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Pubbl. Ven, 26 Ott 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Resistenza a pubblico ufficiale: è configurabile il concorso formale omogeneo di reati

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Massimiliano Pace


Le Sezioni Unite, con sentenza n. 40981 depositata il 24 settembre 2018, hanno accolto la tesi della pluralità di reati qualora le condotte di violenza o minaccia ex art. 337 c.p. siano rivolte contestualmente a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio.


Sommario: 1. Premessa; 2. Il contrasto: unità o pluralità di reati con riferimento al delitto di resistenza a pubblico ufficiale secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità; 3. La configurabilità del concorso formale omogeneo di reati; 4. La soluzione del conflitto secondo le Sezioni Unite: accolta la tesi della pluralità dei reati.

1. Premessa.

Le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi in ordine alla questione concernente la configurabilità del concorso formale di reati nell’ipotesi in cui, in relazione al contestato reato di cui all’art. 337 c.p., sia stata posta in essere un’unica azione, violenta o minacciosa, diretta ad opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell’esercizio delle loro funzioni. In fatto l’imputato aveva esercitato –nell’ambito del medesimo contesto spazio-temporale - la condotta violenta nei confronti di più pubblici ufficiali, con distinte aggressioni rivolte ad entrambi. Stante l’unicità dell’azione, il problema che ha richiesto unanime soluzione ermeneutica è quello relativo alla necessità di stabilire se si tratta di una pluralità di reati di resistenza a pubblico ufficiale (in quanto commessi nei confronti di più agenti pubblici), con conseguente applicazione della disciplina del concorso formale omogeneo di reati, ovvero se possa, all’opposto, ritenersi configurato un unico reato.

La disciplina codicistica dell’art. 81 primo comma, ovvero del concorso formale (altrimenti definito ideale) di reati, impone la previa individuazione della natura dell’unicità della azione, posto che altrimenti potrebbe sussistere una pluralità di reati con applicazione del concorso materiale con eventuale vincolo di continuazione.

Il concorso formale è eterogeneo allorquando lo stesso soggetto agente, compiendo una sola azione od omissione, lede o espone a pericolo beni diversi eterogenei. L’eterogeneità dei beni oggetto di protezione penale, è data dall’individuazione della norma penale incriminatrice che predispone la tutela, a nulla rilevando, in questo caso, la circostanza che il titolare dei diversi beni giuridici sia lo stesso soggetto passivo, ovvero che si tratti di distinti soggetti passivi.

Il concorso formale è, all’opposto, omogeneo quando con una sola azione od omissione il medesimo agente commette più violazioni della medesima disposizione di legge, così ledendo più volte il bene giuridico tutelato dalla norma penale incriminatrice. Il presupposto del concorso formale omogeneo è quello della pluralità di violazioni a fronte di un’unica azione che sia, quindi, idonea a ledere o esporre a pericolo più volte il medesimo bene giuridico tutelato.

Precipua rilevanza assume, dunque, l’individuazione dei soggetti passivi titolari del bene giuridico oggetto di lesione. Il concorso formale omogeneo di reati, infatti, potrà configurarsi solo quando con un’unica azione sia stato leso il medesimo bene giuridico la cui titolarità appartiene, però, a soggetti passivi diversi. Qualora dovesse essere leso più volte lo stesso bene giuridico da parte del medesimo soggetto attivo e con un’unica condotta, non troverebbe applicazione la disciplina del concorso formale in quanto il reato è unico.

Da qui il problema che ha dato origine al contrasto giurisprudenziale in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) previsto e punito all’art 337 del codice penale, nell’ipotesi di unica azione oppositiva rivolta nei confronti di più agenti pubblici.  

2. Il contrasto: unità o pluralità di reati con riferimento al delitto di resistenza a pubblico ufficiale secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità.

La sesta Sezione della Suprema Corte, con propria ordinanza, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite ravvisando un consapevole contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità interna alla stessa Sezione che ha, dunque, prospettato, con riferimento al reato di cui all’art. 337 c.p., soluzioni opposte. Con la formulazione del quesito contenuto nella ordinanza di remissione, infatti, la VI sezione chiede alle Sezioni Unite di stabilire, come anticipato in premessa, la natura di unico reato o di pluralità di reati in concorso formale, del delitto di resistenza a pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle funzioni.

Gli orientamenti giurisprudenziali contrapposti –con riguardo all’interesse protetto all’art. 337- sono due. Secondo una prima tesi la violenza e la minaccia adoperate nel medesimo contesto di azione nei confronti di più pubblici ufficiali, configura più reati di resistenza a pubblico ufficiale in ragione della pluralità di soggetti passivi coinvolti; ciò assume rilievo, evidentemente, nell’ipotesi in cui l’azione del soggetto agente è finalizzata a contrastare il compimento degli atti di ufficio da parte dei soggetti pubblici. In questi termini, dunque, ciascun pubblico ufficiale è titolare del potere di adempiere al proprio dovere d’ufficio (il contrasto dell’azione delittuosa) e pertanto è chiamato all’espletamento dell’atto. La ratio dell’orientamento in esame è quella di considerare il bene giuridico unitario dell’interesse della pubblica amministrazione al corretto funzionamento della stessa come interesse tutelato dalla norma incriminatrice. Con ciò, tuttavia, valorizzando al tempo stesso la circostanza che le distinte offese sono rivolte a diversi soggetti pubblici: questi sono intesi come persone fisiche che agiscono in quanto organi della pubblica amministrazione, conservando una distinta identità -suscettibile di offesa- nella titolarità del potere di compiere gli atti dell’ufficio o del servizi. Secondo tale ricostruzione, stante la sussistenza di una pluralità di reati, è configurabile il concorso formale omogeneo di reati. [1]

Di diverso avviso il secondo orientamento che ritiene, all’opposto, di valorizzare l’aspetto concernente l’unicità del bene giuridico tutelato dalla norma penale incriminatrice e quindi dell’interesse giuridico del regolare andamento della pubblica amministrazione. In questo senso, pertanto, non rileva in sé e ai fini della configurabilità della fattispecie ex art. 337 c.p., la circostanza che sia lesa l’integrità psico-fisica del soggetto pubblico. L’evento giuridico, infatti, è unico a prescindere dal fatto che la condotta di violenza o minaccia sia stata rivolta nei confronti di più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. L’elemento che rileva è l’atto dell’ufficio o del servizio che deve essere eseguito e rispetto al quale la condotta del privato si pone in termini oppositivi e di interferenza. Pertanto il reato è unico (in quanto unico è l’evento giuridico a prescindere dalla condotta commessa nei confronti di una pluralità di soggetti pubblici), non residuando spazio alcuno per la configurabilità del concorso di reati. [2]

3. La configurabilità del concorso formale omogeneo di reati.

Dalle motivazioni depositate il 24 settembre 2018 in ordine alla sentenza a commento, si rileva che le Sezioni Unite hanno ritenuto opportuno scomporre la questione oggetto del quesito prospettato, offrendo una sintetica enucleazione degli aspetti sottesi alla disciplina del concorso formale omogeneo di reati ex art. 81 comma 1 c.p.

Come ricorda la Suprema Corte, il problema principale che si pone in tema di accertamento del fatto storico per l’aspetto che ci occupa, risiede nell’individuazione del concetto di “azione unica”. La nozione costituisce l’elemento che consente di caratterizzare e distinguere il concorso formale rispetto al concorso materiale di reati. Infatti, se vi è pluralità di azioni il concorso è materiale, con conseguente applicazione del meccanismo del più severo trattamento sanzionatorio del cumulo materiale. Ciò posto, una volta ravvisata l’unicità dell’azione è necessario, in sede di accertamento del fatto storico di reato, stabilire se –a fronte dell’azione unica tipica del concorso formale- debba configurarsi un unico reato o una pluralità di essi, così distinguendo tra concorso formale omogeneo e reato unitario. Come già emerso nel corso del commento che ci occupa, è questo il thema decidendum della pronuncia delle Sezioni Unite.

In questi termini la Suprema Corte mostra di aderire pienamente alla concezione normativa, che costituisce, in concreto, il criterio discretivo elaborato da dottrina e giurisprudenza al fine di spiegare la distinzione. La concezione normativa, dunque, che è teoria prevalente, limita il campo di indagine alle sole plurime violazioni della stessa disposizione di legge (concorso formale omogeneo) senza che l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice possa assumere alcuna rilevanza. Per stabilire l’unità o la pluralità di reati è, pertanto, necessario guardare esclusivamente alla norma penale: la Suprema Corte ritiene priva di fondamento la tesi (all’opposto ampiamente condivisa in dottrina) che guarda al rapporto tra soggetto passivo e natura del bene giuridico leso, così enucleando la categoria dei beni altamente personali.[3]

Da questa ricostruzione ermeneutica ne discende, secondo la Corte, che in ipotesi di reiterazioni nello stesso contesto di tempo, è necessario procedere –sul piano applicativo- alla “ideale scissione della complessiva vicenda fattuale in tante parti quanti sarebbero gli eventi giuridici, verificando quindi se ognuno degli autonomi frammenti di essa integri, in tutte le sue componenti (oggettiva e soggettiva) la fattispecie prevista dal legislatore”. La componente soggettiva assume precipua rilevanza se si considera superflua, nel ragionamento operato dalla Corte, la semplice pluralità delle persone offese ai fini della determinazione della unicità dell’azione. L’atteggiamento psicologico dell’agente deve essere diretto, distintamente, nei confronti di ciascuna persona offesa. Tale interpretazione è conforme alla giurisprudenza di legittimità consolidata in ordine all’art. 81 co. 1 c.p., e pone in evidenza la pluralità di processi volitivi con riferimento ai singoli eventi tipici previsti dalla norma incriminatrice, realizzati in costanza di un’unica azione[4].

4. La soluzione del conflitto secondo le Sezioni Unite: accolta la tesi della pluralità dei reati.

In termini generali il reato di resistenza a pubblico ufficiale è un delitto che si inserisce nel novero dei reati commessi da privati nei confronti della pubblica amministrazione (titolo II capo II c.p.). La condotta tipica consiste, dunque, nel duplice comportamento del soggetto attivo avente ad oggetto la violenza o la minaccia sorretta dal dolo specifico (elemento soggettivo) del fine di impedire il compimento di un atto del pubblico ufficiale, caratterizzandosi, dunque, per il fatto di essere posta durante il compimento dell’atto (contestualmente). L’elemento cronologico, infatti, assume rilevanza per l’accertamento del medesimo contesto fattuale, e ciò in quanto l’impedimento posto in essere dalla condotta dell’agente deve essere concreto per l’esercizio del pubblico ufficio.[5] Sotto il profilo dell’interesse tutelato il bene giuridico è latu sensu quello del corretto funzionamento e del prestigio della pubblica amministrazione (in ciò il reato di resistenza a pubblico ufficiale si accomuna a quello di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale ex art. 336 c.p.). La giurisprudenza della Suprema Corte, e specificamente della sesta sezione, ha di recente sostenuto la natura plurioffensiva del delitto, ma si tratta di un orientamento isolato. [6]

La struttura obiettiva della fattispecie è stata ampiamente passata in rassegna dalle Sezioni Unite con la sentenza a commento, stante la necessità di definire l’articolazione strutturale della norma incriminatrice in relazione all’interesse protetto. La Corte ribadisce l’elemento fattuale della condotta, tipizzato, sotto il profilo modale e teleologico, in quanto diretto a conseguire lo scopo oppositivo normativamente descritto (condotta che si realizza secondo le modalità, appunto, della violenza o della minaccia).

Sul piano dell’interesse giuridicamente tutelato dalla norma incriminatrice, le Sezioni Unite escludono che possa avere rilevanza alcuna la prospettazione di una natura plurioffensiva del reato in esame. La giurisprudenza di legittimità è quasi unanime, sebbene –come sopra segnalato- di recente si era sviluppato un orientamento nella sesta sezione che aveva riconosciuto tale valenza (ndr, v. nota n. 6). Le argomentazioni, in questo senso, sono rigorosamente legate al dato testuale della norma, ma anche alla collocazione sistematica e al titolo della disposizione: il bene protetto è da rinvenirsi nel “regolare funzionamento della pubblica amministrazione” così escludendosi la contemporanea protezione di plurimi interessi di pari rango. Tale regolare andamento presuppone, pertanto, la mancanza di interferenze nel processo volitivo o esecutivo del soggetto pubblico che manifesta all’esterno la volontà della pubblica amministrazione, così personificandola.

Sulla scorta di tali premesse le Sezioni Unite ritengono di non potere aderire a quell’orientamento che sostiene la rilevanza dell’opposizione diretta all’atto piuttosto che al singolo soggetto pubblico, e dunque al filone giurisprudenziale che, specificamente, ha ritenuto di valorizzare l’unicità del reato anche in presenza di condotte rivolte nei confronti di più soggetti pubblici nel medesimo contesto fattuale.

Le considerazioni svolte, sul punto, dalla Corte si basano sull’insuperabile lettera della legge: la contraddizione logico- giuridica della tesi, infatti, sarebbe data dal fatto che il singolo pubblico ufficiale è immedesimato organicamente nella pubblica amministrazione nel momento in cui agisce. Pertanto, allorquando l’agente con violenza o minaccia intende impedire, turbare, ostacolare l’espletamento dell’atto dell’ufficio o del servizio posto in essere dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, offende il bene giuridico tutelato in quanto il singolo soggetto pubblico costituisce “lo strumento di estrinsecazione nella realtà giuridica” della volontà della amministrazione. E ciò emerge dal testo dell’art. 337 c.p. che non consente di ravvisare, dunque, altra lettura del dato normativo che testualmente si riferisce ad “un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio”, così individuando il bene protetto. È necessario ribadire questo aspetto: la Corte ritiene non esatta l’opinione secondo cui il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbirebbe soltanto la minima porzione di violenza in cui si estrinseca l’opposizione all’espletamento del dovere d’ufficio o servizio. A sostegno del dato normativo forte si osserva, infatti, che la costruzione normativa della fattispecie, non può far dubitare del fatto che l’elemento oggettivo è integrato dalla condotta di violenza o minaccia nei confronti del soggetto pubblico, e pertanto è la norma incriminatrice stessa ad attribuire centralità alla persona del singolo soggetto pubblico chiamato a manifestare la volontà della pubblica amministrazione.  

In conclusione, dunque, la Corte accoglie l’orientamento che opta per la pluralità di reati di resistenza a pubblico ufficiale con conseguente configurabilità del concorso formale omogeneo di reati, nei termini che sono stati qui approfonditi. Il principio di diritto infine elaborato dalle Sezioni Unite risponde alla questione posta dall’ordinanza di remissione, affermando che “In tema di resistenza a pubblico ufficiale, ex art. 337 cod. pen., integra il concorso formale di reati, a norma dell’art. 81 comma 1 c.p., la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio” - SS.UU. n. 40981 del 24/09/2018.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Per il primo orientamento ex multis Sez. VI n. 38182 del 26/09/2011, n. 26173 del  27/05/2012. Da ultimo Sez. VI  n. 35227 del  25/05/2017 (Provenzano) secondo cui “la resistenza o la minaccia adoperate nel medesimo contesto fattuale per opporsi a più pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 c.p., ma un concorso formale omogeneo di reati e dunque tanti distinti reati quanti sono i pubblici ufficiali operanti, giacché la resistenza, pur ledendo unitariamente il pubblico interesse alla tutela del normale funzionamento della pubblica funzione, si risolve in distinte offese al libero espletamento dell’attività funzionale di ciascun pubblico ufficiale”.
[2] Per il secondo orientamento ex multis Sez. VI n. 37727 del 09/05/2014, n. 39341 del 12/07/2017, n. 52725 del 28/09/2017. In particolare v. Sez. VI n. 4123 del 14/12/2016  secondo cui “integra un unico reato, e non una pluralità di reati avvinti dalla continuazione, né il concorso formale di una pluralità di reati, la violenza o la minaccia posta in essere nel medesimo contesto fattuale per opporsi al compimento di uno stesso atto di ufficio o di servizio, anche se nei confronti di più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio”.
[3] La tesi di Mantovani è stata sviluppata con riguardo ai casi di c.d.  ripetizione o moltiplicazione della stessa fattispecie legale nello stesso contesto di tempo: “Si ha di certo, un solo reato quando la ripetizione contestuale avviene contro lo stesso soggetto passivo. Si ha, senza dubbio, pluralità di reati quando trattasi di contestuale ripetizione di fattispecie, tutelante un bene altamente personale (vita, integrità fisica, libertà personale e sessuale, onore, ecc.), ai danni di soggetti passivi diversi (come nel caso di ripetute azioni di lesioni o ingiurie commesse ciascuna contro una persona diversa”.
[4] Così tra le altre Cass. Pen. Sez. II n. 12027/1997 secondo cui “non potendosi la pluralità di violazioni farsi puramente e semplicemente derivare dalla pluralità delle persone offese è necessario, quando si verifica tale condizione, un quid pluris, consistente nella riconoscibile esistenza di uno specifico atteggiamento psicologico diretto a realizzare l’evento tipico previsto dalla norma incriminatrice nei confronti di ciascuna, distintamente, di dette persone. Ne deriva che se l’azione è unica ed unico è l’atteggiamento psicologico che sorregge il comportamento del colpevole, unico è il reato che egli commette”.
[5] In questi termini, Cass. Pen. sez. VI n. 9396/1994 secondo cui “Per la configurabilità dell’elemento oggettivo del reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) è necessario che la condotta costituisca un impedimento concreto per l’esercizio del pubblico uficio con sviamento delle finalità previste normativamente ovvero di turbamento del buon andamento, frustrando in particolare la continuità dell’attività della pubblica amministrazione”.
[6] Si veda in particolare Cass. Pen. sez. VI n. 23259/2012 che ha riconosciuto la legittimazione del danneggiato alla costituzione di parte civile per l’ottenimento del risarcimento dei danni morali subiti in conseguenza dell’azione delittuosa.