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Pubbl. Dom, 8 Mar 2015

Rubrica di Filosofia del Diritto. Capitolo I: Lysander Spooner

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Gian Marco Lenzi


Capitolo I. I vizi non sono crimini: l’antiproibizionismo radicale di Lysander Spooner.


Inoltre, molte azioni che sono virtuose e tendono alla felicità di un uomo, in un dato momento e in determinate circostanze, sono viziose e tendono all infelicità, nel corso dello stesso uomo, in un altro momento e in altre circostanze.
 
(Lysander Spooner - I vizi non sono crimini)
 
 
INTRODUZIONE ALLA RUBRICA - “Filosofia del Diritto”
 
Prima di iniziare l’articolo, vorrei fare una piccola introduzione e spiegazione del progetto di articoli che, da ora in avanti, mi vedranno “responsabile” di una (modesta) rubrica di filosofia del diritto, di cui, qui in poche righe, vorrei tentare di definire lo spirito, tracciandone un abbozzo di struttura. 
 
Per prima cosa, ogni inizio mese promuoverò un autore o un argomento, se non un concetto, come oggetto dei miei quattro articoli mensili; questo vuol dire che, seguendo lo stesso spirito accennato poc’anzi, potrei, ad esempio, scrivere dello stesso autore o argomento in quattro modi diversi, o seguendo concetti o riletture diverse da parte di altri autori, delineare quatto articoli differenti, tracciandone una potenziale conclusione nell’ultimo capitolo (articolo) del mese.
Questa idea, che come capirete, è solamente embrionale a questo punto, e che potrà essere migliorata col tempo, nasce dalla necessità di dover parlare più a lungo di concetti molto spesso complessi, con il risultato di evitare l’uscita di articoli “frustrati” all’interno di un piccolo contenitore di 1000 parole.
Questo “contenitore”, un po’ troppo stretto per l’analisi teorica, faceva si che ero abbastanza insoddisfatto della riuscita degli articoli, come della loro visione uni-dimensionale, nonché la conclusione piuttosto unica e semplice che ne derivava. Da questo stato di insoddisfazione ho pensato di “uscire” attraverso questa idea, di cui i lettori spero mi perdonino l’ambizione, che ha lo scopo di definire in doppio modo lo scopo degli articoli settimanali.
La mia idea è quella di concepire l’articolo settimanale sia per il lettore occasionale appassionato del singolo argomento o “capitato” per caso sull’articolo della settimana, sia per coloro che scelgono di leggere la mia rubrica settimanalmente. Mentre i primi si godranno la singola dimensione dell’articolo, spero che per i secondi nasca la passione per questo progetto, scegliendo di seguirmi nei miei tentativi mensili di approfondimento di un argomento. 
Sia ai primi che soprattutto per i secondi di voi, vorrei dire grazie per la fiducia e l’attenzione che concederete, da ora in poi, spero concederete a questa rubrica.
 
LYSANDER SPOONER: PREMESSA
 
L’argomento di questo mese è, in breve, una riflessione su Lysander Spooner. Tra i tanti motivi, anche personali, che mi hanno portato a questa scelta, ne riconosco due valevoli di essere svelate. La prima è che, probabilmente, tra coloro che inizieranno a leggere questo articolo quasi nessuno avrà anche mai sentito nominare questo autore americano. Questo, ben inteso, non si vuole tradurre in un esercizio di erudizione o di conoscenza (tra l’altro assolutamente improbabile e grottesco se fatto dal sottoscritto), ma perché, se escludiamo gli “addetti ai lavori”, questo autore è praticamente sconosciuto nel panorama italiano: quindi non preoccupatevi di questa mancanza. Questo però non è tutto. Con lo stesso valore, un altro motivo valido che addurrei a questa scelta è che tutti i suoi argomenti sono in opposizione alla morale e alla concezione comune in ambito sociale e giuridico, diffusa nell’Italia di oggi: sono sicuro, per questo motivo, che questa riflessione suonerà non poco assurda e straniante a chi avventurare in questo scritto. 
 
Forse, proprio questa seconda e ultima motivazione è quella che indicherei come la più decisiva per la mia scelta: probabilmente infatti, fare una “vacanza” da quello che comunemente si pensa, è forse il miglior modo per ripensare le nostre verità testandole, se non di trovarne di nuove. Questo significa pensare. Nell’articolo di oggi, quasi a confermare questa incidenza, si parlerà di vizi, di ubriachezza e di stupefacenti, in una versione “diversa dal solito”. Ora però, basta con le introduzioni, è tempo di parlare di vizi! È quindi il tempo di abbandonare la strada della forma e addentrarsi nel sentiero dell’errore, perché i vizi, come ben sapete, non  si fanno aspettare volentieri.
 
VIZI, UBRIACHEZZA E STUPEFACENTI: COSA E' GIUSTO E COSA NO?
 
Lysander Spooner scrisse il saggio di cui si vuole parlare oggi ("I vizi non sono Crimini. La rivendicazione della libertà morale") nel 1875, quando la sua lotta contro vari tipo di ingiustizia era già ben avviata, e quando il suo pensiero allora era già assolutamente maturo. Era maturo proprio perché aveva già “combattuto" altre battaglie, contro avversasi quali la schiavitù, la guerra, la povertà e in esse si era rinsaldato divenendo profondo, deciso. Con la saggezza di un uomo di quasi 60 anni che, oltre a una decina di libri scritti, aveva passato la sua intera vita a difendere chi non poteva farlo, il costituzionalista americano trovò la profondità di analizzare anche gli aspetti che richiedevano uno sforzo morale considerevole.
Ma dove sta tale presunta profondità di lettura, dove sta tale sforzo? Essa risiede nel vedere le cose da un punto vista che spesso dimentichiamo o che, forse, è contraddittorio a quello che è lo spirito della società attuale: essere umani non significa “dover essere”.
Quello che voglio dire, è che questo scritto non giudica, ma comprende. Non ha la volontà di affermare ciò che giusto o che non è, chi è un uomo “buono” o non, o di segnalare quali comportamenti sono migliori o quali sbagliati, ma di legittimare la libertà, anche quando è difficile. 
 
La libertà, che all’apparenza sembra assodato o superfluo ricordare, non significa accettare i comportamenti “buoni” e forse non significa nemmeno “accettare”. La libertà, allora, significa che nessuno può permettersi di giudicare un comportamento quando esso non nuoce che a se stessi. Questa, si badi bene, è la sfida più difficile per chi si ripromette di difendere la libertà individuale e si gioca nel campo di una distinzione fra vizio e crimine che oggi non è accettata. Il peso della libertà.
Su cosa si basa questa distinzione? Principalmente sull’effetto di un comportamento dannoso, su chi subisce questo comportamento. Se infatti un vizio danneggia solo chi lo compie, un crimine danneggia un altra persona che non poteva scegliere di subire questo male. L’intenzione e l’oggetto sottolineano questa distinzione, tracciando una linea di demarcazione chiara, ben decisa. 
 
Quando, ad esempio, compio un comportamento che rientra nella categoria del crimine, come ad esempio un pestaggio o un omicidio, lo compio verso un altra persona che, assolutamente, non voleva tale comportamento. La differenza qui è marchiana, e si auto-dimostra nel fatto che dei comportamenti che accettano la violenza, che stanno al gioco del danno che un altra persona compie verso di noi, sono anche oggi, come allora, legali: come ad esempio la Boxe o il sesso sadomaso.
 
Il danno non è accettatile quando non è auto-compiuto o è voluto (accettato) da una persona che ne ha la capacità di discernimento. In questa contraddizione c’è una forza concettuale evidente: “è un principio di diritto che non ci possa essere un crimine senza un’intenzione delittuosa; senza, cioè, l’intenzione di violare la persona o gli averi di un altro. Egli pratica il proprio vizio unicamente per la propria felicità e non per la malvagità verso gli altri”, afferma Spooner con una chiarezza disarmante.
Questa distinzione, tra vizi e crimini, ne segue un altra che è alla prima effettivamente collegata. Quali sono i comportamenti giusti, le cosiddette virtù? Immagino che provando a rispondere a questa domanda, si potrebbe dire che una virtu, o comportamento virtuoso, è qualcosa che ci ripromette un teorico beneficio, in cambio di un determinato comportamento.
Seguendo questa generica definizione, però, se ad esempio invitassi tutti i redattori di Cammino diritto a fare degli esempi pratici, non arriveremmo mai a elencare delle cosiddette virtù comuni. Questo perché un comportamento da cui si ricava un beneficio è assolutamente personale, determinato dal tempo e dalla società.
Voglio fare un po’ di esempi per spiegare questo concetto.
Se il mio virtuoso studio della giurisprudenza consigliato da mia madre per trovare un buon lavoro, mi avrebbe portato negli anni 80’ a un ottimo e ben remunerativo lavoro oggi non è più così: nonostante tutto il mio lavoro, i miei sforzi, il tempo trascorso etc., quello che avrebbe dovuto essere una virtù mi ha portato a nient’altro che uno stato di disoccupazione temporanea, oppure di disagio per il tempo sprecato.
Ancora, oggi è un luogo comune pensare che chi fuma sigarette persegue un terribile vizio, dannoso per la salute, e ciò in parte è assolutamente vero, almeno fisicamente. Ma se dopo 50 anni di anti-tabagismo per puro caso fumando una sigaretta scopro l’incommensurabile piacere che mi sono tolto per 50 anni della mia vita, sono sicuro che essa sia stata virtù? Anche se l’uso delle sigarette mi avrebbe tolto 30 anni di vita, come faccio a dire che quella è stata una vita viziosa?
Di nuovo, pensiamo ad un cibo consigliassimo per la salute e per opposto uno terribilmente vietato dal legislatore perché tossico, fossero nel corso del tempo e il progredire della scienza ri-interpretati dai biologi con conseguenze opposte, dove solo il secondo per molto tempo vietato è in realtà il solo benefico: chi sa dire quale dei due cibi era relativo ad un comportamento virtuoso o vizioso? 
Chi, dopo anni di scommesse sui cavalli, redditizie o meno, vede eliminare da un legislatore questa passione, e non volendo più andare avanti in questo stato di cose, decide di suicidarsi, aveva perseguito per anni un vizio o una virtù?  Chi con giusta causa può decidere di rovinare la vita e la passione a un uomo?
L’alcol, un vizio legale, diviene virtù nelle mani di un alcolista o c’entra la quantità dell assunzione? Se questo è vero, perché allora essa non viene regolata?
 
Questi stessi esempi, come capite bene, possono essere portati avanti con differenti fattori od oggetti, come ad esempio per la droga, per gli alcolici per le slot machine, per la prostituzione o per qualunque cosa considerare vizio e virtù. Ma andiamo avanti.
Il punto è un altro, e non si focalizza sulla distinzione virtù/vizio e comportamenti collegati. Ci sono tante cose che fanno bene e male o che non sappiamo se facciano bene o male e ci fidiamo del consiglio di un altro, o del divieto di un legislatore, ma chi ha il diritto di dire quale fanno bene e sono legali, fanno bene ma sono illegali, fanno male ma sono legali e, infine, fanno male e sono illegali? Spooner si chiede, non è forse meglio allora determinati una distinzione tra i comportamenti che danneggiano noi stessi e gli altri?
L’analisi brillante di Spooner poi, nel corso delle pagine, si compie in una riflessione forse ancora più interessante e profonda: come si fa a sapere se un comportamenti mi arreca piacere o danno e in quale dimensione lo fa (quantità momento luogo, etc.)? La risposta per Spooner è semplice: provando o decidendo di provare.
 
Come sapete nella dimensione di natura umana non vi è una conoscenza onnisciente. Questo significa che non conosciamo le cose finché non le abbiamo viste o provate. Mentre la cosa per sentito dire, è solo una falsa conoscenza, la decisione o la possibilità di farlo produce un accrescimento di saggezza, di esperienza del mestiere di vivere. Io so che lo studio della matematica per quanto virtuosa e produttiva risulta per me pesante e quanto mai tedioso, solo perché ho provato a farla; allo stesso tempo so che bere più di un certo livello di alcol mi fa star male, così lo evito sapendo a cosa vado incontro o avendolo visto. 
Lo so che ora, dopo questo assunto, voi penserete che questo discorso non vale con le droghe, che la loro dipendenza non permette di provare e tornare indietro. Io, a questa contraddizione ho da eccepire, sempre seguendo Spooner, come per tutta questa disamina, che anche la scelta consiste nell’esperienza di un comportamento. 
Perciò, ad esempio, io non ho provato tutto, ma so che non amo il surf, sciare, e i film romantici; eppure, se escludiamo la terza, non ho mai provato le prime due.
Ma allora, come so, in che base, e come riesco a scegliere? Facile, questa esperienza non mi attrae: e non mi interessa non perché ho scelto, vedendola e avendone la possibilità, di non farla. Questa stessa scelta è la mia stessa esperienza, la mia stessa saggezza. Forse, conoscendo un nuovo amico surfista, e provando per prima volta questo sport, capirò tra 10-20 anni di aver sbagliato, comprendendo quanto sarebbe stata una virtù, per me, compiere questo passatempo.
 
Perciò, “è una legge della Natura che per ottenere una conoscenza e incamerarla, ogni individuo debba ottenerla da solo.
Ma finché non ho la scelta, ho un divieto da chi si presuppone più saggio e più lungimirante di me, io non conosco. Se prendiamo per buono questo semplice assunto, allora, pensare la droga come vizio e virtù non ha più valore, non ha più senso. Non ha valore perché, nonostante io non faccio uso di droga, non so se la mia vita forse duratura sarà un fallimento o una noia mortale se non ho la possibilità di decidere come viverla, limitatamente a ciò che si determina dalla mia esperienza e si consegue, con effetti, nella mia persona. 
Come afferma allora Spooner: “L’obbiettivo a cui si mira nel punire i crimini è assicurare a tutti gli uomini in egual misura, la maggior libertà possibile - compatibilmente con gli equivalenti diritti degli altri - di perseguire la propria felicità, sotto la guida del proprio giudizio e grazia all’uso dei propri averi. Al contrario, quello a cui si mira nel punire i vizi è privare ogni uomo del diritto e della libertà di perseguire la propria felicità, sotto la guida del proprio giudizio, e grazie all’uso dei propri averi.”
 
In conclusione di questa riflessione, per il costituzionalista americano nessun governo ha il diritto, essendo impossibile da valutare secondo i concetti stabiliti precedentemente, di dire cosa è virtù e cosa è vizio, determinando come illegali i secondi invece dei primi. Come afferma per i genitori, denotando lo stesso sbaglio fatto dai governi, i loro tentativi sono quelli di tenere all’oscuro i figli dal vizio oscurando la presenza della malattia, la verità tenendoli all’oscuro dalla falsità.  Non è fare del bene all’uomo privarlo della scelta, come esperienza e saggezza.
 
In mezzo a questa infinita varietà di opinioni, quale uomo o quale associazione di uomini, ha il diritto di affermare, a proposito di ogni azione o linea di condotta?”.
A chi risponde, allora, che è necessario vietare la vendita degli oggetti come “scopi viziosi”, Spooner risponde che la vendita in sé di un determinato oggetto non è mai qualcosa di sbagliato per antonomasia; i fiammiferi che si vendono per accendere le candeline di un compleanno sono le stesse con cui si provocano incendi: sciocca, allora sarebbe una ipotetica proibizione della morfina, dato che essa risponde a finalità medica, oppure all’uva che può essere mangiata. Come sottolinea Spooner, il collegamento tra la polvere da sparo e un omicidio è lo stesso tra un coltello da cucina e un omicidio, o di una bottiglia e un omicidio. L’utilizzo di una cosa (lo scopo dell’uso) è, quindi, assolutamente determinante.
 
Sto evidenziando molto l’esempio dell’alcol perché, quando Spooner scrisse questo saggio, molto probabilmente, si stavano già smuovendo in modo decisivo quelle correnti di pensiero fortemente limitanti della libertà individuali che, non molto più di 40 anni dopo (1919), portarono al Volstead Act e la proibizione degli alcolici, con effetti drammatici sulla incremento della criminalità nazionale.
Ma un aspetto che va considerato è anche la pericolosità dei soggetti che effettuano un comportamento vizioso, come ad esempio un ubriacone (o chi sotto effetto di droga abbia un comportamento violento). La risposta di Spooner, a questa problematica, è altrettanto chiara. Ovviamente nel caso di comportamento violento dell’uomo verso altri uomini, va tenuto sotto controllo dalle forze dell’ordine o si deve vietare la vendita ad esso di ciò che ne determina tale comportamento. Questo discorso, però, vale per ogni cosa che determina questo comportamento e solo per quel determinato uomo. Io, nella mia persona, come tanti altri, non sono violento dopo un bicchiere in più e per questo una limitazione di tale possibilità promossa utilizzando l’esempio di un altro, è assolutamente da evitare. 
 
Gli ultimi due argomenti affrontati da Spooner, come anticipato, sono assolutamente legati al rinnovato sentimento proibizionista verso gli alcolici, già ben diffuso nella popolazione americana di allora. Non ha senso oggi, affrontare i temi di quanto ad esempio l’uso di alcolici portano alla povertà o alla criminalità. Non lo ha in quanto chiunque può comprendere la non corrispondenza assoluta delle due cose: lo stesso discorso potrebbe per esempio essere fatto per criminalità/povertà. Due di questi argomenti, per la loro capacità persuasiva, sono comunque interessanti e valgono la pensa di essere considerati.
 
Il primo punto si basa su questo assunto: i crimini peggiori e più pericolosi richiedono una meticolosità assolutamente contraria a colui che abusa l’alcolici. Naturale è, quindi, che un organizzazione criminale di ubriaconi avrebbe ben poco successo, mentre un ubriacone al massimo si macchierà di crimini quali le percosse, di cui facilmente pagherà le conseguenze. Paradossalmente, mi verrebbe quasi da aggiungere che in una comunità di ubriaconi difficilmente si creerebbe un racket di estorsioni o una seriali organizzata di violenza, ad esempio mafiose. Queste attività richiedono un'assurdità, un'intelligenza e una organizzazione assolutamente contrastante al abuso del vizio del bere.
L’altro punto è: come si giustifica la notevole diffusione del ubriachezza nelle classi più povere dei lavoratori inglesi di allora? Spooner affronta questo problema analizzando la situazione di questi lavoratori, affermando che, molto probabilmente, non è l’ubriachezza a generare la povertà, ma la seconda a creare la prima.
Di certo non perché essi sono per natura peggiori di altri. bensì perché la povertà estrema e disperata li mantiene nell’ignoranza e nell’asservimento, distrugge il loro coraggio e la loro autostima, li costringe a costanti insulti e torti […] e infin li porta a una tale disperazione, che la breve tregua concessa il bere e altri vizi procurano loro è, al momento, un sollievo.”.
Di conseguenza, è piuttosto vana la speranza di liberare la società dalla povertà abolendone i vizi, teoricamente infiniti e di varia e mutevole natura. L’unica cosa possibile e auspicabile da fare allora, al fine di limitare i vizi, è semmai quella di limitare il più possibile la povertà
 
Voglio concludere questo primo articolo sull’autore americano, e che ci collega direttamente alle tematiche che tratterò nell’articolo della prossima settimana, indicando la questione cardine su cui è basata questa lettura dei diritti individuali: da dove nascono i diritti individuali dell’uomo? Da dove nasce la sua libertà?
Come avrete notato, Spooner non cita mai, se non in opposizione alla libertà, il governo americano (o qualsiasi governo). I diritti per Spooner, quindi, non sono disponibili in base allo Stato e a quello che possiamo trovare/ricavare nella/dalla costituzione; eliminando infatti tutte le convenzioni internazionali dei diritti (che tra l’altro non esistevano al momento di chi scriveva) e non arrischiando un'indagine sulla effettiva tutela di queste convenzioni e trattati internazionali, rimaniamo con la tutela individuale attribuita i singoli uomini, attivamente o non, dalla costituzione alle varie forze statali che la tutelano.
 
Questa libertà costituzionale, dipanata nei vari diritti (al lavoro, alla vita, alla salute etc.), è, come si recepisce, una libertà attribuita o in relazione a un certa dimensione e grandezza definita da determinati organi o comunque a essi commisurata. Questi diritti non sono una libertà generica ma sono numerati e numerabili, definiti e definibili: non sono connaturali all’uomo ma gli sono attribuiti da un soggetto superiore/controllante.
Di conseguenza queste libertà o concessione di libertà e ben diversa da quella di cui parla lo studioso americano. Ma in che relazione stanno con la legislazione (la costituzione) scelta dai governanti e da dove provengono questi diritti?
 
Nel prossimo articolo, sempre seguendo le riflessioni di Lysander Spooner, parleremo del giusnaturalismo dei diritti e della costituzione americana.
 
 
Immagine di copertina: Pieter Bruegel il Vecchio, "I sette vizi"