Pubbl. Ven, 12 Ott 2018
Le molestie inflitte a scuola ai danni di un compagno sono stalking
Modifica paginaStalking scolastico per gli atti di bullismo. Commento a Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza n. 26595 del 2018.
Con la sentenza n. 26595/2018, la V sezione penale della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso e confermato il reato di stalking, nei confronti di minorenni che bullizzavano, tramite condotte vessatorie prolungate nel tempo, un compagno di scuola.
Nel ricorso presentato alla Suprema Corte si contestava la sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui l’art. 612 bis; veniva quindi sottolineata la mancanza di una dimostrazione concreta delle condotte prolungate nel tempo e l’assenza della dimostrazione del danno che tali condotte avrebbero creato nel soggetto vittima di bullismo.
La Corte d’Appello di Catania, sezione penale minori, confermava la sentenza con cui il Tribunale di Catania, in data 17.11.2015, aveva condannato dei giovani per il reato di stalking.
Impugnando la sentenza della Corte d’appello, entrambi gli imputati, hanno presentato due ricorsi distinti. Il primo imputato, lamenta l’inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità, con riguardo al reato di atti persecutori, in particolare la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa; in quanto il PM, dopo aver proceduto all’interrogatorio del padre della persona offesa ha contestato successivamente le circostanze aggravanti di cui gli artt. 61 n. 11 ter e 585 c.p.. Inoltre viene inserita da parte dell’imputato una contestazione al fatto nuovo e cioè del reato di atti persecutori art. 612 bis c.p. in violazione dell’art. 518 c.p.c. in quale prevede che il PM deve procede nelle forme ordinarie se nel corso del dibattimento, risulta a carico dell’imputato un fatto nuovo, non enunciato nel decreto che ne dispone il giudizio. La contestazione del fatto nuovo deve avvenire solo in presenza dell’imputato. Rileva, al riguardo, il ricorrente che il reato di atti persecutori integra un fatto ulteriore rispetto a quello contestato. Si aggiunge così una contestazione di un nuovo fatto , che diviene thema decidendum , il quale non poteva essere contestato in mancanza dell’imputato, come sancito dall’art 518. La mancanza di contraddittorietà e la manifestata illogicità della motivazione, scaturirebbero, sempre secondo il ricorrente dal travisare da parte del giudice delle risultanze dibattimentali. In particolar modo si fa riferimento ad una fattispecie , con riguardo al reato di lesioni personali volontarie, il ricorrente rileva che la persona offesa ha riferito di non aver riportato lesioni a seguito della presunta aggressione. Inoltre una deposizione di un compagno di classe degli imputati e della vittima, riferisce che non si è trattato di aggressione ma di un mero litigio. Uno dei due imputati ha ammesso che pur non avendo alcun intento persecutorio nei confronti della persona offesa, vi sono state spinte e insulti, tra i due ragazzi.
Tale affermazione , secondo l’imputato, avrebbe dovuto portare il giudice a capire che vi è stato un mutamento di coscienza, una capacità di ammettere lo sbaglio da parte del ragazzo, spinto a porre in essere tale condotta aggressiva, da un disagio psichico derivante da una situazione familiare difficile. Il secondo imputato parla di un travisamento della prova e contraddittorietà della motivazione, in quanto il giudice d’Appello avrebbe appurato il pestaggio solo tramite le dichiarazioni della persona offesa e dei suoi compagni di scuola. Inoltre contesta la dimostrazione degli elementi dello stalking, con particolare riferimento al perdurante e grave stato d’ansia.
Come ultimo punto del ricorso vi è il vizio di motivazione, in quanto il giudice non avrebbe tenuto conto di quanto riportato dal teste. I ricorsi presentati dagli imputati vengono rigettati dalla Suprema Corte in quanto, la stessa, attesta l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e dei racconti; risulta condivisibile il ragionamento del giudice che inserisce l’art. 612 bis c.p. per la presenza di una pluralità di condotte vessatorie poste in essere ai danni di un compagno di scuola per tutta la durata dell’anno scolastico, costringendolo prima ad interrompere la frequenza scolastica, per poi abbandonare la scuola. Eventi, i quali, hanno determinato un cambio di abitudini del minore, integrano quindi la fattispecie incriminatrice di cui l’art. 612 bis c.p.
I comportamenti lesivi, oggetto su cui si basa la sentenza, sono stati dimostrati dalla Corte d’Appello, gli stessi sono emersi sia da testimonianze che raccontano gli episodi persecutori posti in essere nei confronti della vittima, sia da aggressioni fisiche filmate da uno dei ragazzi accusati. Nel caso specifico preso in esame, per parlare di reato di stalking, i giudici della Corte di Cassazione affermano che non occorra porre in essere un comportamento ripetuto a distanza di breve tempo. Il comportamento dannoso deve essere comunque ripetuto, anche in un lasso di tempo lungo; è sufficiente dunque, affinchè il reato si verifichi, la descrizione dei comportamenti in una qualsiasi collocazione temporale e le conseguenze derivanti dalle molestie subite dalla vittima, queste ultime, sono il requisito fondamentale previsto dall’art. 612 bis ovvero il perdurante stato d’ansia o turbamento psicologico, il quale nel caso concreto può configurarsi come reato, da come si evince dalle dichiarazioni della vittima. La scelta di quest’ultima di procedere all’abbandono del liceo dove ha subito molestie può considerarsi come un episodio di notevole importanza, soprattutto per la decisone dei giudici, in quanto si evince una concretizzazione della violenza psicologica subita che ha indotto la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. Il delitto di atti persecutori è stato costruito come reato a forma libera, il cui elemento distintivo tipico è dato dalla reiterazione delle condotte. Tale formulazione permette alla norma di inglobare una vasta casistica di comportamenti che sarebbe normalmente difficile ricondurre ad un unico denominatore. Questa circostanza ha indotto parte della dottrina a qualificare l'articolo 612 bis Codice Penale come norma di chiusura del sistema di tutela penale contro le aggressioni alla libertà individuale, volta quindi a colmare un vuoto normativo.
Le problematiche che emergono da questa vicenda, toccano argomenti sempre più presenti in questa epoca, come il fenomeno del bullismo, che può definirsi il punto cardine della questione. Il bullismo è caratterizzato da comportamenti reiterati. Lo scopo di queste condotte vessatorie è quello di far insorgere nelle vittime un senso di emarginazione e vergogna, proprio come accade nel fenomeno stalking. Si richiede dunque, affinchè si abbia una buona tutela, uno sforzo di contestualizzazione del fatto. Solo così, si potrà adeguatamente valutare l'incidenza lesiva, in relazione agli interessi tutelati dall'articolo 612 bis c.c., proprio com’è avvenuto nel caso preso in esame.