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Pubbl. Ven, 21 Set 2018

Assegno di divorzio: quale rilievo per le allegazioni di parte?

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Ilaria Taccola
AvvocatoUniversità di Pisa


Commento all´ordinanza della Corte di Cassazione del 4 giugno 2018, n. 14231 in tema di assegno divorzile.


Sommario: 1. Il caso; 2. L'assegno divorzile; 3. Conclusioni.

 1. Il caso

An. Br. ricorreva in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno, emessa in data 3 maggio 2016, che aveva rigettato il gravame da lei proposto in merito alla quantificazione del'assegno divorzile di euro 200.00, in capo all’ex coniuge Ni. Ca., obbligo statuito in capo a quest’ultimo nel giudizio di primo grado.

La ricorrente, infatti, lamentava la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 L. 1 dicembre 1970 n. 898, ritenendo che nella sentenza impugnata non era stata tenuta in considerazione la disparità delle condizioni economiche dei due coniugi, ossia la circostanza che An. Br., essendo disoccupata e priva di redditi, nonché senza una propria abitazione, essendo stata venduta la casa coniugale, non era in grado di mantenere il tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.

Invero, si affermava che nonostante il mutamento giurisprudenziale sul parametro per commisurare l’assegno divorzile[1], le allegazioni della ricorrente in merito alla propria situazione economica, seppure riferite al precedente criterio del “tenore di vita coniugale”, potevano essere utilizzate anche con riferimento al nuovo principio “dell’autosufficienza economica”.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo che la nuova valutazione delle allegazioni attestanti lo stato di disoccupazione, l’indisponibilità di redditi propri e di un’abitazione con riferimento al diverso parametro dell’autosufficienza economica, debba trovare ingresso nel giudizio di merito, essendo stato richiesto un diverso apprezzamento dei fatti.

Come è noto la Corte di legittimità non è competente a rivalutare i fatti oggetto della controversia, ma solamente a censurare sotto l’aspetto logico formale la motivazione della sentenza impugnata.

 2. L’assegno divorzile

Il diritto all’assegno divorzile[2], stabilito all’art. 5 L. 1 dicembre 1970 n. 898, presuppone l’accertamento della mancanza di mezzi adeguati da parte dell’ex coniuge, o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Il giudizio per il riconoscimento dell’assegno divorzile presuppone una prima fase in cui si accerta la sussistenza del diritto (an debeatur) e una successiva in cui si determina l’importo spettante all’ex coniuge (quantum debeatur).

Pertanto, secondo la disposizione della norma citata, l’assegno divorzile deve essere quantificato tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e del contributo economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi e infine, tutti questi elementi devono essere valutati anche in rapporto alla durata del matrimonio.

Il problema interpretativo di tale disposizione è sempre stato l’individuazione del parametro di riferimento, in base al quale ritenere che il coniuge sia privo di mezzi adeguati.

Si deve, inoltre, precisare che la ratio dell’assegno divorzile trova fondamento nell’art. 2 Cost., ossia nel dovere di solidarietà in favore dell’ex coniuge economicamente più debole. Alla luce di ciò, si ritiene che l’assegno divorzile assolva a una funzione esclusivamente assistenziale, a differenza dell’assegno di mantenimento, attribuito in sede di separazione, che svolge viceversa una funzione alimentare, nel senso che è volto a fornire i mezzi economici per permettere al coniuge di adeguarsi alla nuova situazione createsi con la separazione.

L’orientamento giurisprudenziale che per decenni aveva individuato come parametro di riferimento il “tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio” è stato recentemente ritenuto non più attuale dalla sentenza della Corte di Cassazione del luglio 2017[3].

La sentenza Grilli ha individuato come nuovo parametro di riferimento per valutare la mancanza di mezzi adeguati il criterio dell’autosufficienza economica, ritenendo non più attuale il parametro del tenore di vita per una serie di ragioni, una tra le quali è l’indebita commistione tra la fase dell’an debeatur e del quantum debeatur.

Infatti, il giudice non deve valutare il criterio dell’analogo tenore di vita coniugale come presupposto per attribuire l’assegno divorzile poiché questo potrebbe comportare una confusione tra le due fasi del giudizio. Soltanto, nella seconda fase di quantificazione dell'importo si può prendere come riferimento le posizioni economiche dei coniugi e la relativa vita in comune, ma prima bisogna stabilire l'an debeatur che non si può valutare in base al criterio dell'analogo tenore di vita coniugale.  

Si è ritenuto, infatti, che il diritto all’assegno divorzile viene riconosciuto al richiedente come persona singola e non come parte di un matrimonio oramai sciolto.

Invero, una volta cessato il rapporto matrimoniale con la sentenza di divorzio, si estinguono anche i diritti e gli obblighi coniugali ex art. 143 c.c. e non si può per questo motivo avvalorare come presupposto per l’attribuzione dell’assegno divorzile, il criterio dell’analogo tenore di vita coniugale che finisce così per ripristinare il vincolo coniugale, comportando l’obbligo in capo a uno dei coniugi di assicurare all’altro il tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.

Il nuovo parametro dell’autosufficienza economica è stato individuato per analogia partendo dall’art. 337 septies primo comma c.c., in merito al criterio all’indipendenza economica del figlio maggiorenne che esclude il diritto all’assegno di mantenimento.

Si ritiene, infatti, che in entrambi i casi si tratta di prestazioni economiche con funzione assistenziale. Infatti, l’art. 337 septies c.c. trova il suo fondamento nel principio dell’autoresponsabilità economica che può trovare certamente applicazione anche nell’ambito del divorzio, che comporta come è noto lo scioglimento del vincolo coniugale.

Tuttavia, tale analogia è stata criticata recentemente dalle Sezioni Unite[4] che hanno messo in evidenza i diversi presupposti dell’art. 337 septies c.c. e dell’art. 5 L. 1 dicembre 1970 n. 898.

Infatti, l’art. 337 septies c.c. attribuisce al figlio il diritto all’assegno di mantenimento nel caso in cui non sia ancora economicamente autosufficiente, ma tale contributo economico è volto a fornire i mezzi al figlio maggiorenne per mettersi nelle condizioni di essere indipendente.

Difatti, il giudice nella fase di determinazione dell’importo dell’assegno di mantenimento ex art. 337 septies c.c. deve tenere di conto anche delle esigenze attuali del figlio.

Viceversa, l’assegno divorzile non svolge solamente una funzione assistenziale, ma anche una finalità risarcitoria e compensativa.

Le Sezioni Unite, infatti, hanno ritenuto che il giudice per valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge deve fare riferimento ai criteri enunciati dalla norma, ossia alle condizioni dei coniugi, alle ragioni della decisione e del contributo economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, al reddito di entrambi e tutti questi elementi devono essere valutati anche in rapporto alla durata del matrimonio.

Infatti, si deve valutare l’apporto contributivo del richiedente alla conduzione della vita familiare, se ad esempio quest’ultimo abbia rinunciato a una posizione lavorativa per dedicarsi alla famiglia e quindi contribuendo con il proprio lavoro domestico.

Pertanto, i presupposti indicati nell’art. 5 L. 1 dicembre 1970 n. 898, devono essere valutati anche nella fase dell’an debeatur e non soltanto nella fase di quantificazione dell’importo dell’assegno.

3. Conclusioni

Come è noto per quanto il regime della prova spetta al richiedente dimostrare il presupposto dell’insufficienza dei mezzi per l’attribuzione dell’assegno divorzile.

Nel caso esaminato le allegazioni in merito allo stato di disoccupazione, l’indisponibilità di redditi propri e di un’abitazione erano state depositate per contestare l'importo dell'assegno divorzile, facendo riferimento al precedente parametro del “tenore di vita coniugale” e a seguito del mutamento giurisprudenziale in merito al criterio da seguire per attribuire l’assegno divorzile, non erano state prese in considerazione dalla Corte territoriale.

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza in commento, ha rilevato che seppure tali allegazioni potrebbero essere utilizzate anche con riferimento al nuovo parametro della non autosufficienza economica, tale censura non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità, essendo stata richiesta una nuova valutazione dei fatti.

Difatti, la Corte di legittimità è competente a valutare la correttezza giuridica e la coerenza logico formale delle argomentazioni contenute nella decisione impugnata e non le questioni attinenti al merito.

Si deve però rilevare che nell’ordinanza la Corte di Cassazione pare prospettare un potere - dovere in capo al giudice di valutare le allegazioni del richiedente l’assegno divorzile, seppure fatte in merito al precedente criterio del tenore di vita coniugale, con riferimento al criterio dell’autosufficienza economica.

Tuttavia, si deve tenere anche presente che tale ordinanza è precedente alle Sezioni Unite di luglio che hanno modificato come abbiamo esposto il precedente orientamento della sentenza Grilli.

A parere dello scrivente, a seguito dei vari cambiamenti in merito al parametro da seguire per attribuire l’assegno divorzile, si dovrebbe senz’altro prospettare un potere - dovere in capo al giudice di valutare le allegazioni delle parti, seppure riferite ai precedenti parametri, nell’ottica del nuovo orientamento prospettato dalle Sezioni Unite.

 

Note e riferimenti bibiliografici

[1] Vedi Cass., sez. I, 10/05/2017 n. 11504;
[2] Per un approfondimento vedi “La natura polifunzionale dell’assegno divorzile” in Riv. Cammino Dirit., 7, 2018;
[3] Vedi nota sub [1];
[4] Vedi Sez. Un. 11/07/2018  n. 18287