Pubbl. Dom, 30 Set 2018
Chi ha paura dello SPREAD?
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Saverio Setti
Maggioranza e opposizione si scontrano sull´utilità della manovra appena inserita nel documento di #economia e finanza (#def). I mercati non credono negli spot e lo spread supera i 260 punti base. Ma cos´è lo #SPREAD? Cerchiamo, con piglio oggettivo, di capire questo segnale spesso male interpretato.
La discussione circa la manovra finanziaria sta creando forti attriti endogeni ed esogeni. In particolare, lo stanziamento di circa 4 miliardi previsto nel documento di economia e finanza per il sostengo ai disoccupati, sembra mettere a rischio la tenuta dei conti pubblici e preoccupare i mercati. Per cercare di comprendere in modo analitico e concreto cosa sta accadendo vi proporremo dei brevi approfondimenti su tematiche di interesse economico giuridico. Iniziamo oggi a vedere la cartina tornasole della fiducia dei mercati nel nostro Paese: cioè il differenziale di rendimento, conosciuto anche come credit spread.
Il reddito di cittadinanza è previsto all’interno di un documento chiamato DEF, documento di economia e finanza. Si tratta di una sorta di bilancio previsionale e programmatico (quindi con valenza pluriennale), preparato con l’ausilio della ragioneria generale dello Stato, che definisce la manovra di finanza pubblica dunque è vincolante per il Governo. Questo documento è prodromico rispetto alla legge di stabilità, che solitamente, è approvata negli ultimi giorni dell’anno. Ciò significa che tutti gli organismi possono, prima della finanziaria, conoscere gli intendimenti di bilancio dello Stato, grazie appunto al DEF. Ciò è vero particolarmente per il mercato mobiliare finanziario, che è uno dei maggiori interessati alla tenuta dei conti. I mercati (e con mercati intendo anche il singolo risparmiatore) prestano una quantità assai elevata di denaro allo Stato, che ne ha bisogno per integrare le sue entrate fiscali e coprire il disavanzo. Il disavanzo primario, che riguarda i servizi ospedalieri, di polizia, di giustizia, di perequazione regionale, eccetera ed il disavanzo secondario, che è il pagamento degli interessi sul debito precedentemente contratto. Per fare ciò la Repubblica italiana emette dei titoli di Stato, il più conosciuto dei quali è il BTP, cioè il Buono del Tesoro Pluriennale. Si tratta di un titolo di medio lungo termine, acquistato ad asta ed emette un flusso cedolare su cadenza semestrale. Quindi se, per esempio, ho comprato un BTP a 10 anni a 85 € con un tasso del 6%, riceverò ogni sei mesi una cedola del 3% e, allo scadere dei 10 anni, riceverò l’intero capitale versato aumentato del prezzo cui lo vendo, che nel nostro esempio è 100 €. Quindi il rendimento del BTP è il valore attuale della rendita delle cedole negli anni e la differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita. Ovviamente al netto di imposte e commissioni.
Quindi si tratta di prestare soldi allo Stato, per cui chi investe vuole avere la certezza non solo che il flusso cedolare sia continuo, ma anche di recuperare il capitale prestato, perché non è possibile convenire in tribunale lo Stato presentando istanza di fallimento. Il risparmiatore, quindi, sarà attento a scegliere di investire su Stati che ritiene solvibili, perché ha la ragionevole certezza di recuperare capitale e rendimento. Ovviamente questo gli Stati lo sanno ed agiscono in base alla legge della domanda e dell’offerta. Lo Stato contabilmente meno saldo alzerà i rendimenti, perché dirà all’investitore: è vero che con me rischi un po’ di più, ma hai prospettive di guadagno maggiori. Il discorso opposto lo farà lo Stato più solido: visto che in tanti volete investire con me, non devo attirare capitali, quindi manterrà il tasso basso. Ora, il Paese più forte contabilmente in Europa è la Germania, quindi questa dovrà essere presa come riferimento solido, sul quale valutare l’affidabilità che dà un secondo Stato in ordine al suo debito pubblico. Immaginiamo ora che il BTP tedesco a 10 anni dia una rendimento cedolare del 2%, mentre lo stesso titolo italiano dia un rendimento del 5%, possiamo dire che il differenziale di rendimento, cioè lo spread, è di 3 punti percentuali, ovvero 300 punti base. Questa è una misura dell’affidabilità del titolo di Stato emesso da un Paese e, conseguentemente, della sua capacità contabile. Ma non solo: esso è una misura del rischio finanziario dell’investimento e del possibile guadagno, della fiducia dei mercati nella capacità del governo di far quadrare i conti e nella crescita economica di quel Paese.
Di per sé solo, infatti, il debito di uno Stato non è un problema, ma va tenuto sotto controllo, perché nel tempo lo stock di debito aumenta continuamente spinto dagli interessi. Qui interviene il concetto di sostenibilità del debito pubblico: perché in una economia in crescita aumenta la ricchezza del settore privato, che quindi può accettare di tenere in portafoglio maggiori quantitativi di titoli pubblici e di altre attività. Ciò implica che un sistema economico in crescita può sostenere i disavanzi permanenti, ma anche che non è possibile sostenere indefinitamente un debito pubblico che cresca più del reddito. Perché in quest’ultimo caso si entrerebbe in una spirale di sproporzione tendenzialmente indefinita del rapporto deficit/pil, sui cui ci soffermeremo nel prossimo incontro.
Ciò che è certo è che i 4 miliardi del reddito di cittadinanza pesino gravemente sugli avanzi strutturali di bilancio, perché, ad oggi, sono iscritti quali spese in conto capitale. Se, tuttavia, questo intervento riuscirà ad aumentare la crescita economica si ripagherà da solo. Tuttavia, ad una analisi previsionale, non si ritiene che un intervento patrimoniale diretto sui disoccupati possa portare ad una crescita nel medio-lungo periodo.
Se i medesimi 4 miliardi si spostassero sulla diminuzione del cuneo fiscale, si potrebbe incentivare l’assunzione, diminuendo così la disoccupazione. Questo ha effetti estremamente positivi. Come si nota, infatti, la crescita del salario monetario è molto elevata per valori bassi della disoccupazione e molto bassa, o addirittura negativa, nel caso contrario.
Concludendo due sono le scelte possibili: cercare la crescita sul breve termine iniettando liquidità e sperare nella ripresa o impostare una crescita più sostenibile a medio termine, rinunciando agli effetti positivi in termini politici (e di instant poll) sul breve termine.
Da una analisi del DEF appena pubblicato pare sia stata imboccata questa prima strada.