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Pubbl. Ven, 15 Feb 2019

Il diritto di recesso nella legislazione speciale a tutela del consumatore

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Fabiana Lepore


La disciplina del diritto di recesso nel codice del Consumo e la sua possibile allocazione nella disciplina civilistica.


Sommario: 1. Fondamenti e nozione del diritto di recesso nel codice civile 2. L’origine del recesso consumeristico: il problema dell’asimmetria contrattuale – 2. I rapporti tra lo ius poenitendi e il recesso consumeristico: le radici di una nuova figura giuridica

1. Fondamenti e nozione del diritto di recesso nel codice civile

L’art. 1372 c.c. sancisce il principio di vincolatività del contratto nel momento in cui afferma che “il contratto ha forza di legge tra le parti” e non può essere sciolto che per mutuo consenso e negli altri casi previsti dalla legge.

La disposizione immediatamente successiva a quella testé richiamata, rubricata “Recesso unilaterale” introduce, appunto, una di quelle ipotesi in cui la legge ammette lo scioglimento volontario del contratto.

Ilprincipio esposto afferma l'immanente e perenne soggezione della volontà individuale al comando della legge[i], che rende ilrecessomateria di un diritto potestativo, riconosciuto o direttamente dalla leggeo da una clausola inserita nel contratto, risultato di un accordo tra le parti che attribuisce ad una o entrambe le parti, il potere di compierlo [ii].

Il recesso è dunque una forma di scioglimento volontario, per l’appunto unilaterale, del regolamento contrattuale, quale diritto riconosciuto dalla legge o dalla stessa volontà dei privati, esercitabile attraverso una dichiarazione unilaterale recettizia[iii].

La facoltà di recedere è, senza dubbio alcuno, riconosciuta ad entrambi i contraenti, i quali saranno legittimati a porre fine al vincolo negoziale mediante una dichiarazione unilaterale comunicata alla controparte[iv].

Nel codice del 1865, non era prevista una figura generale di recesso: il legislatore aveva previsto poche ipotesi tipiche, che concettualmente, si potevano considerare assimilabili al recesso, relative ad alcuni tipi contrattuali: la risoluzione di inadempimento,ex art 1165 c.c, la risoluzione della locatio operis nell’appalto, exart. 1641 c.c., la “revocazione" del mandato, exart. 1757 c.c. e la rinunzia del mandatario, exart.1762 c.c.[v].

Nel codice del 1942, il legislatore ha, invece, delineato una figura generale di recesso, che enuncia un principio non esattamente univoco, che ha spinto dottrina e giurisprudenza ad analizzarne i non pochi rilievi critici [vi].

Il recesso trova, oggi, la sua fonte nella legge, configurandosi in tal caso come recesso legale, ovvero mediante inserimento nel contratto di una clausola che riconoscendo, ad una o ad entrambe le parti la facoltà di recedere, legittima l’ipotesi di un recesso convenzionale.

Nonostante, in tale ultima ipotesi, si faccia riferimento ad un atto di natura pattizia, è nella legge, e più propriamente nell’art. 1373 c.c., che il recesso convenzionale trova la sua fonte.

Il recesso legale figurerebbe, secondo alcuni, come chiara incompatibilità o quantomeno forma di indebolimento del principio di vincolatività, di cui all’art.1372 c.c.; diversa sembrerebbe l’ipotesi del recesso volontaristico, che non contraddirebbe il principio medesimo, poiché consensualmente statuito dalle parti.

In senso opposto si muove la tesi secondo la quale il generale principio di vincolatività non postula affatto l’inesistenza di cause di scioglimento del contratto che siano indipendenti dall’accordo, escludendo piuttosto la facoltà delle parti di sciogliere o modificare autonomamenteil contratto, riconoscendo, tuttavia, al legislatore la possibilità di prevedere una causa di scioglimento o modificazione dello stesso [vii].

Le ragioni che inducono le parti a servirsi della facoltà di recedere possono essere molteplici: anzitutto il recesso si identifica quale istituto posto a tutele delle parti stesse, cui è riconosciuta la facoltà di sciogliere il vincolo laddove dovesse venir meno l’interesse che ha determinato la nascita del negozio stesso; ovvero nelle ipotesi in cui dovessero sopraggiungere elementi di fatto o di diritto, che precluderebbero il godimento dell’interesse giustificativo del contratto; od anche in presenza di un comportamento illecito o contrario ai principi di buona fede e lealtà da parte di uno dei contraenti.

2. L’origine del recesso consumeristico: il problema dell’asimmetria contrattuale

Il recesso, nella contrattualistica generale nasce, coma anzidetto, come un diritto riconosciuto, ad entrambi i contraenti; tuttavia, la realtà economica ed lo sviluppo tecnologico, hanno fortemente influenzato la dinamica contrattuale, la quale si è dovuta adeguare a naturali squilibri che si determinano all’interno del mercato obbligando, il legislatore a proteggere il contraente più debole da politiche commerciali scorrette, stimolando, al contempo, la circolazione dei beni in maniera garantita e sicura all’interno del mercato, dettando, così, una disciplina ad hoc, atta a tutelare colui che, inevitabilmente, si troverà in una situazione di squilibrio economico.

È ormai pacifica l’adozione di tale accezione per indicare la sproporzione tra diritti e obblighi delle parti derivanti dal contratto, dipendenti dalla posizione di debolezza assunta da una delle parti, il consumatore, che non è soltanto colui che agisce per un fine personale, dunque privo delle necessarie competenze tecniche e giuridiche per contrarre su di un piano di parità, ma anche il soggetto che, pur operando nel mercato, subisce le condizioni da altri predisposte[viii]. Dunque, esisterà tale squilibrio ogni qualvolta non vi sarà una posizione di parità tra le parti e l’impossibilità di una di esse, sia esso consumatore, piccolo imprenditore, professionista intellettuale, ecc., di negoziare pariteticamente, imponendo le proprie condizioni contrattuali[ix]

Il legislatore ha ritenuto, dunque, necessario tutelare la posizione del “contraente debole”: fino al 1992 i principali strumenti di tutela del consumatore erano offerti dalle norme generali del codice civile sul contratto, con riferimento alla disciplina dell’art. 1341 c.c. in materia di clausole vessatorie; successivamente due decreti hanno aperto la strada alla tutela del contraente debole in riferimento a due particolari tipologie contrattuali, rispettivamente il d.lgs. n 50 del 1992 che ha disciplinato i c.d. contratti negoziati fuori dei locali commerciali e il d.lgs. n 185 , di recepimento di una Direttiva europea, che ha rafforzato ulteriormente la tutela del consumatore in relazione ai c.d. contratti a distanza.

Il 23 ottobre 2005 entra in vigore il Codice del consumo: si tratta del Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 recante il riassetto della normativa posta a tutela del consumatore, frutto del lavoro di una Commissione istituita presso il Ministero dello Sviluppo economico, in forza della delega contenuta nell’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229.

Scopo del codice era innanzitutto quello di creare un assetto organico della disciplina del consumo, attraverso il riordino delle variegate norme poste a tutela del contraente debole a livello nazionale e transazionale, in ottemperanza ai principi di armonizzazione e coordinamento, cui è ispirato il progetto comunitario.

Inoltre, il legislatore mirava, anche, ad individuare una disciplina garantista del consumatore che fosse uguale in ogni stato comunitario, in linea con il progetto del mercato unico europeo e che quindi fosse in grado di applicare le medesime tutele alle medesime situazioni di fatto edi diritto che all’interno del mercato stesso venivano ad esistenza.

Attraverso il Codice del consumo, il legislatore ha voluto procedere certamente ad un riordino della variegata disciplina presente a livello nazionale e transnazionale avente ad oggetto la contrattazione consumeristica, ma ha anche e soprattutto voluto individuare una disciplina unitaria volta alla tutela del consumatore, quale contraente debole, che subisce le condizioni unilateralmente predisposte da un soggetto che, per la posizione che occupa all’interno del mercato e per l’attività d’impresa, commerciale o professionale svolta, si trova in una posizione di inevitabile “supremazia economica”, di cui, quasi certamente, abuserà.

Da ciò nasce l’esigenza di tutela del consumatore/utente che trova la sua più compiuta espressione a seguito della direttiva 2011/83/UE, che ha riformato e puntualizzato la disciplina dei contratti a distanza e dei contratti fuori dai locali commerciali, soprattutto relativamente alla facoltà del consumatore di “cambiare idea” rispetto ad un contratto già concluso. Il conferimento di un potere di recesso è frutto di una dichiarata e specifica logica volta alla protezione che l’ordinamento intende attribuire al contraente più debole, che trova la sua ragion d’essere sull’asimmetria del potere contrattuale che connota la contrattazione tra professionisti e consumatori, volto, dunque, a ristabilire l’equilibrio tra le parti, mirando alla realizzazione del c.d. contratto giusto[x].

Questa è la ragione per cui gli ordinamenti moderni si preoccupano di avere norme capaci di garantire che la circolazione giuridica si sviluppi con “il massimo dinamismo ma con il minimo impaccio”. Un tale obiettivo richiede di garantire, anzitutto, la sicurezza degli acquisti, in virtù di una logica elementare per cui chi acquista un diritto deve poter essere ragionevolmente sicuro che l'acquisto sia efficace, che non sarà insidiato da pretese altrui, capaci di togliere all'acquirente il diritto acquistato. Se venisse a mancare tale sicurezza, le parti sarebbero scoraggiate dall’acquistare o quantomeno acquisterebbero solo dopo lunghe ponderazioni e controlli minuziosi, il che andrebbe ad inficiare negativamente sull'economia del Paese. Dunque, obiettivo del legislatore comunitario è quello di trovare il giusto equilibrio tra due valori apparentemente antitetici: sicurezza e dinamismo[xi].

A tal proposito rileva quello che è il principio di tutela dell'affidamento atto a garantire la sicurezza degli acquisti attraverso la protezione dell'affidamento di chi acquista; si tratta di un principio che ha ispirato molteplici norme, tra cui le previsioni di tutela disposte a favore del consumatore o utente. 

Il recesso inteso quale possibilità riconosciuta ad una delle parti della transazione commerciale di sciogliere unilateralmente il contratto, estinguendo tutti gli impegni assunti con esso, senza il consenso dell’altra parte, rappresenta, nel codice del consumo, uno degli strumenti di protezione più significativi a disposizione del consumatore; la possibilità di sciogliersi dal vincolo contrattuale, nel termine di quattordici giorni[xii], è attribuita dalla legge quale rimedio atto a bilanciare un'azione di vendita ritenuta, dal legislatore medesimo, commercialmente aggressiva[xiii], giustificata dalla predetta disparità di negoziazione tra le parti.

L’operatore commerciale odierno si avvale, difatti, di strumenti promozionali ad elevata efficacia persuasiva, il c.d. Direct marketing, capaci di suscitare bisogni nel consumatore laddove questi non esistevano: l’imprenditore analizza il targetdi mercato al quale intende rivolgersi, individua l’azione pubblicitaria più adeguata, predispone di conseguenza i sistemi di realizzazione e distribuzione dei propri prodotti.

Si tratta un sistema di marketing interattivo che utilizza uno o più mezzi pubblicitari, quali strumenti di comunicazione a distanza, stante la non simultanea presenza fisica[xiv]delle parti, per concludere agevolmente una transazione in qualunque luogo.

 Una particolare strategia di direct marketingutilizzata ormai da tempo, specie nella distribuzione al consumo, è la vendita in luoghi diversi dall’esercizio commerciale del venditore. In concreto essa avviene con modalità diverse: un primo caso è quello della vendita a domicilio, nel quale l’operatore professionale si reca a casa del potenziale cliente, o in altro luogo ove questi si trovi per ragioni di lavoro, di divertimento o ricreazione, e ivi illustra e propone l’acquisto del prodotto trattato, a volte precisando come si tratti di una proposta a condizioni speciali, fruibili solo concludendo immediatamente l’affare. 

Una seconda strategia di vendita in un luogo diverso dall’esercizio commerciale dell’imprenditore fa leva sulla televisione o, in alternativa, su un programma radiofonico; può avvenire altresì mediante telefono, nonché per corrispondenza[xv].

Sempre più utilizzata a fini commerciali è certamente la rete internet. L’e-commerceassume modalità di attuazione concrete diversificate. L’imprenditore crea un sito in cui illustra la propria attività commerciale, può limitarsi a realizzare una presentazione della propria impresa oppure predisporre un vero e proprio negozio virtuale consentendo a chi entra nel sito, non solo di reperire informazioni, ma anche di effettuare ordini di acquisto di beni che poi verranno inviati al domicilio del cliente o in altro luogo. 

È indubbio che le tecniche testè richiamate hanno il vantaggio di abbattere notevolmente i costi per il produttore, e dunque di favorire una più rapida ed economica transazione, nonché di ridurre la barriera spazio-temporale che si frappone tra il produttore stesso ed il consumatore, il quale sarà affascinato e allettato dall’idea di acquistare e ricevere un prodotto o un servizio direttamente al proprio domicilio o nel luogo in cui preferisce.

Tuttavia, prendendo le mosse dai principi civilistici di ordine generale, ciò che si richiede ai fini della corretta conclusione di un contratto è che le parti abbiamo concretamente valutato le condizioni contrattuali e liberamente manifestato la volontà di stipulare il contratto. Entrambe le condizioni in oggetto, in queste circostanze particolari, presentano dei vulnusa carico della parte debole, la quale, ignara di tutto, crede di trovarsi in una situazione di parità con l’operatore professionale se non addirittura di superiorità[xvi], ma in realtà è il produttore medesimo ad aver influenzato, seppure non violentemente, la volontà del consumatore, facendo leva sulla appetibilità di un prodotto e di un servizio che a ben vedere, il consumatore, probabilmente, non avrebbe mai, sua sponte, acquistato.

Analizzando l’acquisto dal punto di vista del consumatore, infatti, la vendita a distanza o fuori dai locali commerciali può dar luogo ad acquisti dettati da impulsi meramente emotivi e quindi non sufficientemente ponderati: in altri termini, acquisti d’impulso determinati dall’effetto sorpresa di cui è probabile che il compratore, ripensandoci a mente fredda, si penta, realizzando di non aver affatto bisogno di quanto acquistato.

In buona sostanza, all’acquirente, che non ha programmato l’acquisto, improvvisamente viene offerto un bene a condizioni vantaggiose, le quali rischierebbero di venir meno laddove egli non dovesse concludere il contratto nella immediatezza, alle specifiche modalità che gli vengono indicate e delle quali egli può avvalersi dal luogo in cui si trova al momento del contatto. E’agevole comprendere che il rischio è che il soggetto perfezioni l’acquisto spinto non dalla convinzione di aver effettivamente bisogno di quel bene, ma dal desiderio di non lasciarsi sfuggire quella che così come proposta dal produttore, in quel momento, appare come un’occasione imperdibile. 

La ratio di tutela del legislatore si fonda su un ragionamento ad contrarium: se l’ordine immediato dal proprio domicilio non fosse possibile, se il cliente, dopo essere stato raggiunto dal messaggio pubblicitario, dovesse recarsi presso la sede dell’operatore commerciale, avendo il tempo e la possibilità di verificare, anzitutto, la conformità del bene rispetto a quando proposto, nonché la sua effettiva volontà di acquistarlo, concluderebbe ugualmente il contratto?[xvii].

Il diritto di recesso, già disciplinato dall’art.5 del d.lgs. n. 185/1999, è confluito nel testo del Codice del consumo il quale, negli art. 52 e seguenti, ne indica termini e modalità: ciò per la lungimirante scelta del legislatore di condurre un processo di coordinamento ed armonizzazione nella disciplina della tutela in oggetto, approdata poi nel testo della direttiva 2011/83/UE[xviii].

Tra gli aspetti più rilevanti della direttiva de quo, al fine di porre un rimedio alla inconsapevole ignoranza in cui versa il consumatore nel momento in cui è raggiunto dalla proposta commerciale, vi sono quelli attinenti ad una “chiara e corretta informazione precontrattuale” cui è obbligato il professionista, in occasione di stipula di contratti a distanza e contratti negoziati fuori dai locali commerciali, imponendo per le suddette ipotesi anche le forme nel rispetto della quale le informazioni devono essere fornite (art.50-51) e disciplinando nel dettaglio il diritto di recesso (art.52-59).

La legge attribuisce alla corretta informazione un rilievo centrale in funzione della salvaguardia della completa autodeterminazione del consumatore, al fine di garantirgli il massimo della trasparenza negoziale[xix].

La stipula dei contratti de quoè un’attività composita, che consta di più fasi, la cui disciplina è diretta unicamente a fornire un’adeguata protezione al consumatore dal momento della stipula a quello di esecuzione, fermo restando il diritto di “pentirsi”.

Nell’ottica del legislatore europeo, il periodo di tempo che intercorre tra il momento della stipula del contratto e il termine dell’esercizio del diritto di recesso occorre al consumatore perché possa valutare, una volta superato il momento di entusiasmo iniziale generato dal compimento dell’operazione economica, l’effettiva convenienza dell’affare[xx].

È opportuno rammentare che il diritto di recesso consumeristico è esercitabile, oltre che durante l’esecuzione o la conclusione di contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali, (art.52 cod.cons.), anche rispetto a contratti di multiproprietà (art. 73 cod.cons.), ai contratti di credito al consumo (art.125-ter T.U.B.) ed infine rispetto alla commercializzazione a distanza dei servizi finanziari (art-67-duodecies cod.cons.).

Si tratta, a ben vedere, di contratti in cui la rilevanza economica dell’operazione che il consumatore pone in essere a distanza si connota di una certa complessità e delicatezza, senza considerare l’estremo tecnicismo di cui si compone e la difficoltà del consumatore di decidere, in maniera chiara e consapevole, nel breve termine e con la pressione psicologica dell’operatore commerciale, ciò che è meglio per se stesso e il suo patrimonio. Pertanto, il legislatore commina un termine durante il quale il consumatore, nonostante abbia già stipulato il contratto, possa rendersi conto, innanzitutto, di aver compiuto una transazione, di analizzarne i proe icontroe valutare in maniera calma e accorta se confermare o recedere dalla stipula, tenendo eventualmente conto anche delle altre proposte commerciali e dei prezzi delle stesse.

Secondo taluni[xxi], difatti, con il recesso non si vuole proteggere il consumatore sotto il profilo del contenuto del contratto, bensì in relazione alle modalità di formazione dello stesso: si vorrebbe, in sostanza, porre rimedio a casi nei quali il consenso del consumatore è dipeso esclusivamente o prevalentemente, dalle peculiari tecniche di “adescamento” adottate dal professionista.

In sostanza si afferma che il consumatore, se ne avesse avuto la possibilità, non avrebbe stipulato il contratto in oggetto.

Nonostante le singole esigenze poste a tutela del contraente nell’uno e nell’altro tipo contrattuale, il diritto di “uscire dal contratto” [xxii]opera anche quando i soggetti hanno compreso a pieno tutto il regolamento e sono perfettamente a conoscenza del tipo di merce e delle condizioni contrattuali sottoscritte, ma si arrogano la facoltà di “cambiare idea” circa l’opportunità di stipula del contratto stesso[xxiii].

Il legislatore, difatti, accorda al consumatore il diritto di recedere senza alcuna motivazione e senza dover sostenere costi diversi da quelli oggetto dell’informativa di cui all’art. 56 comma 2 e 57, allorché siano stati tempestivamente soddisfatti tutti gli obblighi informativi facenti capo al professionista. Al riguardo si parla di “formalismo di protezione”, poiché la forma degli obblighi di informazione e il rispetto della medesima, è collegata in maniera funzionale al diritto di recesso: solo il puntuale rispetto degli obblighi di informazione consente di rendere edotto il consumatore dei propri diritti, compreso quello di liberarsi dal vincolo contrattuale.

Quanto detto aiuta a delineare una ulteriore differenza rispetto alla disciplina del recesso civilistico:

se nel recesso di pentimento il legislatore richiede, ai fini di garantire un bilanciamento tra gli interessi delle parti e le esigenze del mercato, la corresponsione di un risarcimento dei danni o di un indennizzo[xxiv]ovvero di una caparra o di una multa penitenziale, un congruo preavviso[xxv]o una giusta causa, il recesso consumeristico, ad contrarium, si connota per la sua gratuità, per l’assenza di un obbligo di preavviso o motivazione e per la sua natura potestativa[xxvi].

La previsione di un eventuale indennizzo, difatti, rischierebbe di assumere le vesti di un deterrente, tutt’altro che trascurabile per il consumatore che intenda avvalersi del diritto di recesso, specie nei casi di acquisti di scarsa entità economica del bene oggetto della stipula.

Il recesso in questione è semplice attuazione di un principio generale dell’ordinamento, ispirato dalla finalità di contemperare i diritti e gli obblighi scaturenti da taluni contratti, che per loro natura determinano uno squilibrio contrattuale a carico del consumatore; il recesso così inteso rappresenta anche una vera e propria valvola di sicurezza, un salvagente per il consumatore che sia stato allettato dall’offerta di beni e servizi, esprimendo la volontà di acquistarli nonostante modalità ritenute rischiose. 

Ciò rappresenta un’ulteriore conferma che la giustificazione causale dell’attribuzione del diritto di ripensamento risiede nel timore che il consumatore possa subire aggravi ulteriori rispetto a quelli già dipendenti dalla stipula in sé.

Sembrerebbe quasi che la significativa “forza di legge”, che si instaura a seguito della conclusione di un contratto ai sensi e per gli effetti dell’art. 1372 c.c., nel recesso consumeristico si assottiglierebbe, fino quasi a scomparire a favore del solo consumatore, aderendo alle logiche protezionistiche del legislatore comunitario.

Tuttavia si tratta di un recesso legale e straordinario, posto a tutela di una sola delle parti in causa, relativamente ad un rapporto sorto in determinate circostanze o, prescindendo dalle modalità di conclusione, relativo ad un determinato bene di consumo; si discorre, a ben vedere, di un contesto soggettivamente e oggettivamente qualificato, il che esclude, a priori, la possibilità di elevare lo strumento di tutela in oggetto a rimedio di carattere generale, con la conseguenza che non sembra poter concorrere alla costruzione di quel paradigma unitario e trasversale oggi identificato dal c.d. contratto asimmetrico[xxvii].

La legge sembra ricorrere a questo strumento per ragioni che, in dottrina, sono state variamente individuate: consentire una rivalutazione di convenienza dell’affare[xxviii], proteggersi da tecniche di formazione del contratto particolarmente aggressive[xxix], garantire che il consenso del consumatore sia effettivo e ponderato, liberarsi da regolamenti contrattuali inidonei[xxx]e, finanche, favorire un rapido ritorno sul mercato del consumatore insoddisfatto di un affare concluso troppo in fretta[xxxi].

3. I rapporti tra lo ius poenitendie il recesso consumeristico: le radici di una nuova figura giuridica

La stipula del contratto da parte del consumatore non è, sotto alcun punto di vista, paragonabile anche solo in minima parte alla stipula di un contratto di portata generale. Il punto di divergenza principale attiene, come prima sottolineato, al momento di formazione della volontà della conclusione del contratto che non nasce autonomamente in capo al consumatore, ma è, per così dire, indotta dal professionista che propone, quasi in maniera “molesta”, l’acquisto del bene o la sottoscrizione del servizio. Il consumatore, messo alle strette, conclude il contratto pur non avendo avuto la possibilità di valutare il bene oggetto del contratto, di valutare la convenienza del rapporto negoziale nascente rispetto alle altre offerte commerciali, non ha avuto, altresì, la possibilità di negoziare termini e condizioni, che sono state oggetto di una mera predisposizione unilaterale e che quindi, potenzialmente, ed anche praticamente, non rispecchiano a pieno il gradimento del contraente[xxxii].

Eppure, la questione, fortemente dibattuta in dottrina, ruota intorno all’allocazione e alla natura giuridica del recesso consumeristico: è un vero recesso o, come pure si osserva frequentemente, qualcosa di diverso (e, dunque, da identificare con altra terminologia) dal recesso previsto dal codice civile? 

Volendo prescindere da dispute meramente nominalistiche[xxxiii], è vero recesso, non solo e non tanto perché così lo qualifica espressamente il legislatore, quanto perché del recesso esso ripete la caratteristica ontologica e strumentale fondamentale[xxxiv]: che l’avente diritto può uscire dal rapporto contrattuale semplicemente manifestando la propria volontà di avvalersi del rimedio che gli è concesso dalla legge[xxxv], secondo quel meccanismo proprio dei diritti potestativi[xxxvi], categoria alla quale questa forma di recesso, indiscutibilmente, appartiene. 

Del resto, il recesso di diritto comune non sarebbe null’altro che un poliedro caratterizzato da diverse facce con un vertice comune, un tratto identico che ne consente una duttilità tale da far si che lo stesso possa adeguarsi alle più disparate situazioni: in un quadro così frastagliato, il recesso del consumatore può trovare una sua collocazione accanto, ma non all’interno delle altre tipologie di recesso, non casualmente sempre identificate da un aggettivo[xxxvii]che ne sintetizza funzioni e relative caratteristiche.

Se si guarda alla tradizionale classificazione civilistica, si può agevolmente comprendere il perché dell’erronea allocazione, condivisa dai più, del recesso de quonell’ambito della funzione di ius poenitendi, che a parer di chi scrive può, semmai, apparire vicino, ma certamente non sovrapponibile al recesso consumeristico.

Con lo ius poenitendi[xxxviii], infatti, il legislatore nazionale intende tutelare l’ipotesi in cui, durante l’esecuzione di alcuni tipi di contratti, le parti cambino idea e scelgano, unilateralmente, di liberarsi da un vincolo che potrebbe non avere una scadenza definita o avere una scadenza a lungo termine, che quindi farebbe si che il contratto continui a produrre i suoi effetti per un ampio periodo temporale, pur venendo meno in capo ad una delle parti, la volontà che sia cosi. 

Dunque, un recesso atto a dare una rilevanza giuridica al momento di divergenza, di frattura tra la volontà iniziale, che era quella di stipulare il contratto, e il momento successivo, rappresentato dal venir meno di tale volontà, dovuta al sopravvenuto mancato interesse dei contraenti a che il contratto continui a produrre i suoi effetti.A suffragio di questa tesi va valutata anche la rilevanza, quale elemento essenziale del contratto, della volontà dei contraenti, che non solo deve esistere al momento della stipula del contratto, e deve nascere scevra da ogni possibile influenza, ma deve anche persistere per tutta la durata del contratto medesimo.

Ritroviamo la stessa volontà, libera e scevra da ogni condizionamento, nei contratti stipulati dal consumatore?

Diversa analisi dello ius poenitendi viene a proporsi per i contratti di locatio operis: il recesso, in tali ipotesi, consiste in una sostanziale modifica del rapporto giuridico, motivata da un’esigenza di economia delle risorse, in forza della quale la parte può sciogliere il vincolo qualora la stessa non sia più interessata al compimento all’opera o alla prestazione dei servizi oggetto del contratto[xxxix]. La giurisprudenza chiarisce che il recesso del contratto d’appalto ex.art. 1671 c.c. può essere determinato anche dalla sfiducia che il committente nutre verso l’appaltatore per fatti di inadempimento o altri che in qualche modo hanno condizionato il rapporto, e pertanto la sua indagine prescinde dall’importanza e dalla gravità dell’inadempimento[xl]. A parere di taluni[xli], in detti casi, la possibilità di sciogliere unilateralmente il contratto deriva dalla natura della fattispecie negoziale: si tratta, infatti, di contratti c.d. intuitus personae[xlii], quali accordi in cui la persona del contraente rileva sotto il profilo delle qualità personali. Con riguardo, in particolare, all’art. 1671 c.c., il Tribunale di Roma ha riconosciuto espressamente che “la caratteristica soggettiva del contraente appaltatore consente al committente di esercitare il diritto di recesso in qualsiasi momento posteriore alla conclusione del contratto, alla stregua dell’intervenuta sfiducia nei confronti dell’appaltatore”[xliii].

Dunque si da rilevanza alla c.d. “prospettiva dell’interesse” del committente, così intesa, quale fondamento e giustificazione della posizione di supremazia che esso, quantomeno apparentemente, assume rispetto all’appaltatore[xliv].

La regola dell’art. 1671 c.c, senza smentire la “forza di legge del contratto”, attribuisce rilievo all’interesse sociale di evitare lo spreco di risorse che deriverebbe dall’esecuzione di un’opera specifica, ma non più voluta, non più in grado di generare proprio quelle utilità in vista delle quali era stata concepita. Dunque rationesche da un lato spingono il legislatore a tutelare la facoltà di “smobilizzare” e riconvertire le risorse ad altri impieghi, dall’altro tutelano un interesse individuale del recedente a sottrarsi ad uno scambio “in perdita” perché tale da non giustificare più la controprestazione.  

Queste considerazioni chiariscono perché in tal caso il recesso sia consentito solo da parte del committente e solo dopo l’iniziata esecuzione[xlv].

Dunque uno ius poenitendiche vede le sue ragioni legate e dipendenti all’interesse di una delle parti a dar vita al vincolo contrattuale, il cui venir meno, durante l’esecuzione del contratto, determina, in capo alla medesima, il riconoscimento del diritto potestativo di sciogliere liberamente ed unilateralmente il vincolo contrattuale.

E’agevole capire che per venir meno gli interessi in capo alle parti si presuppone che le stesse abbiano pienamente inteso quella che sarà o che è stata la modifica delle sfere patrimoniali a seguito della stipula del contratto. Così intendendolo, il recesso somiglia quasi ad un giubbotto di salvataggio, ad una tutela accordata dal legislatore che si attiva ogni qualvolta viene meno l’interesse a mantenere vivo il vincolo, che, altrimenti, incastrerebbe le parti per un periodo di tempo apprezzabile.

Ed è proprio il fatto che le parti abbiano pienamente compreso il futuro assetto di interessi che con la stipula viene a crearsi, a fungere da punto di discordanza rispetto al recesso consumeristico, nel quale il punto focale è rappresentato proprio dal fatto che la stipula avvenga a seguito di una forzatura disposta da parte del produttore nei confronti del consumatore, il quale non si è certi abbia realmente voluto la transazione oggetto della stipula, il che esclude, quasi logicamente, la possibilità di allocare, sic et sempliciter, il recesso consumeristico nel novero dei recessi di pentimento.

Taluni autori[xlvi]ritengono che il recesso consumeristico rappresenti il rimedio apprestato dal legislatore a tutti quei casi nei quali, per il luogo e le modalità con le quali avviene la stipula, la sfera volitiva del consumatore si può considerare viziata.

Si tratterebbe di nuovi vizi della volontà appartenenti a quell’area contrattualistica caratterizzata da modalità aggressive di commercializzazione a danno del consumatore il quale, soggiogato dall’offerta apparentemente irrinunciabile, dall’appetibilità del prodotto, dalla pressione di accettare la stipula, è colto di sorpresa e si lascia coinvolgere.

Volendo delineare i contorni del recesso consumeristico è facile intuire che si tratta di un diritto speciale, perché riconosciuto ad una sola delle parti in ragione della qualifica contrattuale che la stessa riveste, legata alla sua posizione di debolezza.

E’ un diritto inderogabile e irrinunciabile, privo di una giustificazione causale, dunque libero e gratuito, in quanto non soggetto ad alcun corrispettivo, sottoposto ad un termine breve di decadenza con effetto solutorio del rapporto, strettamente collegato ad obblighi di informazione strumentali al suo corretto esercizio, ad obblighi precontrattuali d'informazione gravanti sul professionista relativi alla contrattazione.

Sono proprio queste caratteristiche che delineano la funzione tipica del recesso consumeristico che è quella di accertare la sussistenza dell'interesse iniziale, effettivo e reale in capo al consumatore. Interesse che il legislatore teme non essere spontaneo o esistente a causa delle condizioni della contrattazione che ben potrebbe minare, e mina, la concreta ponderazione dell'affare ostacolando così la complessiva rappresentazione dei termini della contrattazione e della sua convenienza.

Dunque una funzione di protezione che agisce ex ante, e non ex postcome quella del recesso codicistico, che permette al consumatore di riflettere sull'onerosità dell'impegno che intende assumere o che ha già assunto, in modo da rifiutare tempestivamente l'offerta per poter, eventualmente, usufruire di altre proposte presenti sul mercato; il che induce, di conseguenza, i professionisti ad offrire beni e servizi a condizioni realmente competitivi e soprattutto favorevoli al consumatore.

A ben vedere, già il solo ambito di operatività che ha ispirato il legislatore ha una matrice completamente diversa rispetto a quella prevista dal recesso codicistico: si tende alla velocizzazione e alla rapidità dei traffici commerciali attraverso l’impiego di mezzi che permettono la conclusione di un elevano numero di contratti, con il minimo dispendio di tempo e di energia da parte dell’imprenditore.

E’ chiaro che il legislatore del 1942 non poteva allora immaginare come sarebbero cambiate, nel corso del tempo, le modalità di conclusione di un contratto, né tantomeno prevedere una figura giuridica ad hoc, la quale, ad oggi, è, certamente, il risultato dell’evoluzione economica in corso.

Siffatta indagine consente di poter delineare l'autonomia della figura del recesso consumeristico che deve affiancarsi, ma certamente non può essere continente a quella del diritto civile, proponendosi come forma di recesso speciale dotata di una dignità strutturale e funzionale posta a tutela del contraente debole in ragione di una finalità fortemente legata all'ambito consumeristico.

Appare chiaro che non siamo di fronte ad un diritto di recesso che è semplice sostanziazione o specificazione di quello civilistico, ma ad una nuova funzione, ad una forma di tutela, apprestata dall’ordinamento rispetto ad un delineato e determinato ambito di operatività, che si estende in senso oggettivo e soggettivo e che trova la sua fonte solo e soltanto nel Codice del consumo. 

Pur con tutti i limiti che nessuno nega, il diritto comunitario ha rappresentato il contesto naturale, la sede più idonea in cui poteva attecchire e sviluppare l’idea dell’unificazione o almeno dell’armonizzazione del diritto dei contratti o di una parte di esso.

L’armonizzazione raggiunta è nascosta sotto la superficie, e dottrina e giurisprudenza ne hanno ampiamente messo in risalto le incongruenze e le distorsioni. Nonostante i problemi legati alle difficoltà di coordinamento tra le varie previsioni e degli effetti distorsivi che dalla loro applicazione ne derivano, non va sminuita l’importanza celata dietro al lavoro svolto dal legislatore, che spinge, semmai, a considerare prospettive nuove e a tendere verso nuovi e più ambiziosi progetti. 

L’avvento della copiosa produzione normativa ha determinato l’inevitabile superamento della disciplina tradizionale circa l’allocazione del diritto di recesso consumeristico prevista dal codice civile nella funzione di ius poenitendi, rivelatasi inadeguata a fronteggiare le innovate esigenze del moderno mercato degli scambi, quanto meno in relazione ad ambiti caratterizzati da marcate posizioni di squilibrio tra i contraenti. Ciò ha reso il recesso misura consolidata, non più eccezionale o speciale come appariva nell’originario impianto codicistico in relazione al dogma della vincolatività del contratto, ma normale e generale, dapprima nell’ambito della contrattazione con i consumatori e con i contraenti deboli del mercato finale, e, più di recente, anche nei rapporti endoprofessionali squilibrati[xlvii].

L’istituto così come proposto dal legislatore consumeristico si propone, a parere di chi scrive, pertanto, quale quarta funzione di recesso che, accanto a quelle comunemente conosciute, quale determinativa, impugnativa e di pentimento, completa il quadro di tutela disposto dalla legge: il fine ultimo è quello di favorire la libera determinazione e la libera valutazione dell’affare in capo a determinate categorie di soggetti, che, in ragione delle modalità e delle condizioni di negoziazione, potrebbero non aver ponderato pienamente la scelta fatta, liberando il consumatore da un vincolo di cui non ne ha sufficientemente testato la convenienza[xlviii].

Note e riferimenti bibliografici

[i]BIANCA, Diritto Civile, III volume, Giuffrè Editore, 2015.

[ii]ROPPO, Il contratto, Giuffrè editore, seconda edizione, 2011, pag. 509.

[iii]La recettizietà attiene al piano della produzione degli effetti del negozio giuridico, che il dettato dell’art. 1334 c.c. fa decorrere dal momento in cui il negozio perviene a conoscenza della persona alla quale è destinato. La norma si riferisce agli atti unilaterali recettizi che si contrappongono a quelli non recettizi, i quali producono effetti dal momento in cui vengono posti in essere, a prescindere dalla conoscenza che ne abbia il destinatario.

[iv]G. DE NOVA,Il recesso, in Trattato di diritto privato, a cura di P. Rescigno, vol. X. Obbligazioni e contratti, Utet, Torino, 1995; così anche Sezione I Cass. civile, sent. n°1740 del 09/07/1949.

[v]ROSSELLI, Il recesso del contratto, inIl contratto in generale , Tomo 5, inTratt. dir. priv diretto da BESSONE, XIII, Torino, 2002.

[vi]D’AVANZO, Recesso,  inNoviss. Dig .it,  volume IV,  Utet, Torino, 1967, pag. 1027.

[vii]P. SIRENA, I recessi unilaterali, in Trattato del contratto, diretto da V.ROPPO, a cura di M. COSTANZA, III , Effetti, Milano, 2006, pag.114.

[viii]Comunemente le stipule de quorientrano nel più ampio genusdei contratti per adesione, la cui realizzazione avviene mediante sottoscrizione di moduli prestampati e formulari, il cui contenuto è unilateralmente predisposto da uno solo dei contraenti, solitamente l’imprenditore, dovendo il consumatore subirne necessariamente le condizioni:il produttore, difatti, soggioga il consumatore, costringendolo, benché non violentemente, ad accettare tutte le clausole dallo stesso predisposte per poter fruire del servizio o ricevere un determinato prodotto. Una recente decisione dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, n. 26596 dell’11 maggio 2017, ha accertato la vessatorietà, ai sensi degli artt. 33, commi 1 e 2, e 35, commi 1 e 2, del Codice del Consumo, di alcune clausole del modello contrattuale, in uso alla data di avvio del procedimento, sottoposto all’accettazione dei consumatori che vogliano usufruire dell’applicazione WhatsApp Messenger. Dunque veri e propri aut autdisposti dall’imprenditore nei confronti di un indifeso consumatore, che indirettamente è costretto a cedere per poter fruire di un servizio.

[ix]Così C.DALIA in L’equilibrio normativo nel contratto. Tra codice civile e leggi speciali, in  Quaderni del dipartimento di Studi Internazionali, 11, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008, pag.12

[x]Per una più ambia disamina sul contratto giusto si veda F.VOLPE, in Contratto giusto, anno di pubblicazione 2007; si vedano anche VETTORI, in Autonomia privata e contratto giustoRDP, 2000, 33, GALGANO, Libertà contrattuale e giustizia del contrattoCeIE, 2005, 509, il quale recupera il momento della spazialità, dimostrando come le nuove tendenze emerse in ambito nazionale siano già presenti a livello internazionale.

[xi] In tal senso V. ROPPO, in Diritto privato, seconda edizione, Giappichelli editore, 2012, pag.104.

[xii]L’art. 67-duodecies nel comma 2 cod. cons. individua un diverso termine di esercizio del diritto in oggetto, che è di 30 giorni ed è quello dei contratti a distanza aventi per oggetto le assicurazioni sulla vita di cui al d.lgs. n. 209 del 2005. Questo testo normativo disciplina il diritto di recesso nei contratti di assicurazione, prevedendo in particolare che “il contraente può recedere da un contratto individuale di assicurazione sulla vita entro trenta giorni dal momento in cui ha ricevuto comunicazione che il contratto è concluso”(art. 177 comma 1 d.lgs. n. 209 del 2005). La maggior durata del termine nel caso di assicurazioni sulla vita è legata in parte alla complessità tecnica del contratto concluso dal consumatore e, soprattutto, alle gravose conseguenze che ne possono derivare.

Il dies a quoper il computo dello spatium deliberandiutile all’esercizio del diritto di recesso è calcolato in maniera diversa a seconda delle tecniche di conclusione del contratto utilizzate dal professionista, nonché dall’oggetto del contratto; in particolare l’art. 52  comma 2 cod.cons. stabilisce che “ nel caso dei contratti di servizi, il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto; per le vendite di beni, il termine decorre dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dei beni. Si specifica che “nel caso di beni multipli ordinati dal consumatore mediante un solo ordine e consegnati separatamente”, il termine decorre “dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo bene”, così come nell’ipotesi di “consegna di un bene costituito da lotti o pezzi multipli” il termine decorre “dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico dell’ultimo lotto o pezzo”; mentre nel caso di “contratti per la consegna periodica di beni durante un determinato periodo di tempo” il dies a quo decorre “dal giorno in cui il consumatore o un terzo, diverso dal vettore e designato dal consumatore, acquisisce il possesso fisico del primo bene”. Nel caso di “contratti per la fornitura di acqua, gas o elettricità, quando non sono messi in vendita in un volume limitato o in quantità determinata, di teleriscaldamento o di contenuto digitale non fornito su un supporto materiale” il termine dell’esercizio del diritto di recesso decorre “dal giorno della conclusione del contratto”. 

Accanto al termine “breve” di 14 giorni, il legislatore ha previsto nell’art.53 cod. cons. un termine lungo di 12 mesi ove le informazioni circa il diritto di esercizio del recesso non siano state fornite dal professionista o siano state fornite in maniera incompleta o errata; tale termine decorrerà dopo la fine del periodo di recesso iniziale. 

[xiii]L’art. 24 cod. cons. quale detta che  è aggressiva “quella pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o all’indebito condizionamento, limitao è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e pertanto lo induceo è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso”.

[xiv]Sul difetto di contestualità si concentrano le più importanti questioni di ordine ermeneutico: la nozione di distanza va ricercata nella definizione di “tecnica di comunicazione a distanza” (art.50, lett.b cod.cons.) e non in quella di “contratto a distanza”(art.50, lett.a cod.cons.), dove si precisa che è tale qualunque mezzo utilizzato per la conclusione di un accordo “senza la presenza fisica e simultanea” delle parti, rispettivamente professionista e consumatore. Per taluni, il requisito designa semplicemente lo spazio fisico che si frappone tre le parti contrattuali; secondo altri, sebbene in maniera minoritaria, non è da escludersi una sua accezione in senso temporale, stante la possibilità per i contraenti di essere “distanti” pur trovandosi nel medesimo luogo, semplicemente esprimendo il loro consenso in momenti temporali differenti. Altri ritengono, inoltre, che la fattispecie ricorra quando, all’interno di una relazione comunicativa, si verifichi una rottura sia dell’unità di tempo che di luogo.

Secondo una ricostruzione squisitamente semantica, la congiunzione “e”, lungi dall’individuare una doppia negazione, coordina tra loro i termini simultaneità e fisicità, che costituiscono due predicati del medesimo concetto; dunque simultaneità, “quale connotazione temporanea dell’essere” i contraenti “fisicamente in presenza l’uno dell’altro”. Ricostruzione che trova la sua fonte, a livello comparatistico nel linguaggio inglese (“without the simultaneous phisical presence”) e spagnolo (“sin la presencia fisica simultanea”); mentre anche nella direttiva comunitaria n. 97/7/CE in materia di contratti a distanza, il medesimo concetto è espresso facendo uso della congiunzione “e”.

Così intendendola, la distanza risulta essere un elemento che va a connotare il momento dell’incontro tra proposta e accettazione; incontro che avviene, dunque, in modo anomalo rispetto alla procedura ordinaria che il legislatore ha disposto per i contrattiinter praesentes, essendo mediata dall’impiego di nuovi mezzi di comunicazione. 

[xv]L’operatore professionale invia una lista di propri prodotti oppure l’intero catalogo di questi e dà la possibilità al potenziale cliente di ordinare dal proprio domicilio ed ivi ricevere quanto acquistato, inviatogli tramite posta o corriere, pagando mediante contrassegno, addebito su carta di credito, bonifico bancario.

[xvi]Il consumatore meno avveduto, infatti, può ingenuamente sottoscrivere l’acquisto nell’illusione di essere il soggetto dal quale dipendono le sorti della stipula, ignaro del fatto che spesso tali contratti presentano la particolare clausola vessatoria “salvo approvazione della casa”, la quale rimette la conclusione del contratto alla volontà del produttore, la quale ne condizionerebbe la conclusione del contratto, con efficacia ex nunc. Così, mentre il consumatore assume l'impegno contrattuale fin da subito e non è in grado di conoscere preventivamente i criteri sui quali si baserà la decisione della casa di aderire o meno al contratto, il professionista non è assolutamente vincolato dal punto di vista giuridico verso il compratore. Per una più completa disamina circa la natura giuridica della clausola testèrichiama si vedano P.GALLO, in Commentario del Codice Civile, a cura di D.VALENTINO, UTET, anno 2011, pag.44 e ss, D.ZANCHI, in Clausola salvo approvazione della casa e formazione del contratto, in Studi senesi, 1980, pag.320, GIANNATTASIO, in Vendita (vendita salvo approvazione della casa), inEnc.giur.XXIII, Roma, 1994, C.DALIA, in La violazione dell’obbligo di informazione nella conclusione del contratto di vendita salvo approvazione della casa, in Dir. e Giur. 1997, pag.42, 53 e ss., G. FALZONE, inLa vendita con clausola salvo conferma, in Bin. M. (a cura di), La vendita, I , Padova, 1999, pag.259-297, A.M.BENEDETTI, in Autonomia privata procedimentale, Torino, 2002, pag.52, nota 40, R.SACCO, in Clausola salvo approvazione della casa, in Digesto civ, agg. IV, Torino 2009, pag.96. 

[xvii]Per una più attenta disamina circa l’effetto sorpresa che connota le vendite a distanza e fuori dai locali commerciali si veda Sorpresa di A.GIANOLA in Sorpresa, inDigesto, Leggi d’Italia. Wolkers Kluwer, anno di pubblicazione 2009.

[xviii]La direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori e dei beni di consumo rimane un provvedimento di straordinaria rilevanza e di grande interesse, configurandosi sia come tappa cruciale nel diritto dei contratti in generale che nei contratti del consumatore e ciò, secondo taluni, per almeno quattro motivi:

  • contiene un’innovata disciplina in materia di obblighi di informazioni cui è tenuto il professionista che offre beni (mobili) o servizi (non finanziari) ai consumatori, non solo se trattasi di contratti conclusi a distanza o fuori dai locali commerciali, ma tale obbligo investe ogni professionista che conclude un contratto con un consumatore, dunque anche in stipule contrattuali diverse da quelle a distanza o fuori dai locali commerciali(art.5);
  • reca una disciplina unitaria e profondamente innovata in materia di recesso (art.9-16);
  • prevede l’inserimento di una disciplina di tutela, rispettivamente nel Capo IV  (“Altri diritti del consumatore") volta a tutelare il consumatore-utente rispetto all’imposizione abusiva e/o occulta di spese ingiustificate o sproporzionate da parte del professionista (art. 19, 21 e 22); l’inserimento di due disposizioni contenenti l’obbligazione di consegna e il passaggio del rischio (art.18 e art.20), che hanno la funzione di integrare e completare la disciplina dei contratti di fornitura di beni e di mobili, inserita nella direttiva 99/44/CE;
  • costituisce un cruciale banco di prova per il nuovo approccio consumistico adottato a livello europeo dagli Stati, basato, da un lato su un principio di armonizzazione, dall’altro sulla possibilità di lasciare agli Stati tassativi ed indicati spazi di deroghe ed eccezioni che, valutate nella loro complessità, consentono di discorrere di armonizzazione non più massima, bensì “temperata” delle normative nazionali.

[xix]Sul controllo di trasparenza nelle trattazioni si veda: L.DI NELLA, La tutela dei consumatori, in Il diritto della distribuzione commerciale, a cura di L.DI NELLA, L.MEZZASOMA, V.RIZZO, Napoli, 2008, pag.245 e ss.

[xx]In tal senso F.PATTI,Il recesso del consumatore: l’evoluzione della normativa, in Europa e dir. priv., fasc.4, 2012, pag.1007.

[xxi]Tra i tanti si vedaA.M.BENEDETTI, Recesso del consumatore,in Enc. dir., Annali, VI , Milano, 2011, pag.957, il quale afferma che il diritto di recesso è sempre legato a particolari modalità di stipulazione del contratto, nelle quali il consumatore può avere difficoltà ad esprimere in modo lucido e consapevole il proprio consenso.

[xxii]Come spesso si dice riferendosi all’espressione anglosassone “diritto di exit”.

[xxiii]Così E.BATTELLI, in L’attuazione della direttiva sui consumatori tra rimodernizzazione di vecchie categorie e “nuovi” diritti, in Europa e dir. priv, fasc.3, 2014, pag.945; per una più completa disamina sulla forma nei negozi traslativi si veda V.D’ANTONIO-S.SICA, in Laforma, in.D.VALENTINO, (a cura di),in I contratti di vendita, inTrattato dei contratti, diretto da P.RESCIGNO e E:GABRIELLI, VII, Milano 2007, pag. 315-380.

[xxiv]Si prendano ad esempio le ipotesi di cui all’art. 1671 c.c.: è il caso del recesso unilaterale dal contratto in materia di appalto, in cui la legge prevede che, benché sia iniziata l’esecuzione dell’opera o la prestazione del servizio, risulti possibile il recesso per atto unilaterale, purché si tenga l’appaltatore indenne dalle spese sostenute, dai lavori eseguiti e dal mancato guadagno; art. 2227 c.c.,nel recesso del committente, per cui si applica la stessa disciplina del recesso in patria di appalto; art. 1725 c.c., in materia di revoca del mandato oneroso, prevenendo l’obbligo in capo al mandante di risarcire i danni; art.1734 c.c., rispetto alla revoca della commissione, obbligando il committente al pagamento di una parte della provvigione al commissionario ;ecc., ecc…

[xxv]E’ il caso dei contratti di assicurazione (art.1899 comma 1) con durata superiore ai cinque anni, nei quali l’assicurato può recedere dal contratto con un preavviso di sessanta giorni: si tratta di un’ipotesi nella quale il legislatore conferma la visione negativa rispetto a vincoli di lunga durata. Così M.FRANZONI,Degli effetti del contratto, I, Giuffrè Editore, 2013, pag.384. 

[xxvi]Lo ha ribadito la Cassazione, con sentenza n° 6639 del 30 Aprile 2012; si veda anche G.GRISI, Jus poenitendi e tutela del consumatore, in Il contratto telematico, in Tratt.dir.civ. e Pubb. econ, diretto da GALGANO, XXVII, Padova, 2002, pag.169

[xxvii]Che presuppone «[…] un’ampia convergenza (di presupposti, obiettive e tecniche di tutela della parte debole) fra contratti del consumatore e contratti simmetrici B2B […]»: così V. ROPPO, Prospettive del diritto contrattuale europeoDal contratto del consumatore al contratto asimmetrico, in Corr. giur., 2009, p. 267 ss., in partic. pp. 281-282; cit. A.B.BENEDETTI, in La difesa del consumatore dal contratto: la natura “ambigua”  dei recessi di pentimento, in Ann.d.contratto, 2012. 

[xxviii]Così P. SIRENA, Effetti e vincolo, inTrattRoppo, III, Effetti, a cura di M. COSTANZA, Giuffrè, 2006, p. 119. 

[xxix]Tra gli altri, studia il recesso di pentimento quale «tecnica di tutela della volontà contrattuale» M.C. CHERUBINI, Tutela del “contraente debole” nella formazione del consenso, Giappichelli, 2005, p. 73 (della quale va richiamato il pregresso saggio Sul c.d. diritto di ripensamento, in Riv. dir. civ., 1999, II, p. 697). Preferisce ragionare in termini di diritto di ripensamento (piuttosto che di recesso) A. BARCA, Il diritto di recesso nei contratti del consumatore,Giappichelli, 2011, p. 130 ss. 

[xxx]Così F. RENDE, Il recesso comunitario dopo l’ultima pronuncia della Corte di Giustizia,inRiv. dir. civ., 2009, I, p. 526. 

[xxxi]In tal senso G. GRISI, Ius poenitendi e tutela del consumatore, in Il contratto telematico, a cura di V. RICCIUTO e N. ZORZI Cedam, 2002, p. 163 ss., in partic. pp. 169-170: secondo l’Autore, il recesso di pentimento è «una tecnica, legalmente configurata, di gestione (e soluzione) di (potenziali) conflitti, calibrata sulle esigenze – per molti versi, peculiari – emergenti da forme di contrattazione che […] esibiscono diverse specificità». 

[xxxii]C’è qualche autore che, aderendo alla tesi maggioritaria che vede il recesso consumeresti identificabile  nello ius poienitendi,ha suggerito una lettura diversa del diritto in oggetto, facendolo rientrare, forse estendendone fin troppo l’ambito di applicazione, nella vendita con riserva di gradimento di cui all’art. 1520 c.c..Gli autori ravvisano nel rapporto un’opzione in favore dell’acquirente, esercitabile anche con il mero silenzio.Come è noto la vendita con riserva di gradimento è un contratto che non si perfeziona fino a che il gradimento non sia comunicato al venditore, con la precisazione che “se la cosa si trova presso il compratore e questo non si pronuncia nel termine, indicato dal contratto, dagli usi o in un congruo termine stabilito dal venditore, la cosa si considera di suo gradimento”. Da ultimo BOCCHINI, La vendita di cose mobili, in Comm. dir, priv.,Milano, 1994, sub art.1520, pag. 249 e ss.

[xxxiii]4 Il recesso del consumatore è stato variamente appellato: è stato chiamato recesso di pentimento, ius (se) poenitendi, diritto di ripensamento, recesso di protezione, recesso penitenziale, recesso iniziale a seconda dell’opinione che si sia nutrita circa la sua natura e sul suo rapporto col recesso così come configurato dal codice civile. Aderendo all’analisi di A.M.BENEDETTI, in La difesa del consumatore dal contratto: la natura “ambigua”  dei recessi di pentimento, in Ann.d.contratto, 2012, siamo più propensi all’ammettere che, nei limiti e con le precisazione di cui si dirà, si tratti effettivamente di un recesso, perché così, e giustamente, lo chiama il legislatore, benché caratterizzato da modalità di esercizio esclusive e particolari.

[xxxiv]Sul punto V. SANGIORGI, Recesso, in Enc. giur. Treccani, XXVI, Istituto della Enciclopedia italiana, 1991, ad vocem, p. 2 ad avviso del quale il recesso recupera unitarietà se lo si considera come «strumento uniforme attraverso il quale quel potere, ancorato volta per volta a diversi presupposti, viene fatto valere». 

[xxxv]Vale la pena di riportare le parole di R. SACCO, La conclusione dell’accordo, in Tratt. Rescigno, a cura di E. GABRIELLI, I, Giappichelli, 1999, p. 142: «Giova ricordare che recesso è un’espressione vaga. Si parla correttamente di recesso dalla trattativa; la legge parla di recesso dalla condotta criminosa. Recedere implica smettere, cessare, il che, talora (ma non sempre), comporterà un atto, necessario per neutralizzare quanto creato in precedenza»

[xxxvi]Sul recesso come potere/diritto potestativo Si vedano G. GABRIELLI, Vincolo unilaterale e recesso unilaterale, cit., p. 122 ss.; cfr. sul punto i classici T. TABELLINI, Recesso, Giuffrè, 1962, p. 19 ss. e C. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Jovene, 1972, p. 43, ad avviso del quale il carattere potestativo del recesso risiede anche nella circostanza che al destinatario dell’atto «non è consentita altra scelta che quella di sottostare agli effetti che ne derivano». Sul ruolo dei diritti potestativi in ambito contrattuale – anche con riferimento agli strumenti di protezione delle parti deboli – merita segnalazione il recente studio di C. POMART-NOMDEDEO, Le régime juridique des droits potestatifs en matière contractuelle, in Rev. trim. dr. civ., 2010, p. 209 ss., da cui possono ricavarsi interessanti considerazioni sia sulla tipologia di questi diritti che sul controllo circa le modalità del loro esercizio da parte dei titolari. 

[xxxvii]Si veda A.M.BENEDETTI, Recesso del consumatore,in Enc. dir., Annali, VI , Milano, 2011, pag.957. Come osserva ancora G. GABRIELLI, Vincolo unilaterale e recesso unilaterale, cit., p. 3, nonché  G. DE NOVA, Recesso, in Dig. disc. priv., sez. civ., XVI, Utet, 1997, p. 316, il quale identifica almeno sei funzioni che il recesso, sia legale che convenzionale, può essere chiamato a svolgere. Tra queste vale la pena ricordare quelle che sono certamente le più comuni: il recesso determinativo, con il quale il legislatore ha previsto la possibilità, a prescindere dalla fonte legale o pattizia che sia, di sciogliere il vincolo contrattuale, individuandone un termine; il recesso di pentimento con il quale il legislatore riconosce ad una o entrambe le parti la facoltà di recedere, laddove venga meno l’interesse a mantenere in vita il contratto stesso; ed infine il recesso impegnativo, con il quale l’ordinamento attribuisce un diritto di liberazione dal vincolo contrattuale in presenza di vizi originari o sopravvenuti nel corso dell’esecuzione del contratto.

[xxxviii]Si tratta delle ipotesi di recesso previsto a favore: del committente nell’appalto (art. 1671 c.c.) e nella commissione (art. 1734 c.c.), del mandante e del mandatario nel mandato (art. 1723 e ss. c.c.), del mittente nel trasporto di cose (art. 1685 c.c.), del cliente nel contratto d’opera e con il professionista intellettuale (artt. 2227 e 2237 c.c.), del debitore nella cessio bonorum(art. 1985 c.c.).

[xxxix]Tra gli altri si vedano G.GABRIELLI e F.PADOVINI, voce Recesso inDir.priv. pag.385. 

[xl]Così Cass. 22 aprile 2008, n 10400, in Mass. Giust. civ., 2008, pag. 610.

[xli]C. MARTINO, Il recesso: da eccezione a regola, in altalex, articoli e commenti, articolo del  20/07/2009

[xlii]Ad esempio E. FILOGRANA, Recesso ad nutum e limite della buona fede nel contratto di appalto, in Corr. giur. 2001, p. 1614, nota a Trib. Roma 19 luglio 2001, ordinanza fa leva sull’intuitus personae quale fondamento del potere di recesso riconosciuto al committente, considerando quindi comunque legittimo il recesso fondato sul venir meno della fiducia del committente nei confronti dell’appaltatore, a prescindere da ulteriori scrutini sulle modalità di esercizio del recesso; la giurisprudenza giustamente in generale nega che l’esercizio del potere di recesso del committente debba essere sia subordinato all’esistenza di cause giustificatrici sindacabili in sede giurisdizionale, cfr. Cass. 13 luglio 1998 n. 6814; Cass. 7 marzo 1993 n. 8565; per la nozione di buona fede quale regola che impone, in generale, a ciascuna parte la “salvaguardia” dell’interesse altrui nel limite di un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio v. C. M. BIANCA, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Rivdir. civ., 1983, I, p. 205, che riecheggia Relazione al Re

[xliii]Triunale di Roma, sentenza del 19/07/01,Corr. Giur. Roma, 2002

[xliv]A. LAS CASAS, Osservazioni in tema di recesso dal contratto e tutele, in comparazioneediritticivile.it

[xlv]Taluni autori definiscono, impropriamente, questo diritto una vera e propria revoca, che per effetti e tempi di esercizio si atteggia in maniera sensibilmente diversa rispetto al recesso del consumatore.

Il recesso, al pari della revoca, costituisce certamente una causa estintiva dell’obbligazione negoziale diversa dall’adempimento e produce, quale effetto tipico, lo scioglimento del vincolo negoziale.

Tuttavia, concettualmente significativa appare la distinzione tra gli istituti in esame in quanto, sebbene caratterizzati dallo stesso tipo di effetto preclusivo ovvero estintivo, si ricollegano ad atti principali che presentano una struttura sostanzialmente diversa: la revoca estingue gli effetti di un precedente atto unilaterale, il recesso estingue gli effetti di un contratto. 

Altri autori considerano, inoltre, quale ulteriore elemento distintivo anche la natura del recesso, quale atto recettizio, e della revoca, che può non essere atto recettizio; a ciò si aggiunge che il recesso fa riferimento a contratti e dunque atti inter vivos, mentre la revoca rileva anche tra gli atti unilaterali mortis causao inerenti al diritto di famiglia.

[xlvi]Si veda A.GIANOLA in Sorpresa, inDigesto, Leggi d’Italia. Wolkers Kluwer, anno di pubblicazione 2009.

[xlvii]Si fa riferimento al crescente fenomeno dell’abuso di dipendenza economica che, negli ultimi tempi, si è imposto prepotentemente all’attenzione degli interpreti, chiamati ad affrontare quelle situazioni disparate, accomunate solo dalla circostanza di essere sprovviste di una disciplina soddisfacente, nel tentativo di individuare un rimedio generale in grado di sanzionare comportamenti non altrimenti reprensibili, ovvero repressi in maniera inadeguata. Ma se le forme attraverso cui può estrinsecarsi una condotta illegittima si presentano innumerevoli e variegate, appare evidente la difficoltà di una ricostruzione unitaria della categoria dell’abuso che ha inevitabilmente diviso quanti si sono occupati della questione. Il tema, infatti, investe non solo le ipotesi di abuso espressamente disciplinate dal codice civile, ma anche e soprattutto quelle emerse dall’applicazione giurisprudenziale, prevalentemente in tema di: comunione e condominio, rapporti di lavoro, esercizio dell’impresa, riduzione della penale, rapporti societari, rapporti bancari, esercizio del diritto di credito; abuso di o nel processo, abusi in materia tributaria, esercizio abusivo del diritto di recesso, e via discorrendo. Così C.DALIA, in A proposito di abuso di autonomia contrattuale d’impresa, in comparazioneedirittocivile.it, a cura di P. STANZIONE, Maggio 2017. 

[xlviii]Si veda C.DALIA, in “Il recesso consumeristico di libera valutazione” dell’affare, in Riv.dir.priv, fasc.4, anno 2015, pag486 e ss..