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Pubbl. Gio, 15 Nov 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

L´arricchimento senza causa al vaglio delle Sezioni Unite

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Maria Avossa
Università degli Studi di Salerno


Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13 settembre 2018, n. 22404: l’azione contrattuale può essere modificata in quella di arricchimento senza causa.


Sommario: Introduzione; 1. L’arricchimento senza causa: nozione, fonti e ratio dell’istituto; 1.1. Gli elementi costitutivi ed i requisiti dell’azione di arricchimento senza causa; 1.2. L’obbligo restitutorio; 1.3. La sussidiarietà; 2. L’arricchimento senza causa della pubblica amministrazione e riconoscimento dell’utilità della prestazione; 3. La sentenza Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13 settembre 2018, n. 22404; 3.1. Il Caso; 3.2. Il Commento: analisi del contrasto giurisprudenziale; 3.3. La posizione delle Sezioni Unite della Suprema Corte; 4. Osservazioni conclusive; Note al testo e bibliografia.

Introduzione.

La recente pronuncia della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13 settembre 2018, n. 22404[1] risolve la questione relativa all’ammissibilità della domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ. proposta con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., nel corso di un processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale a carico di una P.A. La peculiarità della sentenza offre l’occasione di esaminare la disciplina dell’istituto definito all’art. 2041 cod. civ. soffermandosi sulla ratio e sulle dinamiche dell’arricchimento senza causa all’interno dell’ordinamento[2]. Di fatto, il corretto inquadramento della fattispecie fa da contraltare al discorso squisitamente processual-civilistico imbastito dalla Suprema Corte nella decisione in parola. Ad esso si riconducono sia il profilo dei caratteri strutturali dell’azione di ingiustificato arricchimento, sia quello della configurabilità della domanda rivolta nei confronti di una Pubblica amministrazione. Il rimedio offerto dall’art. 2041 cod. civ. - azionabile nei rapporti tra privati - trova ampia applicazione, anche, nei casi in cui si instaurino rapporti tra privati cittadini e P.A. in assenza di un valido contratto, per mancato rispetto delle procedure oppure nel caso in cui difettino della forma scritta. Di fatto, però, la possibilità di promuovere l’azione di arricchimento nei confronti della P.A. comporta che l’esercizio della stessa divenga fonte di spese prive di copertura, per le quali si genera la necessità di impiego di risorse pubbliche destinate ad altre finalità[3]. Di contro, però, l'apparato di tutela privatistica utilizzato in tali ipotesi giustifica l’utilizzo dell’azione in sé, anche verso la P.A., in virtù dell’applicazione del principio che vieta gli spostamenti patrimoniali tra soggetti in assenza di una giustificazione obiettiva in termini di meritevolezza.  Per tale motivo, l’azione dell’art. 2041 cod. civ., esperibile nei confronti della P.A., ha per lungo tempo presentato caratteri di specialità (rispetto alla previsione codicistica di natura generica), proprio a causa della particolare natura dei soggetti interessati, dotandosi del diverso presupposto dell’“utilitas” (una prestazione vantaggiosa) per l’Amministrazione stessa, che integra il requisito dell’“arricchimento”, previsto dall'art. 2041 cod. civ. L’utilità per la P.A corrisponde, nella logica generale dei criteri dell’azione amministrativa ad un fattore di contenimento entro i cui limiti la P.A. evita di essere esposta al rischio di indebite imposizioni di una responsabilità da arricchimento[4].

Alla luce di tanto appare ineludibile l’analisi dell’istituto dell’arricchimento senza causa ed il suo esatto inquadramento giuridico, anche, sotto il particolare profilo della sua esperibilità nei confronti della P.A., prodromico all’esame dell’aspetto propriamente procedurale, a ragione del quale l’azione contrattuale può essere modificata in quella di arricchimento senza giusta causa, così come contemplato nell’attuale orientamento nomofilattico della Suprema Corte in sentenza 13 settembre 2018, n. 22404.

1. L’arricchimento senza causa: nozione, fonti e ratio dell’istituto.

La disciplina dell’arricchimento senza causa trova collocazione sistematica nell’art. 2041 cod. civ. L’istituto delineato dalla norma[5] si presenta come una azione di carattere generale. Attraverso il suo esperimento impone a chi si è arricchito in danno ad un altro soggetto, senza giusta causa, un obbligo indennitario ovvero restitutorio, qualora si tratti di cosa determinata sussistente al tempo della domanda. L’origine del concetto di indennizzo previsto dalla norma, in favore del soggetto che abbia patito senza motivo (causa) una diminuzione patrimoniale, affonda le radici nei tempi remoti della tradizione romanistica classica[6], anche se non rivestiva il carattere odierno di azione generale delineata dal codice civile del 1942[7]. L’introduzione di questo istituto nel codice vigente nasce dall’esigenza di dare una codificazione ad una “clausola di salvaguardia” che le parti private abbiano facoltà di utilizzare quando gli altri strumenti giuridici a loro disposizione non siano in grado soddisfare le esigenze delle medesime. Nel nostro sistema di diritto, l’azione di ingiustificato arricchimento riveste uno spazio marginale data la sua natura sussidiaria (art. 2042 cod. civ.)[8] e la collocazione sistematica dell'istituto a ridosso delle figure della gestione d'affari altrui e della ripetizione dell'indebito.

La logica degli artt. 2041 e 2042 cod. civ. corrisponde alla funzione stessa dell’istituto voluto dal legislatore del 1942. Di fatto, la fattispecie dell’azione di arricchimento senza causa è ispirata ad una esigenza di giustizia commutativa tale da giustificare la sua ricomprensione nell’art. 1173 cod. civ. - ossia in quei “fatti idonei a produrre obbligazioni” giuridicamente vincolanti per l’ordinamento - questo perché il nostro ordinamento è caratterizzato dal principio della causalità poggiata sul limitrofo principio di meritevolezza dei vincoli giuridici, destinati a realizzare l’assunto delineato dall’art. 41 della Cost. Ciò significa che l’ordinamento giuridico consente la validità di un vincolo giuridico non semplicemente fondato su di un mero patto ma su di un interesse da realizzare che, al tempo stesso, sia ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. L’ordinamento, quindi, reagisce a tutti gli eventuali spostamenti patrimoniali che non siano causalmente giustificati dalla meritevolezza dell’operazione economica in base a quanto prescritto dall’art. 1322, co. 2 cod. civ., potendo lo stesso sindacare le relative operazioni economiche dal punto di vista causale. Nell’art. 2041 cod. civ. - norma di chiusura e chiamata ad operare in via residuale[9] - si codifica uno strumento di tutela volto a ripristinare l’assetto patrimoniale modificatosi ingiustamente. L’azione di arricchimento - pur se disciplinata fra le fonti delle obbligazioni - non troverebbe il suo fondamento in una precisa situazione (quale il contratto, il fatto illecito, la gestione di un negozio, ecc.) ma nell'esigenza di “riparare uno squilibrio che si è manifestato senza adeguato fondamento[10].  La ratio dell’istituto è, quindi, identificabile attraverso il principio di necessaria causalità delle attribuzioni patrimoniali, in forza del quale non è consentito uno spostamento o trasferimento di ricchezza da un soggetto ad un altro senza che esso sia sorretto da una valida e idonea giustificazione causale.

1.1. Gli elementi costitutivi ed i requisiti dell’azione di arricchimento senza causa.

I presupposti per agire con l'azione di arricchimento sono delineati dall'art. 2041 cod. civ. Essi sono: 1. il verificarsi di uno spostamento patrimoniale, che può derivare da una prestazione o da un evento di altro genere; 2. il determinarsi di un vantaggio economico a favore di una parte (arricchimento) che deve perdurare fino alla proposizione della domanda, cui deve corrispondere un impoverimento (diminuzione patrimoniale) del soggetto che agisce in giudizio; 3. il nesso di causalità fra arricchimento e impoverimento (correlazione tra locupetazione e depauperamento); 4. la mancanza di giustificazione dell’arricchimento; 5. l’inesistenza di un’altra azione proponibile per ottenere l’indennizzo del pregiudizio subìto (art. 2042 cod. civ.).

1.2. L’obbligo restitutorio.

Nell’actio de in rem verso si pone la questione giuridica dell’eventuale indennizzo che il titolare della sfera giuridica incisa può ottenere nei riguardi di chi, con il suo comportamento si è, di fatto, sostituito in prerogative tipiche del titolare del diritto. L’aspetto peculiare dell’arricchimento senza causa è dato non solo dalla concreta quantificazione dell’indennizzo, ma dal rapporto sussistente tra tutela risarcitoria, tipica del fatto illecito e la tutela meramente restitutoria quale reazione all’ingiusto arricchimento. Si è detto (si veda infra § 1) che l’arricchimento senza causa trova fonte nell’art. 1173 cod. civ. e viene collocato strutturalmente nell’alveo dei fatti “leciti” costitutivi di obbligazioni giuridicamente vincolanti e, di conseguenza, non appartenenti al novero dei fatti illeciti.

La stessa natura di azione restitutoria dell’art. 2041 cod. civ. differenzia, poi, l’indennizzo dall’obbligo risarcitorio per fatto illecito e inadempimento, giacché questi ultimi sono parametrati al danno, anche, dove questi corrisponda ad un valore superiore del vantaggio economico ottenuto. Per il principio generale dell’art. 1223 cod. civ. in tema di risarcimento per l'inadempimento o per il ritardo, il danno deve comprendere, così, la perdita subita dal creditore come, anche, il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. Il risarcimento è rapportato al danno emergente ed al lucro cessante prodottosi nel patrimonio della vittima e resta irrilevante l’arricchimento del danneggiante.

Ciò non succede nella commisurazione dell’indennizzo ex art. 2041 cod. civ. L’art. 2041 co. 1 cod. civ. comporta che l’obbligo restitutorio non possa superare il limite dell’arricchimento. Secondo l’impostazione prevalente l’indennizzo dovuto dall’arricchito va parametrato alla minor somma tra l’arricchimento del soggetto e l’impoverimento del soggetto tutelato [11]. In giurisprudenza è stato più volte ribadito[12] il principio che limita l'indennizzo di cui all'art. 2041 cod. civ. alla sola diminuzione patrimoniale subita dal soggetto, senza tenere conto del lucro cessante. A ciò si aggiunga che l’obbligo di corrispondere l’indennizzo dovuto per l’arricchimento senza causa proprio perché diretto a reintegrare una diminuzione patrimoniale è debito di valore e non di valuta. Ne consegue la rivalutazione monetaria e la debenza - a far data dal verificarsi dell’arricchimento - degli interessi compensativi diretti a coprire l’ulteriore pregiudizio del creditore per il mancato godimento del bene. Qualora l’arricchimento concerna una cosa materiale colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura laddove essa sussista al momento della domanda.

1.3. La sussidiarietà.

La condizione di applicabilità dell’actio in rem verso si fonda sul presupposto indicato testualmente dall’art. 2042 cod. civ. Per tale norma l’azione di arricchimento si rende esperibile quando il danneggiato non abbia altra possibilità “giuridica” di farsi indennizzare del pregiudizio subìto (principio di sussidiarietà). Resta esclusa la proponibilità dell’azione di arricchimento sine causa sia quando il danneggiato possa esercitare un'altra azione per fronteggiare l'impoverimento, e sia nel caso in cui la relativa azione che si sarebbe potuta esperire si fosse prescritta[13] o la parte fosse decaduta dall'azione. La tutela, così, perduta non potrà essere recuperata mediante lo strumento dell'ingiustificato arricchimento. Il carattere sussidiario dell’azione è stato oggetto – sia in dottrina che in giurisprudenza - di due visioni interpretative contrapposte in merito alla portata del requisito: una riconducibile alla sussidiarietà in “concreto” e l’altra in “astratto”[14]. Il contrasto è stato superato dalla Suprema Corte con una pronuncia del 2008[15] (che presenta ancora caratteri di attualità), nella quale viene chiarito che «l’azione di arricchimento ex art. 2041 c.c., stante il suo carattere sussidiario, deve ritenersi esclusa in ogni caso in cui il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto, prescindendo, quindi, dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito». Pacifica e condivisa resta, in ogni caso, la circostanza che gli artt. 2041 e 2042 c.c. vadano interpretati nel senso di precludere l'esercizio della azione in parola laddove sia astrattamente possibile l'esperimento di altro rimedio tipico, potendo essere esercitata solo quando manchi del tutto un'azione nei confronti dell'arricchito, o di altre persone, che trovi titolo in un contratto o nella legge. Questo dato però, a ben valutare in base a varie pronunce della giurisprudenza, non impedisce che l'azione possa essere proposta in via subordinata rispetto ad una domanda principale, quale potrebbe essere, in ipotesi, una domanda di adempimento. Recenti pronunce della Corte di Cassazione, tra cui la n. 20871 del 2015, hanno sottolineato come tuttavia la domanda di arricchimento sine causa possa considerarsi ammissibile (soltanto) allorquando l’azione tipica dia esito negativo per carenza ab origine dell’azione stessa derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento[16] [17].

2. L’arricchimento senza causa della Pubblica Amministrazione e riconoscimento dell’utilità della prestazione.

L’applicazione della prospettiva rimediale di cui all’art. 2041 cod. civ. nei riguardi della pubblica amministrazione è pacificamente ammessa laddove riceva un vantaggio patrimoniale a mezzo di una prestazione posta in essere da un soggetto privato in assenza di una giusta causa. Sussistono, però, elementi specifici per l’esperibilità dell’azione di arricchimento connessi sia alla particolarità del soggetto sia alla disciplina cui è improntato il modus agendi della P.A. La pubblica amministrazione gestisce risorse della collettività ed è portatrice di interessi pubblicistici, la cui organizzazione deve essere improntata a regole generali di imparzialità, efficacia, efficienza, oltre che al principio di buon andamento della P.A. espresso dall’art. 97 Cost. Alla luce di ciò la quasi unanime giurisprudenza di legittimità e di merito ritiene il rimedio dell’art. 2041 cod. civ. dotato del carattere della specialità rispetto alla azione ordinaria prevista dalla citata norma[18]. La conseguenza è che l’esperibilità dell’azione di arricchimento senza causa presuppone il preventivo riconoscimento dell’utilità ricevuta dalla P.A. quale forma di tutela da imposizioni derivanti da azioni volontarie di privati che agiscano in assenza di previa autorizzazione della pubblica amministrazione. E’ da dire che, nel tempo, si è acceso in tema un contrasto all’interno della giurisprudenza di legittimità. Una parte ha ritenuto assolutamente ineludibile il riconoscimento (in modo formale o implicito) della utilitas dell’opera o del servizio o della prestazione proveniente della parte della stessa P.A.[19] - quanto meno da organi rappresentativi dell’ente pubblico[20] -. L’impostazione muove dalla considerazione che la Pubblica Amministrazione sia in grado di valutare al meglio l’effettiva rispondenza all’interesse pubblico che essa istituzionalmente persegue. Il requisito dell’utilitas, in quest’ottica si risolve in una valutazione discrezionale compiuta dalla stessa P.A. e, dunque, inteso in un’ottica puramente soggettiva. L’orientamento giurisprudenziale di segno opposto, invece, ha perorato come necessaria la sussistenza di un requisito ulteriore rispetto a quelli indicati nel Codice civile agli artt. 2041- 2042 cod. civ., evidenziando, però, come la valutazione dell’utilità potesse essere effettuata anche dal giudice[21]. Della questione sono state investite la Sezioni Unite della Cassazione che, con sentenza del 26 maggio 2015 n. 10798, sono intervenute a monte sulla necessità di un carattere specialità quale il requisito del riconoscimento della utilitas. La Suprema Corte ha chiarito che l’istituto di cui all’art. 2041 cod. civ. trova applicazione sia nei confronti del soggetto privato sia nei confronti della P.A., cosicché rispetto a quest’ultima non potranno essere invocati requisiti non previsti dalla fattispecie in esame. Conseguenza diretta ne è che non dovrà essere fornita da parte dell’attore ex art. 2041 la prova dell’intervenuto riconoscimento dell’utilità dell’opera o della prestazione indebita da parte della P.A. Il privato attore deve, invece provare (ed il giudice accertare) il “fatto oggettivo dell’arricchimento”, senza che la P.A. possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo quest’ultima, invece, eccepire e dimostrare l’involontarietà o la non consapevolezza dell’arricchimento imposto. Di fatto, l’indennizzo non è dovuto se l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perché inconsapevole del reventum utilitatis[22]. In sostanza, la Corte profila una valutazione “oggettivata” dell’arricchimento, dovendosi escludere che la qualificazione pubblicistica dell’arricchito possa essere evocata a fondamento di una riserva di discrezionalità in punto di riconoscimento dell’arricchimento o del suo ammontare. In relazione alla portata della pronuncia delle Sezioni Unite in parola, corre, anche, l’onere di riflettere come la riserva di discrezionalità della P.A. - in punto di utilità di arricchimento - abbia subito un notevole ridimensionamento per effetto del D.L. n. 66/1989 conv. in L. n. 144/1989 che in tema di assunzione di spese ed impegni da parte degli enti locali, prevede che ogni spesa debba essere assistita da un provvedimento dell’organo deliberativo e da uno specifico impegno contabile registrato nel relativo bilancio di previsione, costituendosi in mancanza il rapporto obbligatorio direttamente con il funzionario[23].

3. La sentenza Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13 settembre 2018, n. 22404.

Acclarato che gli orientamenti prevalenti della giurisprudenza non impediscono che l'azione ex art. 2041 cod. civ. possa essere proposta in via subordinata rispetto ad una domanda principale nell’atto introduttivo della stessa, sia pur con il limite tracciato della Corte di Cassazione nella citata sentenza n. 20871 del 2015 (cioè, subordinandone l’ammissibilità all’ esito negativo per carenza ab origine dell’azione tipica derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento[24]), resta da capire se l’azione di arricchimento senza giusta causa e la richiesta del relativo indennizzo siano proponibili “per la prima volta” con memoria ex art. 183 co. 6 n.1 cod. proc. civ. Il quesito è stato sottoposto al vaglio delle Sezioni Unite della Suprema Corte dalla Seconda Sezione civile designata per la trattazione della procedura mediante ordinanza interlocutoria n. 7079/17 del 20 marzo 2017 con trasmissione degli atti al Primo Presidente, ponendo il quesito: “se nel giudizio promosso nei confronti di una Pubblica Amministrazione per l'adempimento di un'obbligazione contrattuale la parte possa modificare la propria domanda in una richiesta di indennizzo per arricchimento senza causa con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1". La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, investita della questione si è pronunciata con la sentenza del 13 settembre 2018, n. 22404 dichiarandone l’ammissibilità “qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di una domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata[25].

3.1. Il Caso.

Un professionista convenne con atto di citazione un Comune innanzi al Tribunale di Torino, chiedendone la condanna al pagamento di un importo, oltre interessi, a titolo di corrispettivo per l'incarico di progettazione di una Circonvallazione nel Comune convenuto. La sua richiesta faceva riferimento ad una convenzione. Il Comune si costituiva in primo grado e si difendeva eccependo, tra l'altro, la nullità delle deliberazioni di affidamento dell'incarico, motivandone l’assunto sulla circostanza che esse erano prive sia della quantificazione dell'ammontare complessivo dovuto sia dei mezzi per farvi fronte. Sulla base delle difese del Comune, il professionista, con la “prima” memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., propose domanda succedanea e subordinata di arricchimento senza causa con richiesta di liquidazione del relativo indennizzo in suo favore. Il giudice di prime cure dichiarò l'inadempimento del Comune, condannandolo al pagamento del compenso richiesto. Nessuna nullità venne rilevata. La sentenza di primo grado venne riformata in grado di appello ove fu dichiarata la nullità delle delibere e, di conseguenza, anche il contratto di prestazione d'opera professionale. Quanto alla domanda ex art. 2041 cod. civ. seguiva declaratoria di inammissibilità della domanda subordinata di arricchimento senza causa, perché considerata domanda nuova, non proponibile con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, cod. proc. civ. Propose ricorso per Cassazione il professionista basandolo su due motivi. Il primo motivo denunciava la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 383 del 1934, artt. 284, 285 e 288 e contestava la ritenuta insussistenza dei requisiti di validità dell'obbligazione assunta dal Comune. Il secondo motivo lamentava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2041 cod. civ. e art. 183 cod. proc. civ. e dei principi che regolano l'azione di ingiustificato arricchimento, contestando la ritenuta inammissibilità della domanda di indennizzo per arricchimento senza causa poiché non proposta in citazione ma con la memoria ex art. 183 cod. proc. civ., comma 6, n. 1.

3.2. Il Commento: analisi dei contrasti giurisprudenziali antecedenti alla sentenza Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13 settembre 2018, n. 22404.

La Seconda Sezione civile della Corte designata per la trattazione del ricorso nell’ordinanza interlocutoria n. 7079/17 del 20 marzo 2017 trasmise gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ponendo la questione: “se nel giudizio promosso nei confronti di una Pubblica Amministrazione per l'adempimento di un'obbligazione contrattuale la parte possa modificare la propria domanda in una richiesta di indennizzo per arricchimento senza causa con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1".

La rimettente Seconda Sezione civile della Cassazione rileva sul punto un contrasto giurisprudenziale sulla tematica della proposizione della richiesta di indennizzo per arricchimento senza causa avanzata per la “prima volta” con memoria ex art. 183, co. 4 n. 1 cod. proc. civ., se e in quanto qualificata come “nuova” rispetto a quella originaria di adempimento contrattuale nei confronti della P.A.

Lo stato dell’arte delle posizioni della Corte di Cassazione in tema si manifesta, invero, alquanto articolato. Una prima posizione giurisprudenziale è individuabile in una risalente pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 4712 del 22.05.1996 che ha dato modo di precisare che la richiesta di indennizzo ex art. 2041 cod. civ. costituisce domanda nuova rispetto a quella di adempimento, non trattandosi di articolazioni di un’unica matrice ma concernendo entrambe diritti etero-determinati, il cui accertamento presuppone la verifica della sussistenza di fatti costitutivi sensibilmente divergenti fra loro.

In base a tale orientamento giurisprudenziale, la domanda ex art. 2041 c.c. si presenta diversa da quella di adempimento contrattuale, perché fondata su fatti costitutivi distinti e idonei ad individuare diritti eterodeterminati.

In base a tale logica, se le due azioni hanno elementi costitutivi diversi, non può che concludersi che, qualora si operi un passaggio dall'una all'altra domanda ci si trova al cospetto di una “mutatio libelli” con la conseguente inammissibilità della nuova domanda[26].

Anche di fronte a questo arresto giurisprudenziale[27] non è mancato un versante giurisprudenziale di segno inverso in forza del quale dovrebbe essere ritenuta ammissibile la proposizione della domanda di arricchimento senza giusta causa, purché nel giudizio siano presenti tutti gli elementi costitutivi della relativa azione. In tal senso, l’azione di arricchimento si presenterebbe come una diversa qualificazione di fatti già introdotti in causa[28]. Il mutamento della domanda - per questa impostazione - è inammissibile solo quando, per effetto di esso, mutino i fatti materiali posti a fondamento della pretesa, mentre resta irrilevante il mero mutamento della loro qualificazione giuridica. Quest’orientamento prende forma con riferimento al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in ragione del richiamo delle norme del rito ordinario di cui all'art. 645 cod. proc. civ. Ne consegue che nel caso in cui venga proposta da un professionista una domanda in sede monitoria per il pagamento di compensi a lui dovuti da un ente locale, e successivamente, nella fase di opposizione, l'opposto invochi il pagamento del medesimo credito a titolo di ingiustificato arricchimento, fondata sui medesimi fatti posti a fondamento della domanda originaria, non sussiste alcun mutamento inammissibile di quest'ultima[29].

Il contrasto trova soluzione con sentenza n. 26128 del 27.12.2010 della Suprema Corte, la quale chiarisce come nel giudizio conseguente alla opposizione a decreto ingiuntivo, sia ammissibile la domanda di ingiustificato arricchimento da parte dell’opposto indicata per la prima volta in sede di comparsa di costituzione e risposta, solo se l’opponente introduca in causa un ulteriore tema di indagine che potesse giustificare la richiesta. Pertanto, all'opposto sarebbe consentito proporre la domanda di arricchimento senza causa, diversa da quella introdotta con l'ingiunzione, purché tale esigenza nasca dall'attività processuale della parte opponente manifestata nel primo atto del giudizio di opposizione e purché la domanda nuova sia proposta - come per il giudizio ordinario avviene nel primo momento utile e cioè nell'udienza di prima comparizione delle parti ex art. 183 c.p.c. - nel primo atto difensivo reso a seguito delle difese contenute nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, cioè la comparsa di costituzione e risposta[30]. In caso contrario, la conseguenza sarebbe nel segno dell’inammissibilità della domanda, rilevabile ex officio dal giudice. Secondo tale ragionamento, sarebbe, così, validamente incardinata la domanda nuova, purché scaturente dalle difese di controparte. Tuttavia occorre, nella fattispecie della domanda di ingiusto arricchimento ex art.  2041 cod. civ.,  tenere  ben  presente  sia  il carattere sussidiario dell’actio de in rem verso (espressamente previsto dall'art. 2042 c.c.), sia - nel caso si tratti di una Pubblica Amministrazione - il disposto di cui all'art. 23, comma 4, D.L. 02.03.89 n. 66, convertito dalla L. 24.04.89 n. 144, relativo alla necessità di un preventivo atto formale scritto ad substantiam, costituente la prova storica documentale e di evidenza pubblica della formazione e del perfezionamento del negozio, soggetto al controllo di efficacia dell'organo di controllo, costituente  la  formazione  di  impegni  di  spesa  per  l'amministrazione  locale.

Nel quadro normo-giurisprudenziale che si è venuto così a creare, per quanto sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 4712 del 22.05.1996, i Giudici di legittimità mettono ordine fra le contrapposte tesi condividendo quella che ritiene la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa una domanda nuova rispetto a quella di adempimento contrattuale, perché diverso è il bene giuridico richiesto e diversa è la causa petendi.

Successivamente a tale pronuncia, la Corte di Cassazione con sentenza n. 12310 del 15.06.2015 a Sezioni Unite riaffronta la tematica dello ius variandi e ritiene ammissibili solo le domande che costituiscano, rispetto alla richiesta originariamente fatta valere in giudizio, una semplice o mera “emendatio libelli”. La ragione di ciò si basa sul fatto che questa non si concretizza in una pretesa del tutto diversa rispetto a quella originaria fondata su situazioni giuridiche mai prospettate che pongano all’attenzione del giudice un nuovo tema di accertamento giudiziale. La sentenza muove da una ricognizione della struttura dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. evidenziando che, in relazione all'esercizio dello ius variandi, la giurisprudenza afferma il tradizionale principio secondo il quale sono ammissibili solo le modificazioni della domanda introduttiva che costituiscono semplice emendatio libelli, ravvisabile quando non si incide nè sulla causa petendi nè sul petitum, mentre sono assolutamente inammissibili quelle modificazioni della domanda che costituiscono mutatio libelli, ravvisabile quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima ed, in particolare, su di un fatto costitutivo differente, così ponendo al giudice un nuovo tema d'indagine e spostando i termini della controversia.

3.3. La posizione delle Sezioni Unite della Suprema Corte.

La questione individuata dagli Ermellini nella sentenza Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13 settembre 2018, n. 22404 consiste nel qualificare l’introduzione dell’azione ex art. 2041 cod. civ. - per la prima volta - tramite memoria di cui all’art 183, co. 6, n. 1 cod. proc. civ. come una mutatio o emendatio libelli, al fine di escluderne (nel primo caso come domanda nuova) o consentirne (nel secondo caso come domanda modificata) l’ammissibilità. Altro problema che affrontano le Sezioni unite è sul “se” ed “in che termini” la proposizione di una tale domanda incorra nelle preclusioni previste dal codice di rito. La soluzione passa attraverso l’accertamento giudiziale volto a verificare se le domande proposte siano inerenti alla medesima vicenda dedotta in giudizio intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale. Rapportando quanto esprime la Suprema Corte in sentenza in commento al caso concreto, si coglie il tenore della soluzione approntata favorevolmente alla ammissibilità dell’azione ex art. 2041 cod. civ. promossa per la prima volta tramite memoria di cui all’art. 183, co. 6, n. 1 cod. proc. civ. Si legge in sentenza che: “…La decisione della Corte territoriale è conforme al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di contratto d'opera professionale stipulato da un ente locale. Come pure posto in rilievo dalla medesima Corte territoriale, il contrasto insorto sulla questione "se la nullità dell'atto deliberativo di un ente pubblico locale, col quale viene conferito un incarico professionale di redazione di un progetto per un'opera pubblica, per difetto dei requisiti (previsione dell'ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte) stabiliti dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 284, determini la nullità anche del contratto tra l'ente e il professionista...", è stato composto con la sentenza di queste Sezioni Unite n. 12195 del 10 giugno 2005, con la quale è stato affermato che, nel vigore del combinato disposto del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 284 e 288 (Testo unico della legge comunale e provinciale), la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista privato l'incarico per la progettazione di un'opera pubblica, è valida e vincolante nei confronti dell'ente locale soltanto se contenga la previsione dell'ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte; l'inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della delibera, nullità che si estende al contratto di prestazione d'opera professionale poi stipulato con il professionista, escludendone l'idoneità a costituire titolo per il compenso (v. anche Cass., 29/10/2009, n. 22922; Cass. 17/07/2013, n. 17469)…”[31]. La Corte prende, anche, in considerazione che i ricorrenti rappresentano di aver formulato la domanda di arricchimento senza giusta causa domanda con memoria ex art. 183 cod. proc. civ., a seguito dell'eccezione di nullità della delibera di incarico e del contratto relativo sollevata dal convenuto Comune nella comparsa di risposta, e, comunque, sulla base di circostanze di fatto già allegate nell'atto introduttivo con riferimento alla domanda di adempimento contrattuale.

La soluzione del Supremo Collegio è quella di dare continuità all'indirizzo indicato con la sentenza Sezioni Unite n. 12310 del 2015, in tema di esercizio dello ius variandi nel corso del processo poiché, superando in senso evolutivo il criterio della differenziazione di petitum e causa petendi su cui si basava il precedente orientamento cui pure si è fatto riferimento, sposta l'attenzione dell'interprete dall'ambito circoscritto di una valutazione relativa alla invarianza degli elementi oggettivi (petitum e causa petendi) della domanda modificata rispetto a quella iniziale, in una prospettiva di più ampio respiro, volta alla verifica che entrambe le domande ineriscano alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all'esame del giudice e, rispetto alla quale, la domanda modificata sia più confacente all'interesse della parte. Occorre, però, verificare se la domanda di arricchimento senza causa, come proposta nel giudizio all'esame con la memoria ex art. 183 co. 6 cod. proc. civ. sia riconducibile alla nozione di "domanda modificata" ritenuta ammissibile con la sentenza n. 12310 del 2015. Nel caso specifico, entrambe le domande proposte (di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa) si riferiscono alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, intesa come unica vicenda in fatto che delinea un interesse sostanziale. Inoltre, sono attinenti al medesimo bene della vita, tendenzialmente inquadrabile in una pretesa di contenuto patrimoniale (pur se, nell'una, come corrispettivo di una prestazione svolta e, nell'altra, come indennizzo volto alla reintegrazione dell'equilibrio preesistente tra i patrimoni dei soggetti coinvolti). Inoltre, si osservi che entrambe le domande sono legate da un rapporto di connessione "di incompatibilità", non solo logica ma, addirittura, normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell'azione di arricchimento, ai sensi dell'art. 2042 c.c., e tale nesso giustifica ancor di più il ricorso al simultaneus processus, dato che la domanda introdotta è, in ogni caso, connessa alla vicenda processuale.

In estrema sintesi le Sezioni Unite arrivano ad elaborare il seguente principio di diritto: “è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata”.

4. Osservazioni conclusive. 

Con la sentenza n. 22404 del 13 settembre 2018 le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto una questione processuale di particolare importanza sull’ammissibilità della trasformazione della domanda di natura contrattuale in quella – che presuppone un diverso titolo e che riveste carattere sussidiario – di ingiustificato arricchimento, propendendo per la soluzione positiva, così proseguendo nel percorso di una sempre più marcata evaporazione della tradizionale distinzione tra “mutatio” ed “emendato libelli” inaugurato in modo decisivo dalle stesse Sezioni Unite con la precedente sentenza n. 12310 del 2015. Nel ribadire il principio di diritto già affermato dal precedente giurisprudenziale, le Sezioni Unite con la sentenza n. 22404 del 2018 affermano che la modifica del titolo di domanda (da quella di adempimento a quella di arricchimento sine causa) è ammessa, a norma dell’art. 183, sesto comma n.1 cod. proc. civ., e può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi) sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che perciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali.

Nella pronuncia della Corte si evidenzia un altro dato essenziale: quello della connessione “per incompatibilità normativa” nel simultaneus processus. Nel caso di specie, le domande proposte dal professionista-progettista erano legate da un rapporto di connessione "di incompatibilità", non solo logica ma addirittura normativamente prevista, stante il carattere sussidiario dell'azione di arricchimento, ai sensi dell'art. 2042 cod. civ. L’azione ex art. 2041 cod. civ. proposta, in via subordinata, con la prima memoria ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, intanto è ammissibile in quanto e qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda che ha comunque in comune “una vicenda sostanziale connessa” a quella inizialmente formulata. Il principio di diritto formulato dagli Ermellini, a sommesso parere di chi scrive, risulterebbe valorizzare il dato strutturale della fattispecie, cioè il carattere sussidiario dell’azione di arricchimento senza giusta causa, che va al di là del problema processuale del momento della introduzione della domanda, connettendo direttamente il presupposto di azionabilità del rimedio di cui all’art. 2042 cod. civ. alla sua stessa funzione, cioè agire in tutela ove ogni altra azione di tutela manchi, anche se ciò si determini nell’iter di un processo già in corso e nei limiti, in ogni caso, di una “connessione” alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, senza con ciò alterare la regolare procedura del giudizio.

 

Note al testo e bibliografia.
[1]La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 13 settembre 2018, n. 22404, Presidente R. Rordorf, Relatore A. Scrima, a risoluzione di contrasto, ha affermato che è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa, proposta in via subordinata con la prima memoria ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., nel corso del processo introdotto con domanda di adempimento contrattuale, qualora si riferisca alla stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa (per incompatibilità) a quella inizialmente formulata. Testo integrale della pronuncia in www.cortedicassazione.it.
[2]P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Giuffrè Editore, 1991 par. 286; P. GALLO, Arricchimento senza causa e quasi contratti, Utet, 2008. A. ALBANESE, Ingiustizia del profitto ed arricchimento senza causa, Cedam, 2005. A. TORRENTE, Manuale di diritto privato, Giuffrè, 2007, cap. LIV, par. 453. F. CARINGELLA, Manuale di diritto civile, Dike Editore, 2010, Sezione IV, cap. V. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XVIII edizione aggiornata e con riferimenti di dottrina e di giurisprudenza, Edizioni scientifiche italiane, 2017. G. Chiné, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, IX edizione, Nel diritto Editore, 2017/2018. Si veda anche, G. ANDREOLI, L’ingiustificato arricchimento, Milano, 1940; L. BARASSI, La teoria generale delle obbligazioni, 2^ ediz., Milano, 1948; BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato, 4^, Torino, 1955, II.; E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1954; C. M. BIANCA, Diritto civile – La responsabilità, 5, Milano, 1995; CASTIONI, Il divieto di ingiusto arricchimento come principio generale di diritto, in Riv. Dir. Comm., 1925, I, 340; R. DE NOVA, Obbligazioni, in Enc. Dir., XXIX, 496; DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 1993; MASSARI, Intorno all’azione di arricchimento senza causa, in Giust. Civ., 1953, pagg.695-716; U. MORI-CHECCUCCI, L’arricchimento senza causa, Firenze, 1943; P. RESCIGNO, Trattato di diritto privato - Obbligazioni e contratti, I, Torino, 1984.
[3] CAPRIELLO L., L’arricchimento ingiustificato, 2018, Maggioli Editore.
[4] Anche in dottrina si è evidenziato che il c.d. indebito arricchimento della pubblica amministrazione delinea, in realtà, una figura giuridica distinta dall’art. 2041 c.c., di per sè riconducibile ad un principio generale di equità di cui è espressione, anche, l’art. 2041, figura di origine giurisprudenziale che, nella sua autonomia, pone problematiche applicative diverse da quelle che suscita l’art. 2041.
[5]Recita l’articolo 2041 c.c.: Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un'altra persona, è tenuto, nei limiti dell'arricchimento, a indennizzare quest'ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l'arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata colui che l'ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda.
[6]Il diritto romano non contemplava un’azione generale ma vari rimedi di tutela riconducibili alla tipologia del quasi contratto. A tali rimedi è riconducibile la condictio che rappresenta l’antesignano della attuale azione di ripetizione di indebito. La matrice archetipale dell’azione di arricchimento si può rintracciare, invece nell’actio de in rem verso, nota come actio originariamente esperibile nei confronti del dominus che avesse ottenuto un profitto nella propria sfera giuridico-patrimoniale a seguito del negozio concluso dal pupillo o dallo schiavo, nei limiti dell’effettivo arricchimento. Per una disamina in chiave storica delle condictiones e dell'actio de in rem verso, della loro evoluzione attraverso il diritto romano, medioevale e moderno si vedano: B. Kupisch, Arricchimento del diritto romano, medioevale e moderno, in Dig. Disc. priv., (sez. civile), Torino, 1987; F. Giglio, La actio de in rem verso nel sistema del codice civile, in Riv. dir. civ., 2000; P. Gallo, Introduzione al diritto comparato, Vol. II, Istituti giuridici, Terza Edizione, G. Giappichelli editore, Torino, 2018.
[7]Va tenuto presente che il precedente codice civile del 1865 non ha apprestato alcuna disciplina della generale azione di arricchimento senza causa. Solo verso la fine del XIX secolo la giurisprudenza italiana ha inziato a dare riconoscimento all'azione di arricchimento, applicandolo in tutti i casi in cui vi fosse « ingiusta locupletazione di una parte in danno di un'altra e la legge positiva non appresti altro rimedio giuridico speciale al fine di costringere chi ingiustamente si arricchisca a risarcire, quatenus locupletor factus sit » , posto che « la legge non permette l'indebito arricchimento a danno altrui ». Si citano, qui, Cass. Firenze, 24 febbraio 1898, in Foro it., 1898, I, 322 e Cass. Torino, 10 dicembre 1897, in Giur. tor., 1898, 40.
[8]La “sussidiarietà dell’azione” è interpretata dalla dottrina in due modalità tra loro distinte. Una prima posizione si fonda sul presupposto che l’actio in rem verso possa essere esperibita solo se astrattamente non è azionabile altro tipo di tutela giuridica in quanto altrimenti l’azione di arricchimento potrebbe prestarsi all’aggiramento di eventuali prescrizioni o preclusioni delle azioni tipiche. Un secondo versante della dottrina considera la sussidiarietà “in concreto”. In questa accezione il concetto di sussidiarietà è da intendersi come “residualità”. Ciò vuol dire che l’azione di arricchimento è esperibile quando, pur avendo il legislatore previsto altre azioni in astratto, esse non siano più percorribili in concreto. Una terza posizione è però da segnalare ed è quella assunta dalla giurisprudenza che assume una posizione mediata tra le due posizioni precedenti. L’astrattezza ovvero la concretezza della sussidiarietà sarebbe da valutare è in correlazione con la natura del rapporto tra arricchito e impoverito. Precisamente quando v’è un rapporto diretto opera la sussidiarietà in astratto. Quando, invece ci sia un rapporto mediato, la sussidiarietà opera in “concreto”, e così attribuisce all’impoverito la facoltà di agire dopo aver inutilmente esperito l’azione contrattuale nei riguardi del terzo.
[9]L’elemento della residualità è stato interpretato da varie sentenze della Suprema Corte tra le quali si annovera Cassazione Sez. II, 21 luglio 2009 n. 16964.
[10]Si veda in tal senso A. Trabucchi, voce Arricchimento (Diritto civile), in Enc. dir., Vol. III, 1958.
[11]Il concetto di perdita («diminuzione patrimoniale») non coincide con quello più ampio di danno. Ciò esclude all'interno dell’azione di arricchimento ingiustificato ogni domanda di lucro cessante poiché la funzione dell’azione non è risarcitoria (restitutio in integrum) ma restitutoria cioè quella di “riparare al più grave squilibrio formatosi senza adeguata giustificazione”. Ne consegue che l'indennità di cui all'art. 2041 si intende quantificata nella minor somma tra l'arricchimento del responsabile e l'impoverimento del soggetto leso. In tal senso si veda I. Garaci, La reversione degli utili tra tecniche risarcitorie e restitutorie, Rivista di Diritto Industriale, fasc. 6, 2017, pag. 313.
[12]Cfr. fra le varie Cass. 13 settembre 2016, n. 17957, Cass. 14 ottobre 2011, n. 21227, in Giust. civ. Mass., 2011, 10, 1455; Cass. Sez. Un. 11 settembre 2008, n. 23385, in Resp. Civ. e prev., 2009, 850 con nota di M. Massa, Non risarcibilità del lucro cessante nel caso di illecito arricchimento ex art. 2041 c.c.; Cass. 5 giugno 1997, n. 5021, in Foro it., 1997, I, 2450.
[13]Quanto alla prescrizione il termine è quello decennale che ha decorrenza dalla verificazione dell’evento produttivo dell’arricchimento e non è interrotto da una domanda giudiziale diversa, sebbene avente ad oggetto lo stesso fatto. conformemente a quanto già espresso dall’orientamento della Suprema Corte ex plurimis, Cassazione Civile, Sez. I, 29 dicembre 2011, n. 29916: «L’azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un’azione tipica e questa si è prescritta».
[14]Un primo orientamento (minoritario), definisce la sussidiarietà “in concreto”. Qui l’art. 2042 cod. civ. andrebbe interpretato in maniera elastica, cioè all’esercizio dell’azione di arricchimento non osta il fatto che un diverso strumento giudiziale alternativamente azionabile in luogo del rimedio generale, possa essere venuto meno per una qualsiasi causa giuridica (per esempio: prescrizione o decadenza) o di fatto (per esempio: infruttuosa esecuzione). Il secondo orientamento definisce la sussidiarietà in “astratto” ed applica il principio in maniera più rigorosa. Si sostiene che l’esercizio dell’azione resta  escluso ove esista o sia comunque esistito, anche soltanto in astratto, un altro strumento di tutela a disposizione rimpoverito Su tale contrasto si sono pronunciate anche le Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali, aderendo al più rigoroso dei predetti orientamenti, hanno precisato che «l’azione di arricchimento senza causa, stante il suo carattere sussidiario, deve ritenersi esclusa in ogni caso in cui il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto, prescindendo quindi dalla previsione del suo esito, possa esercitare un’altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito. L’azione di arricchimento, pertanto, è inammissibile anche nell’ipotesi in cui chi la esercita disponeva di un’azione che si è prescritta o in relazione alla quale si è verificata una decadenza» (Cassazione Civile, SS.UU., 25 novembre 2008, n. 28042). Per approfondimenti dei concetti qui in nota si veda Capriello L., op. cit.
[15]Si veda Cassazione Civile, SS.UU., 25 novembre 2008, n. 28042. Più di recente, tuttavia, la stessa Suprema Corte sulla definizione tassativa del carattere sussidiario dell’azione di ingiusto arricchimento, riconosce all’azione «funzione sussidiaria e natura residuale» (in tal senso si veda Cassazione Civile, Sez. I, 13 giugno 2018, n. 15496) o addirittura un vero e proprio «carattere residuale e non sussidiario» (si veda in tal senso Cassazione Civile, Sez. I, 11 giugno 2018, n. 15145). Ad onor del vero, però, non mancano sentenze della Suprema Corte che affermano il contrario cioè che, «l’azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c., abbia carattere sussidiario» (si veda, Cassazione Civile, Sez. I, 13 giugno 2018, n. 15496 e si veda anche Cassazione Civile, Sez. III, 22 agosto 2018, n. 20884). In dottrina si è formata una corrente minoritaria che attribuisce al carattere della sussidiarietà un significato notevolmente più ampio rispetto a quanto fin qui delineato dalla Corte di Cassazione. Si confronti in tal senso, Barbero D., Il sistema del diritto privato, Torino, UTET, 1988.
[16]Cassazione Civile, sez. I, 15 ottobre 2015, n. 20871: ben esprime il concetto la decisione della Suprema Corte la quale, in sostanza, sottolinea che il rimedio dell’azione di ingiustificato arricchimento non può essere usato né quando la domanda principale sia stata respinta per difetto di prova, né quando la domanda tipica, inizialmente proposta, sia stata successivamente rinunciata. Si legge in testo di pronuncia: «È, bensì, vero, poi, che il danneggiato può proporla, in via subordinata, quando l'azione tipica, avanzata in via principale, abbia avuto esito negativo per carenza del titolo posto a suo fondamento (Cass. n. 4492 del 2010; n. 6295 del 2013); ma tale principio, ma tale principio, invocato dal ricorrente, non opera né quando la domanda ordinaria, fondata su un titolo contrattuale, è stata rigettata per l'assenza di prove sufficienti all'accoglimento, nè quando tale domanda, dopo essere stata proposta, non è stata più coltivata dall'interessato (Cass. n. 8020 del 2009; n. 6295 del 2013), dato che in tali ipotesi il titolo specifico, fonte del credito azionato, in tesi sussiste (ma è infondato), o avrebbe potuto esser positivamente accertato, sol che il creditore avesse utilmente proseguito il relativo giudizio».
[17]Si veda in tal senso, anche, Cassazione civile, sez. III, sentenza 13/12/2016 n. 25503.
[18]L’azione di indebito arricchimento proposta, ex art. 2041 c.c., nei confronti della pubblica amministrazione è diversa da quella ordinaria. Essa presuppone non solo il fatto materiale dell’esecuzione di un’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, ma anche il riconoscimento, da parte di quest’ultimo, dell’utilità dell’opera o della prestazione Il riconoscimento può avvenire in maniera esplicita, mediante, cioè, un atto formale, oppure in modo implicito attraverso un comportamento concludente che esprima la volontà di utilizzare a proprio beneficio il vantaggio acquisito, mediante, cioè, qualsiasi forma di utilizzazione dell’opera ricevuta o della prestazione svolta, da cui abbia tratto vantaggio economico o arricchimento, consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell’ente anzidetto. In tal senso Corte Cassazione n. 19572 del 2007. La manifestazione di riconoscimento dell’utilità deve provenire dall’ente giacchè nessuna rilevanza può essere attribuita ai fini del riconoscimento all’utilizzo dell’opera da parte della collettività amministrata stante la necessità che essa provenga dagli organi istituzionalmente rappresentativi dell’ente. Si vedano Cassazione sez. I, 18329/2005; 14570/2004.
[19]Di rilevante interesse è anche la precisazione che la valutazione circa l’utilità ricevuta è di competenza esclusiva della pubblica amministrazione. Così, Corte di Cassazione n. 25156 del 14 ottobre 2008 secondo cui “siffatto giudizio positivo, in ragione dei limiti posti dall'art. 4 della legge n. 2248 all. E del 1865, é riservato esclusivamente alla P.A. e non può essere effettuato dal giudice ordinario, che può solo accertare se e in quale misura l'opera o la prestazione del terzo siano state effettivamente utilizzate”.
[20]La manifestazione di riconoscimento dell’utilità deve provenire dall’ente giacchè nessuna rilevanza può essere attribuita ai fini del riconoscimento all’utilizzo dell’opera da parte della collettività amministrata stante la necessità che essa provenga dagli organi istituzionalmente rappresentativi dell’ente (Cosi, Cassazione sez. I, 18329/2005; 14570/2004).
[21]Si veda Cassazione 25717/2008.
[22]Così Cass. Sez. Unite, 26 maggio 2015, n. 10798: “Il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso; tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. “arricchimento imposto“, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perché inconsapevole dell'”eventum utilitatis”.
[23]Si veda Cassazione n. 10735 del 2015. In tal senso si veda Tribunale Bari, 02/03/2017, n. 1144 come da massima: “In tema di azione di arricchimento senza causa esercitata nei confronti della pubblica amministrazione, accanto ai noti presupposti previsti elaborato dalla giurisprudenza (incremento patrimoniale ovvero risparmio di spesa per una parte, l'impoverimento dell'altra, rapporto di causalità tra l'arricchimento e il depauperamento) ne è richiesto uno ulteriore, stante la peculiarità del soggetto nei cui confronti si agisce ossia il previo riconoscimento, da parte della P.A., dell'utilità dell'opera o della prestazione eseguita in suo favore. In particolare, qualora le obbligazioni contratte non rientrino nello schema procedimentale di spesa, insorge un rapporto obbligatorio direttamente con l'amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, per difetto del requisito della sussidiarietà, sicché resta esclusa l'azione di indebito arricchimento nei confronti dell'ente, il quale può, comunque, riconoscere "a posteriori" il debito fuori bilancio, ai sensi dell'art. 194 del D.Lgs. n. 267 del 2000, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente stesso”.
[24]Infra § 1.3 e note al testo n. 16 e 17.
[25]Cassazione civile, 13 settembre 2018, n.22404, sez. un. Con nota Calvetti S., Azione contrattuale e arricchimento senza causa, in Diritto & Giustizia, sett. 2018.
[26]Per un riepilogo delle posizioni giurisprudenziali risulta utile la lettura della sentenza Corte appello Reggio Calabria, sez. I, 29/05/2017, n. 321.
[27]Per l'orientamento opposto, invece, qualora la domanda di ingiustificato arricchimento proposta non comporti mutazione o alterazione del fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio, ciò non implica una mutatio libelli ma una semplice emendatio libelli e, pertanto, è consentita dall'art. 183 c.p.c. Sottoposta la questione alle Sezioni Unite della Suprema Corte, i Giudici di legittimità hanno condiviso la tesi che ritiene la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa una domanda nuova rispetto a quella di adempimento contrattuale, perché diverso è il bene giuridico richiesto e diversa è la causa petendi (Cass. Civ., SS.UU., 22.05.1996, n. 4712).
[28]Ex pluris, Corte di Cassazione sentenza n. 27406 del 18.11.2008.
[29]Cassazione civile, sez. III, 18/11/2008, n. 27406, Giust. civ. Mass. 2008, 11, 1641, Il civilista 2011, 2, 8 (con nota di: RISOLO) si veda quanto segue: “Premesso che il mutamento della domanda è inammissibile solo quando, per effetto di esso, mutino i fatti materiali posti a fondamento della pretesa, mentre resta irrilevante il mero mutamento della loro qualificazione giuridica, la Corte di Cassazione civile, sez. III, sent del 18/11/2008 n. 27406,  ha ritenuto che nel caso in cui venga proposta da un professionista una domanda in sede monitoria per il pagamento di compensi a lui dovuti da un ente locale, e successivamente, nella fase di opposizione, l'opposto invochi il pagamento del medesimo credito a titolo di ingiustificato arricchimento, fondata sui medesimi fatti posti a fondamento della domanda originaria, non sussiste alcun mutamento inammissibile di quest'ultima, in tal modo ribadendo il principio affermato da Cass. 15 gennaio 1985 n. 77, ma ponendosi in contrasto con la sentenza Cass. 2 agosto 2007 n. 17007”.
[30]In tal senso Cass. Civ., SS.UU., 27.12.2010, n. 26128.
[31]Si legge, inoltre, nel testo della sentenza Cassazione civile, sez. un., 13/09/2018, (ud. 07/11/2017, dep.13/09/2018),  n. 22404 quanto segue : “Per mera completezza, va anche posto in rilievo che, in relazione al D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 aprile 1989, n. 144 - che commina non più la nullità del contratto concluso dall'ente locale senza la previsione di spesa e l'indicazione dei mezzi per farvi fronte bensì la non riferibilità del rapporto obbligatorio, ai fini della controprestazione, all'ente, con l'imputazione alla sfera giuridica diretta e personale dell'amministratore o del funzionario degli effetti, ai predetti fini, dell'attività contrattuale dagli stessi posta in essere in contrasto con i dettami contabili inerenti alla gestione degli enti locali - queste Sezioni Unite hanno ribadito la necessità che la registrazione dell'impegno contabile è ineludibile, con conseguente irrilevanza della previsione di copertura con finanziamento pubblico (Cass., sez. un., 18/12/2014, n. 26657)”.
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