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Pubbl. Sab, 19 Gen 2019

Messa alla prova: per la Corte costituzionale se l´esito è positivo nessuna menzione nel casellario giudiziale

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Stefano Solidoro


L´obbligo di inclusione nel casellario del provvedimento di messa alla prova conclusa con successo contrasta con la finalità rieducativa della pena, costituendo “un ostacolo al reinserimento sociale del soggetto”, e risulta inoltre irragionevole se confrontato con analogo istituto premiale come il patteggiamento, che invece prevede la non menzione.


Sommario: 1. Premessa. 2. Le ordinanze di rimessione. 3. Le statuizioni della Consulta. La violazione dell’art. 3 Cost. … 3.1. (segue) … ed il vulnus al principio del finalismo rieducativo della pena ex art. 27 Cost. 4. Conclusioni.

1. Premessa

Con la sentenza n. 231 del 07/11/18 (dep. il 07/12/18, Pres. Lattanzi, Red. Viganò) la Corte costituzionale si interessa nuovamente di messa alla prova ex artt. 168bis c.p. e 464bis c.p.p. [1], sebbene in quest’occasione l’istituto non rappresenti l’oggetto immediato del giudizio di legittimità quanto piuttosto, come si avrà modo di constatare, la sua necessaria cornice.

La pronuncia in esame viene originata da quattro distinte ordinanze, emesse dai Tribunali di Firenze, Palermo e Genova nei confronti degli artt. 5, comma 2, 24, comma 1, e 25, comma 1, del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti - Testo A), nella formulazione anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, apportate dal d. lgs 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale).

Nello specifico, si tratta dell’insieme di disposizioni disciplinanti i casi di eliminazione o di esenzione dall’obbligo di iscrizione di determinati provvedimenti nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale. Ciò di cui i Giudici rimettenti si dolgono è la mancata inclusione, nei suddetti elenchi, dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464quater c.p.p. e della sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464septies c.p.p.: entrambi i provvedimenti, infatti, debbono essere obbligatoriamente iscritti nel casellario anche in caso di utile conclusione del procedimento speciale, con ovvie ripercussioni pregiudizievoli per il condannato, soprattutto in ambito occupazionale.

Nel rilevare un duplice profilo di incostituzionalità negli artt. 24 e 25 del D.P.R. 313/2002, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., la Corte muove da una concisa ricognizione circa il reale obiettivo sotteso alla MAP, la cui funzione – al di là dell’estinzione del reato - non può che essere la completa ed effettiva risocializzazione del reo.

2. Le ordinanze di rimessione

Come già accennato, il giudizio di costituzionalità in oggetto trae spunto da quattro ordinanze di rimessione, emanate dai Tribunali Firenze, Palermo e Genova tra il novembre 2016 ed il marzo 2018 e riunite dal Giudice delle leggi per la trattazione unitaria, in quanto vertenti su questioni sostanzialmente analoghe.

In prima battuta, il G.I.P. del capoluogo toscano[2], chiamato a pronunciarsi sull’esito di una messa alla prova, solleva questione di legittimità degli artt. 24 e 25 D.P.R. cit., tacciati di irragionevolezza nella parte in cui non permettono di escludere l’ordinanza di sospensione del processo ex art. 464 quater c.p.p. dal novero dei provvedimenti di cui è obbligatoria l’iscrizione nel casellario giudiziale, al contrario di quanto previsto, ad esempio, per la sentenza di patteggiamento o per il decreto penale di condanna.

Pur non ignorando la natura definitoria dei provvedimenti di cui agli artt. 445 e 460 c.p.p., infatti, il Giudice a quo ne sottolinea la natura al contempo premiale e deflattiva tipica anche dell’istituto della messa alla prova, il quale peraltro, rispetto agli altri due procedimenti speciali, prevede un’attiva partecipazione dell’imputato nel processo di risocializzazione: sarebbe fortemente iniquo, dunque, negare il beneficio della non menzione proprio al soggetto che più di tutti ne appare meritevole.

La questione sollevata dal Giudice fiorentino, seppur (correttamente) ritenuta inammissibile per difetto di rilevanza[3], ha il pregio di orientare le ordinanze di rimessione successive che ne condividono, arricchendolo, l’impianto argomentativo di fondo.

Ed invero, tanto il Tribunale di Palermo[4] che quello di Genova[5], evocati in ambito esecutivo per la cancellazione tanto dell’ordinanza di sospensione ex art. 464quater c.p.p. quanto della sentenza di estinzione del reato per esito positivo della MAP, assumono in primis la violazione dell’art. 3 Cost. per censurare le disposizioni di cui agli artt. 5, comma 2, 24, comma 1, e 25, comma 1 del t.u. casellario giudiziale.

Nello specifico i Giudici rimettenti, oltre a richiamare i medesimi istituti assunti come tertia comparationis dal Tribunale di Firenze, denunciano l’irragionevole disparità di trattamento in riferimento anche ad altre ipotesi di provvedimenti esentati dall’obbligo di menzione, quali la declaratoria di non punibilità ex art. 131 bis c.p. e la sentenza di condanna a cui sia seguita la riabilitazione ex art. 175 c.p. .

Un ulteriore e fondamentale profilo di incostituzionalità rilevato dalle Corti è poi quello relativo al finalismo rieducativo della pena cristallizzato al comma terzo dell’art. 27 Cost. . Partendo infatti dall’idea che la messa alla prova sia una vera e propria sanzione penale, anche se sui generis¸ ne viene messa in dubbio la valenza agevolatrice del reinserimento sociale a fronte del pregiudizio che la menzione nel casellario della sentenza ex art. 464septies c.p.p. (e a monte dell’ordinanza di cui all’art. 464quater c.p.p.) porta alla reputazione del soggetto, specie in prospettiva lavorativa.   

3. Le statuizioni della Consulta. La violazione dell’art. 3 Cost.

In disparte la declaratoria di inammissibilità, per totale carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, della questione relativa all’art. 5 comma secondo t.u. casellario giudiziario[6], la Consulta, con una tipica sentenza additiva, ritiene sussistere le prospettate violazioni degli artt. 3 e 27 Cost. da parte degli artt. 24 co. 1 e 25 co. 1 del D.P.R. 313/02 “…nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464quater, del codice di procedura penale e della sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464septies, cod. proc. pen.”.

Va osservato che, prima facie, la precarietà della disciplina oggetto di sindacato sembra già adombrata dalla recente novella operata in materia dal d.lgs. n. 122 del 2018 che, nel riformare il sistema delle iscrizioni nel casellario giudiziale, esplicitamente vi esclude la menzione tanto dell’ordinanza di sospensione del processo per messa alla prova che della sentenza di estinzione del reato ex art. 464septies[7]: il tutto, si legge nella relazione di accompagnamento al decreto, con il dichiarato scopo di superare le molteplici censure di costituzionalità sollevate da diverse Corti[8].

La sopravvenienza normativa, rileva comunque la Consulta[9], non è tale da imporre la restituzione degli atti ai giudici remittenti, in quanto destinata a trovare applicazione soltanto decorso un anno dalla data della sua pubblicazione in G.U.[10]

Si rende dunque necessario entrare nel merito dei quesiti sottoposti all’attenzione della Corte che, nel risolverli, mostra di aderire sostanzialmente alle tesi dei rimettenti.

Per quanto concerne il vulnus al principio di parità di trattamento, superando le eccezioni formulate dall’Avvocatura di Stato, la Corte ritiene in primo luogo impraticabile la strada di un’interpretazione conforme, tramite la suggerita applicazione analogica degli artt. 24 co. 1 lett. b) e 25 co. 1 lett. b) D.P.R. 313/02. Le norme, che stabiliscono la non menzione nei certificati del casellario delle condanne per reati estinti a norma dell’art. 167 c.p. all’esito di sospensione condizionale della pena, rappresentano infatti deroghe di natura eccezionale al generale principio della doverosità dell’iscrizione, di talché l’analogia risulta esclusa in ossequio a quanto previsto dall’art. 14 delle Preleggi[11].

In seconda battuta, la Consulta afferma come la scelta operata dal legislatore non sia coperta da discrezionalità poiché “non è conforme a ragionevolezza che il beneficio della non menzione venga riconosciuto ex lege a chi si limiti a concordare con il pubblico ministero l’applicazione di una pena sulla base di un provvedimento equiparato a una sentenza di condanna […] e non – invece – a chi eviti la condanna penale attraverso un percorso che comporta l’adempimento di una serie di obblighi risarcitori e riparatori in favore della persona offesa e della collettività, per effetto di una scelta volontaria, e con esiti oggettivamente e agevolmente verificabili[12].

Il medesimo biasimo di irragionevolezza viene espresso in relazione alla possibilità di ottenere, ai sensi degli artt. 24, co. 1, lett. d) e 25, co. 1, lett. d) del t.u. casellario giudiziale, la non menzione all’esito di riabilitazione ex art. 175 c.p., prevista per la generalità delle sentenze di condanna ma non per la sentenza di estinzione del reato per messa alla prova, che appunto statuizione di condanna in senso proprio non è.

3.1. (segue) … ed il vulnus al principio del finalismo rieducativo della pena ex art. 27 Cost. .

Definito nei termini di cui sopra il profilo di incostituzionalità relativo all’art. 3 Cost., il Giudice delle leggi si sofferma infine sul prospettato contrasto delle norme impugnate con il principio del finalismo rieducativo della pena, consacrato al terzo comma dell’art 27 Cost. .

La Corte muove innanzitutto da una concezione della MAP quale istituto di carattere processuale e insieme sostanziale che, in maniera non dissimile a quanto avviene nel patteggiamento, prevede un consapevole sacrificio della fase cognitiva da parte dell’indagato/imputato. Se nel procedimento di cui agli artt. 444 e ss c.p.p. ciò si traduce in un trattamento sanzionatorio più favorevole, con la messa alla prova si innesta invece un iter procedurale che anticipa e soddisfa la funzione retributiva[13] e special-preventiva tipica della pena, ragion per cui, pur dinanzi ad una sentenza di estinzione del reato ex art. 464septies c.p.p., non può non concludersi nel senso di attrarre la messa alla prova nell’ambito del “sistema sanzionatorio penale”, con tutto ciò che ne consegue in termini di estensibilità alla stessa dei principi costituzionali in materia[14].

Anche per l’istituto di cui all’art. 464bis c.p.p. deve dunque valere il costante riferimento all’orizzonte rieducativo del soggetto sottoposto a misura afflittiva criminale ex art. 27 Cost.: ed anzi, proprio la messa alla prova può dirsi fortemente imperniata sull’esigenza di una pronta ed effettiva risocializzazione del reo, come dimostrano le origini di questo particolare strumento di probation[15] nonché i molteplici studi compiuti sul punto, sebbene siano in molti gli Autori che ne sottolineano maggiormente la vocazione deflattiva del carico giudiziale[16].

Ebbene, rileva dunque la Corte come “…la menzione dei provvedimenti concernenti la messa alla prova nei certificati richiesti dai privati appare, tuttavia, disfunzionale rispetto a tale obiettivo, costituzionalmente imposto”, costituendo semmai all’opposto un potenziale “…ostacolo al reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso con successo, la messa alla prova, creandogli – in particolare – più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative…[17].

Non essendo possibile riscontrare l’esistenza di alcun controinteresse di rango tale da giustificare una deroga al fondamentale principio dell’art. 27 co. 3 Cost., dunque, secondo la Consulta, da un lato “…non v’è alcuna ragione plausibile perché si debba menzionare […] a carico di un soggetto che la Costituzione pur vuole sia presunto innocente sino alla condanna definitiva – un provvedimento interinale come l’ordinanza che dispone la messa alla prova, destinata comunque a essere travolta da un provvedimento successivo… “; dall’altro, a seguito di esito positivo della MAP, conclusasi con sentenza dichiarativa di estinzione del reato, “…la menzione della vicenda processuale ormai definita contrasterebbe con la ratio della stessa dichiarazione di estinzione del reato, che comporta normalmente l’esclusione di ogni effetto pregiudizievole – anche in termini reputazionali – a carico di colui al quale il fatto di reato sia stato in precedenza ascritto”.

4. Conclusioni

La sentenza oggetto di breve analisi ha il pregio di ribadire alcuni punti fermi in tema di messa alla prova, primo fra tutti il reale orizzonte applicativo dell’istituto, da intendersi quale strumento di tempestiva efficacia risocializzante a beneficio del soggetto che si sia dimostrato proattivamente partecipe nel percorso di ammenda.

Viene peraltro ribadita la stretta connessione tra messa alla prova e misure sanzionatorie, già oggetto di approfondita analisi nella precedente sentenza della Corte n. 91/18[18] , senza dimenticare le matrici premiali e di deflazione del contenzioso comuni ad altri procedimenti speciali. In ciò si dovrebbe peraltro individuare il vero punto di forza dello strumento di probation, che mira a realizzare un ideale connubio tra esigenze repressive e finalità rieducative teorizzato dal Costituente.

In quest’ottica, l’opera di ortopedia giuridica a cui la Corte sottopone la normativa in tema di casellario giudiziario - nella formulazione ante riforma – vuole contribuire a dare un ulteriore impulso all’istituto ex art. 168bis c.p., specie in relazione ad altri procedimenti alternativi per così dire “concorrenti”, quali ad es. il patteggiamento. Del resto, proprio la su menzionata novella di cui al d. lgs 122/18 è un’altra conferma della particolare attenzione che la messa alla prova gode anche a livello legislativo.

Il tutto a fronte di un quadro attuale che, come di recente sottolineato dal Ministro della Giustizia in carica[19], dimostra un apprezzabile innalzamento nel livello quantitativo e qualitativo del ricorso alla MAP, sebbene perdurino criticità in relazione alla durata media dei procedimenti, al grado di integrazione con l’ U.E.P.E. e in ordine alla varietà e validità delle convenzioni stipulate tra tribunali ed enti, pubblici e privati, per lo svolgimento dei programmi di trattamento.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Si veda in special modo la recente sent. della C. cost. 21 febbraio 2018, n. 91, dep. il 27 aprile 2018 (Pres. e Red. Lattanzi), sulla quale si rinvia al commento di G Leo. La Corte costituzionale ricostruisce ed ‘accredita’, in punto di compatibilità costituzionale, l’istituto della messa alla prova in www.penalecontemporaneo.it . Sempre in tema di messa alla prova, a vario titolo, cfr. C. cost. ordd. 85/2018; 7/2018; ord. 211/2017; 137/2017; 54/2017; 19/2017; ord. 237/2016; 207/2016; sent. 201/2016; sent. 240/2015.
[2] G.I.P. Trib. Firenze, ord. 18 novembre 2016 (r.o. 47/17).
[3] Ricorda la Consulta come ai sensi dell’art. 40 del t.u. casellario giudiziale spetti soltanto al giudice dell’esecuzione pronunciarsi «[s]ulle questioni concernenti le iscrizioni e i certificati del casellario giudiziale e dei carichi pendenti»: rispetto al caso del G.I.P. fiorentino, che si trova ad operare in sede di cognizione, la disciplina oggetto di censura non è quindi destinata ad operare, da qui il palese difetto dell’essenziale requisito della rilevanza nel giudizio a quo¸ ai sensi dell’art. 23 co. 2 l. 87/53.
[4] Tribunale di Palermo, ord. 19 marzo 2018 (r.o. n. 91 del 2018).
[5] Tribunale di Genova, ordd. 20 e 27 marzo 2018 (r.o. nn. 117 e 118 del 2018).
[6] Punto 3 del Considerato in diritto.
[7] Lo prevede l’art. 4, comma 1, lettera b, n. 5 d.lgs. 122/18, che aggiunge le lettere m-bis e m-ter all’elenco contenuto nell’art. 24, comma 1, del t.u. casellario giudiziale.
[8] Nella la Relazione Illustrativa al d.lgs 122/2018 si parla esplicitamente di ”…irragionevoli disparità di trattamento e violazione del principio rieducativo della pena”.
[9] Punto 4 del Considerato in diritto.
[10] D. lgs 122/18, art. 7.
[11] Al punto 5.1. del Considerato in diritto.
[12] Punto 5.2. del Considerato in diritto.
[13] Si allude naturalmente agli eventuali obblighi risarcitori e/o reintegratori che, ai sensi dell’art. 464bis co. 3 lett. b) c.p.p., possono far parte del “programma di trattamento” alla base del procedimento di messa alla prova.
[14] Il concetto viene ben delineato da Cass., SS.UU., sent. 31 marzo 2016, n. 36272, pronuncia citata dalla Consulta nella sentenza in commento e nella precedente sent. 91/18.
[15] Come noto la legge 28 aprile 2014, n. 67, ha inserito nel libro primo, Titolo VI del Codice Penale gli artt. 168bis, ter e quater, nonché nel libro VI del Codice di Procedura Penale il nuovo Titolo V-bis, rubricato “Sospensione del procedimento con messa alla prova”. Fuori da impropri paragoni con analoghi istituti di stampo anglosassone, la MAP italiana trae piuttosto ispirazione dall’omonimo strumento previsto da tempo nel procedimento penale minorile all’art. 28 del D.P.R. 448/1988, da cui si differenzia per caratteri strutturali importanti (tra tutte, l’impulso tendenzialmente ufficioso da parte del Giudice minorile, che provvede “sentite le parti”) ma del quale condivide inevitabilmente il teleologismo riparatorio e rieducativo, specie laddove si favorisce la riconciliazione tra offeso e offensore.
[16] Un quadro recente dell’istituto è offerta da A. Macchia e P. Gaeta, Messa alla prova ed estinzione del reato: criticità di sistema e adattamenti funzionali, in www.penalecontemporaneo.it. In prospettiva critica, all’indomani dell’introduzione della messa alla prova, vd. R. Bartoli, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento? in Dir. pen. proc., 6/2014, pp. 659 e ss.
[17] Punto 5.3 del Considerato in diritto.
[18] C. cost. 21 febbraio 2018, n. 91, al punto 8 del Considerato in diritto.
[19] Relazione al Senato Sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di messa alla prova dell’imputato, aggiornata al 31 maggio 2018, reperibile all’indirizzo www.senato.it.