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Pubbl. Mar, 7 Ago 2018

Commette reato il pubblico ufficiale che rivela all´indagato la sua iscrizione nel Re.Ge.

Alessandra Inchingolo


Solo la segreteria della Procura della Repubblica può fornire notizia circa eventuali iscrizioni a carico, ammesso che il destinatario ne abbia fatto espressa richiesta e se la comunicazione dell’informazione sia stata autorizzata dal magistrato dell’Ufficio del Pubblico ministero.


Solo la segreteria della Procura della Repubblica può fornire notizia circa eventuali iscrizioni a carico, ammesso che il destinatario ne abbia fatto espressa richiesta e se la comunicazione dell’informazione sia stata autorizzata dal magistrato dell’Ufficio del Pubblico ministero. Dunque, ne consegue che fino al rilascio di tale autorizzazione la notizia in ordine all’esistenza di iscrizioni a carico di un determinato soggetto rimane segreta anche nei confronti del diretto interessato.

Solo la segreteria della Procura della Repubblica può fornire notizia circa eventuali iscrizioni a carico, ammesso che il destinatario ne abbia fatto espressa richiesta e se la comunicazione dell’informazione sia stata autorizzata dal magistrato dell’Ufficio del Pubblico ministero. Dunque, ne consegue che fino al rilascio di tale autorizzazione la notizia in ordine all’esistenza di iscrizioni a carico di un determinato soggetto rimane segreta anche nei confronti del diretto interessato.

Tanto è utile a comprendere che altrimenti verrebbe integrato il reato di "rivelazione di segreto d’ufficio", sanzionato dall’art. 326 del codice penale.

Nella vicenda da cui ha avuto origine la sentenza n. 11358 della sesta sezione penale della Corte di Cassazione, il prevenuto, in qualità di pubblico ufficiale perché in servizio presso l’ufficio dibattimento della Procura della Repubblica, consultava la banca dati del sistema informatico della Procura, visualizzava i quadri del fascicolo penale a carico anche del parente, sindaco pro tempore di un Comune nei cui confronti erano in corso intercettazioni telefoniche nell’ambito di tale procedimento, ed infine comunicava telefonicamente all’indagato le informazioni riservate di cui era venuto in possesso, aiutandolo ad eludere le investigazioni dell’Autorità giudiziaria.

Si osservi che affinchè possa configurarsi la fattispecie di cui all’articolo 326 c.p., con riferimento alla rivelazione di notizie d’ufficio attinenti a procedimenti in fase di indagini, non è necessario provare la sussistenza di un reale pregiudizio per le investigazioni, sebbene il delitto in questione sia un reato di pericolo concreto a salvaguardia del buon andamento della amministrazione, che altrimenti subirebbe un vulnus dalla divulgazione della notizia, anche soltanto potenzialmente pregiudizievole per quest’ultima o per un terzo (Sez. 5, n. 46174 del 05/10/2004, Esposito, Rv. 231166; Sez. 6, n. 5141 del 18/12/2007, dep. 2008, Cincavalli, Rv. 238729).
Tuttavia, è pacificamente consolidata la considerazione in base alla quale se la legge prevede l’obbligo di segreto relativamente a determinati atti  o fatti, il reato ex art. 326 c.p. è integrato, senza necessità di  valutazioni circa la potenzialità pericolosa, in virtù della circostanza in base alla quale il bene giuridico tutelato dall’art.326 c.p. è anche l’imparzialità della pubblica amministrazione. (Sez. 6, n. 33256 del 19/05/2016).
Inoltre, la condotta dell’imputato ha integrato altresì il reato di favoreggiamento ex art. 378 c.p., che è un reato di pericolo, per la cui sussistenza è sufficiente che l’azione sia finalizzata ad aiutare qualcuno a eludere le investigazioni o a sottrarsi alle ricerche delle autorità, mentre non è necessario che tale effetto sia raggiunto. Il reato, dunque, può essere integrato da qualunque condotta, positiva o negativa, diretta o indiretta, e non è necessaria la dimostrazione dell’effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito, occorrendo solo la prova della oggettiva idoneità della condotta favoreggiatrice ad intralciare il corso della giustizia.

Orbene, i fatti provati, sono due: l’aver consultato il sistema informatico contenente notizie  di cui  non va divulgata l’esistenza e il favoreggiamento consistito nel rivelare all’imputato il contenuto di tali notizie, aiutandolo dunque ad eludere le indagini a suo carico.

Avverso la sentenza del Tribunale di Bari, l’imputato proponeva ricorso alla Corte d’appello, sostenendo, nel primo motivo, che il suo intento era quello di informare il congiunto della necessità di attivarsi, in quanto funzionari del Comune manovravano per ritardare la firma di una convenzione relativa all’affidamento di un centro polifunzionale alla gestione delle A.C.L.I. di cui il predetto era esponente, ad un momento successivo allo spirare del mandato, esortandolo ad attivarsi perché ciò avrebbe avuto floridi riverberi politici.

Tuttavia, nel caso in questione, sebbene l’oggetto da tutelare fosse rappresentato dalle notizie d’ufficio che devono rimanere segrete, le stesse avrebbero dovuto essere segretate, ma ciò non è accaduto, anzi era ormai di dominio pubblico che pendessero giudizi in capo agli amministratori in carica. Pertanto viene meno il requisito fondante della segretezza. L’imputato ammetteva solo una ingenua curiosità. Le notizie che si possono attingere dall’ufficio non sono notizie coperte dal segreto di cui all’articolo 329 cod. proc. pen. e lo stesso viene meno quando il dato o il fatto storico è portato a conoscenza degli interessati o degli indagati.

Ciò detto, a prescindere dall’esistenza o meno del pregiudizio arrecato dalla rivelazione di segreti d’ufficio, quando l’obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto discende da una previsione di legge, il bene giuridico tutelato dall’art. 326, primo comma, cod. pen. è anche l’imparzialità della pubblica amministrazione, in linea con quella che è ritenuta l’oggettività giuridica di categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

Il Supremo Collegio ha rigettato entrambi i motivi di doglianza contenuti nel ricorso ritenendo sussistenti sia il reato di favoreggiamento che quello di rivelazione di segreti d’ufficio, stabilendo dunque con sentenza del 13 marzo 2018 n. 11358 che le notizie desumibili dall’accesso al RE.GE. sono segrete ai fini e per gli effetti del reato di rivelazione di segreto d’ufficio di cui all’art. 326 c.p.; e ciò in quanto solo la competente segreteria della Procura della Repubblica può notiziare circa eventuali iscrizioni a carico, sempre se il destinatario ne abbia fatto espressa richiesta e se la comunicazione dell’informazione sia stata autorizzata dal magistrato dell’Ufficio del Pubblico ministero. Con la conseguenza che sino al rilascio di tale autorizzazione la notizia in ordine all’esistenza di iscrizioni a carico di un determinato soggetto rimane segreta anche nei confronti del diretto interessato.

Infatti il primo motivo, riformulando argomentazioni già riproposte in secondo grado e disattese dalla Corte d’appello, sembra riproporre una riconsiderazione dei fatti, esortando il giudice di legittimità ad operare un sindacato che non gli compete.

Inoltre, a sostegno delle sue motivazioni, La Corte d’appello territoriale, rimarcava che la versione dei fatti fornita dal’imputato era inverosimile in merito al contenuto ed alle finalità delle conversazioni intrattenute dall’imputato con il soggetto cui la rivelazione delle informazioni era indirizzata.
Sia nella sentenza di primo grado che in quella di secondo grado, i giudici hanno ritenuto che la condotta di favoreggiamento fosse iniziata con la telefonata tra l’imputato ed il congiunto e si fosse conclusa con le comunicazioni verbali nel corso dell’incontro di persona tra i due.

Così come la Corte d’appello, in secondo grado, anche gli Ermellini, in ultimo grado, hanno considerato integrato il reato ex art. 326 c.p., in virtù del fatto che le notizie rivelate dall’imputato erano certamente notizie che dovevano rimanere segrete.
Pertanto, in linea generale, va escluso che la comunicazione informale di quanto risulta dai registri di un ufficio giudiziario sia consentita, anche se la notizia abbia ad oggetto l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato e sia richiesta dal diretto interessato. Ciò è confermato dal combinato disposto di cui all’articolo 335 c.p.p., e articolo 110 bis disp. att. c.p.p., che innanzitutto riserva specificamente all’ufficio del Pubblico ministero la comunicazione delle informazioni concernenti eventuali iscrizioni nel registro delle notizie di reato, e previa formale richiesta, e poi prevede espressamente che il Pubblico ministero, a fronte di un istanza di informazioni dell’interessato o del suo difensore, possa anche disporre il segreto sulle iscrizioni fino a tre mesi, laddove, però,  ricorrano specifiche esigenze relative all’attività di indagine.

Quindi, fino al rilascio di tale autorizzazione, la notizia in ordine all’esistenza di iscrizioni a carico e’ segreta anche nei confronti del diretto interessato (Sez. 6, n. 49526 del 3.10.2017, Greco, Rv. 271565; Sez. 5, n. 44403 del 26/06/2015, Morisco, Rv. 266089; Sez. 6, n. 22276 del 05/04/2012, Maggioni, Rv. 252871).

Per tali motivi, dunque, la Cassazione ha ritenuto integrate le condotte di rivelazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento da parte del pubblico ufficiale, dipendente presso la Procura della Repubblica, rigettando il ricorso e condannandolo anche alle spese processuali.