Il contratto di comodato d´uso
Modifica paginaAnalisi della disciplina e delle sue peculiari caratteristiche.
Sommario: 1. Caratteristiche e funzioni del comodato. – 2. Obblighi del comodante e responsabilità del comodatario. – 3. La cessazione del comodato e la restituzione del bene. – 4. Regime fiscale. – 5. Analogie e differenze con altre figure contrattuali.
1. Caratteristiche e funzioni del comodato.
Il comodato d’uso, talvolta denominato anche “prestito d’uso” rappresenta un contratto essenzialmente gratuito con cui una parte (cd. comodante) consegna un bene, sia mobile che immobile, ad un’altra parte (cd. comodatario) affinché se ne serva per un tempo o uso determinato, con l’obbligo poi di restituire quanto ricevuto. Alla luce della definizione fornita dall’art. 1803 c.c. si tratta di un contratto obbligatorio con cui il comodatario acquista un diritto personale; si evidenzia, altresì, come il comodatario (ossia colui che riceve il bene) consegua una detenzione qualificata ai sensi dell’art. 1140 c.c. e come, pertanto, possa esperire l’azione di reintegrazione prevista dall’art. 1168 c.c. anche nei confronti del comodante. Occorre precisare anche come il comodatario, quale detentore qualificato della res comodata, non possa acquistare il possesso ad usucapionem[1] (a meno che non intervenga una interversio possessionis[2]).
Le principali caratteristica di questa figura negoziale consistono nella gratuità e nell’unilateralità. Alla consegna del bene, difatti, non è previsto alcun corrispettivo per l’uso del bene[3]: a fronte della gratuita concessione dell’uso del bene corrisponde in capo al comodatario unicamente l’onere di custodia[4]. Il carattere di gratuità del comodato non viene meno neanche qualora il comodatario provveda spontaneamente al pagamento di un corrispettivo né tantomeno se è previsto un modus[5]. L’altra caratteristica è rappresentata dall’unilateralità in quanto il comodato rappresenta un contratto con prestazioni a carico di una sola delle parti.
Per quel che concerne la capacità delle parti, è opportuno puntualizzare come, secondo l’orientamento prevalente, il comodante debba avere la capacità di compiere gli atti di straordinaria amministrazione mentre per il comodatario è sufficiente la possibilità di compiere gli atti di ordinaria amministrazione. Tale differenziazione trova la sua ragion d’essere nella considerazione per cui il comodante compia un sacrificio economico rilevante (a meno che la cosa comodata non sia di modico valore). Il comodatario può essere rappresentato da chiunque abbia la disponibilità del bene: dunque, risulta legittimato a concedere il bene in comodato non solo il proprietario ma anche l’usufruttario nei limiti del suo diritto di godimento, l’enfiteuta ed il conduttore, qualora non sia previsto un divieto di sub-locazione e vi sia il consenso del locatore. Qualora il bene risulti di più proprietari, è opportuno che il bene sia concesso in comodato con la volontà congiunta; nel caso in cui il comodatario, invece, sia uno soltanto dei proprietari, gli altri proprietari potranno revocarlo ovvero, nei termini previsti ex lege, impugnare il contratto (in caso di impugnazione non tempestiva, saranno invece obbligati a rispettarlo)[6].
Come si è già avuto modo di accennare, possono formare oggetto di comodato sia i beni mobili purché infungibili[7], anche registrati, che i beni immobili nonché le universalità di beni (basti pensare al comoda d’uso d’azienda) ed i beni cd. immateriali (opere d’ingegno, invenzioni industriali, etc.).
Con riferimento alla forma, per quanto sia prevista la libertà di forma, deve evidenziarsi come questo non possa aversi per atto unilaterale e, per il suo carattere essenzialmente gratuito, non possa essere oggetto di preliminare. Sul punto, l’orientamento dottrinale prevalente non ammette un preliminare con cui le parti si obblighino a stipulare un contratto di comodato[8]. Nonostante ciò, parte della dottrina, pur condividendo le posizioni per cui non possa aversi una promessa di comodato cui non segua la consegna, ritiene che tale ipotesi non risulti totalmente improduttiva di effetti in quanto avrebbe rilevanza ai fini del riconoscimento di una responsabilità nei confronti del promittente per responsabilità precontrattuale. Difatti, il promittente comodatario potrà domandare un risarcimento del danno per le inutile trattative cui aveva fatto affidamento ma, in ogni caso, non potrà avanzare alcuna pretesa risarcitoria per la mancata esecuzione del contratto di comodato[9].
Deve osservarsi come la fattispecie in esame, inoltre, rappresenti un contratto reale: il perfezionamento del comodato si ha con la traditio del bene comodato. Anche per la consegna non sono previste particolari forme, pertanto, può aversi nelle più svariate modalità.
In riferimento alla durata, le parti possono fissare una precisa scadenza ovvero lasciare che questa sia desumibile dalla destinazione del bene oppure dagli interessi perseguiti dalle parti. Nell’ipotesi in cui la durata non sia espressamente indicata né l’uso del bene sia prevista una precisa destinazione d’uso, si considera a tempo indeterminato. Qualora, invece, la durata del contratto risulti del tutto mancante e non desumibile da alcun elemento, si ha il cd. comodato precario. Tale peculiare ipotesi trova la sua disciplina nell’art. 1810 c.c. che stabilisce qualora la scadenza non sia determinata né determinata, il comodatario è tenuto alla restituzione del bene non appena il comodante gliene faccia richiesta[10]. La giurisprudenza (SS.UU. n. 20448/2014[11]) ha precisato come il comodato ad uso familiare[12] non rappresenti un’ipotesi di comodato precario: pertanto, nel caso in cui l’immobile concesso in comodato sia destinato all’uso di abitazione familiare, il comodante può esigere la restituzione immediata soltanto qualora sopravvenga un bisogno urgente ed imprevisto[13]. Secondo la giurisprudenza, inoltre, può aversi anche l’ipotesi in cui la durata del comodato sia legata alla vita del comodatario ma, affinché tale pattuizione sia valida, è necessario un esplicito accordo[14].
2. Obblighi del comodante e responsabilità del comodatario.
Con la stipulazione del comodato, il comodatario diviene detentore qualificato della res comodata di cui ha il diritto di godimento. Il comandante ha, infatti, l’obbligo di consentire il godimento del bene e di evitare ogni molestia in tal senso nonché di informare il comodatario su eventuali vizi della cosa di cui è a conoscenza e che potrebbero rendere inidoneo il bene all’uso cui è destinato. In merito al godimento del bene, appare opportuno precisare che il comodatario ha il diritto di godere del bene ed, allo stesso tempo, è gravato del dovere di custodire e conservare il bene. Per quanto concerne l’uso del bene comodato, questo può essere esplicitamente previsto ovvero desumibile dalla sua natura, dagli interessi delle parti od, ancora, dalla professione svolta dal comodatario. In considerazione di tale diritto di godimento, l’ordinamento riconosce anche una tutela al comodatario qualora subisca molestie: difatti è legittimato ad agire in giudizio per far cessare la turbativa nonché per richiedere il ristoro dei danni subiti. Qualora vi sia un altro soggetto che vanti un diverso diritto personale sul medesimo bene, inoltre, il comodatario potrà opporre il proprio diritto ed il conflitto viene risolto, così come previsto ai sensi dell’art. 1380 c.c., a favore del soggetto che per primo ha conseguito la disponibilità del bene[15].
In capo al comodante vi è anche l’obbligo di comunicare i vizi della cosa occulti al comodatario che possano comportare danni a quest’ultimo; qualora vi sia l’omissione di tale comunicazione, il comodatario potrà agire per il risarcimento dei danni purché sia in grado di provare che il comodante fosse a conoscenza di tali vizi. Sul punto si ritiene opportuno rammentare come, pur non potendo ascriversi in capo al comodante un obbligo di garantire l’idoneità del bene comodato, qualora questo ometta di comunicare i vizi preesistenti e che rendano la cosa inidonea all’uso si sarebbe, secondo parte della dottrina, dinanzi ad un’ipotesi di responsabilità precontrattuale. Il comodante, difatti, con una simile condotta, violerebbe i principi di buona fede e correttezza omettendo di fornire informazioni rilevanti e, conseguentemente, il comodatario sarebbe legittimato ad agire in giudizio per il risarcimento dei danni derivanti dal non aver potuto usufruire del bene (come espressamente previsto all’art. 1812 c.c.). Tuttavia, a tal proposito, la giurisprudenza maggioritaria si è orientata nel ritenere che tale responsabilità non sia di natura contrattuale bensì extracontrattuale:[16] pertanto, i profili di responsabilità si avrebbero solamente qualora si verifichi la fattispecie delineata dalla norma e, dunque, non sorgerebbe se il comodante non conosceva il vizio né qualora il comodatario ne era a conoscenza ovvero avrebbe dovuto conoscerli con l’ordinaria diligenza. Può osservarsi come, rispetto alla disciplina dei vizi della cosa di cui agli artt. 1490 e ss c.c., si tratti di una previsione di responsabilità “attenuata” e ciò in quanto, come si è avuto modo di evidenziare, il comodante non ha l’obbligo di garantire l’idoneità del bene.
Di convesso, il comodatario ha l’obbligo di conservare e custodire, con ordinaria diligenza, il bene comodato, compresi gli accessori e i frutti del bene comodato. Tale obbligo, che si estingue con la riconsegna del bene (e non, si badi bene, con la cessazione del comodato), fa sì che il comodatario debba provvedere anche all’ordinaria manutenzione (sostenendo anche le relative spese[17]) mentre quelle di straordinaria manutenzione spettano al comodante.
Appare d’uopo precisare che l’art. 1807 c.c. stabilisce che il comodatario non sia responsabile del perimento o deterioramento del bene comodato se deriva da caso fortuito ovvero dal normale uso pattuito; diversamente, è responsabile qualora adoperi la cosa per un uso diverso da quello concordato[18].
3. La cessazione del comodato e la restituzione del bene.
Premesso quanto si è avuto modo di illustrare in merito alla durata del comodato, in ogni caso alla scadenza del contratto, o qualora si tratti di comodato cd. precario, quanto il comodante ne faccia richiesta, il comodatario è tenuto a restituire la cosa[19]. Se il comodatario non adempia alla restituzione spontanea del bene, il comodante potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere un provvedimento di rilascio del bene. Il giudice, qualora manchi un accordo tra le parti, tenuto conto della natura dell’uso del bene, potrà stabilire un termine per la restituzione (es. qualora si tratti di un bene immobile destinato ad uso di abitazione, verrà stabilito un termine congruo per il rilascio dell’immobile e per trovare una sistemazione alternativa).
Qualora non sia stabilito un termine ma questo sia desumibile dall’uso cui è destinata la res comodata, il contratto si considera cessato quando sia esaurito l’uso del bene o quando l’uso sia divenuto impossibile.
La conclusione del comodato si ha anche nel caso in cui una delle parti intenda recedere dal contratto. Il recesso del comodante si ha: qualora il comodatario non adempia agli obblighi di custodia o conservazione ovvero adoperi il bene per un uso differente da quello pattuito; nel caso in cui il comodatario ceda in sub-comodato il bene senza il consenso del comodante; se sopravviene un uso urgente ed improvviso oppure in caso di morte del comodatario (il comodante potrà esigere l’immediata restituzione del bene dagli eredi del comodatario). Il recesso del comodatario, invece, si ha quando il comodante intenda restituire il bene prima della scadenza del contratto, senza che vi sia la necessità della sussistenza di una giusta causa in quanto il contratto di comodato è stipulato nel suo interesse.
Un altro caso di cessazione del contratto è data dal caso in cui vi sia confusione[20] ossia nel caso in cui il comodatario divenga proprietario del bene ricevuto in comodato.
Qualunque sia la causa che determini la cessazione del contratto, l’immediata conseguenza è l’obbligo di restituire il bene. La cosa restituita deve essere la medesima che era stata consegnata dal comodante (e non una della medesima specie e genere) e nello stato in cui si trova dopo il normale uso. Tale obbligo è posto a carico del comodatario tuttavia, in talune peculiari circostanze, ricade su altri soggetti: nel caso sia intervenuta la morte del comodatario, saranno i suoi eredi a dover provvedere alla restituzione; qualora, invece, sia sopravvenuta l’incapacità del comodatario, sarà onere del suo rappresentante legale; se il comodatario è una società, nell’ipotesi in cui sia assoggettata a procedura concorsuale, sarà il curatore che ha rinvenuto la cosa comodata a restituirla al comodante. La restituzione deve essere fatta al comodante a meno che non abbia designato un diverso soggetto ovvero ne sia intervenuta la morte, l’incapacità o, se si tratta di una società, il fallimento e, in queste ipotesi, il bene dato in comodato andrà consegnato, rispettivamente, agli eredi, al rappresentante legale od al curatore.
In riferimento alla richiesta di restituzione che va indirizzata al comodatario, o sul soggetto su cui ricade l’obbligo della restituzione, non richiede una particolare forma né un preavviso, salvo patto contrario. Il luogo della restituzione può essere contrattualmente previsto o ricavabile dagli usi; in mancanza, secondo parte della dottrina la cosa comodata andrebbe restituita nel luogo dove si trovava il bene[21] quando è sorto il rapporto mentre, secondo un diverso orientamento, dovrebbe avvenire presso il domicilio del comodante[22].
Nella pratica può, però, accadere che il comodatario non intenda adempiere alla restituzione del bene[23] ed in tale ipotesi, il comodante potrà agire con l’azione di restituzione e, qualora sia anche proprietario del bene, potrà anche agire in rivendicazione. La giurisprudenza ha precisato come il comodante non possa chiedere la risoluzione per inadempimento, ma soltanto avanzare pretese risarcitorie per i danni eventualmente subiti[24], né proporre domanda di prestazione per equivalente od esercitare l’azione di spoglio.
Nello specifico, l’azione di restituzione, che si prescrive nel termine di 10 anni dal termine stabilito per la restituzione, prevede che il comodante debba provare unicamente l’esistenza del contratto; l’azione di rivendicazione, invece, è esercitabile soltanto dal comodante che sia anche proprietario del bene, è imprescrittibile e prevede che il comodante-proprietario provi di essere proprietario del bene. Le azioni, pur mirando entrambe al recupero del possesso del bene, hanno fini diversi: come ribadito dalle SS.UU. con la sentenza n. 7305 del 2014, “l’azione personale di restituzione è destinata a ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall'attore al convenuto, in forza di negozi quali il comodato, la locazione, il deposito o altri, che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario. Essa si distingue dall'azione di rivendicazione, con la quale il proprietario chiede la condanna al rilascio o alla consegna nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell'assenza anche originaria di ogni titolo. In questo caso la domanda è tipicamente di rivendicazione, poiché il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione, mediante la probatio diabolica”[25].
4. Regime fiscale.
Il comodato rappresenta un contratto spesso adoperato nel mondo dell’impresa, pertanto, risulta utile porre qualche breve osservazione sul regime fiscale previsto.
Il contratto di comodato è essenzialmente gratuito e dunque non determina un flusso di reddito tra le parti, non producendo alcun effetto ai fini delle imposte dirette né dell’IVA. Nonostante ciò, va osservato come taluni costi possano essere considerati deducibili qualora si ravvisi una connessione all’attività di impresa svolta: ad es., la concessione del bene comodato, consentirebbe al comodante di effettuare l’ammortamento di tale bene[26]. Inoltre, con riguardo alle spese di manutenzione, le normali spese di ordinaria manutenzione sono deducibili dal comodatario mentre quelle di straordinaria manutenzione dal comodante.
Particolarmente delicata appare la problematica relativa all’accertamento ai fini dell’IVA. Sul punto si rammenta come la disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto contemplata dapprima dall’art. 53 del D.P.R. n. 633 del 1972 e poi sostituita dalle disposizioni recate dal D.P.R. n. 441 del 1997 che all’art.1 stabilisce che “si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni”. Infatti, si presumono ceduti i ben acquistati che non si trovino nei luoghi in cui il contribuente eserciti le proprie attività, a meno che non dimostri che i beni siano stati utilizzati per la produzione ovvero siano stato dati, ad esempio, in comodato. Per “vincere” tale presunzione è necessario provare che il bene sia data in comodato ed a tal proposito è necessario che la consegna del bene risulti dal libro giornale, da un apposito registro, da atto registrato presso l’Ufficio dell’Agenzia dell’Entrate ovvero da annotazione nel registro IVA.
Nel caso in cui il bene comodato sia rappresentato da un immobile, deve rilevarsi come talune imposte gravanti sul bene siano poste a carico del comodante (IRPEF o IRES se si tratta di società, IMU, TASI) o a carico del comodatario (TARI, TASI), a seconda dei casi[27].
5. Analogie e differenze con altre figure contrattuali.
La delineata figura del comodato rappresenta talune analogie con altre figure contrattuali dalle quale, tuttavia, si differenzia per le sue peculiari caratteristiche.
Ad esempio, si differenzia dall’usufrutto in quanto mentre quest’ultimo prevede che l’usufruttuario acquisisca un diritto reale di godimento (tanto è vero che pur non essendo proprietario del bene può diventarne comodante), nel caso del comodatario si ha soltanto un diritto personale. Si distingue anche dalla locazione, difatti mentre in tale ipotesi è prevista la corresponsione di un quantum (cd. canone di locazione), il comodato è essenzialmente gratuito e tale carattere di gratuità non viene meno neanche nell’ipotesi del cd. comodato modale[28]. Qualora, invece, dal contratto di comodato derivino vantaggi e svantaggi che si equivalgano tra le parti, non potrà parlarsi di comodato. Inoltre, si contraddistingue anche dalla donazione che presuppone il passaggio di proprietà del bene, mentre nel caso del comodato, il comodatario è tenuto alla restituzione del bene. Nell’ipotesi del mutuo deve osservarsi come vada restituito la stessa quantità e genere del bene ricevuto, nel comodato, diversamente, deve essere restituito il medesimo bene. Infine, deve evidenziarsi come profili di analogia si abbiano anche con il deposito gratuito, eppure, anche in questa ipotesi, si può osservare un’importante differenza in quanto nel comodato, il comodatario può utilizzare il bene.
Note bibliografiche
[1] Si precisa come, ai sensi dell’art. 1158 c.c., affinché possa ravvisarsi l’acquisto per usucapione occorre che il cd. possesso ad usucapionem che si configura come il comportamento continuo e non interrotto sulla cosa connotato dall’animus possidendi ossia la volontà di esercitare la signoria sulla cosa. E’ palese come la detenzione escluda la possibilità del configurarsi di un possesso uti dominus e pertanto non abbia alcuna rilevanza ai fini dell’acquisto per usucapione essendovi la consapevolezza dell’altruità del bene. Sul punto appare concorde anche la giurisprudenza che precisa come il comodatario non possa acquistare la cosa comodata per usucapione, salvo interversio possesionis (così la Cass. Civ. sez. III. n. 15877/2013).
[2] Nel caso della detenzione di un immobile per un titolo che esclude un possesso uti dominus (com’è il caso in esame del comodato d’uso), al fine di iniziare a possedere utilmente ex art. 1158 c.c., è necessario dimostrare la sussistenza di un atto idoneo ad integrare una interversione nel possesso (c.d. interversio possessionis). Tale fenomeno consiste nel dimostrare che il detentore ha cessato di esercitare il potere in nomine alieno per iniziare in nome proprio od uti dominus (così Trib. Monza con la pronuncia n. 996 del 04.04.2011).
[3] Si osservi come, spesso, si faccia riferimento al comodato d’uso gratuito per motivi di amicizia, rapporti famigliari ovvero cortesia. Tuttavia, si tratta di una figura spesso adoperata anche in ambito imprenditoriale in collegamento negoziale con altri contratti (es. appalto).
[4] Sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di rilevare come si configuri quale contratto di comodato anche l’ipotesi di concessione in godimento di un terreno dietro accordo per cui il comodatario si impegni periodicamente a consegnare un certo quantitativo di un bene al comodante (vd. Cass. Civ. n. 3087/2010). Si tratta di una peculiare ipotesi di comodato cd. modale in cui il comodatario è obbligato una modesta somma a fronte del godimento del bene.
[5] La S.C. ha chiarito come il carattere di essenziale gratuità del comodato non venga meno nell’ipotesi in cui sia inserito un modus a carico del comodatario, purché non sia di entità tale da snaturare il rapporto ponendosi come corrispettivo del godimento della cosa e, dunque, assumendo la natura di una controprestazione (così la Cass. Civ. Sez. III n. 13920/2005).
[6] Nell’ipotesi in cui il contratto di comodato sia stipulato da un solo comproprietario risulta, dunque, valido, con l’unica precisazione che in tale ipotesi gli altri comproprietari potrebbero chiederne la risoluzione perché concluso senza il loro consenso ovvero ratificarne il contenuto. Tuttavia, si deve osservare come la giurisprudenza con talune pronunce abbia operato delle precisazioni a tal proposito ritenendo, ad esempio, che “concedere il bene comune in comodato per la durata di venti anni, senza il consenso degli altri comproprietari, trattandosi di atto eccedente l'ordinaria amministrazione, che deve pertanto considerarsi inefficace e non semplicemente annullabile.” (così il Trib. Torino, sez. III, con l’ordinanza del 07.05.2007).
[7] I beni consumabili non possono essere concessi in comodato, difatti, la dottrina maggioritaria sembra orientarsi nel ritenere che un contratto di comodato avente ad oggetto cose fungibili o consumabili vada in realtà considerato come mutuo; però vi sono delle eccezioni: è il caso dei beni per ostentazione (si pensi al caso di oggetti adoperati per decorare una vetrina) con cui si ritiene convenzionalmente infungibili dei beni che in realtà non hanno tale caratteristica. CARRESI, Il comodato, in Trattato di diritto civile dir. da Vassalli, Torino, 1957, p. 33.
[8] così SCOZZAFAVA, Il comodato, in Trattato di dir. Privato, Rescigno, vol. XII, Torino, 1985, pp. 616 e ss.
[9] così FRAGALI, Del comodato, Commento al codice civile, a cura di Scajola, p. 164.
[10] La caratteristica del comodato precario è che “la determinazione del termine di efficacia del “vinculum iuris” costituito tra le parti è rimessa in via potestativa alla sola volontà del comodante che ha la facoltà di manifestarla “ad nutum” con la semplice richiesta di restituzione del bene” (così la Cass.Civ., III sez., n. 15986/2010).
[11] Le SS.UU. hanno chiarito che in tale ipotesi si tratti di un contratto sorto per un uso a tempo determinato (o comunque determinabile per relationem in virtù della destinazione a casa familiare contrattualmente pattuita).
[12] La S.C. (con l’ordinanza n. 17332 del 2018) ha precisato che “Nel comodato di bene immobile, stipulato senza determinazione di termine, l'onere di provarne la destinazione a casa familiare e la persistenza della predetta destinazione alla domanda di rilascio grava sul comodatario.”
[13] “Il bisogno che, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave, ma imprevisto, e dunque sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato, ed urgente. La disposizione in parola, peraltro, fa riferimento alla necessità del comodante - su cui gravano i relativi oneri probatori - di appagare impellenti esigenze personali, e non a quella di procurarsi un utile, tramite una diversa opportunità di impiego del bene.” Così il Trib. La Spezia con la pronuncia del 06.12.2018.
[14] La giurisprudenza ha avuto modo di precisare come “la concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l' "an" ed incerto il "quando", atteso che, con l'inserimento di un elemento accidentale per l'individuazione della precisa durata (nella specie, la massima possibile, ossia per tutta la durata della vita del beneficiario), il comodante ha limitato la possibilità di recuperare, quando voglia, la disponibilità materiale dell'immobile, rafforzando, al contempo, la posizione del comodatario, a cui viene garantito il godimento per tutto il tempo individuato. Ne consegue che, in tale evenienza, il comodante o i suoi eredi possono sciogliersi dal contratto soltanto nelle ipotesi di cui agli artt. 1804, terzo comma, 1809 e 1811 cod. civ. e non liberamente come avviene nel comodato precario.” (così la S.C. con la sentenza n. 6203 del 2014). Pertanto, mentre nel caso del comodato cd. precario il comodante potrà arbitrariamente determinare quando sciogliere il contratto, nel caso di comodato legato alla vita del comodatario, solo in talune ipotesi tassativamente indicate (es. ai sensi dell’art. 1809 c.c. quando sopravviene un urgente e imprevisto bisogno al comodante).
[15] Il legislatore, con la citata norma, ha disciplinato il caso in cui più soggetti vantino un diritto di godimento sullo stesso bene, stabilendo che per la soluzione del conflitto si faccia riferimento al soggetto che per primo abbia conseguito la disponibilità sul bene. Come chiarito dalla giurisprudenza, “il criterio di preferenza stabilito dalla norma è quello della priorità e non quello dell’attualità del godimento” (così il Trib. Rovigo con la pronuncia del 16.03.1990). In ogni caso, si badi bene, tale norma risolve soltanto i conflitti tra più diritti personali di godimento (come può essere, per l’appunto, il diritto del comodatario) mentre per i diritti reali l’eventuale conflitto andrebbe risolto in base al principio della pubblicità (come ha chiarito la Cass. Civ., sez. I, con la pronuncia n. 2073/1972).
[16] “La responsabilità del comodante per danni da vizi della cosa comodata non ha carattere contrattuale perché l’obbligo del comodante di comunicare i vizi della cosa data in comodato non inerisce al contenuto del contratto, e neppure deriva da culpa in contrahendo perché la legge non ravvisa nel momento della perfezione del contratto il momento limite per la denunzia dei vizi conosciuti, ma ha carattere extracontrattuale perché trova fondamento nella violazione dell’obbligo posto dalla legge di denunciare i vizi conosciuti (culpa in omittendo), ond’è che, in difetto della prova della conoscenza da parte del comodante, non trova applicazione l’art. 1812 c.c.” così la S.C., sez. III., n. 819/1963.
[17] Le spese di ordinaria manutenzione spettano al comodante che gode del bene mentre le spese di straordinaria manutenzione sono onere del comodante.
[18] La Cassazione (pronuncia n. 13691/2001) ha precisato come la normativa di cui all’art. 1805 sia applicabile tanto all’ipotesi del perimento quanto del deterioramento, stabilendo che “l'art. 1805, comma 2, c.c. - a norma del quale il comodatario che impiega la cosa per un uso diverso o per un tempo più lungo di quello a lui consentito è responsabile della perdita avvenuta per causa a lui non imputabile, qualora non provi che la cosa sarebbe perita anche se non l'avesse impiegata per l'uso diverso o l'avesse restituita a tempo debito - benché faccia riferimento solamente al perimento della cosa, è applicabile anche la deterioramento della stessa.”
[19] “Il contratto di comodato d'uso gratuito senza previsione di un termine di durata, pone a carico del comodatario l'onere di restituire la res non appena il comodante la richiede. In mancanza si configura una detenzione senza titolo del bene, che attribuisce al comodate il diritto al risarcimento del corrispondente danno.” Così il Trib. Ferrara del 12.06.2018.
[20] L’istituto della confusione, disciplinato agli artt. 1253 e ss c.c., si ha quando le qualità di debitore e creditore coincidono nella stessa persona e tale circostanza produce l’estinzione dell’obbligazione; quando la confusione riguarda diritti reali limitati (es. usufrutto) si parla di consolidazione.
[21] SCOZZAFAVA, Il comodato, in Trattato di diritto privato di Rescigno, Torino, XII ed., 1985, pp. 616 e ss.
[22] GIAMPICCOLO, Il comodato e il mutuo, in Trattato di diritto civile di Grosso, Santoro, Passarelli, pp. 8 e ss.
Tuttavia qualora, nelle more dello svolgimento del contratto di comodato, il comodante abbia cambiato domicilio, secondo la dottrina, al fine di evitare che tale incombenza sia eccessivamente gravosa, il comodatario ha la facoltà di comunicare al comodante che intende restituire il bene presso il proprio domicilio. CARRESI, Il comodato, Nov. D., pp. 692 e ss.
[23] La giurisprudenza di merito ha chiarito come la posizione del comodatario che non restituisca la cosa comodata sia di detentore privo di titolo e quindi abusivo, salvo che dimostri di poter disporre del bene sulla scorta di un diverso rapporto giuridico (Trib. Salerno con la pronuncia del 28.05.2004).
[24] “Il danno derivante dall'avere continuato ad occupare senza titolo un immobile, pur dopo la cessazione dell'originario contratto di comodato, non è un danno in re ipsa, ma un danno conseguenza che deve essere allegato e provato da parte del proprietario, ad esempio mediante la dimostrazione della sua intenzione concreta di concederlo in locazione durante tale periodo, ovvero mediante la dimostrazione di avere sostenuto spese che altrimenti non avrebbe dovuto affrontare per risiedere egli stesso durante tale periodo in un altro immobile, ovvero ancora mediante la dimostrazione di avere avuto concreta intenzione nel frattempo di venderlo.” Così la Cass. civ., sez. III, n. 13071/2018.
[25] Così la Cass. Civ. con l’ordinanza n. 25052 del 2018.
[26] “In caso di esternalizzazione a impresa terza dell'attività di produzione di beni venduti dal contribuente, i relativi costi per l'utilizzo del capannone (nella specie, di acqua, energia elettrica, gas e telefono) e per la manutenzione dei macchinari di sua proprietà, concessi in comodato all'impresa che svolge, in esclusiva, per il comodante l'attività di produzione, sono deducibili ai sensi dell'art. 75 (ora 109), comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986, con conseguente detraibilità della relativa IVA ex art. 19, D.P.R. n. 633 del 1972, trattandosi di spese che si inseriscono nel suo programma economico e devono, pertanto, ritenersi inerenti la sua attività produttiva in quanto ad essa strumentali.” Così la Cass. Civ. con la pronuncia n. 28375 del 2018.
[27] Memento fiscale, Memento pratico, IPSOA – Francis Lefebvre, ed. 2016.
[28] “Il carattere di essenziale gratuità del comodato non viene meno se vi inerisce un modus posto a carico del comodatario, fermo restando che questo, però, non può essere tale da snaturare il contenuto del rapporto, privandolo del requisito essenziale della gratuità. Requisito destinato a venire meno, tuttavia, quando il vantaggio conseguito dal comodatario si pone come corrispettivo del godimento della cosa con natura di controprestazione.” Così la Cass. Civ. con l’ordinanza n. 1039 del 2019.