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Pubbl. Ven, 3 Ago 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Riscossione tributi: illegittima l´esclusione dell´opposizione all´esecuzione davanti al Giudice Ordinario

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Matteo Bottino
AvvocatoUniversità degli Studi di Genova


Maggiore tutela per il contribuente, avverso gli atti illegittimi posti in essere dall´erario, in sede di riscossione coattiva dei tributi. La Consulta censura la norma che negava espressamente la possibilità di contestare, davanti al Giudice ordinario, il diritto dell´amministrazione finanziaria a procedere ad esecuzione forzata.


Sommario: 1. Premessa ed inquadramento normativo; 2. L'individuazione del Giudice competente nell'interpretazione dell'art. 57. Problemi di giurisdizione; 2.1 Il primo orientamento. La giurisdizione del giudice tributario; 2.2 Il secondo orientamento. La giurisdizione del giudice ordinario; 2.3 La risoluzione del contrasto. La Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 13913 del 21 marzo 2017; 3. Ulteriori problemi di giurisdizione. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 57 co. I lett. a) DPR 602/1973; 3.1 Il caso di specie e l'ordinanza di rimessione; 3.2 La Sentenza della Consulta e l'illegittimità costituzionale della norma censurata;  4. Conclusioni.

1. Premessa ed inquadramento normativo

Prima di analizzare la Sentenza della Corte Costituzionale in commento, si rende necessario inquadrare e analizzare la norma censurata, anche in considerazione del fatto che la stessa è stata oggetto di dibattito nelle aule di giustizia, nonchè di un contrasto giurisprudenziale - ormai risolto - per alcune problematiche afferenti l'individuazione della giurisdizione.

Il legislatore ha previsto infatti – in tema di riscossione coattiva dei tributi - una normativa speciale onde rendere più snello e celere il procedimento attraverso il quale, il Fisco può soddisfare il credito vantato nei confronti del contribuente. L’amministrazione finanziaria può infatti giovarsi di un procedimento speciale più favorevole, giustificato dalla peculiarità dei crediti tributari, in luogo dell’ordinario procedimento di esecuzione forzata.

La normativa di riferimento è individuabile nel D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 (Disposizioni per la riscossione delle imposte sui redditi), nel quale - il titolo secondo - viene appunto dedicato alla riscossione coattiva.

Nelle disposizioni generali - all’art. 49 - viene stabilito come il concessionario possa procedere all’espropriazione mobiliare sulla base del ruolo, il quale costituisce valido titolo esecutivo, concedendo altresì la possibilità di avvalersi delle ordinarie forme di tutela del creditore. L'agente della riscossione può dunque formare il ruolo e successivamente - espletata la procedura di intimazione ad adempiere, seguita dall'omissione di pagamento - utilizzare lo stesso, quale titolo esecutivo al fine di procedere all'esecuzione forzata.

Il successivo art. 57 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973 – oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale – disciplina il procedimento di opposizione all’esecuzione posta in essere dal concessionario. Tale norma è qualificata come una "disposizione negativa", ed infatti provvede ad escludere dalla regola generale (artt. 615 e 617 c.p.c.) le ragioni di contestazione che non sono eccepibili all’Agente della riscossione. Nello specifico – nella sua originaria formulazione - negava al contribuente la possibilità di opporsi all'esecuzione forzata, per le questioni di cui all'art. 615 c.p.c., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, nonchè quelle previste dall'art. 617 c.p.c. per le questioni rigaurdanti la regolarità formale del titolo esecutivo.

Tale impostazione normativa ha contribuito a creare - oltre ai dubbi di legittimità costituzionale che hanno portato alla proncuncia della Consulta in esame - contrasti giurisprudenziali circa l'individuazione della giurisdizione in capo al giudice ordinario o al giudice tributario, in caso di opposizione all'esecuzione da parte del contribuente.

2. L'individuazione del Giudice competente nell'interpretazione dell'art. 57. Problemi di giurisdizione.

La linea di demarcazione tra giurisdizione tributaria e ordinaria, in tema di riscossione coattiva, viene individuata puntualmente dal legislatore nell'art. 2 D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992, il quale - al primo comma - stabilisce l'esclusione della giurisdizione tributaria nei casi di opposizione all'esecuzione, successva alla notifica della cartella esattoriale e all'intimazione di pagamento.

Infatti, nell'ipotesi di contestazione sollevata avverso il titolo su cui si fonda l'esecizione, il contribuente può - entro il termine perentorio di 60 giorni - impugnare l'atto che si assume viziato, davanti alla Commissione Tributaria, la quale ha il potere di sospendere l'esecuzione in via cautelare, nel caso in cui dalla prosecuzione della stessa, possa derivare un grave ed irreparabile danno al debitore (ex art. 47 D.Lgs. 549/1992). Tale doglianza deve essere sollevata tramite il ricorso ex art. 19 D.Lgs. 549/1992, il quale disciplina il contenzioso tributario, e non per il mezzo dell'opposizione di cui all'art. 615 c.p.c., la quale non è soggetta  - inoltre - a termini di decadenza. Una diversa interpretazione, porterebbe ad un'illegittima remissione in termini del contribuente che non ha proposto ricorso avverso l'atto ritenuto illegittimo nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge. Per quanto concerne, invece, le cause di opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c., che non riguardassero la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, era è competente il Giudice ordinario.

Da tale impostazione normativa nasceva un contrasto giurisprudenziale basato su due differenti orientamenti, circa l'individuazione del Giudice competente, nel caso in cui il primo atto notificato al contribuente riguardasse l'esecuzione forzata e quest'ultimo volesse contestare la regolarità formale del titolo esecutivo di cui all'art. 617 c.p.c., espressamente escluso dall'art. 57 D.P.R. 602/1973 e coevamente eccepisca la mancata notifica degli atti prodromici.

2.1 Il primo orientamento. La giurisdizione del giudice tributario.

Secondo il primo orientamento, più risalente nel tempo, è da rinvenirsi la giurisdizione del giudice tributario nel caso in cui il contribuente si opponga agli atti esecutivi, contestando la fondatezza del titolo esecutivo. La controversia infatti non può essere devouta al giudice ordinario in quanto, benchè venga impugnato un atto esecutivo, l'oggetto della controversia riguarda la fondatezza del titolo sul quale l'Agente delle riscossione fonda il proprio diritto di agire e - quindi - sulla cartella esattoriale, conoscibile esclusivamente dal giudice tributario.

"La giurisdizione del giudice tributario - che si estende alla cognizione "di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere o specie", con la sola esclusione degli atti dell'esecuzione tributaria, fra i quali non rientrano, per espressa previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, nè le cartelle esattoriali nè gli avvisi di mora - include anche la controversia relativa ad una opposizione all'esecuzione, nella specie attuata con un pignoramento presso terzi promosso con riguardo al mancato pagamento di tasse automobilistiche, quando oggetto del giudizio sia la fondatezza del titolo esecutivo, non rilevando la formale qualificazione come "atto dell'esecuzione" del predetto pignoramento ed invece contestandosi le cartelle esattoriali emesse per tasse automobilistiche che si ritengano non dovute, in quanto relative ad auto già demolite." (Cass. civ. Sez. V, 06/12/2016, n. 24915)

2.2 Il secondo orientamento. La giurisdizione del giudice ordinario.

L'orientamento più recente, parte dal medesimo presupposto secondo il quale la previsione dell'art. 57, non implica un'assoluta esclusione della possibilità di opposizione agli atti esecutivi, in quanto ciò contrasterebbe inevitabilmente con il diritto di difesa giurisdizionale, sancito dall'art. 24 della Costituzione. Si rinviene però una divergenza circa l'individuazione del giudice da adire, che - naturalmente - si pone in netto contrasto con il precedente orientamento.

Nello specifico tale orientamento sanciva la giurisdizione del giudice ordinario, sul presupposto del tenore letterale dell'art. 2 D.Lgs. 546/1992, il quale esclude la configurabilità della competenza delle Commissioni tributarie nel caso in cui oggetto del giudizio sia l'opposizione alla procedura esecutiva, successiva alla notifica della cartella di pagamento, tra cui l'atto di pignoramento. Del tutto irrilevante sarebbe - inoltre - la circostanza per la quale il contribuente lamenti altresì l'irregolare notifica della cartella esattoriale.

"In materia di riscossione coattiva di crediti tributari, l'ammissibilità dell'opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 57, primo comma, lett. b), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, dipende dall'atto impugnato e non dal vizio dedotto, sicché, mentre il contribuente non può impugnare dinanzi al giudice ordinario la cartella di pagamento o l'avviso di mora, la cui cognizione è riservata al giudice tributario, può proporre opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. avverso il pignoramento, oltre che per vizi suoi propri, anche per far valere la nullità derivata, conseguente all'omessa notificazione degli atti presupposti e, cioè, della cartella di pagamento o dell'intimazione ad adempiere." (Cass. civ. Sez. III Sent., 07/05/2015, n. 9246)

2.3 La risoluzione del contrasto. La Sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 13913 del 21 marzo 2017

La Corte di Cassazione prendeva atto dell'esistenza di un contrasto giurisprudenziale al proprio interno e - dunque - nel massimo dell'espletazione della funzione nomofilattica, risolveva la questione con la Sentenza resa a Sezione Unite numero 13913/2017.

Gli ermellini aderivano dunque al primo e più risalente orientamento, in quanto ritenuto quello che maggiormente si inserisse nel dato sistematico e letterale della norma in commento. Veniva evidenziato infatti, come il legislatore avesse fissato il  momento discriminante tra giurisdizione tributaria e ordinaria nella "notificazione della cartella di pagamento". 

"In tema di esecuzione forzata tributaria, l'opposizione agli atti esecutivi riguardante l'atto di pignoramento, che si assume viziato per l'omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento o degli altri atti presupposti dal pignoramento, è ammissibile e va proposta, ai sensi degli artt. 2, comma 1, secondo periodo e 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell'art. 57 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e dell'art. 617 c.p.c., davanti al giudice tributario." (Cass. civ. Sez. Unite, 05/06/2017, n. 13913)

Inoltre si rilevava come la previsione di cui all'art. 57 co. I lett. B), DPR 602/1973, potesse essere agevolmente interpretata nel senso in cui le opposizioni di cui all'art. 617 c.p.c. riguardanti la regolarità formale e la corretta notificazione del titolo esecutivo, sono sottratte al giudice ordinario e devolute alla giruisdizione tributaria nel caso in cui venga eccepita la regolarità del pignoramento sulla base della mancata notificazione della cartella. La ratio di tale statuzione è da rinvenire nella circostanza per la quale le situazione soggettive poste alla base delle opposizioni, possono essere preventivamente tutelate davanti al giudice tributario.

"L'opposizione agli atti esecutivi riguardante un atto di pignoramento, che il contribuente assume essere viziato da nullità derivata dall'omessa notificazione degli atti presupposti, si risolve nell'impugnazione del primo atto in cui viene manifestato al contribuente l'intento di procedere alla riscossione di una ben individuata pretesa tributaria: l'opposizione, pertanto, è ammissibile e va proposta davanti al giudice tributario." (Cass. civ. Sez. Unite, 05/06/2017, n. 13913)

3. Ulteriori problemi di giurisdizione. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 57 co. I lett. a) DPR 602/1973.

La norma richiamata ha creato non pochi problemi agli interpreti, i quali sono sfociati nell'ormai risolto contrasto giurisprudenziale di cui sopra. 

Altra problematica, che non è stato possibile risolvere in via interpretativa, si è creata in rifeirmento al disposto dell'art. 57 co. I lett. a) DPR 602/1973, il quale prevedeva la non proponibilità dell'opposizione all'esecuzione che riguardasse il diritto del concessionario a procedere al pignoramento. La Sentenza in commento ha infatti censurato tale disposizione, dichiarandone l'illegittimità costituzionale e fornendo dunque al contribuente una maggior tutela nei confronti delle azioni illegittime avviate dal Fisco.

3.1 Il caso di specie e l'ordinanza di rimessione 

L'attività dalla Consulta si rendeva necessaria a seguito dell'ordinanza del giudice dell'esecuzione del Tribunale ordinario di Trieste, il quale poneva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 57 DPR 602/1973, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost., nella parte in cui - prevedendo l'inammissibilità sia delle opposizioni regolate dall'art. 615 cod. proc. civ., fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, sia delle opposizioni regolate dall'art. 617 cod. proc. civ. relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo - costringe "il contribuente a subire in ogni caso l'esecuzione, ancorché ingiusta; con la sola possibilità di presentare ex post una richiesta di rimborso di quanto ingiustamente percetto dalla pubblica amministrazione, o suo concessionario per la riscossione, ovvero di agire per il risarcimento del danno1.

La questione di legittimità costituzionale della citata norma, veniva sollevata in quanto il giudice dell'esecuzione era chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato da una Società, la quale si opponeva al pignormento presso terzi posto in essere dall'agente della riscossione nelle forme dell'art. 72 bis del DPR 602 del 29 settembre 1973, nonostante fosse intervenuta la sospensione dell'esecuzione a seguito del ricorso del contribuente nanti la Commissione Tributaria e la coeva richiesta di sospensione degli atti esecutivi.

Invero, era evidente a parere del rimettente, come il concessionario non potesse legittimamente procedere ad esecuzione forzata, in quanto l'esecutività del ruolo era stata sospesa e - quindi - non era in possesso di un titolo idoneo allo scopo. Nonostante fosse evidente - dunque - l'illegittimità dell'azione posta in essere dall'amministrazione finanziaria, il Giudice dell'esecuzione non aveva il potere di annullare l'impugnato pignoramento, stante l'inqeuivocabile tenore letterale della norma censurata.

Infatti, seppur il c.d. "pignormento diretto" effettuato dall’agente della riscossione non necessiti dell’attività del Giudice dell’esecuzione, questo non può certamente essere avviato in assenza dei presupposti di legge ed in violazione del diritto di difesa del debitore-contribuente previsto dal codice di rito e dalla normativa di riferimento.

Nel caso di specie veniva utilizzata la procedura  “più snella” prevista dall’art. 72bis D.P.R. n. 602/1973, la quale rimane in ogni caso da annoverarsi tra i procedimenti esecutivi a carico del contribuente.

Le contestazioni mosse dalla società opponente, vertono sostanzialmente sulla totale assenza dei presupposti giuridici per poter agire in via esecutiva. Infatti la norma regolatrice del particolare istituto utilizzato, prevede semplicemente che “l'atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, in luogo della citazione di cui all'articolo 543, secondo comma, numero 4, dello stesso codice di procedura civile, l'ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede”2

Viene dunque derogato – per la riscossione dei crediti tributari – l’ordinario procedimento di esecuzione forzata, evitando l’intervento del giudice dell’esecuzione. È prima facie evidente come tale deroga non possa certamente estendersi in maniera indefinita ed incondizionata a tutte le norme regolatrici del processo esecutivo. Per tale ragione trova certamente applicazione l’art. 474 c.p.c., il quale prevede che “L'esecuzione forzata non può avere luogo che in virtù di un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile”.

3.2 La Sentenza della Consulta e l'illegittimità costituzionale della norma censurata

La Corte Costituzionale, dichiarata l'ammissibilità delle ordinanze del Tribunale ordinario di Trieste, rilevava l'illegittimità dell'art. 57 co. I lett. a) del D.P.R. 602/1973 in riferimento agli artt. 24 e 113 Cost., nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 615 del codice di procedura civile.

"È incostituzionale l'art. 57, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 602/1973 nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell'intimazione ad adempiere, siano ammesse le opposizioni all'esecuzione regolate dall'art. 615 c.p.c." (Corte cost., 31/05/2018, n. 114)

La Consulta analizzava l'excursus storico della normativa di rifermento per la riscossione dei tributi e rilevava come in passato, seppur le azioni perocorribili dal contribuente avverso gli atti dell'esecuzione posti in essere dal Fisco fossero limitati, vi era comunque una sorta di tutela in suo favore.

La norma censurata, così come in ultimo modificata3,  esprime una totale apertura all'opposizione agli atti esecutivi di cui alla lettera b) del comma primo, la quale esclude la possibilità di censurare nanti il giudice ordinario la correttezza formale e la notificazione del titolo esecutivo. Infatti, in tale ipotesi, non si ravvisa una compressione del diritto di difesa del contribuente, ma semplicemente una ripartizione della giurisdizione, che viene affidata al giudizio tributario avviato nei modi e nei termini previsti dalla norma regolatrice di tale procedimento4.

"In questo riformato contesto normativo l'opposizione all'esecuzione o quella agli atti esecutivi nel procedimento di riscossione coattiva è disciplinata dal censurato art. 57, nella formulazione sostituita dall'art. 16D.Lgs. n. 46 del 1999, in termini ben diversi da quelli dell'originario art. 54, che - come rilevato - le precludeva del tutto. Non si passa però ad una loro generale ammissibilità secondo le regole ordinarie del codice di rito; anzi l'incipit dell'art. 57 conserva ancora la formulazione al negativo, in termini di inammissibilità dell'opposizione. Infatti la disposizione attualmente censurata prevede al primo comma: "Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall'articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall'articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo".

In vero, l'apertura alle opposizioni agli atti esecutivi - quelle relative alla regolarità formale degli atti della procedura di riscossione - è in realtà piena nel senso che sono tutte ammesse con la sola eccezione delle opposizioni che riguardano la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo. Ma non è questa una deroga limitativa della tutela giurisdizionale perché queste ultime opposizioni sono attratte alla giurisdizione del giudice tributario. Quindi la tutela del contribuente c'è in ogni caso, senza che le regole di riparto della giurisdizione possano significare alcuna soluzione di continuità della garanzia giurisdizionale nel rispetto dei parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 24 e 113 Cost.)." (Corte cost., 31/05/2018, n. 114)

Tale apertura non si rinviene - però - nelle opposizioni regoalte dall'art. 615 c.p.c., le quali vengono espressamente escluse, salvo che siano mosse censure in relazione alla pignorabilità dei beni. Ebbene la Corte Costituzionale rileva come tale impostazione non possa trovare ingresso nell'ordinamento giuridico, in quanto si verrebbe a creare una carenza di tutela giurisdizionale.

"[Omissis...] l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ. è inammissibile non solo nell'ipotesi in cui la tutela invocata dal contribuente, che contesti il diritto di procedere a riscossione esattoriale, ricada nella giurisdizione del giudice tributario e la tutela stessa sia attivabile con il ricorso ex art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ma anche allorché la giurisdizione del giudice tributario non sia invece affatto configurabile e non venga in rilievo perché si è a valle dell'area di quest'ultima. Il dato letterale della disposizione censurata non consente di ritenere che l'inammissibilità dell'opposizione all'esecuzione sia sancita solo nella prima ipotesi e non anche nell'altra." (Corte cost., 31/05/2018, n. 114)

Per le ragioni esposte, la Consulta rilevava come nel caso in cui la censura sollevata dal contribuente non radichi una controversia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario e quindi sussista la giurisdizione del giudice ordinario, l'impossibilità di far valere innanzi al giudice dell'esecuzione l'illegittimità della riscossione mediante opposizione all'esecuzione, essendo ammessa soltanto l'opposizione con cui il contribuente contesti la mera regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura e non anche quella con cui egli contesti il diritto di procedere alla riscossione, confligge inesorabilmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall'art. 24 Cost. e nei confronti della pubblica amministrazione dall'art. 113 Cost., dovendo essere assicurata in ogni caso una risposta di giustizia a chi si oppone alla riscossione coattiva.

4. Conclusioni

La normativa in materia tributaria si trova spesso di fronte al problema di dover assicurare il gettito fiscale - necessario allo Stato al fine di far fornte alle spese correnti - garantendo una posizione di vantaggio al Fisco e una maggior celerità del procedimento di riscossione delle imposte e nel contempo non comprimere eccessivamente i diritti dei contribuenti, i quali devono avere in ogni caso la possibilità per difendersi dagli atti eventualmente illegittimi.

Purtroppo il legislatore - con l'intento di rendere più agevole il soddisfacimento dei crediti fiscali - disciplina tale ambito con una normativa che è sicuramente utile al raggiungimento dello scopo prefissato, ma finisce con il lasciare il contribuente privo degli strumenti giuridici, che possano garantire - almeno in minima parte - una tutela avverso tali procedure in cui, come nel caso di specie, è evidente l'illegittimità dell'azione intrapresa.

Spesso la giurisprudenza interviene colmando le lacune ed interpretando le norme in maniera tale da equilibrare gli interessi in gioco, ma a volte un'interpretazione adeguatrice viene resa del tutto impossibile dal tenore letterale della disposizione e si rende necessario un intervento come quello della Corte Costituzionale.

La norma censurata, a seguito degli interventi giurisprudenziali e della Consulta, esprime ora una piena tutela del contribuente, il quale a seconda dei casi potrà far valere le proprie difese nanti il giudice competente così individuato: 

1) per le cause concernenti il titolo esecutivo, in relazione al diritto di procedere ad esecuzione forzata tributaria, si propongono davanti al giudice tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 1 secondo periodo; art. 9 c.p.c., comma 2); 

2) le opposizioni all'esecuzione di cui all'art. 615 cod. proc. civ. concernenti la pignorabilità dei beni si propongono davanti al giudice ordinario (art. 9 c.p.c., comma 2).

3) le opposizioni agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c., ove siano diverse da quelle concernenti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, si propongono al giudice ordinario (art. 9 c.p.c., comma 2).

4) le opposizioni di terzo all'esecuzione di cui all'art. 619 c.p.c. si propongono al giudice ordinario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58; art. 9 c.p.c., comma 2).

5) le opposizioni agli atti esecutivi ove questa concerna la regolarità formale o la notificazione del titolo esecutivo e, in particolare, ove il contribuente, di fronte al primo atto dell'esecuzione forzata tributaria (cioè all'atto di pignoramento), deduca di non avere mai ricevuto in precedenza la notificazione del titolo esecutivo si propongono nanti al giudice tributario, il quale ha altresì poteri cautelari, e potrà analizzare la fondatezza delle doglianze in merito agli atti prodromici.

6) le opposizioni all'esecuzione di cui all'art. 615 cod. proc. civ., concernenti il diritto dell'amminstrazione finanziaria a procedere all'azione esecutiva, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, si propongono nanti il giudice ordinario nelle forme previste dal codice di procedura civile.

Note e riferimenti bibliografici

[1] Ordinanze del Tribunale di Trieste, del 19 agosto 2015 e del 28 marzo 2017, iscritte rispettivamente al n. 195 del registro ordinanze 2016 e al n. 110 del registro ordinanze 2017.
[2] Art. 72bis del D.P.R. numero 602 del 29 settembre 1973.
[3] Sostituito dall'art. 16, comma 1, del D.Lgs. n. 46 del 1999, n. 46.
[4] Decreto Legislativo numero 546 del 31 dicembre 1992.