rv 228468; Sez. 5, N. 41126 del 24/09/2001, Casamassima, Rv 220254, (in tema di circostanze attenuanti generiche).

2. Sez. 3, n. 47828 del 12/10/2017, sposito, Rv 271815; Sez. 3., n. 3856 del 4/11/2015, Gamboni, Rv 266138; Sez.5, n.2094 del 23/10/2009, coluccio, rv 248924; Sez 5, n. 37461 del 20/09/2005, Rv 232323; Sez. 6, n.32966 del13/07/2001, Colbertardo, Rv 220729.

3. Si veda, su questo argomento, Annamaria Di Clemente, APPLICAZIONE DELLA SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA TRA POTERE DI UFFICIO DEL GIUDICE E RICHIESTA DELL´IMPUTATO, in Riv. Cammino Dirit.,6, 2019