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Pubbl. Lun, 8 Lug 2019

Attività medico-ginecologica invasiva della libertà sessuale: serve il consenso della paziente

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Cristina Monteleone


Durante una visita ginecologica, il medico che stimola la vagina della propria paziente, senza averne acquisito preventivamente il consenso, commette il delitto di violenza sessuale. Non è, infatti, richiesto che il soggetto agente persegua un fine di concupiscenza , essendo richiesta solo una compressione della sfera sessuale della persona offesa.


Sommario: 1. Introduzione; 2. Il delitto di violenza sessuale; 3. Cassazione penale, n. 18864 del 22 febbraio 2019; 3.1 Vicenda; 3.2 Decisione.

1. Introduzione

Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte è intervenuta sulla possibilità di configurare il delitto di violenza sessuale, in capo al ginecologo che, durante una visita, stimoli la vagina delle pazienti, senza avere acquisito preventivamente il consenso di costoro.

In particolare, la Suprema Corte è stata chiamata a chiarire se la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio, in capo al soggetto agente, valga ad escludere la configurabilità del reato di violenza sessuale.

2. Il delitto di violenza sessuale

L'art. 609 bis cod. pen. punisce chiunque, con violenza, minaccia o abuso di autorità, costringa taluno a  compiere o subire atti sessuali.

L'attuale collocazione sistematica della norma incriminatrice - tra i delitti contro la persona - è stata determinata dall'entrata in vigore dell'art. 3 della l. 15 febbraio 1996, n. 66.

Anteriormente a tale intervento normativo, infatti, il delitto di violenza sessuale era inserito tra i reati contro la moralità pubblica e il buon costume. 

Ne discendeva che il bene giuridico tutelato dalla norma fosse l'offesa alla morale pubblica.

Con la riforma del 1996, invece, l'interesse protetto dalla norma è divenuto la tutela della libertà di autodeterminazione sessuale dell'individuo.

Per atto sessuale deve intendersi qualunque comportamento, tenuto dal soggetto agente del reato, idoneo a procurare la soddisfazione sessuale dell'agente - anche se in concreto quest'ultimo non l'abbia raggiunta - che comprima la libertà sessuale della persona offesa.

AI fini dell'integrazione della figura criminosa, l'elemento soggettivo richiesto è il dolo generico ossia la coscienza e la volontà di compiere un comportamento idoneo a compromettere la libertà sessuale della persona offesa. Non è richiesto che il soggetto attivo, attraverso l'atto sessuale, raggiunga la concupiscenza ma è sufficiente che la condotta sia oggettivamente idonea al raggiungimento di quest'ultima. 

Peraltro, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, non è necessario che la persona offesa esprima in maniera il proprio dissenso. E' sufficiente, infatti, che il soggetto attivo abbia la piena consapevolezza dell'assenza di una chiara manifestazione di assenso al compimento o al ricevimento degli atti sessuali da parte della persona offesa

3. Cassazione penale, sentenza n. 18864 del 22 febbraio 2019 

3.1 Vicenda

La Corte di Appello territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva un medico ginecologo dal delitto di violenza sessuale commesso ai danni di tre pazienti, in quanto l'imputato avrebbe agito nel compimento della propria attività e, tra l'altro, il consenso allo svolgimento delle manovre contestate si sarebbe dovuto ritenere implicitamente prestato (in quanto atto necessario al compimento della visita richiesta al medico-imputato).

Secondo la prospettazione accusatoria, durante l'esecuzione di alcune visite ginecologiche, l'imputato avrebbe stimolato l'organo riproduttivo delle pazienti, ma non avrebbe informato queste ultime della sua intenzione di eseguire tale manovra, considerata invasiva della libertà sessuale delle pazienti. Il compimento di tali atti, peraltro,non sarebbe riconducibile all'esercizio della professione sanitaria.

Al contrario, il difensore dell'imputato ha insistito per la dichiarazione di inammissibilità o per il rigetto del ricorso proposto dal Procuratore generale. 

Secondo la prospettazione difensiva, invece, il fatto addebitato all'imputato non costituisce reato, in quanto non risulta commesso con la coscienza e la volontà di comprimere la libertà di autodeterminazione sessuale delle persone offese, ma quale operazione necessaria alla corretta esecuzione della visita richiesta dalla paziente e, pertanto, lecito.

Secondo l'imputato, infatti, la manovra contestatagli (stimolazione degli organi sessuali delle pazienti) costituirebbe atto propedeutico ad una corretta esecuzione della visita ginecologica per la quale era stato contattato.

3.2 Decisione della Corte di Cassazione

Preliminarmente, la Corte di Cassazione ha ribadito e illustrato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in ordine alla ricorrenza dell'elemento soggettivo nel delitto di violenza sessuale. 

Per ritenersi sussistente l'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, infatti, è sufficiente che: l'atto sessuale posto in essere dal soggetto agente sia idoneo a soddisfare uno stimolo sessuale1; il soggetto attivo sia consapevole dell'assenza  di una chiara manifestazione di consenso della persona offesa al compimento di un atto sessuale2.

La Suprema Corte ha richiamato, inoltre, i principi giurisprudenziali consolidatisi in materia di accertamenti e trattamenti sanitari disposti in assenza del consenso dell'avente diritto - qualora questi sia nelle condizioni di prestarlo compiutamente - e senza la ricorrenza dell'esimente dello stato di necessità.

In particolare, secondo tale orientamento giurisprudenziale, il medico non può somministrare dei trattamenti terapeutici o eseguire degli accertamenti diagnostici sul paziente, attese le previsioni degli artt. 32 e 13 Cost.3

I giudici della Corte di Cassazione hanno citato la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di consenso informato4. Tale pronuncia riconosce il diritto di ciascun soggetto ad essere adeguatamente informato in merito ai trattamenti terapeutici e/o agli accertamenti diagnostici cui sottoporsi, così da potere validamente prestare il proprio consenso.

Peraltro, i codici approvati dal Consiglio Nazionale della Federazione Italiana degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri prevedono che il sanitario non possa procedere all'esecuzione di alcuna attività diagnostica o terapeutica, in mancanza dell'acquisizione del consenso del paziente.

In definitiva, il sanitario non può procedere alla somministrazione di alcuna cura terapeutica o all'esecuzione di alcun accertamento diagnostico, senza avere preventivamente acquisito il consenso del paziente. Il sanitario, nell'esercizio della propria attività medica, non potrà procedere a compiere degli atti incidenti sulla libertà di autodeterminazione del paziente, senza averne preventivamente acquisito il consenso o successivamente alla sua manifestazione di dissenso.

In caso di mancata acquisizione del preventivo consenso del paziente, il sanitario non potrà invocare l'esimente ex art. 5 cod. pen. che non esclude il dolo ed esclude la colpevolezza solo in caso di ignoranza inevitabile.

La Corte di Cassazione ha ritenuto affetta da discrasie la sentenza resa dalla Corte di Appello territoriale e per tale motivo ha disposto l'annullamento di tale provvedimento con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello.

 

Note e riferimenti bibliografici

1. ex multis Cassazione penale, sez. 3, n. 3648 del 03/10/2017;

2. ex multis Cassazione penale, sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016;

3. Cassazione penale, sez. 4, n. 16375 del 23/01/2008; 

4. Corte Costituzionale, sentenza n. 438 del 2008;