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Pubbl. Dom, 25 Nov 2018

Danno da perdita del rapporto parentale: sussiste anche in assenza di legame di sangue

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Crescenzo Granata


La Corte di Cassazione afferma l´ammissibilità del danno parentale, in presenza di una stabile relazione affettiva e a prescindere dal legame di sangue.


Sommario. 1. Nozione e configurazione del danno parentale.  2. I soggetti legittimati ad agire. 3. I presupposti del danno parentale. 3.1 La relazione affettiva e il regime probatorio. 3.2 La convivenza. 3.3 Il legame di sangue. 4. Conclusioni.

1. Nozione e configurazione del danno parentale 

Il danno parentale si definisce come il danno non patrimoniale, derivante dalla lesione o dalla morte di una persona cara, cagionata dal fatto illecito di un terzo. Il risarcimento del danno parentale trova fondamento negli artt. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione, norme, poste a tutela della integrità e solidarietà familiare. Il bene guridico tutelato, secondo l'impostazione tradizionale, è la famiglia. E' evidente, infatti, che la perdita del congiunto o di un parente stretto, causata dal fatto illecito del terzo, incide sui membri della compagine familiare, causando un pregiudizio morale, meritevole di tutela. In questi termini, il danno parentale, è configurato come illecito di carattere extracontrattuale, lesivo del diritto costituzionale ed inviolabile, all'intagibilità degli affetti. Ne consegue che si tratta di un danno di carattere non patrimoniale, tutelato ex artt. 2043 - 2059 c.c. e 2 -3- 29- 30 Cost., anche a prescindere dalla sussistenza di un reato.

Secondo la ricostruzione giurisprudenziale prevalente l'azione si esercita jure proprio, e non jure hereditatis. In altre parole, il danno parentale è un diritto autonomo, spettante al danneggiato in virtù della lesione del diritto personale alla intangibilità degli affetti, e non un diritto ereditato dal de cuius. La distinzione comporta una prima rilevante conseguenza: infatti, poichè si tratta di un diritto jure proprio, il danno si reputa sussistente anche in caso di sole lesioni. In questa ipotesi in cui non si verifica la morte, evidentemente, non c'è alcun diritto da trasmettere, per cui il danno parentale può esistere solo jure proprio. Il danno da lesione del rapporto parentale, ad esempio, si verifica nel caso delle lesioni chirurgiche al partner, che abbiano causato un grave pregiudizio alla relazione affettiva. Emerge, a questo punto, un'altra caratteristica del danno parentale, ovvero, si tratta di un illecito plurioffensivo1. Tale definizione sta ad indicare che, il danno, non solo lede l'incolumità individuale del soggetto attinto (che viene ferito o ucciso) ma incide sulla relazione affettiva, intaccando il diritto personale all'intagibilità degli affetti, cosichè si verificano una pluralità di offese. La circostanza per cui dalle lesioni inferte ad un soggetto, possa derivare anche un pregiudizio del rapporto parentale, non è tuttavia automatica, ma esige la prova rigorosa del nesso eziologico. Proprio sulla dimostrazione di tale nesso causale si sono sollevati i maggiori dibattiti, superati poi dalla giurisprudenza di legittimità, si è affermato, che non vi è motivo di escludere che dalle lesioni possa derivare anche un pregiudizio immediato e diretto alla relazione che possa essere fatto valere autonomamente.  

Dalla distinzione deriva anche una seconda conseguenza, la dottrina ha affermato che il grado di parentela pur essendo un valido requisito per la prova del danno, non sia imprescindibile,  il danno, infatti, può sussistere anche in capo ad altri soggetti non legati dal vincolo di sangue o dal coniugio quando è presente un legame affettivo forte, stabile e duraturo. L'esempio è quello della convivenza more uxorio, in questo caso, la giurisprudenza ha riconosciuto il danno parentale basandosi sulla consistenza della relazione affettiva e sulla prova della convivenza. Appare evidente come la tutela del danno parentale si sganci dal piano strettamente familiare, trasformandosi nel diritto all'intagibilità di una relazione affettiva qualificata. Ne consegue, che il danno può sussistere anche in capo a soggetti terzi a prescindere dal vincolo o dal grado di parentela, in presenza di altri presupposti. 

Anche il profilo della liquidazione del danno parentale dipende dalla presenza di vari elementi: preliminarmente, va ricercata la ricorrenza di requisiti, quali la convivenza, il grado di parentela, capaci di incidere sul quantum, indagando anche l'intensità della relazione affettiva, che a seconda delle circostanze, può causare una perdita di maggiore o miniore gravità. Per verificare tale relazione affettiva, presso i Tribunali di merito è diffusa la prassi dell'utilizzo delle tabelle Milanesi, che hanno ricevuto un certo riconoscimento, anche dalla Cassazione. Tali tabelle, sono articolate a seconda del grado di parentela dei soggetti (genitori, figli, coniuge, fratello, ecc.), e per ogni voce, riportano l'importo risarcibile tra un minimo ed un massimo edittale. La determinazione, in concreto, dovrà essere operata sulla base di una adeguata personalizzazione da parte del giudice, tenendo conto di tutti gli elementi indicati.

2. I soggetti legittimati ad agire.

La risarcibilità del danno parentale come ricostruito, è frutto di una elaborazione dottrinale e giurisprudenziale oramai ultradecennale. Tuttavia, importanti questioni, sorgono ancora sotto il profilo della individuzione dei titolari dell'azione.

I soggetti legittimati all'azione sono coloro che hanno un concreto ed attuale interesse ad agire in giudizio per il riconoscimento del danno da lesione o perdita del rapporto parentale. Non vi è alcun dubbio circa la legittimazione del coniuge per i danni arrecati all'altro coniuge, nonchè su quella dei figli (anche minori), o dei genitori, dei fratelli o sorelle della vittima3. Si tratta dei membri della famiglia nucleare, che in quanto tali subiscono un sofferenza, un pregiudizio materiale o morale, in conformità alla originaria ratio del tipo di illecito, posto a tutela dell'integrità familiare. La casistica più frequente, affrontata dalla giurisprudenza,  è quella relativa al sinistro stradale che abbia determinato la morte della vittima (coniuge, figli, ecc.). In queste ipotesi, la sussistenza della relazione affettiva e del relativo danno appare quasi scontata. Per questo, la prova del danno può essere fornita anche mediante presunzioni, fermo restando l'ammissibilità della prova contraria. E' importante aggiungere, ad ogno modo, che nella realtà dei fatti, per le più varie motivazioni, potrebbe anche non sussistere l'invocato legame di affetto, collaborazione e solidarietà, persino nelle ipotesi dei più stretti legami di parentela. Proprio per queste ragioni, la giurisprudenza ha precisato, che anche nei citati casi di legami affettivi molto forti, il danno non è mai in re ipsa ma va comunque provato. 

Maggiori dubbi, invece, permagono per quanto attiene agli altri parenti o affini (nonni, nipoti, zii, cognati, cugini, ecc...). In questi casi la giurisprudenza non ritiene sufficiente il rapporto di parentela o affinità,  ma richiede ulteriori elementi, tesi a dimostrare che la lesione della vita o della salute abbiano determinato l'alterazione della normale esistenza o la perdita di un consistente sostegno affettivo, materiale o morale. In altre parole, si richiede la prova di elementi specifici quali: la convivenza, la presenza di uno speciale rapporto di assistenza o collaborazione, un forte legame sentimentale. Emerge dunque una relazione di proporzionalità fra il legame di parentale e la prova del danno. Più il vincolo di parentale è debole, tanto più sarà determinante la prova, in concreto, della sussistenza della relazione affettiva, mediante ulteriori presupposti.  

Dunque, ai fini della legittimazione, la dottrina evidenzia che la sussistenza del vincolo di parentela, pur costituendo un requisito fondamentale secondo la tradizionale ricostruzione, non è necessaria né sufficiente ai fini del riconoscimneto del danno parentale4. Non è necessaria, in quanto, l'estensione del modello familiare ai rapporti fatto, ha condotto al riconoscimento del danno parentale anche ai conviventi more uxorio. Non è sufficiente, in quanto, pur in presenza di un legame di sangue, va indagata la presenza di altri presupposti, ad esempio la  convivenza, al fine di verificare l'esistenza di un reale e profondo legame affettivo, meritevole di tutela.

3. I presupposti del danno parentale

A questo punto, é possibile passare all'analisi dei principali elementi oggettivi, che concorrono alla determinazione del danno parentale alla luce di quanto sin qui osservato. In verità, l'importanza e la necessaria compresenza di tali requisiti è rimessa in discussione, sia a livello dottrinale che giurisprudenziale. Tali presupposti possono essere suddivisi in tre tipologie: la relazione affettiva, la convivenza e il legame di sangue. 

3.1 La relazione affettiva e il regime probatorio

La relazione affettiva è l'unico requisito realmente indispensabile ai fini della sussistenza dell'illecito, infatti, può parlarsi di lesione o perdita del rapporto parentale purchè esista una relazione affettiva. In primo luogo, va chiarito che è necessario indagare la sussistenza di tale relazione. In particolare, la giurisprudenza tende a verificare due fattori, e cioè, l'effettività e la consistenza della relazione affettiva. L'effettività indica la verifica della presenza e di un reale riscontro di fatto, di un apparente legame affettivo, potendo ben accadere, che pur a fronte di un forte legame apparente (es. quello tra fratello e sorella) non corrisponda, in concreto un legame affettivo. La consistenza, invece, tende a valutare il livello e il grado di profondità del rapporto, nelle sue forme di espressione. 

Per indagare la presenza di tali elementi, in giurisprudenza si esaminano numerosi aspetti, quali la durata, la stabilità, l'intensità, le modalità di manifestazione del rapporto. Si sottolinea, che non tutte le relazioni sono uguali, ne seguono parametri predeterminati, per cui, è sempre necessaria la verifica di tutti questi elementi. Anche in caso di convivenza tra il congiunto e la vittima, l'indagine non potrà arrestarsi alla verifica di tale presupposto, ma deve riguardare il concreto atteggiarsi del rapporto, tale che la perdita abbia determinato una mutatio in peius nella vita del soggetto danneggiato.

Dunque, spetta al danneggiato provare, ex art. 2697 cc., l’effettivo pregiudizio patito a seguito della perdita subita, nonchè il legame affettivo esistente con il de cuius. I mezzi neccessari a fornire tale prova non potranno limitarsi alle sole presunzioni, ma sono ammesse anche prove testimoniali e documentali, per vagliare l'effettività la consistenza del rapporto, rilevanti anche ai fini della determinazione del quantum. 

3.2 La convivenza

Come già sopra accennato, uno dei presupposti più rilevanti ai fini della prova della sussistenza della relazione affettiva è  la convivenza. In proposito sono però necessarie alcune precisazioni. Si è osservato che non basta provare la convivenza, ma è necessario accerertare, in concreto, l'effettività del rapporto. Ciò accade, perchè l'importanza del fattore convivenza, è variabile. Ci sono casi in cui è essenziale accertare il rapporto di convivenza, e altri casi, in cui, al contrario, tale rapporto non è neanche necessario, ma funge solo da elemento probatorio, ulteriore, rispetto ad una determinata relazione.

La prima ipotesi è quella relativa alle relazioni more uxorio. L'orientamento tradizionale, negava il riconoscimneto del danno parentale a tali rapporti, sulla base del fatto che la scelta di non sposarsi, avrebbe comportato la perdita di certe garanzie ordinamentali previste per il rapporto di coniugio, quale ad esempio, la tutela all'intangibilità degli affetti. Al contrario, si è osservato, che tale diritto è inviolabile secondo la Costituzione, pertanto, anche in ambito extraconiugale, potrà essere fatto valere dal partner, cui spetta il danno parentale. Tale riconoscimneto, passa attrverso la prova di un rapporto assimilabile a quello coniugale, quanto a durata, stabilità e solidità. In tale prospettiva, allora, la convivenza, diventa un presupposto inderogabile, non essendo sufficiente l'esistenza di una qualunque relazione amorosa.

D'altra parte, vi sono i casi in cui la convivenza non sembra costiture un presupposto indefettibile, potendo persino non sussistere. In questo senso, la giurisprudenza, una volta accertata la relazione affettiva, ritiene che la sua mancanza possa solamente incidere sul quantum del risarcimento, in senso riduttivo. Ad esempio, è il caso della perdita dell'ex coniuge separato. Pur mancando la convivenza, e nonostate la separazione, potrebbe ancora esserci spazio per una relazione affettiva, basata comunque su dimostrazioni di affetto, solidarietà e rispetto, o sulla reciproca assistenza morale e materiale.Tale relazione è sufficiente a giustificare il risarcimneto del danno, anche quando, evidentemente, la convivenza sia cessata.

3.3 Il legame di sangue

Solitamente, il legame di sangue era considerato un presupposto essenziale ai fini della susssitenza del danno parentale. Nonostante i vari tentativi di stemperare l'importanza del legame di sangue, riconoscendo il risarcimento a fattispecie diverse da quelle tradizionali, (cioè ai rapporti di parentela più lontani o alla convivenza more uxorio) tale requisito non era mai stato posto del tutto in discussione. Per questa ragione, risulta innovativa, la soluzione accolta da una recente pronuncia dei giudici di legittimità,che afferma il risarcimento del danno parentale anche in mancanza di un legame di sangue. Il caso, è certamente insolito rispetto a quelli sin qui esaminati, ma proprio per questo, la giurisprudenza, ha potuto fare applicazione di principi innovativi.

La vicenda trae origine dalla domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, richiesta da una madre, contro l'azienda ospedaliera, a seguito di un errato test del Dna. Inizialmente, veniva accertato, mediante un primo test che il padre era un uomo col quale la donna anni prima aveva intrattenuto una relazione. Tuttavia, dopo molti anni, a seguito di un ulteriore esame, emergeva che quest'ultimo non fosse il vero padre. Dunque vi era stato un errore nelle precedenti analisi cliniche. L'errore ha determinato l'illecito civile, per il quale la madre chiedeva il risarcimneto del danno da perdita del rapporto parentale.

In appello, la domanda risarcitoria veniva respinta, sulla base del fatto che la relazione affettiva venutasi a creare medio tempore, fra il presunto padre e il figlio era mancante di un presupposto fondamentale, il legame di sangue. In altre parole, la Corte ritiene che, proprio poichè quell'uomo non é il vero padre del fanciullo, la perdita del rapporto, a seguito dell'allontanamento del presunto padre dovuto alla scoperta dell'errore diagnostico, non sarebbe meritevole di tutela. Dunque, la mancanza del legame di sangue, fa si che la perdita della relazione affettiva nata con un individuo non legato al minore dal legame di paternità, ma solo dalla frequentazione avvenuta medio tempore, non comporterebbe alcun pregiudizio, né potrebbe essere qualificata in termini di danno da perdita del rapporto parentale.

Al contrario, la Cassazione ha ritenuto, che la perdita di quel rapporto, anche se con un soggetto non consaguineo, comporta un danno ingiusto derivante dalla lesione dal diritto alla intagibilità degli affetti. Cio che conta, è la presenza di una relazione affettiva consolidata, che per contenuti e per modalità, rappresenti per il danneggiato l'equivalente del rapporto paterno, possedendone tutti caratteri oggettivi in termini di stabilità, durata, intensità. Alla luce di tali rilievi, la relazione risulta meritevole di tutela, a nulla rilevando che l'uomo col quale il minore è cresciuto non fosse il padre biologico. Dunque è la creazione di una stabile relazione affettiva, instauratasi tra il presunto padre ed il danneggiato, ad essere meritevole di tutela, indipendentemente dalla sussistenza di un legame di sangue. 

Il profilo innovatore della pronuncia, giace, nella chiara affermazione della non necessità del legame di sangue. Secondo quanto fin qui osservato, la giurisprudenza aveva già a poco a poco sminuito l'importanza di tale legame. Da un lato, richiedendo, pur in presenza di stretti legami di parentela, la prova in concreto della relazione affettiva. Dall'altro, reputando sussistente il danno anche in presenza di rapporti di parentela più lontani, o persino nelle ipotesi in cui non vi è né un rapporto di parentela né di coniugio, come nel caso della convivenza more uxorio. Alla luce della pronuncia in esame, può definitivamente affermarsi, che il legame di sangue non costituisce più un presupposto necessario del c.d. danno parentale, anche a dispetto del nomen juris, che sembra ancora rievocare l'originaria ratio del danno parentale.

Inoltre, da tale ermeneusi, consegue l'ampliamento del novero dei soggetti legittimati ad agire per ottenere il risarcimento del danno. Infatti, se il legame di sangue non è necessario, ma basta la lesione di una relazione affettiva qualificata, come quella venutasi a creare nel caso di specie tra il presunto padre e il minore, ne deriva la possibile estensione a qualsiasi relazione affettiva che presenti caratteri di certezza e stabilità. In altre parole, è la stessa casistica del danno parentale a subire una possibile estensione, in riferimneto a tutti quei rapporti assimilabili ai tradizionali rapporti affettivi. Ovviamente, questo passaggio, richiede un maggiore rigore, sia da parte del danneggiato quanto alla prova del rapporto, che da parte del giudice in sede di verifica degli elementi probatori tesi a dimostrare la sussistenza della relazione affettiva.

4. Conclusioni

La prima e ormai inevitabile conseguenza che deriva dagli ultimi approdi giurisprudenziali sul tema, sembra essere l'espunzione del legame di sangue dal novero dei presupposti del danno parentale, a dispetto di quanto tradizionalmente affermato. In realtà, devesi osservare, che non si tratta di una esclusione tout court. Risulta chiaro infatti che il legame di parentala è ancora un requisito importante ai fini del riconoscimneto del danno parentale. Sia perchè corrisponde alla originaria ratio del tipo di illecito, sia perchè vale a rafforzare il legame di una qualsiasi relazione affettiva, che può certamente dirsi più intensa e profonda, se intercorre un legame di sangue. Per queste ragioni il legame di parentela non fuoriesce del tutto dai requisiti per l'ammissibilità del danno parentale, e non può essere cancellato nell'ambito di una analisi circa la struttura di tale danno. Tuttavia, e qui sta la novità, ne viene drasticamente ridotta l'importanza, al punto che, tale requisito, potrebbe anche non sussistere affatto. 

Corollario di questa disamina, è rappresentato dall'ampliamento delle ipotesi di risarcimento del danno parentale, collegato all'estensione dei soggetti legittimati. Più sono i soggetti legittimati, più si amplia la possibilità di risarcire il danno parentale. La non necessità del legame di sangue produce una estensione dei soggetti legittimati. Cioè, anche coloro i quali non sono legati da un rapporto di parentela, possono far valere il danno da perdita del rapporto parentale, in virtù della valorizzazione di una qualificata relazione affettiva, corrispondente, in modo oggettivo ad una relazione intra-familiare.

Inoltre, la casistica risulta ampliata, anche in relazione agli eventi in grado di determinare la perdita del rapporto. Non più soltanto nel caso di lesioni o morte (dato che nella giurisprudenza più ricorrente il danno parentale è quello derivante dalla morte del parente a seguito di sinistro stradale) ma da qualunque evento in grado di causare la perdita della relazione affettiva (nel caso di specie l'errato test del dna). Si può concludere, pertanto, che la perdita del rapporto parentale deve essere riconosciuta in relazione a un qualunque fattore (frutto dell'altrui illecito) che determini l'interruzione della relazione affettiva.

In termini di teoria generale, queste soluzioni, si pongono in linea con la conclamata atipicità dell'illecito aquliano. Infatti, una volta individuati i beni meritevoli di tutela, l'ordinamento si fa carico di tutelare il danneggiato, in funzione generalmente compensativa, da qualsiasi tipologia di aggressione. Non va però sottaciuta, ad ogni modo, l'opposta esigenza, di evitare duplicazioni risarcitorie, o di evitare il risarcimeto di danni bagatellari, come più volte affermato dalla Corte Costituzionale. Per quanto concerne il danno parentale, tali rischi, potrebbero sussistere, nella misura in cui si estenda il risarcimento del danno ad una qualunque relazione affettiva, non qualificata, e non giustificata dall'esigenza di tutelare beni o interessi primari. L'apertura registratasi verso i danni derivanti da una qualunque condotta, in grado di determinare l'interruzione del rapporto affettivo, indipendetemente da una relazione di sangue, deve essere bilanciata, al fine di scongiurare tali rischi, dalla predeterminazione dei criteri e dei presupposti della relazione.

 

 

Note e Riferimenti Bibliografici

1 Invero l'ammissibilità del danno parentale è stata oggetto di un forte dibattito. La tesi tradizionale infatti aveva sempre negato l'ammissibilità del danno parentale sulla scorta della teoria dei danni riflessi o da rimbalzo. Si sosteneva, che potessero essere risarciti, solo i danni intesi quali conseguenze immediate e dirette dell'illecito, conformemente al dettato dell'art 1223 c.c. Il danno parentale subito da un soggetto terzo, diverso dalla vittima primaria dell'illecito, sarebbe solo una conseguenza indiretta o riflessa e come tale non risarcibile. Infatti mancherebbero sia il rapporto di causalità materiale, rispetto all'evento di danno, sia la colpa, in quanto le conseguenze lesive della propria condotta, relativamente alla sfera dei terzi sarebbero del tutto imprevedibili. Invece a partire dal 2003, la Corte di Cassazione, smentisce la teoria dei danni riflessi o da rimbalzo, introducendo la nozione di illecito plurioffensivo. Il danno parentale, è capace di offendere più di un bene, infatti, lede, non solo l'incolumità personale della vittima primaria, ma contestualmente, anche il diritto all'intangibilità degli affetti relativo alle persone care e più vicine alla vittima. La teoria in esame, supera l'impostazione precedente, mediante una rilettura dei concetti di causa e di colpa. Il nesso eziologico ex art 1223 c.c. va riletto in termini di regolarità causale, nel senso che ad una certa condotta sia ricollegabile qualunque evento che non sia una conseguenza eccezionale, o anomala. Sotto il profilo della colpa invece, si introduce il concetto di prevedibilità in astratto, al posto della prevedibilità in concreto. E' chiaro, che la morte di un soggetto possa lasciar facilmente prevedere, in astratto, una lesione del diritto all'intagibilità familiare delle persone a lui più care.  

2  Tra le prime pronunce a riguardo si richiama Cassazione civile S.U. sentenza n. 9556 del 2002

3 In tema sussiste il dibattito relativo alla legittimazione ad agire del concepito, nato dopo la morte del genitore causata dal fatto illecito del terzo, durante il periodo di gestazione. Il problema, in questo caso ha riguardato la necessità di attribuire al concepito una forma di soggettività giuridica, sulla base della quale riconoscergli il diritto alla intangibilità degli affetti, diritto che potrebbe essere fatto valere solo all'avverarsi della condicio iuris della nascita. Cio posto, la Cassazione ha ricosciuto il risarcimento del danno, ma sulla base di una diversa argomentazione. Si è affermato che il credito non sorge prima della nascita. E' il fatto lesivo che si verifica prima, ma la lesione del diritto si attualizza e dunque sorge quando il soggeto nasce orfano del genitore, subendo quindi la perdita di un rapporto fondamentale.  In termini Cassaz. Sez III, 3 Maggio 2011, n. 9700

4 In questi termini Manuale di diritto civile VIII Edizione G. Chinè, M. Fratini, A. Zoppini, Nel Diritto Editore 2017, pag. 2306 e ss.   

5 Cassazione Sez. III 10 Luglio 2018 n. 18069

6 Cassazione Civ. Sez III, 17 Luglio 2002, n. 10393

7  Cassazione civile, Sez III, ordinanza, 21 Agosto 2018, n. 20835.