Pubbl. Sab, 30 Mar 2019
Il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca urbanistica
Modifica paginaIl proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca urbanistica se il giudice ha accertato la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, assicurando alla difesa il diritto alla prova e al contraddittorio. Cass., Sez III, sent. 8 novembre 2018 (dep.7 febbraio 2019), n.5936
Alla luce della pronuncia della Grande Camera della Corte Edu nel caso G.I.E.M. e altri c. Italia e della nuova disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., la III Sez. penale della Corte di Cassazione torna a fare il punto sulla possibilità di disporre la confisca urbanistica in assenza di un formale provvedimento di condanna. A giudizio degli Ermellini, il proscioglimento per intervenuta prescrizione, non osta alla confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che sia accertata la configurabilità del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base del medesimo standard probatorio richiesto per la pronuncia della sentenza di condanna.
Prima di procedere all’analisi della sentenza in commento, occorre segnalare che il suddetto principio è il risultato di una estenuante querelle, tra Corti nazionali e sovranazionali. La complessa evoluzione giurisprudenziale che ha riguardato la confisca, obbligatoria, prevista dall'art. 44, lett. c) d.P.R. 380/01, quale conseguenza della lottizzazione abusiva, trae verosimilmente origine dal contenuto letterale della richiamata disposizione, la quale, non riferendosi espressamente ad una sentenza di condanna, consente la misura ablativa nei casi in cui l'esistenza della lottizzazione sia stata semplicemente accertata.
Un primo filone interpretativo, vedeva la Cassazione configurare la confisca come una sanzione amministrativa, a carattere reale, che il giudice penale avrebbe dovuto obbligatoriamente applicare in surroga all’autorità amministrativa, una volta accertata in giudizio l’obbiettiva sussistenza di una lottizzazione abusiva. La qualificazione della confisca urbanistica nel senso di una sanzione extrapenale, portava con sé una serie di vistose ricadute applicative, prima fra tutte l’applicabilità della misura anche in assenza di un formale provvedimento di condanna.
Di tutt’altro avviso era la Corte europea dei diritti dell’uomo, che nelle celebri sentenze relative al caso Sud Fondi e altri c. Italia[1], ha sovvertito il consolidato orientamento della giurisprudenza nazionale, dapprima riconoscendo natura di sanzione sostanzialmente penale alla confisca urbanistica, per poi richiamare l’applicazione delle garanzie di cui all’art. 7 par. 1 Cedu, fino a pretendere la sussistenza di un legame di natura intellettiva che consentisse di collegare la penale responsabilità del soggetto al fatto di reato di lottizzazione abusiva. In estrema sintesi, i giudici di Strasburgo a partire dalla sentenza Sud fondi hanno riconosciuto alla confisca urbanistica natura punitiva ex art. 7 Cedu, pretendendo un accertamento di colpevolezza ai fini della sua applicazione.
Il dibattito tra Corti, vedeva il suo naturale prosieguo nel caso Varvara c. Italia[2], ove i giudici di Strasburgo apponevano un ulteriore paletto alla possibilità di disporre misure ablatorie in caso di proscioglimento per estinzione del reato. Il giudice europeo – ritenuto che il canone della personalità della responsabilità penale non fosse sufficiente ad arginare la tendenza degli interpreti nazionali a disporre la confisca urbanistica – chiariva che la confisca ivi prevista non potesse applicarsi nel caso di prescrizione del reato urbanistico, anche qualora la responsabilità penale fosse stata incidentalmente accertata in tutti i suoi elementi. L’iter motivazionale seguito dalla Corte, ricalcava le riflessioni svolte nel caso Sud Fondi, aggiungendo una nota innovativa relativa alla violazione del principio della presunzione di innocenza di cui all’art. 6.2 della Convenzione. In particolare, la prescrizione nel diritto interno, estinguendo il reato, impediva l’applicazione della pena, pertanto la Corte sembrava protendere verso la necessità di una formale sentenza di condanna onde potere infliggere la confisca urbanistica.
La giurisprudenza Varvara provocava rilevanti reazioni nelle giurisdizioni nazionali, vennero infatti sollevate due questioni di legittimità costituzionale[3]. La Consulta nel dichiarare inammissibili le questioni, non rinunciava però a prendere posizione, circa il problema della confisca urbanistica disposta in assenza di formale condanna e conseguentemente ad una declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, optando per un giudizio di responsabilità sostanziale, di natura anche incidentale. In altre parole, la misura ablatoria sarebbe stata compatibile con un esito processuale diverso dalla condanna in senso formale, purché il provvedimento definitorio fosse stato caratterizzato da un accertamento incidentale delle condizioni necessarie per applicare una pena, cioè un accertamento della colpevolezza del soggetto.Il ragionamento seguito dalla Consulta, non sembrava tener conto però di un altro aspetto sul quale la Corte EDU appare particolarmente sensibile, ossia della considerazione che in assenza di una condanna in senso “formale” persiste e va garantita la presunzione di innocenza di cui all’art. 6.2, Cedu.
A porre la parola fine alla controversia in tema di confisca urbanistica, è stata la recente sentenza resa nel caso G.I.E.M. e altri c. Italia[4], dove la Grande Camera Edu, cinque anni dopo il caso Varvara, si pronuncia nuovamente sul controverso tema della compatibilità della confisca urbanistica con gli artt. 6.2 e 1 Prot. Add. Cedu. I giudici di Strasburgo – forse sollecitati dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 49 del 2015[5] – si aprono al dialogo con le giurisdizioni interne e ribaltano la precedente giurisprudenza Varvara, dichiarando la compatibilità con l’art. 7 della Convenzione alla c.d. “confisca senza condanna”. Convalidando, la possibilità che la confisca urbanistica sia disposta a seguito di un accertamento che abbia le caratteristiche sostanziali della condanna, senza tuttavia necessariamente presentarne la forma. Nessun dubbio può aversi, a seguito della sentenza G.I.E.M., sull’ammissibilità dell’inflizione della confisca urbanistica anche qualora sia sopraggiunta la prescrizione del reato, purché tutti gli elementi costitutivi del reato di lottizzazione abusiva siano stati sostanzialmente accertati. Ciò che deve essere assicurato è che la dichiarazione di responsabilità penale sia fedele alle garanzie stabilite nell’articolo 7 e in un procedimento in contraddittorio conforme all’art. 6 Cedu. In effetti, nell’ambito di un sistema come quello di Strasburgo, volto a offrire tutela sostanziale ai diritti – al di là di vuote formule astratte e comunque oltrepassando le qualificazioni formali offerte dagli ordinamenti nazionali – era parso inconsueto che la violazione della legalità fosse imputata alla natura del dispositivo pronunciato dal giudice italiano, anziché alla sussistenza, o meno, di un pieno giudizio di responsabilità.
A pochi mesi dalla nota pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo nella causa G.I.E.M. ed altri c. Italia, la Terza Sezione della Cassazione, ha confermato la compatibilità tra la confisca urbanistica e la pronuncia di una sentenza di prescrizione del reato, ritenendola pienamente conforme ai principi convenzionali, dovendosi invece appuntare l’attenzione sul dato sostanziale dell’avvenuto accertamento dell’esistenza del reato e della colpevolezza dell’imputato, attuando tutte le garanzie proprie della natura penale della sanzione irrogata. Si legge nella sentenza: «è dunque possibile disporre la confisca urbanistica anche in caso di sentenza di prescrizione, ma la decisione sulla confisca – proprio perché in ottica convenzionale integra una decisione sanzionatoria di tipo penale – deve necessariamente essere adottata secondo standard probatori e con il rispetto delle garanzie proprie delle pronunce formali di condanna».
Né discende che, in virtù di un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte, in presenza di detta causa estintiva del reato, il giudice del dibattimento non ha l’obbligo di dichiararla immediatamente ex art. 129 cod. proc. pen., ma deve procedere al necessario accertamento del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive, assicurando alla difesa il più ampio diritto alla prova e al contraddittorio, e a tal fine, pur in presenza della sopravvenuta prescrizione, deve proseguire l’istruttoria dibattimentale (Cass., sez. III, 25 Giugno 2018, n. 43630). Il giudizio deve proseguire al solo fine dell’accertamento della legittimità della confisca, e il parametro di giudizio e la conseguente completezza dell’istruttoria non subiscono modifiche rispetto a quanto necessario per giungere a una sentenza di condanna, posto che deve essere accertata la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva al momento dell’esercizio dell’azione penale (Cass., sez. III, 19 Maggio 2016, n. 35313).
Per di più, tali criteri ermeneutici sono stati recepiti dallo stesso legislatore ad opera del d.lgs. n. 21/2018, mediante l’introduzione dell’art 578-bis cod. proc. pen., che estende anche all'ipotesi della confisca la disciplina già valevole per l'azione civile sulla base dell'art. 578 cod. proc. pen. La disposizione presuppone, infatti, che la confisca sia stata ordinata nel giudizio di primo grado, evidentemente quando il reato non è ancora prescritto e stabilisce che, qualora il giudice di appello o la Corte di Cassazione si trovino a dover dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, debbano comunque decidere sull'impugnazione ai soli effetti della confisca.
In via preliminare occorre segnalare che l'art. 578-bis cod. proc. pen. regola solo la fase dell'impugnazione, ma da ciò non può inferirsi il divieto per il giudice di primo grado di disporre la confisca nel caso in cui dichiara prescritto il reato nonostante l'avvenuto accertamento della lottizzazione illecita. Pertanto, la confisca in caso di reato prescritto, può essere ordinata anche dal giudice di primo grado nel caso sia stata accertata la lottizzazione.
Da tale disposizione inoltre emergere – in maniera più chiara rispetto al precedente comma 4-septies dell’art. 12 sexies d.l. 306/’92 – che la confisca deve essere già stata pronunciata dal giudice di cognizione, una significativa precisazione, che esclude la possibilità di applicare la confisca a seguito di prescrizione allorquando non sia stata già pronunciata in primo grado o in appello.
Si deve inoltre evidenziare che la norma prescrive il «previo accertamento della responsabilità dell’imputato» ai fini della confisca, quindi in ogni caso la Corte d’appello e la Corte di Cassazione, dovrebbero confermare il giudizio di responsabilità dell’imputato, accertando la configurabilità del reato in tutti i suoi elementi costitutivi, sulla base del medesimo standard probatorio richiesto per la pronuncia della sentenza di condanna. Nella fattispecie, tale accertamento è stato però omesso dalla Corte d’appello, che nel dichiarare con sentenza predibattimentale, l’estinzione per prescrizione del reato addebitato agli imputati, ha confermato la confisca dei fabbricati abusivi, omettendo qualsiasi esame delle doglianze sollevate dagli imputati e il necessario accertamento della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi di tale reato, richiesto per poter confermare la già disposta confisca.
Nonostante la limpida riaffermazione di un orientamento ormai consolidatosi nella giurisprudenza della Suprema Corte, la Terza Sezione avverte che per quanto riguarda il caso in esame, il quadro interpretativo non poteva considerarsi mutato per effetto della pronuncia resa nel caso G.I.E.M. e altri c. Italia, in quanto la confisca era stata disposta nei confronti di soggetti che hanno partecipato al processo e a seguito dell’accertamento da parte del primo giudice della loro responsabilità. Con tale inciso il giudice di legittimità sembra voler sottolineare – in via incidentale – che se diversamente dal caso di specie, la confisca fosse stata disposta nei confronti di persona estranea al procedimento, il principio di astratta ammissibilità della confisca senza condanna non sarebbe stato ugualmente applicabile. Ponendo l’accento su un profilo già valorizzato nella pronuncia G.I.E.M., relativo all’affermazione dell’incompatibilità con l’art. 7 Cedu, di un provvedimento di confisca disposto nei confronti di una persona, fisica o giuridica, che non abbia partecipato al procedimento in cui sia stato già accertato il reato presupposto ai fini dell’applicazione della misura ablatoria.
[1] Corte EDU, Sud Fondi srl e altri c. Italia, sent. 20 gennaio 2009.
[2] Corte EDU, Varvara c. Italia, sent. 29 ottobre 2013.
[3] Il riferimento è alle due distinte ordinanze, mediante le quali, la Terza Sez. della Corte di Cassazione e il Tribunale di Teramo, sollevavano questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 44 comma 2 D.P.R. 380/01. La prima per contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost. in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117 primo comma Cost., nella parte in cui, in forza dell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi». Il secondo per contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost. quale fonte interposta rispetto all’art. 7 CEDU, nell’interpretazione dello stesso fornita nel caso Varvara, in relazione a quella che il diritto vivente nazionale ha dato alla confisca urbanistica, consentendo di disporla anche in caso di estinzione del reato per prescrizione.
[4] Corte EDU, G.I.E.M. srl e altri c. Italia, sent. 28 giugno 2018.
[5] Con la sentenza n. 49 del 2015, la Corte Costituzionale, ha avuto modo di chiarire che «la questione consiste allora nel decidere se il giudice europeo, quando ragiona espressamente in termini di ‘condanna’, abbia a mente la forma del pronunciamento del giudice, ovvero la sostanza che necessariamente si accompagna a tale pronuncia, laddove essa infligga una sanzione criminale ai sensi dell’art. 7 della CEDU, vale a dire l’accertamento della responsabilità […] nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità. Quest’ultimo, anzi, è doveroso qualora si tratti di disporre una confisca urbanistica».