Pubbl. Mar, 18 Set 2018
La responsabilità della holding
Modifica paginaLa responsabilità per abuso di attività di direzione e coordinamento: elementi costitutivi e loro rilevabilità nel diritto e nella prassi della corporate governance societaria.
Premessa.
Le condotte dei soci e degli organi sociali – in particolare nell’ambito dell’attività di direzione coordinamento delle società, e più precisamente, dell’attività di gestione di società controllata e della relativa responsabilità della capogruppo- che possano trovarsi coinvolti nei fatti, nelle operazioni di gestione (e/o in eventuali patti giuridici da questi posti in essere), costituenti le ragioni portanti del dissesto e della decozione della società controllata – possono essere tutte rilevanti ai fini dell’evocazione in giudizio sia delle persone dei soci, sia degli amministratori -di fatto e non-, nonché dei componenti degli organi di controllo, in particolare dei sindaci o dell’eventuale revisore unico.
1. Osservazioni generali sulla disciplina della responsabilità della società capogruppo.
Con l’introduzione degli artt. 2497 ss. c.c. il legislatore ha dettato una normativa con riferimento ai gruppi di imprese e all’esercizio del potere di direzione e coordinamento. In dettaglio, è stata prevista una specifica disciplina della responsabilità in capo alla società che esercita attività di direzione e coordinamento su altra società.
Tale responsabilità si esplicita sia nei confronti dei soci, per i danni da questi sofferti quale mancato aumento della redditività o di diminuzione di valore della partecipazione, sia verso i creditori della società, quando tale esercizio determini l’insufficienza del patrimonio dell’impresa eterodiretta a garantire le ragioni creditorie.
Più precisamente, la tutela dei soci (specialmente di minoranza) della società eterodiretta viene disciplinata dall’art. 2497 c.c., nei seguenti termini: «le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale».
Chiara restando l’ispirazione al contemperamento tra l’esigenza di considerazione unitaria del gruppo e quella della - pur rilevante - valorizzazione delle singole società che ne fanno parte, dalla lettura della norma, emerge da un lato, la legittimità della fisiologia dell’attività di direzione e coordinamento[1], dall’altro il fatto che la medesima venga espressamente subordinata al rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società eterodiretta, a tutela dei soci di minoranza e dei creditori di queste ultime.
L’espressione codicistica «corretta gestione societaria e imprenditoriale» costituisce a ben vedere una clausola generale ceduta all’interpretazione della dottrina e giurisprudenza, al punto che secondo alcuni potrebbe parlarsi di corretta gestione tout court.
Ad ogni modo, nell’ambito dei gruppi, le scelte degli amministratori si ritengono sindacabili dal giudice con parametri che riguardino anche il merito delle decisioni, pertanto tali criteri si presentano diversi dagli standard giurisprudenziali oggi consolidati in termini di accoglimento della c.d. business judgement rule (in sostanza trattasi di una presunzione che considera l’operato degli amministratori sia stato condotto dagli stessi in buona fede e nel migliore interesse della società)[2].
Si è di fatti ritenuto ragionevole che la business judgement rule non possa invero operare in presenza di rapporti infragruppo, posto il maggior rischio, nei gruppi, di comportamenti opportunistici, anche non immediatamente intellegibili, manifestabili anche nella forma dei conflitti di interessi degli amministratori.[3]
Più precisamente, si ritiene che il giudice, nel valutare, consideri il comportamento degli amministratori sotto il profilo della possibile violazione del c.d. duty of loyalty (dovere di lealtà) nei confronti dell’impresa; ovvero si ritiene debba potersi accertare se gli amministratori della società eterodiretta abbiano tratto, nell’esercizio delle loro funzioni, vantaggi o profitti estranei all’interesse sociale e quindi se la direzione e il coordinamento siano stati esercitati nell’interesse imprenditoriale della società eterodiretta o altrui[4].
2. Elementi costitutivi della fattispecie ex art. 2497 c.c.
Per quanto attiene agli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità oggetto d’esame, l’art. 2497 c.c. presuppone che la società capogruppo:
- abbia esercitato un’attività di direzione e coordinamento di altra società;
- nell’interesse imprenditoriale proprio o di un soggetto terzo;
- in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società dipendente;
- arrecando ai soci o ai creditori della società diretta e coordinata un danno nella forma, rispettivamente del «pregiudizio alla reddittività e al valore della partecipazione sociale» ovvero della «lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società».
Per quanto riguarda il danno subito dai soci della società eterodiretta e coordinata, esso è sostanzialmente identificabile nell’ incapacità di poter produrre utili da distribuire da parte della società coordinata, e nella diminuzione di valore delle partecipazioni scaturenti dalla scorretta attività di coordinamento. A riguardo invece dei soggetti passivi, è pacifico che rispondano in solido con la capogruppo sia coloro che abbiano partecipato al fatto lesivo( quali ad esempio amministratori e/o dirigenti quali autori materiali dell’attività pregiudizievole) sia coloro che abbiano tratto beneficio consapevolmente, sia pur nel limite del vantaggio conseguito.[5]
A tal riguardo, la giurisprudenza di merito ha specificato che : «la società eterodiretta è la società nel cui patrimonio si è manifestato il danno per effetto dell’altrui direzione e coordinamento, che si riflette nel patrimonio del socio c.d. ‘‘esterno’’ in termini di minor reddittività della sua partecipazione; questi, socio della eterodiretta, ha diritto di chiedere il risarcimento di tale danno all’autore della condotta illecita ovvero alla società che esercita la direzione e il coordinamento (ed eventualmente anche gli amministratori di questa e della controllata), e non alla società che ne ha subito gli effetti sul proprio patrimonio»[6].
Da non sottovalutarsi, nella prassi, è poi la singolare quanto invero diffusa circostanza per cui nei consigli di amministrazione di imprese differenti, ma appartenenti al medesimo gruppo, rivestano nell’assetto di governance le cariche di amministratori e sindaci le stesse persone, giacché simili determinazioni nei suddetti ruoli moltiplicano esponenzialmente i casi di delibere prese in condizione di potenziale conflitto di interessi.
Sul punto e a mero titolo esemplificativo, si evidenzia che è stata pacificamente affermata la responsabilità degli amministratori della controllante che, abusando della posizione di supremazia (derivante nella specie dal potere di nomina e di revoca dell’organo gestorio della controllata), hanno indotto gli amministratori della controllata - sul piano della condotta positiva - a compiere operazioni dannose e – sul piano omissivo - a non porre in essere attività doverose: ossia l’omessa tempestiva messa in liquidazione della società e la prosecuzione dell’impresa[7].
Conclusioni.
Alla luce della brevissima analisi affrontata, appare chiaro che la gestione unitaria è una modalità legittima di organizzazione dell’attività di impresa, nella quale è pienamente riconosciuta la possibilità che i processi decisionali vengano elaborati tenendo conto delle elaborazioni e valutazioni fornite da altri soggetti (anche esterni agli organi di governance statutari), ma al contempo altrettanto manifesto è il principio per cui vada rispettata l’autonomia imprenditoriale delle società controllata (nella misura in cui la gestione unitaria non può esplicitarsi in modo tale da sostituire in maniera complessiva un interesse “di gruppo” all’interesse sociale di ogni singola entità del gruppo), ed in ogni caso, in nessun modo il rapporto di gruppo può giustificare il sacrificio dell’interesse di una società a favore di una controllante o di altra società consociata.
Pertanto, anche se talune funzioni aziendali vengano convogliate presso un unico centro decisionale operativo, la società controllante deve in ogni caso, da un lato, astenersi dal pregiudicare in maniera sistematica e diretta la società controllata (come ad esempio potrebbe avvenire obbligandola a concordare ed effettuare normalmente prestazioni con prezzi lontani da quelli di mercato ovvero ad intraprendere decisioni che abbiano alte probabilità di recare pregiudizio patrimoniale ed economico-finanziario), e dall’altro, mantenere verificabili l’effettiva ripartizione di costi e ricavi tra le varie unità del gruppo, ed in generale assicurare la correttezza dei criteri di allocazione adottati.
[1] P. Montalenti, Amministrazione e controllo nella societa` per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma?, in Riv. soc.., 2013, 42 ss.
[2] Annapaola Negri-Clementi, Filippo Maria Federici, La natura della responsabilita` della capogruppo e la tutela del socio di minoranza, in Dir. Soc., 5/2013, 520 e ss.
[3] Ibidem
[4] R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giur. comm., 2003, 663 e ss.
[5] B. Libonati, Diritto commerciale: impresa e società, 2005, 429 e ss.
[6] Trib. Milano, sez. VIII, 25 febbraio 2013
[7] Nel caso di specie, gli amministratori della controllante – coincidenti parzialmente con l’organo gestorio della controllata), invece che procedere alla ricapitalizzazione della controllata, hanno ritenuto di operare una serie di erogazioni occasionali di risorse, idonee a mascherare il passivo e consentire la prosecuzione di un’attività volta, a quel punto, al solo scopo di conseguire un prodotto da ricollocare sul mercato senza nessuna attenzione alle esigenze della controllata, con evidenti ripercussioni negative sui soci e sul ceto creditorio della stessa. Cfr. Trib. Milano 22 gennaio 2001, in Fall., 2001, 1156, “La responsabilita` di amministratori e capogruppo per ‘‘abuso di direzione unitaria’’.