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Pubbl. Gio, 1 Ago 2019

Lo Stato risponde del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente

Andrea Bazzichi


Si tratta di una responsabilità diretta di tipo oggettivo, anche ove il dipendente commetta un reato?


Sommario:1) Inquadramento della fattispecie; 2) la pronuncia delle Sezioni Unite; 3) Riflessioni conclusive

Sommario:1) Inquadramento della fattispecie; 2) la pronuncia delle Sezioni Unite; 3) Riflessioni conclusive

1) Inquadramento della fattispecie.

Le Sezioni Unite della Cassazione con la recente sentenza n. 13246/2019 hanno chiarito i termini e i confini della responsabilità della Pubblica Amministrazione, per i fatti commessi dal dipendente in danno dei terzi. L’intervento chiarificatore si è reso necessario in seguito all’ordinanza di rimessione n. 28079/2018 della Cassazione, III sezione, che ha rilevato un contrasto di indirizzi a livello di giurisprudenza di legittimità in ordine alla questione se la P.A. debba rispondere anche dei fatti dolosi del dipendente pubblico che si sostanziano in reati. A livello normativo, le principali disposizioni di riferimento sono l’art 281 della Costituzione e l’art 20492 c.c. Secondo l’indirizzo, ormai largamente prevalente non vi sono dubbi che l’art 28 configuri una responsabilità diretta dello Stato, per i fatti commessi dal funzionario, in virtù del rapporto di immedesimazione organica che lega il dipendente all’Ente. Posto che quest’ultimo non può che esprimere la propria volontà attraverso l’operato di persone fisiche, è del tutto logico che risponda delle azioni od omissioni delle medesime.

Si esclude, quindi che possa trattarsi di una responsabilità di carattere sussidiario. Il fondamento della norma risiede nel rafforzamento della garanzia per il danneggiato che può agire direttamente nei riguardi dello Stato, soggetto ovviamente più solvibile rispetto al dipendente. Invece, l’opzione assolutamente maggioritaria a livello giurisprudenziale ricostruisce la responsabilità di cui all’art 2049 c.c, come una responsabilità di tipo oggettivo. Viene del tutto superato l’inquadramento che vede la colpevolezza del committente come espressione di una colpa in eligendo. In realtà, sulla base del principio cuius commoda et eius incommoda, chi si avvale dell’opera di terzi, ne subisc inevitabilmente gli effetti sia favorevoli che sfavorevoli. La responsabilità di cui all’art 2049 c.c non è dunque soggetta a prova liberatoria, al contrario delle altre forme speciali di responsabilità, ed è, a differenza dell’art 28 Costituzione, di tipo indiretto. Ovvero, l’azione illecita è primo luogo quella commessa dal preposto, ed il committente ne risponde a titolo di responsabilità di oggettiva, a meno che non dimostri la recisione del nesso causale tra il danno e la condotta dell’agente. E’ nell’ambito dell’art 2049 c.c. che si è sviluppata tutta l’elaborazione relativa la nesso di occasionalità necessaria che lega l’azione colpevole alle funzioni esercitate. In mancanza di tale nesso, dovrà escludersi la responsabilità del committente. Riguardo al tema in oggetto, i quesiti da risolvere erano legati al fatto se la responsabilità del dipendente fosse da inquadrarsi nell’ambito dell’art 28 Costituzione o dell’art 2049 cc, se non in entrambi. Questa è la soluzione prospettata ed accolta dalla pronuncia in commento che ravvede una forma polifunzionale della responsabilità della P.A., dal momento che essa contiene sia l’attività propriamente provvedimentale sia quella di mero carattere materiale. L’altro nodo da sciogliere concerneva i limiti del nesso di occasionalità necessaria. In assenza del citato nesso, viene meno la responsabilità della P.A., sia questa definita come responsabilità diretta ex art 28 Costituzione o indiretta ex art 2049 cc. E’ intuitivo come allargare o restringere le maglie del nesso funzionale, significhi allargare o restringere la responsabilità della P.A.. Infatti, secondo un indirizzo proprio della giurisprudenza amministrativa, e di parte di quella civile e penale, ove l’agente abbia agito per fini esclusivamente personali ed egoistici si recide il legame dato dall’immedesimazione organica. Tant’è che secondo il filone presente a livello amministrativo si distingue tra l’attività provvedimentale e quella materiale del dipendente. In relazione alla prima, la responsabilità della P.A. emerge e continua fintanto che questo sia sia mantenuto, pur con abuso del potere concesso, nei limiti delle proprie attribuzioni e dei fini istituzionali per cui tale potere gli viene attribuito. Riguardo alla seconda, si applica l’art 2049 cc e la responsabilità della P.A. non è configurabile perché non è ravvisabile nessun nesso funzionale tra la condotta ed il danno causato. Se si accoglie tale ricostruzione, laddove vengano commessi dei reati da parte del dipendente pubblico, la responsabilità dell’amministrazione di appartenenza, all’atto pratico viene sempre esclusa3. In altri termini è concreto il rischio che in tale modo, si venga a restringere troppo la tutela nei riguardi del danneggiato, posto che l’art 28 Costituzione non pone alcuna distinzione tra le varie forme di responsabilità, e per giunta nei casi più gravi come quelli derivanti dalla commissione di fatti di reato.

2) La pronuncia delle Sezioni Unite

Nel caso di specie, siamo di fronte ad un reato di peculato, un cancellerie di Tribunale si era appropriato illecitamente delle somme versate su dei libretti di deposito da lui costituiti per ragioni di ufficio. Incontestato è il danno cagionato ed il nesso tra questo e la condotta del cancelliere. La difesa erariale non ritiene esistente la responsabilità dello Stato, dato che il dipendente ha agito per un fine egoistico, personale, del tutto avulso dai fini istituzionali, tanto è vero che la Pubblica Amministrazione poteva costituirsi come parte civile, in quanto danneggiata. Da queste considerazioni ne discende come conseguenza, che tra la condotta del danneggiante e le funzioni da questi ricoperte non via sia alcun nesso nesso di “occasionalità necessaria” con inevitabile recisione del rapporto di immedesimazione organica. In sintesi si deve escludere che la condotta del cancelliere sia imputabile alla Pubblica Amministrazione di partenza. In primo grado la domanda risarcitoria sollevata verso la Pubblica Amministrazione viene accolta, mentre in secondo grado viene respinta sul presupposto che, in presenza di un fatto di reato, l’elemento dell’occasionalità necessaria viene meno, avendo il dipendente agito per un fine esclusivamente egoistico e personale, del tutto estraneo rispetto a quelli che sono gli scopi istituzionali. In primo luogo le Sezioni Unite chiariscono come la responsabilità della Pubblica Amministrazione per i fatti commessi dai propri dipendenti sia di tipo diretto. Il richiamo al meccanismo di tipo institorio previsto dall’art 2049 cc vale nella misura in cui, attraverso il meccanismo dell’occasionalità necessaria e del nesso funzionale delimita l’area della responsabilità. Ciò induce a ritenere che le due norme non sia in contrasto tra loro, ma piuttosto sintetizzano il problema da due visioni complementari tra loro. Se il fatto in contestazione resta nell’alveo dell’attività provvedimentale e dell’abuso del potere, si applica l’art 28 Costituzione. Qualora, invece, l’azione che ha cagionato il dolo sia stata dettata da esigenze egoistiche e personali, senza alcun collegamento con i fini istituzionali, si applica l’art 2049 c.c. A quel punto, si tratta di stabilire se la condotta ricada o meno nel perimetro dell’occasionalità necessaria. Premesso che l’art 2049 cc disegna una responsabilità di tipo oggettivo, che prescinde dal dolo e dalla colpa e non ammette prova liberatoria, è sufficiente che l’azione od omissione di cui è causa sia stata anche solo agevolata dall’esercizio delle funzioni pubbliche. Pertanto, l’elemento soggettivo dello scopo personale ed egoistico, viene del tutto obliterato. Piuttosto, secondo un giudizio contro fattuale che va compiuto ex ante, sulla scorta dei principi della causalità adeguata, si deve stabilire se in assenza dell’esercizio delle funzioni pubbliche, l’evento dannoso sarebbe venuto meno. Nel rafforzare il proprio ragionamento, come ulteriore corollario, se sulla base del principio del id quod plerumque accidit l’evento non sia conseguenza imprevista ed imprevedibile derivante dallo svolgimento delle funzioni, la responsabilità non può mai venir meno. Calati questi principi, nel caso di specie, non si può ragionevolmente sostenere che l’appropriazione di somme detenute, esclusivamente ed in funzione delle mansioni svolte sia rischio od evento assolutamente imprevisto ed imponderabile. Seppur delittuosa, è un evento che può prevedersi, tant’è che vengono posti meccanismi di controllo. Opinare diversamente, ad avviso delle Sezioni Unite vorrebbe dire realizzare una sorta di privilegio nei riguardi della Pubblica Amministrazione che non trova fondamento normativo, tanto più di fronte alla tutela dei diritti dei soggetti danneggiati. Del resto, non è causale che quando il Legislatore abbia ritenuto, per la particolarità delle situazioni, deviare da questo schema lo abbia fatto espressamente4. Quindi, nell’economia del ragionamento della Suprema Corte non rileva tanto che il fatto sia stato compiuto durante lo svolgimento delle funzioni, ma che queste abbiano consentito o solo agevolato l’evento dannoso. Solo se quest’ultimo rappresenta una conseguenza imprevista, imprevedibile e che non possa ritenersi in alcun modo derivata od agevolata dal compimento dei poteri attribuiti, il nesso funzionale viene meno, e non può essere addossata alcuna responsabilità all’amministrazione. Riguardo all’ulteriore argomento svolto dalla difesa erariale, la Suprema Corte evidenzia come il danno che derivi alla Pubblica Amministrazione, anche qualora questa possa costituirsi arte civile nel correlato procedimento penale, in realtà afferisce ai rapporti interni ed ai diritti di regresso di soggetti che sono parimenti responsabili nei riguardi dei terzi.

3) Riflessioni conclusive

La sentenza in commento ha l’indubbio pregio di comporre ad unità un contrasto più apparente che reale, derivante dalle possibili conseguenze applicative o dell’art 28 Costituzione o dell’art 2049 cc. La responsabilità dello Stato, in virtù del rapporto di immedesimazione organica, è diretta, oggettiva, con la limitazione del criterio correttivo dell’occasionalità necessaria, e comprende sia l’attività afferente a provvedimenti sia quella di ordine meramente materiale. Il requisito dell’occasionalità necessaria deve essere letto come una endiadi, non basta che vi sia stata l’occasione dettata dall’esercizio delle funzioni, ma questa deve essere anche necessaria. Ovvero aver determinato, ma anche solo contribuito al sorgere dell’evento dannoso, e questo non deve rappresentare una conseguenza assolutamente imprevista od autonoma. Nel qual caso, in virtù del criterio correttivo, in materia di causalità indicato dall’art 41 2° comma cp5 si configura una serie causale autonoma che fa venir meno la responsabilità dell’agente. In buona sostanza, in questo modo si opera un equilibrato bilanciamento, evitando meccanismi di privilegio a favore della Pubblica Amministrazione. Infatti se i requisiti sono due: 1) l’occasione 2) necessarietà, all’ente non potranno essere imputati quei fatti commessi, si durante lo svolgimento delle funzioni pubbliche ma che con queste non hanno nessun collegamento. Non potranno quindi, essere imputati quei fatti che sono stati commessi durante lo svolgimento del potere pubblico, ma che potevano essere compiuti anche in altre circostanze. Se è vero questo ultimo postulato, ciò significa che il l’elemento delle funzioni pubbliche è del tutto accessorio ed irrilevante, per cui viene a cadere l’occasionalità necessaria. In altri termini, se l’evento si sarebbe comunque verificato, questo non potrà essere addebito alla Pubblica Amministrazione ma solo al dipendente o funzionario. In questo modo, anche in presenza di fatti costituenti reato si riesce ad evitare un’applicazione troppa ristretta o troppa ampia delle responsabilità diretta prevista dall’art 28 Costituzione.

Note

1Si riporta il testo dell’art 28 che così dispone: “I funzionari ed i dipendenti dello stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità si estende allo Stato ed agli Enti Pubblici”.
2L’art 2049 c.c prevede: “ I padroni ed i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.
3Si riporta il passo della sentenza 13799/2019 Cass Penale V sezione sul punto “A ben vedere, infatti, poiché nessun scopo o interesse di dolosa violazione di legge, e tanto meno di dolosa commissione di elemento soggettivo pretendono, potrebbe mai essere, per definizione, riconducibile a finalità istituzionale propria della Pubblica Amministrazione, questa non dovrebbe (o addirittura potrebbe) mai rispondere dei danni che un proprio appartenente abbia cagionato dolosamente, pur quando agito in un contesto in cui proprio e solo l’adempimento di una mansione pubblica gli abbia permesso di perseguire il proprio intento, ancorchè personale. Una tale conclusione nella sua assolutezza, si manifesterebbe contraria alla disciplina costituzionale di cui all’art 28 che da un lato prevede la diretta responsabilità di dipendenti e funzionari dello Stato e degli enti pubblici in tali casi, e quindi senza distinzione tra inosservanza di leggi civili o penali”.
4All’uopo nella sentenza si fa riferimento rispettivamente alla L. 312/1980, inerente la responsabilità degli insegnanti, ove lo Stato risponde direttamente dei danni cagionati ai terzi, salvo il diritto di rivalsa verso il docente nel caso di dolo o di colpa grave, ed alla L. 113/1987 relativa alla responsabilità dei magistrati che tiene fermo il principio della responsabilità indiretta, secondo cui il cittadino ha azione solo verso lo Stato, fatta salva l’eccezione prevista dall’art 13 1° comma.
5Infatti l’art 41 2° comma pone un’eccezione al principio dell’equivalenza delle cause, disponendo: “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di casualità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione o l’omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita”.