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Pubbl. Mar, 21 Apr 2015

Il delitto di tortura, il nuovo panorama normativo: un’occasione da non perdere

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Maria Gabriella Laratta


La Corte di Strasburgo ha condannato l´Italia per l´assenza nel proprio ordinamento giuridico di una disposizione che criminalizzi la tortura; così il Parlamento accelera sul disegno di legge fermo da più di due anni.


Lo scorso 7 Aprile la Corte di Strasburgo[1] ha condannato l’Italia per la mancanza di una legislazione penale adeguata e provvista di effetti dissuasivi per prevenire efficacemente la reiterazione di possibili violenze poliziesche.

Si tratta della sentenza pronunciata nell’ambito del caso Cestaro contro Italia, riguardante gli eventi accaduti durante gli incontri del G8[2] di Genova, nella scuola Diaz-Pertini[3], che ha sicuramente riacceso il dibattito sul delitto di tortura e puntato i riflettori anche su questo Governo. Ci si chiede infatti se quest’ultimo sarà in grado di colmare tale gravissima lacuna che, come una spada di Damocle, trafigge quel senso di civiltà, che dovrebbe essere alla base di uno Stato, come l’Italia, che ostenta democraticità.

Siamo ormai abituati da tempo ad un'Italia in continuo ritardo rispetto all’adeguamento ed al recepimento degli obblighi internazionali, ma questa condanna, e quindi la mancanza di una norma che proibisca la tortura[4] ha dell’incredibile, e sarebbe stata sicuramente evitabile.

Infatti, come giustamente fatto notare in dottrina[5], è la nostra stessa Carta Costituzionale a non prevedere altri obblighi di criminalizzazione se non quello della tortura; recita così l’art. 13, 4° comma Cost.: “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizione di libertà”.

Dall’entrata in vigore della Costituzione tanti anni sono passati ormai invano, e, nonostante al potere si siano avvicendati governi in numero tale da poter dettare una disciplina in materia di tortura, nessuno è mai riuscito a colmare questa lacuna.

Ma vi è di più. Si è trattato di anni in cui non solo l’Italia si è disinteressata del dettato costituzionale ma anche -e questo potrebbe addirittura sembrare contraddittorio- ha diligentemente ratificato le più svariate convenzioni sulla tutela dei diritti umani, tra le quali si ricorda la Dichiarazione universale dei diritti umani, Il Patto sui diritti civili e politici, la Convenzione dell’Onu contro la Tortura, la Convenzione europea per la prevenzione della Tortura.

In particolare dopo la ratifica della su citata CAT nel 1984, l’Italia avrebbe dovuto recepire e dare attuazione alla Convenzione introducendo un’apposita disposizione ma questo com’è ormai noto non è accaduto.

Dopo la ratifica, infatti, trattandosi di norme c.d. self executing, non si sentì la necessità di introdurre un reato ad hoc, poiché si riteneva che nel codice fossero già presenti delle fattispecie idonee a punire tutti gli atti indicati nell’art. 1, anche quelli commessi da pubblici ufficiali nell’esercizio delle loro funzioni[6]; si tratta di una cerchia di norme quali: percosse (art.581 c.p.), lesioni personali ( art. 582 c.p.), sequestro di persona (art. 605 c.p.), arresto illegale (art. 606 c.p.), indebita limitazione di libertà personale (art. 607 c.p.), minacce (art. 612 c.p.), stato di incapacità procurato mediante violenza (art. 613 c.p.).

Si può certamente contestare che a differenza di ciò che il diritto internazionale prescrive, declinando sempre il delitto di tortura come un reato proprio,  i suddetti reati, invece, vengono sempre qualificati come reati comuni[7].

Inoltre si tratta di reati che, il più delle volte, si muovono all’interno di un perimetro che non include l’elemento materiale della violenza psicologica: viceversa, secondo le fonti internazionali, la tortura ricorre in “ogni atto mediante il quale siano inflitti intenzionalmente ad una persone dolore o sofferenze gravi, sia fisiche che mentali[8].

Non bisogna oltremodo dimenticare che ad imporre all’ordinamento italiano di legiferare, dettando una specifica disciplina in materia di tortura, non è solo quindi lo ius cogens del diritto internazionale -tale è considerata la disciplina della tortura- bensì una norma interna di rango costituzionale; ci si riferisce alla riserva di legge contemplata dall’art. 25, 2°comma Cost.: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

Dal 1984 ad oggi sono molti i disegni di legge presentanti ma purtroppo arenatisi prima di giungere all'approvazione.

Nell’attuale legislatura, la XVII, sono molti i testi esaminati in Parlamento. Si pensi alla discussione iniziata al Senato il 22 luglio 2013 che ha dato vita, poi, ad un testo unificato, presentato il 17 settembre alla relativa Commissione Giustizia ed approvato definitivamente in Assemblea il 5 marzo 2014 quasi all’unanimità. Ora, dopo l’approvazione da parte della Camera lo scorso 9 aprile, il testo è in attesa di ricevere il consenso anche da parte del Senato.

Si tratta di un disegno di legge composto da sette articoli con i quali viene introdotto il delitto di tortura ma, contrariamente a quella che era stata la proposta iniziale del promotore, Senatore Luigi Manconi, il delitto viene qualificato come un reato comune, e quindi non proprio.

Viene innanzitutto introdotta nel codice penale una nuova fattispecie incriminatrice, l'art. 613 bis che così dispone: “chiunque, con violenza o minaccia, oppure con violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza, intenzionalmente cagioni a persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche,  a causa dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose o al fine di o ottenere da essa, o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o infliggere una punizione o vincere una resistenza è punito con la reclusione da 4 a 10 anni”.

Viene prevista un’aggravante se il reato viene messo in atto da “pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico con abuso dei suoi poteri o in violazione dei doveri che derivano dalla funzione o dal servizio”; in questo caso la pena varierà da un minimo edittale di 5 ad un massimo di 12 anni di reclusione.
Inoltre la pena verrà ulteriormente incrementata se la tortura provochi lesioni personali alla vittima; se involontariamente se ne cagioni la morte, la pena aumenta fino a 30 anni. Scatta, invece, la pena dell’ergastolo nel caso in cui la morte venga causata volontariamente.

Viene introdotto, pure, ex art. 613 ter[9], il reato proprio di "Istigazione a commettere torturache punisce con la reclusione da 1 a 6 anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che istighi altro pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio a commettere tortura.

E' raddoppiata la prescrizione e viene sancita l’inutilizzabilità delle dichiarazioni ottenute attraverso il delitto di tortura; viene sancito il divieto di espellere o respingere extracomunitari quando si suppone che, nei Paesi di appartenenza, siano sottoposti a tortura ed infine viene esclusa l’immunità diplomatica per agenti diplomatici che siano indagati o siano stati condannati nei loro Paesi d’origine per il delitto di tortura.

In attesa degli ulteriori sviluppi legislativi, chiosiamo con le parole del Beccaria, che nella sua celeberrima opera "Dei delitti e delle Pene" scriveva:

Ma  qual giudizio dovremmo noi dare delle segrete e private carneficine,

che la tirannia dell’uomo esercita su i rei e sugl’innocenti?”[10]

 


[1] Si tratta della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che non è una istituzione dell’Unione Europea e non deve essere confusa con la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha sede in Lussemburgo.

[2] Gruppo che riunisce gli otto Paesi più industrializzati del mondo: Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna, Canada e Russia.

[3] La scuola Diaz-Pertini  era stata messa a disposizione dalle autorità come alloggio per i manifestanti. Nella notte tra il 20 e il 21 Luglio del 2001 la polizia fece irruzione nella scuola ed invece di espletare una semplice perquisizione, mise in atto tutta una serie di atti qualificabili come tortura. Il ricorrente, infatti, invocando la violazione in particolare dell’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo, lamentava di essere stato vittima di violenze e sevizie che potevano essere qualificate appunto come tortura.

[4] Secondo le ricerche di Amnesty International sono stati utilizzati almeno ventisette metodi di tortura tra i quali si ricordano: scariche elettriche, bruciature con sigarette, stupro e minaccia di stupro, umiliazioni, ingerimento di acqua sporca, di urina e sostanze chimiche, aborto forzato o sterilizzazione forzata.

[5][5] Si veda A. Pugiotto, Repressione Penale della Tortura e Costituzione: Anatomia di un reato che non c’è, in Diritto Penale Contemporaneo, 2014.

[6] I. Marchi, Luci ed Ombre del nuovo Disegno di Legge per l’introduzione del delitto di tortura nell’ordinamento Italiano: un’altra occasione persa?, in Diritto penale contemporaneo, 2014.

[7] Per completezza espositiva si ricorda che mentre il reato comune può essere commesso da chiunque, il reato proprio può invece essere commesso soltanto da chi rivesta una determinata qualifica.

[8] A. Pugiotto, cit.

[9]  L’introduzione di questo reato non esclude l’applicazione del reato comune previsto dall’art. 414 c.p. Istigazione a delinquere.

[10] Cesare Beccaria, Dei delitti e delle Pene, 1764.

 

Immagine: compaigns-prod.ukaws.amnesty.org