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Pubbl. Mer, 25 Lug 2018

Fallimento in estensione nei confronti della super società di fatto e dei soci illimitatamente responsabili

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Elena Di Fede


La verifica dei presupposti alla luce delle recenti pronunce della Corte di Cassazione in materia e la fallibilità della società socia della società di fatto, costituita in forma s.r.l., senza la necessità di accertarne l’insolvenza.


Sommario: Premessa; 1. Presupposti giuridici per la dichiarazione del fallimento di una s.d.f. composta per facta concludentia da società anche di capitali, e l’estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili; 2. Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, anche se persone giuridiche; 3. La verifica della sussistenza della società di fatto ai fini della dichiarazione del fallimento in estensione ex art.147 L.F.

Premessa.

La società di fatto (SDF) è una società costituita per fatti e/o comportamenti concludenti, dai quali emerga la volontà delle parti di costituire un rapporto sociale, in assenza di esplicita dichiarazione formale. La SDF va considerata società in nome collettivo irregolare, perché non iscritta nel registro delle imprese. Essa si caratterizza, in via di fatto, per la presenza di un fondo comune, per la partecipazione ai profitti ed alle perdite dei soggetti coinvolti, e per i loro comportamenti idonei a far ritenere la posizione di socio (tra di loro) in un’unica realtà imprenditoriale, ovvero quanto meno, ad ingenerare nei terzi il convincimento dell’esistenza di tale rapporto.

Oggi, la giurisprudenza di legittimità, oramai in maniera consolidata, ammette la sua esistenza; di recente, la Suprema Corte, con la sentenza n. 8981 del 2016, ha di fatti affermato: “La mancanza della prova scritta del contratto di costituzione di una società di fatto o irregolare (non richiesta dalla legge ai fini della sua validità) non impedisce al giudice del merito l’accertamento aliunde, mediante ogni mezzo di prova previsto dall’ordinamento, ivi comprese le presunzioni semplici, dell’esistenza di una struttura societaria, all’esito di una rigorosa valutazione (quanto ai rapporti tra soci) del complesso delle circostanze idonee a rivelare l’esercizio in comune di una attività imprenditoriale, quali il fondo comune costituito dai conferimenti finalizzati all’esercizio congiunto di un’attività economica, l’alea comune dei guadagni e delle perdite e l’affectio societatis, cioè il vincolo di collaborazione in vista di detta attività nei confronti dei terzi;[…]”.

1. Presupposti giuridici per la dichiarazione del fallimento di una s.d.f. composta per facta concludentia da società anche di capitali, e l’estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili.

In punto di diritto, preliminarmente, occorre sciogliere alcune problematiche in ordine alle seguenti questioni: la configurabilità delle partecipazioni di società di capitali a società di fatto, la possibilità dell’estensione del fallimento dalla società di capitali - già dichiarata fallita - alla società di fatto che questa abbia costituito con altri soci - siano essi persone fisiche o giuridiche - nonché il conseguente fallimento di tutti i soci illimitatamente responsabili in società di persone, così come si configura giuridicamente una società di fatto.

In ordine alla prima questione, tenuto conto del contrasto esistente nella giurisprudenza di merito sull’argomento in esame, viene in considerazione la norma, dettata in tema di s.p.a., dell’art. 2361 co. 2 c.c. Tale dettato normativo prevede che l’assunzione di partecipazioni in altre imprese, che comportino una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle medesime, è subordinata alla previa deliberazione dell’assemblea dei soci. Secondo un primo orientamento, esso troverebbe applicazione, in via analogica anche rispetto alle s.r.l., in forza dell’art.111-duodecies disp. att. c.c., nonché in virtù dell’art. 2479, co.2. n. 5 c.c., che riserva alla deliberazione dei soci la decisione delle operazioni che importino rilevanti modificazioni dei loro diritti. Sicché il mancato rispetto della procedura di cui all’art. 2361, co. 2 c.c., ovvero la mancata deliberazione dei soci ai sensi dell’art. 2479 co. 2 n.5 c.c., costituirebbe un ostacolo alla configurabilità della partecipazione di una società di capitale, e nella specie di una s.r.l. in una società di persone.

Un diverso orientamento ritiene invece ammissibile la partecipazione per facta concludentia di una società di capitali ad una ulteriore società, definita "di fatto" (la cd. "super società di fatto").

Ed invero, l’art. 2361 co.2 c.c. è norma diretta a tutelare i soci, non anche i terzi. Infatti, nei rapporti interni, la partecipazione non autorizzata dai soci produce responsabilità dell’organo amministrativo per la condotta posta in essere in violazione del precetto normativo. Ciò, tuttavia, non esclude che nei rapporti esterni la società di fatto debba ritenersi, come effettivamente è, esistente, in quanto il rapporto sociale trova origine in un comportamento concludente, rispetto al quale l’inosservanza delle prescrizioni di legge è del tutto irrilevante: la società diventa titolare di diritti e obblighi per effetto della condotta tenuta dai soci e dai soggetti ai quali è stata delegata la gestione[1].

Diversamente ragionando, si giungerebbe ad affermare, del tutto iniquamente, che dall’assenza della deliberazione dei soci deriverebbe l’effetto di escludere la responsabilità della società di capitali – partecipante ad altra società di fatto comportante l’illimitatezza della responsabilità del socio – nei confronti dei terzi per le conseguenze dei propri atti di gestione e di partecipazione quale socio, omettendo in tal modo di considerare che tale responsabilità consegue al fatto obbiettivo della partecipazione e non già al rispetto delle regole di acquisizione della partecipazione medesima.

Le argomentazioni sostenute dall’orientamento che ritiene ammissibile una società di fatto costituita tra società anche di capitali sono state di recente condivise dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, con quattro recenti decisioni emesse nel 2016[2]. Sul tema, la Suprema Corte ha individuato una serie di elementi indiziari idonei e sufficienti a dimostrare l'esistenza di una società di fatto, quali l'identità della sede legale, amministrativa ed operativa, l'unicità della struttura organizzativa e produttiva, l'identità della compagine sociale, la commistione patrimoniale fra le società e il perseguimento di un comune interesse.

Ed invero, in via più risalente, la Corte di Cassazione nella sentenza n. 23344/2010 ha affermato: “le tre società di capitali delle quali si parla erano tutte in vario modo partecipate […] e la loro amministrazione faceva capo agli stessi o a loro stretti familiari; si trattava di società svolgenti sostanzialmente la medesima attività, in locali parzialmente coincidenti e con la stessa organizzazione commerciale, le quali avevano posto in essere operazioni tra loro […] denotanti un indirizzo imprenditoriale unitario; […].In particolare, l’accertata unitarietà operativa delle […] società di capitali, pur se formalmente distinte e dotate di autonoma personalità giuridica, giustifica la conclusione secondo cui le relative partecipazioni, facenti capo ad una compagine familiare alla quale anche l’amministrazione di dette società risultava in vario modo affidata, erano destinate a realizzare un medesimo scopo economico; ed è appunto la medesimezza di tale scopo a far comprendere, per un verso, come alle suindicate partecipazioni non corrispondesse nei rispettivi titolari un atteggiamento di mero godimento degli utili eventualmente prodotti dalle summenzionate società, bensì un’attiva opera di coordinamento dell’attività delle stesse, e, per altro verso, come l’intera organizzazione presupponesse necessariamente un’intesa, a scopo economico, tra i diversi familiari ai quali quelle partecipazioni erano intestate e ad uno dei quali era stato anche confidato un ruolo preponderante nell’amministrazione delle società”.

2. Il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, anche se persone giuridiche.

A riguardo, invece, del tema del fallimento della società di fatto, esteso anche ai soci (persone fisiche o giuridiche) illimitatamente responsabili ai sensi dell'art. 147, comma 5, L.F., appare ad oggi pacifico, secondo i giudici di legittimità, l’ammissibilità del fallimento in estensione anche per i soci che siano anche persone giuridiche.

E di fatti, la fattispecie prevista all’art. 147 co. 5 L.F. deve intendersi comprensiva di tutte le ipotesi in cui, dopo il fallimento di un imprenditore, sia esso persona fisica o società, risulti che l’attività dallo stesso esercitata sia in realtà riferibile ad una società partecipata anche da altre parti. Ciò considerato che, diversamente ragionando, vi sarebbe una violazione del principio di uguaglianza sancito dall' art. 3 Costituzione, non essendovi motivi che possano giustificare un differente trattamento normativo nel caso in cui il socio, già dichiarato fallito, sia imprenditore collettivo o individuale; e che il carattere eccezionale della norma non impedisce un’applicazione più ampia di quella consentita dalla sua formulazione letterale, atteso che l’art. 14 disp. prel. c.c. vieta l’applicazione analogica delle leggi eccezionali, ma non ne impedisce un’eventuale interpretazione estensiva[3].

La Corte di Cassazione ha così chiarito, in punto di diritto, che il fallimento della SDF non è precluso in nessuna ipotesi,  ivi compresa quella che fra i suoi soci vi siano delle società di capitali.

3. La verifica della sussistenza della società di fatto ai fini della dichiarazione del fallimento in estensione ex art.147 L.F.

La giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr. Corte d’Appello di Caltanissetta del 28/07/2014; Cass. Civ. sent. n.23344/2010; Cass. Civ. SS.UU. n. 2243/2012 e Cass. Civ. Sent. n. 8981/2016), escluso che debba essere fornita la prova dell’esistenza di un accordo scritto tra i soci, ha individuato una serie di elementi indiziari idonei e sufficienti a dimostrare l'esistenza di una società di fatto, quali l'identità della sede legale, amministrativa ed operativa, l'unicità della struttura organizzativa e produttiva, l'identità della compagine sociale, la commistione patrimoniale fra le società e il perseguimento di un comune interesse. Si precisa che, sul tema, i giudici di legittimità parlano di identità sostanziale e non materiale o fisica: pertanto, a titolo meramente esemplificativo, i locali ove viene espletata l’attività d’impresa, da parte delle due società, possono essere anche solo parzialmente coincidenti, oppure l’amministrazione delle stesse non per forza deve far capo alla stessa persona fisica, ben potendo invece far capo anche ad una ristretta compagine familiare. E di fatti testualmente, in Cass. Civ n. 23344/2010, si legge: “[…]si trattava di societa’ svolgenti sostanzialmente la medesima attivita’, in locali parzialmente coincidenti e con la stessa organizzazione commerciale, le quali avevano posto in essere operazioni tra loro […] denotanti un indirizzo imprenditoriale unitario; […].In particolare, l’accertata unitarieta’ operativa delle […] societa’ di capitali, pur se formalmente distinte e dotate di autonoma personalita’ giuridica, giustifica la conclusione secondo cui le relative partecipazioni, facenti capo ad una compagine familiare alla quale anche l’amministrazione di dette societa’ risultava in vario modo affidata, erano destinate a realizzare un medesimo scopo economico […][4].

Pertanto, nell’ottica complessiva dei rapporti intercorsi tra le società oggetto di interesse di verifica occorre rilevare come, in un determinato periodo di tempo, tutte le condotte poste in essere abbiano o meno integrato vere e proprie attività di gestione di un patrimonio comune, laddove, a titolo esemplificativo, si tenga in debito conto che entrambe le società :

  • Abbiano la medesima sede legale.
  • abbiano il medesimo oggetto sociale e svolgano sostanzialmente la medesima attività prevalente ed in locali molto vicini tra loro.
  • Utilizzino uguali segni distintivi, attraverso l’esposizione pubblicitaria dello stesso logo e/o marchio.
  • Attuino una sostanziale commistione dei patrimoni della società, tramite possibili apporti di natura finanziaria, o materiali (beni strumentali), ovvero ancora di personale dipendente.
  • perseguano un comune interesse

Tutti gli elementi sopra elencati mettono in luce non solo la mera apparenza di un unico soggetto societario di fronte ai terzi, ma la vera e propria esistenza di fatto di tale soggetto, stante la puntuale verifica dei suddetti elementi. Di guisa che da essi possa emergere, inequivocamente, l’intenzione dei soggetti coinvolti di stringere tra di loro un vincolo di collaborazione sociale allo scopo di conseguire  interesse comune (quale è la prosecuzione di un'unica realtà imprenditoriale) oltre che le condotte accertate, nella specie, non possano andare qualificate nemmeno come “affectio familiaris”, atteso che questa si concretizza in comportamenti che si esauriscono nella semplice volontà di prestare ad altro familiare mera assistenza materiale o morale ed, al più incrementare la posizione economica dello stesso, ma non già di un ente societario; ciò avuto riguardo, altresì, del carattere continuativo e sistematico degli eventuali apporti finanziari e/o materiali che, qualora sussitenti, trascenderebbero del tutto palesemente la normale espressione della solidarietà familiare.

Concludendo sull’argomento, non può mancarsi di tenere presente quanto stabilito dalla Suprema Corte in ordine al fatto che, accertata l’insolvenza di una super-società di fatto della quale uno o più soci siano costituiti da società a responsabilità limitata, il fallimento in estensione di queste ultime - quali soci illimitatamente responsabili - costituisce una conseguenza ex lege prevista dall’ art. 147, comma primo, L.F., senza che risulti necessario l’accertamento di una loro specifica situazione di insolvenza (cfr. Cass. Civ. n. 1095/2016).

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Così in Corte d’Appello di Caltanissetta del 28.07.2014.
[2] Sentenza n. 1095 del 21 gennaio 2016; sentenza n. 7744 del 19 aprile 2016; sentenza n. 10507 del 20 maggio 2016 e sentenza n. 12120 del 13 giugno 2016.
[3] Sentenza Cass. civ. sez. I, 20-05-2016, n. 10507 e, 13-06-2016 n. 12120.
[4]E così prosegue: “è appunto la medesimezza di tale scopo a far comprendere, per un verso, come alle suindicate partecipazioni non corrispondesse nei rispettivi titolari un atteggiamento di mero godimento degli utili eventualmente prodotti dalle summenzionate società, bensì un’attiva opera di coordinamento dell’attività  delle stesse, e, per altro verso, come l’intera organizzazione presupponesse necessariamente un’intesa, a scopo economico, tra i diversi familiari ai quali quelle partecipazioni erano intestate e ad uno dei quali era stato anche confidato un ruolo preponderante nell’amministrazione delle società Non erano dunque indispensabili ulteriori approfondimenti di motivazione, ai fini della decisione sulla questione controversa: ne’ in ordine alla struttura partecipativa del gruppo d’imprese […], ne’ in ordine agli elementi da cui desumere l’esistenza della società di fatto holding, ne’ in ordine all’organizzazione della stessa (coincidente con quella delle tre società coordinate), ne’ in ordine alla sua esteriorizzazione, essendo a tal fine sufficiente l’individuazione anche soltanto di un’attività negoziale posta in essere in nome proprio da uno qualsiasi dei soci di fatto, ma chiaramente percepibile dai terzi come riferita alla società (cfr., in argomento, Cass. n. 13954 del 1999)”.