Pubbl. Ven, 22 Feb 2019
Casse automatiche supermercato: furto aggravato se si scannerizza solo parte della merce
Modifica paginaLa Cassazione, con sentenza n. 52827/2018, ha ritenuto sussistente il tentato furto aggravato dall´uso del mezzo fraudolento in caso di mancata scannerizzazione alle casse automatiche di parte della merce
Sommario: 1. Premessa; 2. Il delitto di furto; 3. Il furto al supermercato; 3.1 Aggravante ex art. 625 n. 2) c.p.: uso del mezzo fraudolento; 3.2 Aggravante ex art. 625 n. 7) c.p.: beni esposti a pubblica fede; 4. Applicazione al caso concreto.
1. Premessa
La sentenza in commento prende le mosse dal caso di un uomo che, avvalendosi del sistema di “self scanning” (cd. “salvatempo”) aveva prelevato dagli scaffali del supermercato numerosi prodotti senza, tuttavia, scannerizzare la merce per un valore pari ad euro 463,16.
Alla luce di quanto sopra, lo stesso veniva tratto in arresto ad opera della Polizia Giudiziaria per il delitto di tentato furto aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p. numeri 2) -uso di un mezzo fraudolento- e 7) –cose esposte alla pubblica fede-. Il Tribunale di Lodi, con ordinanza, non convalidava l’arresto qualificando il fatto come furto semplice tentato, pertanto la Procura proponeva ricorso per Cassazione.
2. Il delitto di furto
Il delitto di furto è previsto e punito dall’art. 624 c.p., secondo cui «chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione (…)».
Si tratta di un reato comune (il soggetto attivo, infatti, viene individuato in “chiunque”) posto a tutela del patrimonio. Tuttavia, in dottrina non vi è univocità di vedute in ordine all’individuazione del bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice. Infatti, secondo un primo orientamento l’interesse tutelato è da ravvisarsi nella relazione di fatto intercorrente tra il soggetto passivo e la res, che può consistere tanto nel possesso quanto nella detenzione; detto indirizzo ermeneutico è ampiamente condiviso dalla giurisprudenza, secondo la quale il bene giuridico protetto dalla fattispecie de qua «è individuabile non solo nella proprietà o nei diritti reali o personali di godimento, ma anche nel possesso –inteso come relazione di fatto che non richiede la diretta fisica disponibilità- che si configura anche in assenza di un titolo giuridico e persino quando esso si costituisce in modo clandestino o illecito»[1]. Invece, una seconda –e minoritaria- corrente dottrinaria lo identifica nella relazione di diritto con conseguente restringimento del campo alla titolarità di un diritto reale (vi è da specificare che alcuni circoscrivono ulteriormente il perimetro del bene giuridico tutelato facendo riferimento ai soli diritti reali di godimento o, addirittura, alla sola proprietà)[2].
La condotta consiste nell’impossessamento di una cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. Con il termine detenzione si fa riferimento alla disponibilità materiale del bene, ciò significa che il soggetto passivo deve godere di un autonomo potere materiale sulla cosa oggetto di sottrazione. Con riferimento al significato da attribuire a quest’ultima, invece, si sono registrate molteplici interpretazioni. In particolare, il nodo ermeneutico concerne la questione dei rapporti intercorrenti tra la sottrazione e l’impossessamento (da parte del soggetto attivo del reato). Il problema non è di poco conto, infatti, a seconda dell’orientamento seguito cambia il momento di consumazione del reato. Secondo un primo filone interpretativo vi è una perfetta coincidenza tra la due nozioni, di conseguenza la consumazione del reato si verifica nell’istante in cui il soggetto attivo sottrae la res al proprietario, realizzandosi contemporaneamente anche il requisito dell'impossessamento, che deve essere inteso come mera disponibilità materiale del bene, indipendentemente dalla sua durata e dalla vigilanza che su tale cosa conservi eventualmente la persona offesa.
Invece, secondo l’orientamento prevalente in dottrina e seguito anche dalla più recente giurisprudenza, i due elementi sono tra loro differenti rappresentando due momenti logicamente distinti. In particolare, la sottrazione attiene alla condotta del soggetto attivo e viene a verificarsi nel momento in cui la cosa mobile è tolta al controllo e alla disponibilità del detentore con conseguente perdita, da parte di questi, del potere di fatto. Invece, l'impossessamento rappresenta un momento successivo che si realizza con l'acquisizione, da parte del soggetto attivo, della piena e autonoma disponibilità materiale della cosa sottratta. Ne consegue che per aversi consumazione del delitto di furto è necessario che l’agente acquisisca la disponibilità materiale della cosa al di fuori della sfera di vigilanza della persona offesa, altrimenti, se vi è solo sottrazione senza impossessamento (perché il bene rimane all’interno della sfera di vigilanza del detentore originario), il delitto rimane allo stadio del tentativo. Queste differenti linee interpretative hanno creato un acceso dibattito proprio nel caso del furto commesso all’interno di un supermercato (vedi infra punto 3).
Per aversi integrazione del fatto tipico è altresì necessario il dolo specifico, ciò significa che il soggetto deve agire con lo specifico intento di trarre un profitto dalla sottrazione.
Infine, l’elemento soggettivo è rappresentato dal dolo generico, questo significa che il soggetto attivo deve rappresentarsi e volere la sottrazione e l’impossessamento della cosa altrui al fine di trarne un profitto.
3. Il furto al supermercato
Come già accennato sopra, la determinazione del rapporto intercorrente tra la sottrazione e l’impossessamento ha avuto particolare rilievo con riguardo al caso della sottrazione di merci esposte sugli scaffali di un supermercato ove vi sia il sistema di self-service, ossia quando le merci possono essere autonomamente prelevate dagli utenti. In particolare, la discussione si è incentrata sulla natura tentata o consumata del furto nel caso in cui il reo non abbia ancora superato le casse. Su questo punto, in giurisprudenza si erano formati due distinti indirizzi interpretativi. Secondo un più risalente filone ermeneutico la consumazione si ha fin dal momento in cui il soggetto occulta la merce prelevata dagli scaffali all’interno della borsa o nelle tasche, infatti in tale momento si verrebbero a realizzare sia la sottrazione che l’impossessamento[3]. Invece, secondo un più recente orientamento, la mera sottrazione della merce dagli scaffali è da qualificarsi in termini di tentativo, infatti, finché l’avente diritto (o altra persona da lui incaricata) sorveglia le varie fasi dell’azione furtiva, la condotta delittuosa può essere interrotta in ogni momento, di conseguenza il bene non può ritenersi ancora uscito dalla sfera di vigilanza e controllo dell’offeso[4]. A risolvere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite che hanno condiviso l’ultimo degli orientamenti esposti sostenendo che «il monitoraggio dell’azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo in continenti, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo»[5].
3.1 Aggravante ex art. 625 n. 2) c.p.: uso del mezzo fraudolento
L’art. 625 c.p. prevede alcune circostanze aggravanti speciali (cosiddette perché previste specificamente per il delitto di furto) ad effetto speciale (i limiti edittali di pena sono rideterminati autonomamente rispetto a quelli disposti per il furto semplice).
Tra le suddette circostanze vi è quella dell’uso del mezzo fraudolento che trova la sua ratio sia nella minorata difesa –perché i beni vengono aggrediti con modalità particolarmente insidiose- che nella maggiore intensità dell’elemento soggettivo del reo.
La Cassazione ha sottolineato che per aversi la sussistenza della circostanza de qua è necessario che il soggetto agente si avvalga di un «mezzo insidioso idoneo a far attenuare l’attenzione del possessore del bene (…) o che consenta di eludere più agevolmente le cautele poste dal detentore a difesa della cosa»[6], mentre ha escluso la sua configurabilità laddove il colpevole si limiti a nascondere la refurtiva[7], infatti in tale ultimo caso si tratta di un normale accorgimento che non vulnera in modo apprezzabile le difese apprestate a tutela del bene.
3.2 Aggravante ex art. 625 n. 7) c.p.: beni esposti a pubblica fede
La ratio della circostanza de qua è da ravvisarsi nella maggiore tutela predisposta in favore delle cose prive della custodia da parte del proprietario, con la conseguenza che la proprietà (o il possesso) ha come presidio esclusivamente il senso del rispetto da parte dei terzi. In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità per pubblica fede deve intendersi «il senso di affidamento verso la proprietà altrui sul quale fa affidamento chi deve lasciare una cosa, anche solo temporaneamente, incustodita»[8].
4. Applicazione al caso concreto
Alla luce di quanto sopra, la Cassazione, con la sentenza in commento, ha ritenuto sussistente il delitto di furto tentato aggravato dall’uso del mezzo fraudolento e dall’esposizione di beni a pubblica fede nel caso in cui il soggetto agente prelevi la merce dagli scaffali del supermercato senza procedere alla scansione con il cd. “sistema salvatempo”.
In particolare, è da ritenersi integrata l’aggravante di cui all’art. 625 n. 2) in quanto lo stratagemma consistente nel non passare la merce prelevata al lettore ottico è idoneo a «soverchiare l’altrui vigilanza e gli accorgimenti precipuamente adoperati dalla persona offesa per garantire che la cosa custodita non esca dalla propria sfera di dominio». Inoltre, essendo la merce esposta sugli scaffali a disposizione dei clienti, deve ritenersi altresì sussistente l’aggravante di cui al nr. 7), non essendo idonea ad escluderla la mera presenza di un sistema di videosorveglianza.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Cass. pen., Sezioni Unite, 18 luglio 2013-30 settembre 2013, sent. n. 40354.
[2] Per approfondimenti si rinvia a R. GAROFOLI, Compendio superiore di diritto penale, parte speciale, Nel Diritto Editore, IV ed., p 559.
[3] Ex pluribus, Cass. pen., sez. V, 30 marzo 2012, sent. n. 30283.
[4] Ex multis, Cass. pen., sez. II, 5 febbraio 2013, sent. n. 8445.
[5] Cass. pen., Sezioni Unite, 17 luglio 2014-16 dicembre 2014, sent. n. 52117.
[6] Cass. pen., sez. IV, 19 gennaio 2006 – 23 marzo 2006, sent. n. 10134.
[7] Salvo che l’occultamento non avvenga tramite la predisposizione di particolari accorgimenti quali, ad esempio, il doppio fondo di una borsa.
[8] Cass. pen., sez. IV, 7 novembre 2007 – 1 febbraio 2008, sent. n. 5113.