Pubbl. Ven, 17 Ago 2018
La prevedibilità dell´evento e l´imprudenza del pedone per escludere il nesso di causalità
Modifica paginaIl Comune non deve il risarcimento del danno per una caduta del pedone sull’asfalto “scarificato” in assenza di insidia, poichè il dissesto della strada era visibile e il danno ascrivibile alla condotta imprudente del pedone danneggiato.
Sommario: 1. Premessa; 2. Il Caso; 3. Sulla Responsabilità da cose in custodia; 4. Principi enunciati nella decisione in commento.
1. Premessa.
Nell’ordinanza n. 17324 del 3 luglio 2018, la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il problema del risarcimento dei danni da responsabilità per cose in custodia ex art. 2051 c.c.
In particolare, nel bilanciamento degli interessi in gioco, la Corte sottolinea l’importanza di valutare le circostanze in cui si è verificato l’evento, la condotta del custode (nel caso di specie l’amministrazione comunale) ma soprattutto il contegno tenuto dal danneggiato in occasione del sinistro.
Ebbene, nel valutare le responsabilità dei soggetti coinvolti bisogna tener conto da un lato la condotta del Comune, quale soggetto titolare dell’obbligo di custodia e manutenzione della strada, e dall’altro il contegno del pedone, in ragione del grado di prudenza usato nell’uso del bene pubblico e della rimproverabilità della sua condotta.
2. Il caso.
Nel caso di specie una signora aveva convenuto in giudizio il Comune per chiedere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una rovinosa caduta in una presunta buca non segnalata esistente sul manto stradale di una strada comunale, ottenendo dal giudice di primo grado una pronuncia favorevole.
Tuttavia, la Corte d’Appello, in riforma della sentenza, escludeva il diritto al risarcimento del danno rilevando che sul luogo del sinistro non sussisteva alcuna insidia tale da giustificare la caduta accidentale della signora, posto che vi era solo una “scarificazione” dell’asfalto e non una buca, e che l’evento dannoso era avvenuto alle prime ore del mattino in condizioni di perfetta visibilità; per cui la danneggiata era perfettamente in grado di accorgersi della sconnessione dell’asfalto, ovvero avrebbe potuto esserlo utilizzando l’ordinaria diligenza; pertanto era da ritenere che l’evento dannoso fosse stato determinato in via esclusiva dalla condotta della danneggiata, senza alcuna responsabilità del Comune. La signora ricorreva in Cassazione per veder riformata la decisione del giudice d’appello.
3. Sulla responsabilità da cose in custodia.
L’art. 2051 c.c. è spesso richiamato dalle difese dei danneggiati quando si vuole ottenere la condanna in giudizio dell’Ente pubblico che non ha provveduto alla regolare manutenzione del bene soggetto al suo controllo ed alla sua custodia, in particolare le strade. Infatti, in numerose pronunce l’ente proprietario e custode delle strade pubbliche viene condannato quando l’evento dannoso è dipeso da insidia o trabocchetto, ovvero quando l’evento non era prevedibile o altrimenti evitabile usando l’ordinaria diligenza.
L’insidia (la cui terminologia trova origine dal latino insidēre, star sopra, apparire dissimulato) si concreta quando vi è un pericolo nascosto da uno stratagemma umano, naturale, ambientale o da un’alterazione della cosa utilizzata. Il trabocchetto invece è una specie di insidia, che si concretizza nel nascondere un pericolo, per la persona o la cosa che deve essere utilizzata. Nel caso di specie tuttavia l’insidia ed il trabocchetto erano stati esclusi dal giudice di secondo grado come eventi determinanti le circostanze del fatto lamentato.
Troviamo utile richiamare una pronuncia della Corte di Cassazione che definisce l’insidia stradale come quella situazione di pericolo che si può verificare all’insaputa dell’utente che in quel momento percorre una pubblica via: “In quest’ottica, l’insidia, cioè quella situazione di fatto che, per la sua oggettiva invisibilità ed imprevedibilità, integra pericolo occulto, è configurabile anche con riferimento al danno cagionato da cose in custodia, ed in tale ipotesi ha solo l’effetto di caratterizzare l’oggetto concreto dell’onere della prova a carico del custode, nel senso che quest’ultimo, per liberarsi da responsabilità, è tenuto a dimostrare l’insussistenza del nesso eziologico tra la cosa, che ha prodotto o nell’ambito del quale si è prodotta l’insidia, ed il danno, in quanto determinato da cause non conoscibili né eliminabili con sufficiente immediatezza da parte sua, neppure con la più efficiente attività di vigilanza e manutenzione” (Cass. 19.11.2009 n. 24428).
L’art. 14 del Codice della Strada, rubricato "Poteri e compiti degli enti proprietari delle strade", prescrive che essi “allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedano: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) all’apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta”.
Ciò posto, tuttavia, va ribadito che: “anche nell'ipotesi di danno da insidia stradale, la valutazione del comportamento del danneggiato è, in effetti, di imprescindibile rilevanza, potendo tale comportamento, se ritenuto colposo, escludere del tutto la responsabilità dell'ente pubblico preposto alla custodia e manutenzione della strada, o quantomeno fondare un concorso di colpa del danneggiato stesso valutabile ex articolo 1227, primo comma, c.c.” (Cass. n. 15859/2015; Cass. n. 15383/2006; Cass. n. 15375/2011; Cass. n. 999/2014).
In linea generale comunque, è principio acclarato in giurisprudenza che la prevedibilità dell'insidia è di per sé idonea ad escludere la responsabilità della pubblica amministrazione anche nelle ipotesi di cui all'art. 2051 c.c., tanto è vero che è stato escluso il risarcimento nel caso di caduta - avvenuta di giorno - in una buca presente nei pressi dell'abitazione del danneggiato (Cass. n. 13930/2015), come anche in caso di caduta in una zona non pavimentata sotto casa (Cass. 4663/2015) o nel caso del ciclista caduto in una buca presente al centro della strada (Cass. n. 18865/2015).
Spiega la Corte che:“E’ esclusa la responsabilità da cose in custodia in capo all’ente proprietario e gestore della strada per i danni patiti dal superamento del guardrail da parte del conducente di un veicolo che ne aveva, per causa ignota, perso il controllo, non potendo il custode rispondere dei danni cagionati in via esclusiva da una condotta del danneggiato da qualificarsi oggettivamente non prevedibile come corrispondente alla normale regolarità causale nelle condizioni date dei luoghi”. Ed ancora:“E’ stata esclusa la responsabilità del Comune proprietario della strada ex art. 2051 c.c., in quanto la condotta della danneggiata (attraversamento della strada in un tratto di selciato su cui il passaggio era “intuitivamente pericoloso”), stante le risultanze probatorie acquisite é stata ritenuta connotata da peculiare imprudenza, tale da integrare ipotesi si caso fortuito idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno”. Si esclude inoltre la responsabilità dell’ente per danni da cose in custodia quando le precipitazioni atmosferiche integrino l’ipotesi di caso fortuito, “allorquando assumono caratteri di imprevedibilità oggettiva ed eccezionalità da accertarsi con indagine orientata da dati scientifici di tipo statistico (cd. dati pluviometrici)”.
La Cassazione, nel caso di specie, non potendo pronunciarsi sul merito della questione ha concordato con quanto stabilito dalla Corte di Appello nel ritenere che “il comportamento normalmente diligente da parte dell’infortunata avrebbe evitato il fatto dannoso, il che equivale a riconoscere, in sostanza, che non sussisteva il nesso di casualità tra l’anomalia presente sul manto stradale e la conseguente caduta della vittima”.
Nell’ordinanza 2481/18 la Cassazione fissa alcuni principi di diritto per aiutare gli interpreti nella corretta applicazione dell’art. 2015 c.c., e così statuisce: «l'art. 2051 cod. civ., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima»;«la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 cod. civ., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso»; «il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere»; «il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione - anche ufficiosa - dell'art. 1227 cod. civ., primo comma; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale».
Ed inoltre: “proprio alla luce della previsione codicistica della limitazione del risarcimento in ragione di un concorso del proprio fatto colposo, risponde a criteri di ragionevole probabilità e quindi di causalità adeguata l’imposizione di un dovere di cautela in capo anche al danneggiato, ciò trovando giustificazione altresì nel dovere di solidarietà, previsto dall’art. 2 Cost., di adozione di condotte idonee a limitare, entro limiti di ragionevolezza, gli aggravi per gli altri in nome della reciprocità degli obblighi derivanti dalla convivenza civile, in adeguata regolazione della propria condotta in rapporto alle diverse contingenze con cui si venga a contatto.
In tal senso, del resto, la Cassazione ha stabilito che la responsabilità civile per condotte omissive può scaturire non solo dalla violazione di un preciso obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso, ma anche dalla violazione di regole di comune prudenza, le quali impongano “il compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui: principio affermato sia quando si tratti di valutare se sussista la colpa dell’autore dell’illecito, sia quando si tratti di stabilire se sussista un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno, ex art. 1227 c.c., comma 1" (Cass., sez. un., 21 novembre 2011, n. 24406).
Un tale contemperamento degli interessi in gioco risponde anche al canone di proporzionalità imposto dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali allorquando si coinvolga uno dei diritti in essa riconosciuti, quale quello alla vita (di cui all’art. 2 della Convenzione) o alla salute (di cui, sia pure in maniera indiretta, all’art. 8, commi 1 e 2, di quella): come già affermato dalla Corte di Cassazione in tema di tutela del diritto alla vita (Cass., 22 settembre 2016, n. 18619 e Cass., 23 maggio 2014, n. 11532) secondo cui “la persona che, pur capace di intendere e di volere, si esponga volontariamente ad un rischio grave e percepibile con l’uso dell’ordinaria diligenza, tiene una condotta che costituisce causa esclusiva dei danni eventualmente derivati, e rende irrilevante la condotta di chi, essendo obbligato a segnalare il pericolo, non vi abbia provveduto”.
In particolare, tale principio, nella sua astrattezza, deve dirsi contemperare adeguatamente l’esigenza – che impone l’obbligo di adottare ogni precauzione per scongiurare pericoli per la vita (e l’incolumità o la salute) degli individui – di tutela del diritto alla vita da parte dello Stato e dei pubblici poteri, con quella – altrettanto imperiosa e dettata da elementari esigenze di ragionevolezza – di non accollare alla collettività – o comunque immotivatamente al prossimo – le conseguenze dannose, soprattutto di natura economica, che derivino da condotte che siano qualificate come assurte in via esclusiva a volontaria e consapevole esposizione al rischio serio o grave per la vita da parte della potenziale vittima e quindi unica causa del danno da questa patito.
Ed inoltre il margine di apprezzamento normalmente riconosciuto al singolo Stato nell’assicurare la salvaguardia dei diritti fondamentali, la tutela del diritto alla vita – e quindi anche di quello all’incolumità e alla salute – da parte dei pubblici poteri – e nei rapporti interprivati – non può spingersi al risarcimento dei danni derivanti dalla condotta volontaria, qualificata unica causa della lesione a quel diritto, del titolare di quel diritto. Questo il quadro normativo in cui si inserisce la decisione in commento.
4. Principi enunciati nella decisione in commento.
Ebbene la Suprema Corte di Cassazione ha escluso la responsabilità del Comune, riordinando i principi in materia di responsabilità civile derivante dall’obbligo di cose in custodia con le recenti ordinanze nn. 2480; 2481; 2482; 2483 del 2018.
I giudici hanno ritenuto che la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la strada, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso. In una precedente decisione la Corte ha sottolineato che: “Anche il “fatto” del danneggiato può venire in rilievo (sia in ipotesi di responsabilità ex art. 2043 c.c., che di quella ex art. 2051 c.c.) ai fini della verifica di sussistenza del nesso di causa tra condotta del danneggiante ed evento dannoso ed essere, quindi, sia fattore concorrente nella produzione del danno ex art. 1227 c.c., comma 1, sia fattore idoneo – in base ad un ordine crescente di gravità – ad elidere il nesso eziologico anzidetto, in base ad un giudizio improntato al principio di regolarità causale (cfr. conforme Cass., 6 maggio 2015, n. 9009).
In particolare, in applicazione dell’art. 1227 c.c., è necessario operare una valutazione ed un bilanciamento che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, gravante in capo al pedone che si trova a camminare sulla strada pubblica, in virtù del principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione”. Peraltro, “quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più rilevante deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudentedel medesimo nella causazione del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro”.
La Corte quindi chiarisce che non è responsabile il comune quanto il sinistro è occorso non per condotta omissiva o commissiva dell’ente nell’esercizio del dovere/potere di custodia del bene quanto nella circostanza che la condotta del pedone è l’unica causa che ha prodotto il danno pertanto solo alla condotta di quest’ultimo va imputata la responsabilità dello stesso e le relative conseguenze.Ebbene l'utente era tenuto ad un uso prudente della strada e secondo le cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze (che consentivano anche agevoli percorsi alternativi); comportamento, questo, che, invece, non è stato adottato dall'attrice.
Se la danneggiata avesse tenuto un comportamento “normalmente diligente” avrebbe potuto concretamente evitare l’evento dannoso, con la conseguente esclusione del nesso di causalità tra la sconnessione presente sul manto stradale e la conseguente caduta della vittima. Se la signora, sussistendo condizioni di piena visibilità, avesse prestato la necessaria attenzione e tenuto una condotta cauta e prudente, non avrebbe subito il danno, pure in presenza dell’asfalto dissestato, in quanto tale danno del manto stradale era ben percepibile ed evidente e quindi facilmente evitabile dalla suddetta.
Fonti giurisprudenziali
Cassazione Civile sentenza 19.11.2009 n. 24428;
Cassazione civile n. 15859/2015;
Cassazione civile n. 15383/2006;
Cassazione civile n. 15375/2011;
Cassazione civile n. 999/2014;
Cassazione civile n. 13930/2015;
Cassazione civile n. 4663/2015;
Cassazione civile n. 18865/2015;
Cassazione Civile ordinanza 1.2.2018 n. 2480;
Cassazione Civile ordinanza 1.2.2018 n. 2481;
§Cassazione Civile sentenza 1.2.2018 n. 2482;
Cassazione Civile, sentenza 6.5.2015, n. 9009
Cassazione Civile ordinanza 1.2.2018 n.2483.