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Pubbl. Gio, 13 Dic 2018

La nullità del contratto da illecito anticoncorrenziale alla luce della pronuncia della Cassazione n. 29810 del 2017

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Ida Morelli


Attraverso l´analisi dell´istituto della fideiussione omnibus, la Corte di Cassazione ha statuito circa la nullità del contratto lesivo della normativa antitrust, ossia della legge 287 del 1990.


Sommario: 1. Evoluzione giurisprudenziale nel diritto antitrust: la prinuncia 28910/2017 della Corte di Cassazione; 2. Dal generale al particolare: dalla fideiussione omnibus al rapporto tra intesa a monte e contratto a valle; 3. Invalidità come nullità del negozio a valle.

1. Evoluzione giurisprudenziale nel diritto antitrust: la pronuncia 28910/2017 della Corte di Cassazione.

Il diritto anti trust rappresenta, ad oggi, una branca del diritto ancora di matrice Giurisprudenziale: fonte principale dello stesso, infatti, sono le pronunce della Corte di Cassazione, le quali si occupano di disciplinare la materia quasi in linea totalitaria, data la carenza di disciplina legislativa. In questo ambito, dunque, il nostro ordinamento sembrerebbe quasi vicino ad un sistema giuridico di common law, essendo "il precedente giurisprudenziale" fonte quasi esclusiva della materia.

Pertanto, appare opportuno soffermarsi sull’analisi dell’illecito anticoncorrenziale da un punto di vista civilistico, alla luce di una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione, ossia la n. 29810 del 2017 del 12.12.2017, la quale si è pronunciata circa la nullità delle fideiussioni omnibus aventi natura anticoncorrenziale, ossia lesive dell’art.2 della legge n. 287 del 1990, normativa base dell’illecito anticoncorrenziale.

In particolare, la fideiussione omnibus, che ricordiamo essere quella tipologia di fideiussione in cui la garanzia viene prestata non per un singolo debito ma per tutti i debiti presenti e futuri del debitore principale, è stata più volte sottoposta al vaglio della Banca d’Italia la quale, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, sancì la contrarietà di alcuni articoli in esso contenuti all’art. 2, comma 2, lett. a, l. n. 287 del 1990, ingiungendo all’ABI (ossia, All’Associazione bancaria Italiana) di trasmettere alle imprese aderenti un modello emendato da quegli articoli. 

Nello specifico, si trattava degli artt. 2, 6 e 8[1]  del menzionato schema contrattuale relativi alle clausole di «sopravvivenza», «reviviscenza» e rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c., i quali integravano gli estremi di un’intesa restrittiva della concorrenza.  

Pertanto, alla luce di tale provvedimento della Banca D’Italia, si poneva il problema della sorte dei contratti di fideiussione riproducenti il modello giudicato anticoncorrenziale stipulati prima del provvedimento della Banca d’Italia, avendo gli istituti di credito, medio tempore, fatto uso di quei modelli, giudicati ad oggi anti concorrenziali. 

2. Dal generale al particolare: dalla fideiussione omnibus al rapporto tra intesa a monte e contratto a valle.

Orbene, la questione della nullità della fideiussione omnibus per violazione della normativa antitrust, così come affrontata Dalla Corte di Cassazione e dalla Banca D’Italia, appare strettamente connessa a quella del rapporto tra le intese restrittive della concorrenza e i c.dd. contratti a valle stipulati con i consumatori finali. Trattasi di un rapporto che ha da sempre rappresentato un tema "caldo" sul quale dottrina e giurisprudenza hanno ampiamente dibattuto.

Il panorama dottrinario è praticamente diviso in due, ossia tra rimedio annullatorio e rimedio risarcitorio. Infatti da un lato c’è chi, come Castronovo, seppure con argomentazioni diverse, fa leva sulla nullità dell’intesa anticoncorrenziale per dimostrare la invalidità dei contratti «a valle» stipulati con i consumatori finali: dunque, vi sarebbe un collegamento patologico, sic et simpliciter, tra contratto a monte e contratto a valle, per cui la nullità del primo genererebbe anche la nullità del secondo[2]

Un’altra parte della dottrina, invece, tende ad enfatizzare il rimedio risarcitorio, e dunque a ricercare la soluzione nell’ambito del contratto e dei principi generali che ne disciplinano il funzionamento: l’illecito concorrenziale posto dal contratto a monte, così inteso, assumerebbe una veste risarcitoria, senza così compromettere la stabilità complessiva del rapporto a valle o delle sue singole clausole. Ovviamente, si poneva il problema di individuare la base normativa su cui fondare il diritto a tale risarcimento: le soluzioni che hanno riscosso maggiore favore riconducevano il risarcimento del danno alla responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.)[3], al dolo incidente (art. 1440 c.c.) o alla responsabilità precontrattuale sorgente dall’obbligo di comunicare alla controparte l’esistenza di possibili cause di invalidità del contratto (art. 1338 c.c.). 

L’atteggiamento della giurisprudenza di legittimità di fronte alla questione è stato nel tempo piuttosto altalenante. Infatti, di recente, la Cassazione con sentenza del 22 maggio 2013, n. 1255, si è mostrata propensa a ravvisare un collegamento tra l’intesa restrittiva «a monte» e i contratti «a valle»[4], statuendone così un rapporto di interdipendenza patologica. Anche se in precedenza assumeva un atteggiamento di chiusura escludendo che la nullità dell’intesa anticoncorrenziale potesse estendersi ai contratti “a valle”[5] :pertanto, tale filone giurisprudenziale tendeva ad escludere l’automatismo esistente tra nullità del contratto a monte e nullità del contratto a valle, i quali pertanto conservavano la loro validità. Pertanto, a detta di tale filone, il rimedio esperibile a tutela dei consumatori restava, sic et simpliciter, quello risarcitorio contemplato dall’art. 33 della l. 287/90, esperibile dai clienti nei confronti delle imprese danneggianti. 

Dunque, la Giurisprudenza si è nel tempo divisa, interpretando il nesso di casualità esistente tra illecito anticoncorrenziale e danno subito dai consumatori prima in via più lieve, intravedendone un semplice onere risarcitorio in capo all’impresa danneggiante, e poi in via più marcata, ossia facendo scaturire dalla patologia del contratto a monte la nullità del contratto a valle. 

3. Invalidità come nullità del negozio a valle.

Orbene, da tali quaestiones preliminari si evince la portata innovativa della pronuncia n. 29810 del 2017, la quale ha, alla luce dell’analisi del caso di specie a lei sottoposto, risolto la diatriba dottrinaria e giurisprudenziale circa gli effetti del danno da illecito concorrenziale, ovvero circa la natura degli effetti patologici esistenti nel rapporto interdipendenza tra i contratti a monte, lesivi della concorrenza, e a valle, dipendenti da questi. 

In particolare infatti, attraverso la pronuncia n. 29810 del dicembre 2017, con la quale la Corte di Cassazione ha statuito circa la nullità delle fideiussioni bancarie attive rilasciate su moduli conformi alle Condizioni generali per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie per violazione dell’art. 2 della legge 287 del 1990, è stato chiarito che la nullità dei contratti fideiussori “a valle”, ai sensi della legge cd. antitrust, discenderebbe direttamente dalla nullità comminata nei confronti dell’intesa “a monte”. 

Dunque, in primis, la portata innovativa di questa pronuncia consiste nell’aver definito la fase patologica della condotta antitrust, individuando nell’invalidità del contratto a valle la conseguenza unica dell’intesa anticoncorrenziale a monte. Pertanto, può dirsi che risulta nettamente aumentata, ad oggi, la tutela offerta al consumatore, in quanto a questo è stata riconosciuta dapprima la legittimazione ad agire in sede civile per ottenere la repressione delle condotte antitrust; successivamente il diritto al risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale; ed infine, con la pronuncia in commento, addirittura il diritto di domandare la dichiarazione di nullità del contratto attuativo dell’intesa anticoncorrenziale. Infatti, ad oggi, il consumatore ha diritto non solo ad un’azione volta ad ottenere la dichiarazione di nullità del contratto attuativo dell’intesa restrittiva ma anche, in virtù del D.lgs. n. 3/2017, che recepisce la Direttiva 2014/104/UE, il risarcimento del danno subito a causa della violazione di norme sulla concorrenza. Dunque al privato è riconosciuto un doppio binario di tutela avverso l’illecito anticoncorrenziale. 

Pertanto, proprio attraverso l’analisi dei contratti bancari, i quali rappresentano una delle materie in cui l’incidenza delle intese a monte sui consumatori finali è più tangibile, la Corte ha definitivamente sancito il rapporto di interdipendenza tra i contratti a valle e quelli a monte, e dunque il principio secondo cui la nullità dei primi genera la nullità dei secondi. Pertanto, è necessario un collegamento negoziale fra i due atti, tale da giustificare la trasmissione della invalidità. L’intesa e il contratto sono funzionalmente collegati, reciprocamente interdipendenti e dunque la nullità prevista per l’intesa travolge automaticamente anche i contratti che a questa danno attuazione[6]. Per salvare la fideiussione a valle dalla censura di invalidità dovrebbe dimostrarsi l’inesistenza di questo collegamento. Resta dunque ferma, in capo all'impresa convenuta, la possibilità di fornire prova contraria con riferimento alla "interruzione del nesso causale tra illecito anti¬trust e danno patito tanto dalla generalità dei consumatori, quanto dal singolo"[7]

In verità, nonostante quest’ultimo intervento della Cassazione, appaiono irrisolti ancora vari profili della materia, relativi in particolare alla qualificazione della nullità che colpisce il singolo contratto di fideiussione. Infatti, La Cassazione non prende posizione su quale sia la natura della nullità che ritiene integrata, lasciando spazio alle opinioni più disparate degli interpreti. La nullità derivante da violazione della disciplina a tutela della concorrenza è stata tradizionalmente ricondotta a diverse categorie: nullità per violazione di norme imperative (nullità virtuale o letterale), nullità per illiceità dell’oggetto, nullità per illiceità della causa, nullità derivata.  

In realtà trattasi di una lacuna normativa, mancando in sostanza una norma che preveda e qualifichi la nullità del contratto conseguente ad un’intesa anticoncorrenziale. Infatti lo stesso art. 2 della legge 287/1990 prevede espressamente la nullità dell’intesa, ma non fa alcun accenno all’eventuale nullità del contratto concluso a valle dell’intesa. La nullità del contratto stipulato a valle dell’intesa non è prevista espressamente in alcuna fonte normativa. Anche l’art. 101 del Trattato sul Funzionamento UE si limita a sancire la nullità dell’intesa lesiva della concorrenza, senza prevedere espressamente alcuna conseguenza per i contratti stipulati in attuazione dell’intesa. Ergo, se non vi è la previsione non vi è la qualificazione di tale nullità. 

Nel caso di specie, relativo alla fideiussione omnibus, la dottrina ha cercato di colmare tali lacune normative e giurisprudenziali, passando alla qualificazione della nullità in oggetto, ossia se trattasi di nullità assoluta o relativa, ossia se si tratti di nullità totale o parziale. 

Orbene, parte della dottrina classifica la nullità del contratto a valle, a seguito da condotta anticoncorrenziale tenuta dal contratto a monte, come assoluta[8], ossia rilevabile da chiunque vi abbia interesse[9]. Secondo tale filone dottrinario, ciò che giustifica il riconoscimento della legittimazione all’esercizio dell’azione di nullità a chiunque, anche in capo al giudice, è l’esigenza di tutela di un interesse generale nell’ambito della branca anticoncorrenziale. Infatti, secondo tale dottrina, qualificare la nullità come relativa significherebbe attribuire la valutazione sull’opportunità di esercitare o meno l’azione di nullità nelle mani del solo garante, ossia del soggetto che ha realmente una relazione con il debitore principale. 

Altra parte della dottrina, invece, esclude che si possa qualificare come assoluta la nullità in oggetto, definendola così come relativa, in quanto il riconoscimento di una legittimazione generalizzata non sarebbe in linea con la ratio delle norme antitrust, ma al contrario ne frustrerebbe le finalità. Quindi, secondo questo secondo filone dottrinario, l’unico soggetto legittimato ad agire in giudizio per domandare la dichiarazione di nullità sarà il fideiussore. 

Inoltre, ci si chi è chiesti in dottrina se trattasi di nullità totale, la quale travolge integralmente il regolamento contrattuale[10], o parziale, che comporta l’eliminazione delle sole clausole viziate da una causa di invalidità, facendo salve le restanti clausole del contratto. Secondo alcuni interpreti, nel caso di specie potrebbe invocarsi una “nullità relativa necessaria”, secondo la quale a seguito dell’espunzione della clausola invalida, non potrebbe mai conseguire la caducazione dell’intero contratto come invece previsto dall’art. 1419 c.c.. 

In secundis, la portata innovativa della pronuncia riguarda l’estensione della nullità contrattuale, la quale riguarderebbe anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato. Leggendo il testo della sentenza infatti, emerge che “in tema di accertamento dell'esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dall'art. 2 della legge n. 287 del 1990, la stipulazione "a valle" di contratti o negozi che costituiscano l'applicazione di quelle intese illecite concluse "a monte" comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte dell'Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato a condizione che quell'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo”. 

Dunque, secondo il dictum della Corte di Cassazione, sono nulli i contratti che costituiscano l'applicazione di intese anticoncorrenziali vietate dall'art. 2 della legge n. 287 del 1990, anche se stipulati anteriormente all'accertamento dell'intesa da parte della competente Autorità di vigilanza, purché l'intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo. Dunque, a detta dei Consiglieri, sono da ritenersi invalide anche le fideiussioni che, oltre a essere successive all’entrata in vigore della legge antitrust e all’intesa vietata «a monte», sono state stipulate prima dell’accertamento della violazione della disciplina antitrust. 

Tale puntualizzazione potenzia, per così dire, l’impatto della pronuncia, e crea delle conseguenze pratiche di non poco conto, in quanto con questa si statuisce che, in buona sostanza, tutti i contratti di fideiussione omnibus stipulati da tutte le banche sono, almeno in parte, nulli.  Rilevante è, fondamentalmente, l’impatto di carattere pratico che tale giurisprudenza avrà nel settore della contrattazione bancaria. 

De facto, ciò che rileva, in merito a questo punto, è l'antigiuridicità sostanziale del contegno sanzionato, a prescindere dal fatto che tale illiceità non fosse stata al momento della stipula del negozio ancora formalmente dichiarata. 

Sono ancora incerti i risvolti pratici che tale pronuncia avrà sui rapporti intercorrenti tra i consumatori e le imprese, in particolar modo tra gli istituti di credito ed i clienti. 

Fatto sta che, la Corte di Cassazione ha dato al mondo dell’Anti trust una lectio magistralis estremamente importante, dal quale sicuramente prenderà spunto, in futuro, il Legislatore. 

 

[1] Secondo quanto disposto nel provvedimento della Banca d’Italia l’art. 2, il quale dispone la «reviviscenza» della garanzia dopo l’estinzione del debito principale, «impegna il fideiussore a tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento, anche quando egli abbia confidato nell’estinzione della garanzia a séguito del pagamento del debitore e abbia conseguentemente trascurato di tutelare le proprie ragioni di regresso nei confronti di quest’ultimo. Da ciò derivano conseguenze particolarmente pregiudizievoli per il garante quando l’obbligo di restituzione della banca sia determinato dalla declaratoria di inefficacia o dalla revoca dei pagamenti eseguiti dal debitore a séguito di fallimento dello stesso». All’art. 6 è configurata la deroga all’art. 1957 cod. civ., che «ha la funzione di esonerare la banca dal proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze, nei confronti del debitore e del fideiussore, entro i termini previsti da detta norma. Tale clausola, pertanto, appare suscettibile di arrecare un significativo vantaggio non tanto al debitore in difficoltà, quanto piuttosto alla banca creditrice, che in questo modo disporrebbe di un termine molto lungo (coincidente con quello della prescrizione dei suoi diritti verso il garantito) per far valere la garanzia fideiussoria. Ne potrebbe risultare disincentivata la diligenza della banca nel proporre le proprie istanze e conseguentemente sbilanciata la posizione della banca stessa a svantaggio del garante». L’art. 8 dello schema «estende la garanzia anche agli obblighi di restituzione del debitore, derivanti dall’invalidità del rapporto principale. Tali obblighi sono ulteriori e diversi rispetto a quelli di garanzia dell’adempimento delle obbligazioni assunte dal debitore in forza dei rapporti creditizi cui accede la fideiussione. Pertanto, una siffatta previsione non appare connaturata all’essenza del rapporto di garanzia e potrebbe, per converso, indurre la banca, in sede di concessione del credito, a dedicare una minore attenzione alla validità o all’efficacia del rapporto instaurato con il debitore  principale; essa, infatti, potrebbe comunque contare sulla permanenza dell’obbligazione di garanzia in capo al fideiussore omnibus al fine di ottenere il rimborso delle somme a qualsivoglia titolo erogate». Per ulteriori approfondimenti si consulti il provvedimento in www.bancaditalia.it.
[2] In Castronovo C., Antitrust e abuso di responsabilità civile, in Danno resp., 2004, p. 469 ss.; ed ancora,  Longobucco F., Violazione di norme antitrust e disciplina dei rimedi nella contrattazione a valle, Napoli, 2009, p. 21 ss. 
[3] La sentenza n. 2207 del 2005, resa a Sezioni Unite, la Corte di Cassazione ha specificato che se è vero che "la legge "antitrust" 10 ottobre 1990, n. 287 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse, processualmente rilevante, alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un'intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte ad un'intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore, acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, e, dall'altro, che il cosiddetto contratto "a valle" costituisce lo sbocco dell'intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti", siffatta violazione di interessi riconosciuti come rilevanti dall'ordinamento giuridico integra soltanto "potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 c.c.".
[4]  Tra i precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione in merito ricordiamo:  sentenza n. 887 del 20 giugno 2001; sentenza Cass., 1° febbraio 1999, n. 827, la quale statuisce che “la nullità di un’intesa anticoncorrenziale non investe soltanto l’eventuale negozio originario ma tutta la più complessa situazione anche ulteriore all’eventuale negozio, che in quanto tale realizza un ostacolo al gioco della concorrenza”.
[5]  In particolare, nella sentenza dell’11 giugno 2003, n. 9384, si legge che “dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dall’Autorità antitrust ai sensi dell’art. 2 l. n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti”.
[6] In BASTIANON S., il risarcimento del danno Antitrust, tra esigenze di giustizia e problemi di efficienza, si legge che “In effetti, il contratto «a valle» non si pone come qualcosa di diverso e di autonomo rispetto all’intesa a monte, ma rappresenta il momento attuativo di quest’ultima, per cui è la stessa illiceità della seconda che si riflette sul primo”.
[7] Cassazione 28 maggio 2014, n. 11904.
[8] L’art. 1421 c.c. afferma che in mancanza di indicazioni normative diverse, la nullità è assoluta. Pertanto, sarà legittimato a domandarne la dichiarazione chiunque ne abbia interesse e anche il giudice potrà rilevarla officiosamente. Parte della dottrina ritiene che, anche in mancanza di una espressa indicazione normativa, la nullità potrà essere considerata relativa qualora ciò sia dettato dalla ratio di tale invalidità. La disciplina a tutela della concorrenza è funzionale a permettere il migliore funzionamento del mercato, quindi il riconoscere una legittimazione generalizzata che potrebbe mettere in pericolo il normale funzionamento del mercato è contrario alle finalità della disciplina antitrust.
[9] Infatti, è opportuno tenere a mente che, mentre la nullità assoluta è rilevabile da chiunque ne abbia interesse, la nullità relativa prevede una legittimazione limitata ad alcuni soggetti.
[10] La nullità totale produce effetti dirompenti: rilevando la nullità, il fideiussore potrebbe opporsi a decreti ingiuntivi ed esecuzioni e, addirittura, avrebbe la possibilità di lucrare sul risarcimento del danno per illegittima segnalazione in Centrale dei Rischi.