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Pubbl. Ven, 11 Gen 2019

Il denunciante non può avvalersi della PEC per depositare l´opposizione alla richiesta di archiviazione del PM

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Giovanna Marzillo


L´opposizione a mezzo PEC alla luce della recente pronuncia della Cassazione n. 26362/18


La Cassazione Penale, Sez. II, con sentenza n. 26362, depositata l'8 giugno 2018, è intervenuta in merito alle modalità di presentazione della richiesta di opposizione avverso la richiesta di archiviazione emessa dal Pubblico Ministero.

Ai sensi dell'art. 408 c.p.p. il P.M. è tenuto a pronunciarsi sulla fondatezza della notizia criminis valutando, alla luce degli elementi probatori raccolti nel corso delle indagini, la sostenibilità o meno dell'accusa in giudizio. In caso di esito negativo, il pubblico ministero formula, ex art. 408 c.p.p. richiesta di archiviazione trasmettendola al giudice per le indagini preliminari. Con tale richiesta è trasmesso anche il fascicolo contenente la notizia di reato, le indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari.

Alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia richiesto di essere informata circa l'eventuale archiviazione, ai sensi del comma 2 art. 408 c.p.p., è notificato l'avviso. Esso riveste un ruolo di primaria importanza in tale fase processuale, in quanto consente alla parte di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione nel termine di venti giorni. Tale termine non ha natura perentoria, pertanto, qualora la parte non rispettasse tale termine non decadrebbe dalla facoltà di proporre opposizione, purchè essa sia presentata prima che il Giudice si pronunci  sull'ammissibilità o meno della richiesta di archiviazione emessa dal Pubblico Ministero. L'atto di opposizione consente di dare attuazione al principo di collaborazione tra Autorità Giudiziaria e privato al fine di una efficace tutela della sfera giuridica, nonchè personale, lesa dal fatto oggetto d'indagine; circostanza peraltro confermata dall'art. 410 c.p.p. che attribuisce alla parte denuciante la facoltà di chiedere la prosecuzione delle indagini preliminari e, a pena di inammissibilità, l'oggetto dell'investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova.

Sulle modalità di presentazione dell'atto di opposizione si è pronunciata la Cassazione Penale , Sez. II, con la sentenza n. 26362/18. In species, a seguito di archiviazione emessa dal PM in relazione a una denuncia per usura, l'interessato proponeva opposizione a mezzo PEC alla Segreteria del PM procedente. Sucessivamente, il GIP, ritenendo non pervenuto nessun atto di opposizione, confermava l'archiviazione. Il denunciante, pertanto, presentava ricorso per Cassazione contro il provvedimento del GIP denunciando l'abnormità dell'atto adottato, in quanto il GIP aveva archiviato de plano senza prendere in considerazione l'atto di opposizione che il ricorrente aveva tempestivamente trasmesso a mezzo pec alla segreteria del PM.

La doglianza posta all'attenzione della Suprema Corte trovava il suo riferimento normativo nell' art. 583 c.p.p. il quale espressamente prevede che "le parti e i difensori possono proporre impugnazione con telegramma ovvero con atto da trasmettersi a mezzo raccomandata a/r alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento"; pertanto, il ricorrente, in forza del D.P.R. 68/2005, che ha equiparato il valore legale della posta certificata a quello della raccomandata postale, contestava l'illegittimità del provvedimento adottato dal GIP per violazione di legge e per vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta assenza di ritualità della proposta opposizione a mezzo PEC.

La Suprema Corte, sul punto, ha ribadito che "l'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero doveva essere presentato con le modalità previste dall'art. 121 c.p.p. e non ai sensi dell'art. 583 c.p.p. come affermato erroneamente  dal ricorrente, in quanto l'opposizione non rientra nel genus delle impugnazioni essendo diretta a contrastare una richiesta del Pubblico Ministero e non un provvedimento del giudice" (cfr. Cassazione penale sentenza n. 26362/18). L'art. 121 c.p.p. prevede che "le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito in cancelleria"; pertanto, anche nel caso di specie, il ricorrente avrebbe dovuto presentare l'atto di opposizione mediante deposito in cancelleria. 

In merito all'uso della PEC la Cassazione fa costantemente rinvio al decreto legge n. 179/2012, convertito nella legge 221/2012, il quale ha introdotto con l'art. 16 l'obbligatorietà delle comunicazioni e notificazioni a carico della Cancelleria in via telematica presso l'indirizzo di posta elettronica certificata nei confronti di tutti i soggetti obbligati ex lege ad averlo e ciò sia nel processo civile, ove l'obbligo concerne tutti gli atti indipendentemente dalla parte che ne sia destinataria sia nel processo penale dove l'obbligo dell'inoltro in via telematica concerne tutte le parti diverse dall'imputato per il quale rimangono ferme le forme di comunicazione tradizionale. Diversamente accade per il deposito degli atti di parte, tra i quali rientra l'atto di opposizione avverso richiesta di archiviazione; infatti, se nel processo civile si è assistito a un vero e proprio processo di digitalizzazione, esso ad oggi è inesistente nel processo penale. Ne consegue che alla parte privata non è consentito nel processo penale di avvalersi della posta elettronica certificata per la trasmissione di propri atti ad altre parti nè per il deposito presso gli uffici, restando l'utilizzo della PEC riservato solo alla cancelleria per le comunicazioni richieste dal Pubblico Ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni e avvisi ai difensori disposti dall' Autorità Giudiziaria o dal Pubblico Ministero. Tanto affermato trova riscontro anche nel citato art. 16 d.l. 179/2012, il quale non richiama nè l'art. 121 c.p.p. nè l'art. 152 c.p.p. confermando l'impossibilità per le parti - in species, il denunciante - di avvalersi della PEC per depositare memorie, richieste o comunque effettuare notifiche. 

Va precisato, peraltro, che la Corte di Cassazione, in relazione agli art. 121 c.p.p. ha adottato una linea interpretativa estensiva; prima con la sentenza n. 40187/14, che riconosceva alla parte privata la possibilià di avvalersi di modalità diverse da quelle previste dall'art. 121 c.p.p., poi, con sentenza n. 1904/2018 ha precisato che l'invio di istanze, memorie, richieste con modalità differenti da quelle previste dall'art. 121 c.p.p. - in species, l'invio a mezzo PEC - non è inammissibile o irricevibile, ma la mancata considerazione dell'atto da parte del giudice, qualora quest'ultimo non ne sia venuto a conoscenza, non comporta alcuna violazione del diritto di difesa nè nullità del provvedimento emesso, in quanto la scelta di un mezzo tecnico non autorizzato per il deposito espone il difensore, o la parte,  al rischio dell'intempestiva conoscenza dell'atto da parte del destinatario e fa ricadere  sulla parte che si avvale di tale mezzo l'onere di accertarsi del regolare arrivo dell'atto e del suo tempestivo inoltro al giudice procedente. 

Gli Ermellini pertanto hanno dichiarato inammissibile il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.