Il contratto d´albergo e la responsabilità civile dell´albergatore
Modifica paginaIl “contratto di albergo” è un contratto atipico nel quale le molteplici prestazioni oggetto del rapporto vengono configurate unitariamente sotto il profilo causale.
Sommario: 1. La qualificazione giuridica del contratto di albergo: ricostruzione normativa; 2. La nozione e la natura del contratto d’ albergo secondo la dottrina e la giurisprudenza. Gli elementi del rapporto negoziale. 2.1 In particolare l’oggetto del contratto, 3. La responsabilità dell’albergatore. 3. 1 Il quadro normativo di riferimento. 3.2 I vari profili di responsabilità dell’albergatore. 3.3 La responsabilità in caso di furto o danneggiamento delle cose consegnate in albergo. 3.4 I casi di esclusione dalla responsabilità. 3.5 La responsabilità in tema di smarrimento, sottrazione o perdita delle cose custodite in albergo.
1. La qualificazione giuridica del contratto di albergo: ricostruzione normativa.
Il Progetto del IV libro del Codice Civile del 1865 aveva previsto la fattispecie del contratto di albergo, peraltro elaborata dalla dottrina dell’epoca[1], come "l’insieme dei rapporti che si stringono tra albergatore e cliente"[2].
Si poneva l’attenzione non tanto sulla prestazione alberghiera quanto sui doveri di custodia ed all’affidamento ingenerato, rispetto alla sicurezza delle merci e dei beni, dall’ospitalità occasionale e dalla condizione di necessità in cui veniva a trovarsi, nella considerazione storica del rapporto, il viandante (artt. 1866-1867, c.c. 1865)[3]. Anche in tema di responsabilità, l’evoluzione dei diversi ordinamenti aveva dimostrato la rinnovata percezione delle mutate esigenze sociali, basti pensare alla disciplina ad esempio di cui al § 701 BGB (Haftung des Gastwirts), laddove si evidenziava la diversa natura dell’attività professionale e dell’esercizio dell’impresa alberghiera con riguardo all’apporto di cose presso albergatori[4].
Il § 701 BGB (Haftung des Gastwirts), prevede espressamente che la responsabilità per i danni cagionati dalla perdita, dalla distruzione o dal danneggiamento delle cose portate da un ospite in albergo sussiste se l’attività alberghiera, quale attività imprenditoriale, è esercitata professionalmente.
Tuttavia, nel nostro ordinamento, come in altri, mancava il riconoscimento di un tipo di negozio legale autonomo che desse individualità giuridica certa al contratto d’albergo, pur risultando frammenti della fattispecie principale nella tipizzazione di altre tipologie negoziali connesse o collegate[5]
La legge n. 616 del 7 aprile 1921 aveva, poi, espunto la fattispecie contrattuale del deposito in albergo dall'alveo del deposito necessario, facendole assumere una fisionomia autonoma. Il regime di responsabilità venne allora a caratterizzarsi per un differente elemento: l'avvenuta consegna dei beni del cliente all'albergatore [6].
Il Codice civile del 1942 introdusse agli artt. 1783-1786 la disciplina speciale del deposito in albergo impedendo una completa regolamentazione nello stesso codice del tipo negoziale “contratto di albergo”, relegando quest’ultimo alla stregua di un contratto atipico o, al più, misto, nel quale le molteplici prestazioni oggetto del rapporto vengono configurate unitariamente sotto il profilo causale[7].
Il Codice civile vigente, dunque, nel solco tracciato dal legislatore del 1865, non ha considerato la fattispecie di che trattasi "uno speciale contratto" – il contratto di albergo o d’albergamento – così come auspicato da una dottrina[8] alla vigilia della sua entrata in vigore, ma ha regolato essenzialmente solo alcuni aspetti del rapporto negoziale quali la responsabilità dell’ albergatore per il deterioramento, la distruzione o la sottrazione delle cose consegnategli dal cliente, ovvero, da questi portate in albergo (artt. 1783-1786), il privilegio dei crediti (art. 2760), il termine di prescrizione (presuntiva) del diritto al pagamento per "l’alloggio e il vitto" somministrati (art. 2954)] omettendo di dettare una regolamentazione generale e organica della fattispecie.
La materia veniva ridisciplinata, assumendo l'attuale fisionomia, con la legge 10 giugno 1978, attuativa della Convenzione del Consiglio d'Europa del 19 dicembre 1962, per il tramite di tre passaggi: la modifica delle norme preesistenti, l'introduzione di norme nuove, una diversa collocazione dei due profili di responsabilità (per le cose portate in albergo e per quelle consegnate all' albergatore ). Tale ultima scelta ha avuto il merito di conferire diversa rilevanza e portata alle suddette forme di responsabilità, sancendo, contemporaneamente, il definitivo affrancamento del contratto di deposito in albergo da quello di deposito.
Un aspetto che appare significativo segnalare è quello concernente la successiva introduzione nel corpus codificato del deposito in albergo, di una disposizione (art. 1784 quater c.c.), diversamente formulata rispetto al regime precedente (art. 1784, ult. comma, vecchio testo), che appare costruita sulla preliminare considerazione della fase conclusiva del contratto alberghiero al fine di garantire al cliente non solo l’espressione di una volontà negoziale totalmente libera[9] , ma anche di stabilire un legame diretto con la regola generale di cui all’art. 1229 c.c.[10] e rafforzare, quindi, la tutela del cliente con riguardo altresì ad eventuali dichiarazioni accessorie alla stipula del contratto presupposto.
L’art. 1785 quater c.c., poi, pur riferendosi alla nullità dei patti e delle dichiarazioni tendenti ad escludere e limitare preventivamente la responsabilità dell’albergatore, presuppone, da un lato, l’esistenza del contratto d’albergo quale fondamento della configurazione giuridica della responsabilità, dall’altro, la sua collocazione sistematica mette in luce la particolare qualificazione e gli effetti degli obblighi scaturenti dall’esecuzione delle prestazioni alberghiere, di natura contrattuale[11], limitando i poteri dispositivi dell’albergatore rispetto ai profili di responsabilità che rispondono ad interessi superindividuali non derogabili.
La norma in esame ha rafforzato il sistema di responsabilità a tutela del cliente descrivendo, sotto tale aspetto, il contenuto minimo delle obbligazioni tipiche dell’albergatore secondo l’ambito di applicazione di cui all’art. 1786 c.c..
L’interpretazione da accogliere, in via generale, in materia di obbligazioni contrattuali e di valutazione giuridica del contenuto delle figure tipiche consente, tuttavia, di evidenziare, pure con riguardo al deposito "in albergo ", come la sola collocazione sistematica di una determinata figura non può necessariamente produrre insuperabili interazioni con la configurazione dell’istituto anche nei suoi legami con la struttura negoziale di riferimento.
2. La nozione e la natura del contratto d’ albergo secondo la dottrina e la giurisprudenza. Gli elementi del rapporto negoziale.
Una parte della Dottrina[12] ha fornito la nozione di contratto d’ albergo come strettamente riferita all’"insieme dei rapporti che si stringono tra albergatore e cliente"; un altro filone di pensiero ha denominato il "contratto d’ albergo" come il negozio con cui una parte, l’albergatore, si impegna a fornire all’altra, albergato o cliente, dietro corrispettivo, una serie di prestazioni (alloggio, vitto servizi vari, sicurezza degli effetti e delle persone) di dare e fare[13].
In merito alla natura giuridica del contratto in esame, va rilevato che la Dottrina maggioritaria ha definito tale contratto come contratto complesso ed atipico sui generis[14] caratterizzato da una combinazione unica di prestazioni riferibili ad un unico disegno negoziale suscettibile di continua evoluzione nella prassi dei rapporti incentivati dalle nuove pratiche imprenditoriali di gestione dell’offerta alberghiera[15]
Tuttavia, anche l’elaborazione giurisprudenziale in materia, non si discosta dall’inquadramento tradizionale offerto dalla dottrina qualificando detto contratto alla stregua di un contratto atipico o, al più, misto, nel quale le molteplici prestazioni oggetto del rapporto vengono configurate unitariamente sotto il profilo causale[16] Talvolta, si è ritenuto che tale rapporto contrattuale fosse considerato "rapporto obbligatorio misto con prestazioni multiple"[17]
Detto contratto appare caratterizzato, proprio in relazione al suo contenuto, dalla simultanea presenza, accanto all’imprescindibile prestazione d’alloggio, di una serie apparentemente disomogenea di prestazioni, che, pur informandosi nella loro sostanza effettuale a quelle tipiche della locazione, del deposito, dell’appalto e di altre ancora, non coincidono con queste e sono tutte trasformate e unificate, con la prima, allo scopo di realizzare una complessa ed unitaria funzione pratica: una funzione di pubblica ospitalità retribuita[18]. La funzione unitaria dell’operazione economica, in altri termini, considerata nella sua sostanza giuridica, comprime la fattispecie causale nel quadro di una struttura complessa a cui si ascrivono tipologie effettuali pratiche di diversa natura.
In questo quadro, l’unicità della funzione economica pratica del contratto alberghiero, può più facilmente spiegare la combinazione delle diverse prestazioni secondo la determinazione causale del negozio qualificato da un interesse complesso oggetto dell’intento delle parti, che non assume la molteplicità delle prestazioni offerte declinandole in un rapporto di semplice subordinazione l’una all’altra o di mera accessorietà rispetto a quella ritenuta principale.
La volontà negoziale, sostenuta dalla funzione giuridica essenziale del negozio in esame, esprime infatti una combinazione di prestazioni che si fondano causalmente su un rapporto di continenza rispetto agli elementi che hanno maggiore affinità alla luce della natura propria del contratto alberghiero costruito, per volontà delle parti, mediante una struttura complessa a cui si ascrivono tipologie effettuali pratiche che possono essere ritenute di diversa natura solo quando vengono considerate isolatamente dalla funzione alberghiera.
La giurisprudenza, anche più risalente[19], aveva colto questo tratto caratteristico che differenzia il contratto alberghiero da ogni altra fattispecie tipica, evitando, pur attraverso il riconoscimento della natura mista del negozio, la frammentazione del rapporto in una molteplicità indistinta di prestazioni diversamente regolate o affidate a meccanismi di subordinazione o di accessorietà ai fini della qualificazione di atipicità cui far conseguire una valutazione di prevalenza di alcuni elementi tipici rispetto ad altri secondo la tradizionale elaborazione dottrinale in materia di configurazione dei criteri di disciplina delle fattispecie miste[20].
Il contratto stipulato dall’esercente l’attività alberghiera, tuttavia, deve farsi rientrare, con riguardo alle prestazioni tipiche dell’albergatore, nell’esercizio ordinario dell’impresa dedicata a tale servizio e può aggiungersi che esso racchiude in se una combinazione tra prestazioni non meramente affini, ma decisamente autonome, coniugate nell’unicità e complessità dell’effetto finale del rapporto strumentale all’attività alberghiera in forma d’impresa. Il contratto è, dunque, in grado di esprimere quel complesso organizzato di prestazioni e servizi mediante il quale l’imprenditore alberghiero esercita la propria attività aziendale; diviene, in altri termini, il contratto lo strumento essenziale per la realizzazione delle finalità dell’impresa, costituendo funzionalmente il risultato negoziale mediante il quale viene esercitata l’impresa alberghiera nella sua caratterizzazione fondativa del rapporto diretto con il fruitore dei servizi oggetto della gestione aziendale.
La causa alberghiera, nella sua atipicità rispetto alla serie dei contratti nominati di cui si avvale la giurisprudenza per combinare un nucleo fondamentale di disciplina delle prestazioni del rapporto, se ha come termine principale di raffronto l’attività di impresa, spiega appieno la sua funzionalità economica nella dinamica tipica dell’utilizzo degli strumenti che danno senso all’organizzazione complessa di natura aziendale. La disciplina a cui fare ricorso, definito il negozio nella sua natura complessa, deve tenere conto della qualificazione in termini di contratto d’impresa del rapporto alberghiero che assume una funzione giuridica tipica nell’ordinamento quale strumento essenziale di funzionamento dell’azienda alberghiera sotto il profilo dell’offerta negoziale dei servizi ad essa connaturati.
2.1 In particolare l’oggetto del contratto
L’indagine deve essere condotta verso il tema dell’oggetto al fine di dare compiutamente sviluppo a quanto ricostruito con riguardo alla qualificazione giuridica della fattispecie sulla scorta dell’elemento causale posto a fondamento dell’essenza dell’operazione contrattuale in esame.
Il Codice civile, com’è noto e come è stato ancora ribadito da recentissima dottrina[21], in materia contrattuale si avvale ambiguamente dell’espressione "oggetto" del contratto, che usa "per indicare a volte la prestazione, altre il bene economico, che riflette la medesima ambiguità quando parla di oggetto dell’obbligazione, e che complica ulteriormente il quadro utilizzando la nozione di oggetto della prestazione per indicare a volte un bene, altre un fatto".
Tale incertezza normativa – in difetto di un qualche apporto da parte della giurisprudenza, che ha offerto all’approfondimento dell’argomento un contributo che "per un verso, è stato quasi del tutto assente, per un altro non ha tenuto conto del dibattito dottrinale"[22] – ha determinato, com’è noto, nella letteratura giuridica che si è occupata del tema, il fiorire di soluzioni definitorie diverse e in taluni casi finanche tra loro configgenti, andandosi, per citare solo quelle principali, dalla teoria che identifica l’oggetto con la cosa o con il bene dedotto in contratto[23], a quella che lo identifica con le prestazioni dedotte, ovvero, infine, a quella che vede, nell’oggetto del contratto, il contenuto del contratto stesso[24].
Una diversa tesi è stata elaborata da recente dottrina[25], la quale, pur non distaccandosi del tutto dalle teorie tradizionali, di fatto finisce per superarle.
Si ritiene da parte di questa teoria che nelle "nozioni unitarie dell’oggetto del contratto" – a causa del tentativo, in difetto di soluzioni legislative definite, di essere a tutti i costi "reali", cioè di racchiudere in "rigide maglie definitorie", "tutta la realtà in un concetto" – "o c’è poco o c’è troppo". Ed, allora, si propone un diversa strada interpretativa, una "strada inversa", "quella che dalla somma di più definizioni ‘stipulative’ dell’oggetto di diverse classi contrattuali porta a configurare una nozione certamente variegata e non più unitaria dell’oggetto del contratto, ma forse proprio per questo più vicina alla sua realtà, anche applicativa, e quindi alla sua sostanza storica"[26].
Muovendo dalla distinzione elaborata da un’autorevole dottrina[27], secondo cui, sia i soggetti che concludono il negozio che l’oggetto su cui ricadono gli effetti di questo, sono in realtà estranei rispetto al contenuto del contratto; l’oggetto del contratto si identifica col diritto alla prestazione, "o con la prestazione tout court", nei contratti a "contenuto obbligatorio", e con il diritto sulla cosa, o "con la cosa tout court ovvero con il rapporto giuridico preesistente", nei contratti a "contenuto dispositivo". Si tratta di "definizioni stipulative" dell’oggetto, in virtù delle quali il problema della determinazione "assume diversa connotazione in relazione alla fonte di determinazione considerata" e in base "alla natura (civile o commerciale) del contratto".
Applicando i concetti sin qui visti alla fattispecie contrattuale in esame, pare che la conclusione da ultimo esaminata possa attagliarsi alla complessità stipulativa del contratto d’albergo in quanto identifica nel diritto alla prestazione l’elemento discriminante che racchiude in unità la serie di prestazioni determinate, pur nella consapevolezza della variegata natura della realtà applicativa di ogni singolo negozio.
Si è ritenuto che il servizio dell’ospitalità alberghiera costituisce il bene derivante dalla domanda di accoglienza retribuita. Detto bene nella sua generale capacità di comunicare la sostanza relazionale dell’obbligazione assunta dall’offerente, identifica l’oggetto del contratto, specificandone le facoltà inerenti al diritto alla prestazione. Queste facoltà non costituiscono mera emanazione del diritto di credito derivante dalla stipulazione del contratto d’ albergo, ma sono esse stesse le facoltà giuridiche di cui si compone, di volta in volta, il diritto alla prestazione assunto quale oggetto unitario del contratto. Le prestazioni dovute sono perciò determinate dall’operazione economica in concreto voluta dalle parti secondo la diversa modulazione dell’offerta disponibile; l’esercizio della facoltà di disposizione da parte del fruitore del servizio, che esprime di per sé la sintesi degli effetti essenziali del contratto, risulta perciò distinguibile dalle facoltà giuridiche esercitate con l’atto di volontà concreto specifico e individuale[28].
3. La responsabilità dell’albergatore
3. 1 Il quadro normativo di riferimento
Il legislatore nazionale con il R.d. 12 ottobre 1919, n. 2099 – poi convertito in Legge 7 aprile 1921, n. 610 –oltre ad istituire un "Ente nazionale per l’incremento delle industrie turistiche", ridisegnò – attenuandola – l’intera materia della responsabilità degli albergatori. La nuova disciplina, abrogò gli articoli 1866, 1867 e 1868 del Codice civile del 1865 e svincolò il deposito alberghiero, il receptum, dal deposito vero e proprio; per la prima volta nell’ambito del nostro ordinamento, si differenziò la responsabilità alla stregua dell’esistenza o meno di una relazione di fatto fra l’albergatore e l’oggetto della custodia distinguendo un’ipotesi di responsabilità illimitata dell’albergatore per le cose affidategli in speciale custodia, da un ipotesi di responsabilità per colpa grave per quelle a lui non affidate.
La legge non solo svincolò il deposito in albergo (il receptum) dalle norme relative al contratto di deposito e pose la distinzione di cui al testo, ma limitò la responsabilità dell’albergatore per i beni per i quali il viaggiatore non aveva richiesto la speciale custodia, ad una somma determinata prevedendo, all’epoca, un massimale di risarcimento di Lire 1000 per ogni persona albergata (cfr. art. 12, comma 2°, R.d. n. 2099 del 1919).
Il R.d. n. 2099 del 1919, ebbe in effetti una rilevante portata innovativa sulla disciplina della fattispecie, alla quale conferì un assetto normativo più equo e, soprattutto, più consono alle mutate condizioni economiche e sociali. Tuttavia, non devono trascurarsi gli importanti riflessi che il citato R.d. seppe spiegare anche sul piano sistematico, ed in particolare il fondamentale contributo che la novella diede – seppur indirettamente – al processo di individuazione della figura iuris. Nella misura in cui, infatti, la legge speciale attribuì al receptum un regime legale autonomo, definitivamente svincolato dal deposito vero e proprio, favorì per la dottrina più attenta lo sviluppo di una corrente interpretativa che esaltando l’autonomia ed indipendenza del rapporto, pur in difetto di una scelta legislativa espressa in tal senso, seppe considerarlo come uno speciale contratto e cioè come contratto d’albergo o d’ albergamento[29].
Il Codice civile vigente – dopo il superamento anche delle proposte volte all’esplicita introduzione della figura contrattuale – sostanzialmente fece proprie le disposizioni contenute nel R.d. n. 2099 del 1919 e l’impostazione "storica" dell’istituto legata alla regolazione degli aspetti concernenti la responsabilità dell’albergatore. In sintesi: a) non si è prevista una disciplina organica (malgrado il richiamo al contratto nei vari progetti; il nomen veniva in realtà assunto "soltanto in funzione dell’obbligazione di custodia"); b) si è disciplinato in modo completo il profilo della responsabilità anche se l’impianto normativo è stato costruito sulla specialità dell’istituto del deposito in albergo rispetto al deposito ordinario; c) si è mantenuta la distinzione – nell’ambito del regime della responsabilità, sulla falsariga della previsione di cui all’art. 12 R.d. cit. – tra custodia diretta e custodia indiretta; d) sono state riproposte (artt. 2760 e 2954) le norme già contenute dal codice civile del 1865 (artt. 1958, comma 8°, e 2138) in punto di privilegio e prescrizione.
La disciplina normativa prevista dal codice civile del 1942 è stata in seguito mutata da due successive leggi: dapprima dalla Legge 15 febbraio 1977, n. 35, che ha determinato il limite del risarcimento in una misura massima pari a cento volte il prezzo dell’alloggio giornaliero, poi, dalla Legge 10 giugno 1978, n. 316, che ha ratificato la Convenzione di Parigi del 17 dicembre 1962 relativa alla responsabilità degli albergatori per le cose portate in albergo dai clienti ed ha modificato, pressoché interamente, la sez. II ("del deposito in albergo ") del capo XII del quarto libro del Codice civile (1782 ss.) a cui ha dato la configurazione attualmente vigente.
Tale seconda novella, di cui alcuni in dottrina hanno opportunamente colto anche i rilevanti riflessi di natura sistematica[30]: a) ha mantenuto la distinzione già prevista tra cose consegnate e cose non consegnate, ma ha eliminato nel nuovo art. 1784 l’espresso richiamo previsto nella configurazione codicistica originaria al fatto che l’ albergatore fosse obbligato come un depositario in relazione alle cose a lui consegnate; b) ha introdotto un regime più rigoroso di responsabilità dell’ albergatore per le cose a lui consegnate, avendolo, attraverso l’affrancazione dalle norme sul deposito, appunto, disancorato dal presupposto della colpa; c) ha specificato, ampliandolo, il novero dei beni da considerarsi portati in albergo (cfr. art. 1783, comma 2°, c.c.) e, conseguentemente, esteso l’ambito di operatività della norma; d) ha espressamente previsto (art. 1783, comma 2°, n. 2 e 3, c.c.) ipotesi di assunzione in custodia diretta che, diversamente, dovrebbero qualificarsi come veri e propri contratti di deposito; e) ha previsto che per il sorgere della responsabilità per il deterioramento, la distruzione o la sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo e dovuta al fatto dell’ albergatore stesso, dei membri della sua famiglia o dei suoi ausiliari, sia sufficiente la colpa lieve, anziché la colpa grave di cui alla disciplina previgente (art. 1785 bis, c.c. "Responsabilità per colpa dell’ albergatore "); f) ha previsto una generale inderogabilità del sistema di responsabilità disegnato dagli artt. 1783 ss. c.c.; g) ha espressamente previsto, in relazione alla responsabilità per le cose di cui l’ albergatore abbia assunto la custodia – "sia nell’albergo, sia fuori dell’ albergo" – che la tutela del cliente sia temporalmente estesa ad "un periodo di tempo ragionevole, precedente o successivo a quello in cui il cliente dispone dell’alloggio" (art. 1783, comma 2°, n. 3, c.c.); h) ha espressamente escluso (a dispetto di un contrario consolidato orientamento giurisprudenziale) l’applicabilità delle disposizioni sulla responsabilità dell’ albergatore "ai veicoli, alle cose lasciate negli stessi, [...] agli animali vivi" (art. 1785 quinquies c.c.).
3.2 I vari profili di responsabilità dell’albergatore
Per "cose portate in albergo”, nell'interpretazione comunemente data dalla dottrina all'art. 1783 c.c., si devono intendere non solo quelle che ivi si trovino nel lasso di tempo in cui il cliente dispone dell'alloggio, ma anche quelle cose di cui l' albergatore (un membro della sua famiglia, un suo ausiliario) assuma la custodia fuori dell' albergo durante lo stesso periodo, ovvero ancora quelle la cui custodia sia assunta prima e dopo che il cliente abbia preso possesso del suo alloggio. Il termine " albergo ", infatti, è nozione troppo generica, cui si potrebbero ricondurre anche altri luoghi strettamente connessi con l'attività alberghiera, quali, ad esempio, la piscina o il ristorante; è per questo motivo che in dottrina ed in giurisprudenza si è discusso sui "limiti spaziali", della responsabilità dell'albergatore. In questa ipotesi il valore del risarcimento del danno che consegua a distruzione, deterioramento, perdita delle cose portate in albergo , viene dal legislatore quantificato al limite del valore dell'equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell'alloggio giornaliero.
La responsabilità per le cose consegnate all'albergatore - previsione originariamente contenuta nell'art. 1783 c.c. ed oggi invece collocata nell'art. 1784 c.c.- vede scomparire il richiamo alla disciplina del contratto di deposito, mentre viene introdotta la previsione riguardante il rifiuto ingiustificato di ricevere le cose che l'albergatore ha l'obbligo di custodire (le carte - valori, il danaro contante e gli oggetti di valore).
Nel nuovo art. 1785 bis c.c. viene introdotta la preclusione di avvalersi delle limitazioni di responsabilità, dettate dall'art. 1785 c.c., nel caso in cui il danno alla cosa sia derivato da un comportamento colposo dell'albergatore , dei membri della sua famiglia o dei suoi ausiliari. La responsabilità assume carattere soggettivo e non viene posto alcun limite al risarcimento che dovrà essere determinato dal giudice in relazione al danno verificatosi.
Si è detto come la riforma del 1978 abbia rivisitato, per così dire, il rapporto tra cliente ed albergatore, imponendo al secondo una serie di "doveri di protezione" nei confronti del primo. La dottrina ha definito tali doveri di protezione come obblighi rivolti a prevenire o allontanare danni dalla sfera di interesse della controparte, quando l'altro, per la sua posizione in seno al rapporto obbligatorio, ha la possibilità sia di pregiudicarli che di tutelarli. I doveri di protezione si concretizzano, dunque, nell'obbligo di garantire la sicurezza e l'igiene dei luoghi in cui il servizio viene prestato; la loro violazione, nel caso in cui ingeneri la lesione di un diritto alla cui tutela i doveri erano diretti, conferisce il diritto al danneggiato di richiedere il risarcimento.
La rivisitazione del rapporto, per gli aspetti che qui ci interessano, è avvenuta anche per il tramite dello sganciamento del contratto di albergo da quello di deposito, operazione effettuata attraverso il mancato richiamo del primo (presente invece nella previgente disciplina), nonché l'introduzione di una serie di nuove disposizioni e l'autonoma previsione di cause di esonero da responsabilità in un'elencazione tassativa.
V'è da dire, però, che esiste ancora un conflitto dottrinale per l'ipotesi contemplata dall'art. 1784 c.c., in cui rileva la consegna delle cose. In tale ultimo caso, infatti, si parla di contratto di deposito collegato al contratto di albergo[31]. Anche la giurisprudenza (in verità un po' risalente) in alcune occasioni ha affermato che l'affidamento di cose in custodia all'albergatore dà luogo ad un contratto di deposito distinto dal contratto di albergo, ma ad esso accessorio[32].
A tal proposito, giova precisare che la responsabilità dell' albergatore per i danni causati ad un cliente dalle dotazioni di una camera della struttura ricettiva si inquadra nella responsabilità da custodia prevista dall'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che il danneggiato fornisca la prova della sussistenza del nesso causale tra la cosa che ha provocato l'incidente e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale degli oggetti e della condotta dell' albergatore , sul quale incombe, ai fini dell'esclusione di detta responsabilità, l'onere di provare il caso fortuito[33]
Peraltro, tale tipo di responsabilità di cui al citato art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo e, ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza[34].
Per quanto concerne le varie forme di responsabilità dell' albergatore previste dal codice, si rileva che, nell'ipotesi di cose portate in albergo (art. 1783 c.c.), difetta l'obbligo di custodire[35], per il mancato verificarsi del passaggio del bene dalla sfera di sorveglianza e controllo del depositante a quella del depositario. Per tale fattispecie residua, in capo all' albergatore, un semplice dovere di vigilanza, non sul bene bensì sull'immobile adibito ad albergo . Effetto legale del contratto di albergo in questo caso è, come una parte della Dottrina sostiene[36], una responsabilità autonoma rispetto al rapporto instauratosi tra albergatore e cliente, riguardante il pagamento del prezzo dell'alloggio, ma ad esso accessoria, in quanto in esso rinveniente la sua fonte esclusiva. Il risarcimento del danno, di conseguenza, sarà solo parziale e limitato ad una somma che nel massimo potrà essere pari a cento volte il prezzo della locazione giornaliera.
Nell'ipotesi, invece, di cose consegnate all' albergatore (art. 1784), il giudice di merito, onde affermare la responsabilità - in tal caso illimitata - dell'albergatore (o dei soggetti ad esso equiparati), dovrà accertare se il cliente, indipendentemente da una specifica dichiarazione negoziale, per le modalità ed il contesto in cui ha consegnato la cosa al gestore dell'esercizio o ai suoi dipendenti, ha inteso affidarla alla loro custodia, facendola uscire dalla sfera di controllo e disponibilità del cliente[37] e dando luogo ad un contratto di deposito distinto dal contratto di albergo[38].
3.3 La responsabilità in caso di furto o danneggiamento delle cose consegnate in albergo.
Una volta avvenuto il deposito della cosa nelle mani dell' albergatore in dipendenza della conclusione del contrato di albergo, nel caso di mancata restituzione o furto o danneggiamento delle cose consegnategli dal cliente in albergo, si sostiene che la diligenza del buon padre di famiglia di cui all'art. 1768 c.c., debba essere valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata dall’albergatore, ossia tenendo presente il comportamento che, relativamente alla custodia delle cose ricevute in consegna, viene comunemente praticato da parte di coloro che esercitano la medesima professione[39].
A tal proposito va ricordato che, ai fini della configurabilità della responsabilità in capo all’albergatore in caso di furto delle cose consegnare nella struttura alberghiera, il cliente non ha l'obbligo di affidare gli oggetti di valore di sua proprietà in custodia all' albergatore , mancando una specifica previsione normativa in tale senso; tuttavia, se non si avvalga di tale facoltà, corre il rischio di non poter ottenere, in caso di sottrazione, l'integrale risarcimento del danno, come disposto dall'art. 1783 c.c., a meno che non provi la colpa dell'albergatore o degli altri soggetti a lui legati da rapporto di parentela o collaborazione, ai sensi dell'art. 1785 bis c.c. In assenza di tale riscontro probatorio, la determinazione del quantum entro il limite massimo stabilito nell'ultimo comma dell'art. 1783 c.c. rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale è libero di determinare la somma da liquidare secondo il suo prudente apprezzamento[40].
In virtù di tale impostazione si perviene al risultato secondo cui la responsabilità del custode, in base alla suddetta norma, è esclusa in tutti i casi in cui l'evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale dell'evento e, perciò, quando si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile, ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima.
In taluni casi si è sostenuto che la colpa, elemento che giustifica l'obbligo di risarcire l'intero valore degli oggetti, viene individuata attraverso una valutazione in concreto delle circostanze e non implica necessariamente un'azione o un'omissione colposa successiva alla nascita del rapporto tra gestore del locale e cliente, ma può preesistere ed essere inerente alla stessa organizzazione dell'impresa, a causa dell'imprudente omissione di accorgimenti idonei a salvaguardare i beni recati con sé dal cliente[41].
3.4 La responsabilità in tema di smarrimento, sottrazione o perdita delle cose custodite in albergo.
La giurisprudenza recente in tema di sottrazione, smarrimento o perdita delle cose custodite o portate dal cliente in albergo ha inquadrato la responsabilità dell’albergatore sotto il profilo della responsabilità limitata parametrata al valore di quanto sia stato sottratto, sino all'equivalente di cento volte il prezzo della locazione dell'alloggio per la giornata. In tal caso, se le cose in custodia non vengono consegnate al cliente, l’albergatore è tenuto al risarcimento ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1783 cod. civ., in proporzione al prezzo di locazione dell'alloggio per giornata ovvero al corrispettivo complessivo e non a quello "pro quota" dovuto dal singolo cliente[1]
Sotto il profilo meramente probatorio, si è ritenuto che opera una presunzione iuris tantum relativamente all'an, con distinguo però, relativamente al quantum, tra l'ipotesi in cui il cliente consegni le cose in custodia all'albergatore, in cui la responsabilità di quest'ultimo è illimitata e quella per le cose che il cliente porti con sé in albergo in cui la responsabilità è illimitata se il cliente prova la colpa dell'albergatore ovvero limitata nel caso contrario salvo l'esonero da responsabilità ove l'albergatore provi la colpa del cliente, la forza maggiore o la riconducibilità del danno alla natura della cosa[2]
3.5 I casi di esclusione dalla responsabilità
La responsabilità per colpa dell' albergatore, ai sensi dell'art. 1785 bis c.c., può essere esclusa solo per il tramite della dimostrazione - con onere a carico dell' albergatore medesimo – di alcune circostanze di fatto quali potrebbero essere la prevenzione dell'illecito verificatosi avrebbe richiesto l'adozione di cautele e di costi sproporzionati ed inesigibili, in relazione alla natura, al livello ed ai prezzi delle prestazioni alberghiere, nonché in relazione al rischio concreto del verificarsi di particolari eventi. L' albergatore, poi, per escludere la propria responsabilità, dovrebbe dare la prova (liberatoria) che la sottrazione o il danneggiamento dei beni sono dipesi da un fatto a lui non imputabile.
Le cause di esonero da responsabilità, previste dall'art. 1785[42], ricomprendono, invece, i casi in cui il deterioramento, la distruzione o la sottrazione siano dovute alla natura delle cose, a forza maggiore, al cliente, alle persone che l'accompagnano, che sono a suo servizio o che gli rendono visita.
L’art. 1785 c.c. ha dato adito a innumerevoli dispute, che hanno investito, in special modo, la prova liberatoria. Ci si è chiesti se tale prova verta sull'assenza di colpa, in ossequio al dettato dell'art. 1176 c.c., ovvero sui fatti interruttivi del nesso di causalità tra il comportamento del debitore e la mancata attuazione della prestazione[43].
Dal momento che la formulazione della norma non richiede la colpa quale criterio di imputazione della responsabilità (fattore il cui ricorrere giustifica semmai una responsabilità più severa in termini di risarcimento del danno), si è opinato che la prova liberatoria non dovrebbe vertere sull'assenza di essa. D'altronde, è anche vero che non è sufficiente la semplice prova del verificarsi un qualsiasi fattore causale estraneo alla sfera di controllo dell'albergatore, ma necessita la prova specifica di uno degli elementi che la norma esplicitamente richiama.
C'è da chiedersi se l'elencazione contenuta nell'art. 1785 c.c. abbia natura tassativa[44]. Ciò in quanto un'indicazione tassativa, piuttosto che esemplificativa, finisce per causare notevoli contraccolpi nella sfera dell' albergatore: come accade, ad esempio, in tutti quei casi in cui egli non sia in grado di provare la ricorrenza di uno dei fattori di esonero previsti dalla norma, con la conseguenza di doversi accollare il fattore ignoto.
Sulla portata di tali fattori di esonero, dunque, sarebbe opportuno operare una distinzione, adottando per alcuni di essi (es. comportamento del cliente), un'interpretazione restrittiva; per altri, come la forza maggiore o la natura della cosa, favorendo invece un'interpretazione estensiva. La forza maggiore, in particolare, dovrebbe essere individuata proprio in relazione agli accorgimenti che l'organizzazione imprenditoriale dell'albergatore deve essere in grado di approntare per scongiurare i rischi connessi all'esercizio di una tale attività, trattandosi di rischi per loro natura prevedibili e prevenibili. Anche solo da un esame superficiale appare chiaro, infatti, che i rischi connessi alla gestione di un'impresa non sono certo della stessa natura e portata di quelli inerenti la gestione di un rapporto obbligatorio da parte di un qualunque debitore.
In tale direzione si muovono quelle teorie della "causa non imputabile" che vengono definite oggettive, le quali fanno gravare sul debitore inadempiente non solo le conseguenze di una sua condotta colposa, bensì tutti quei rischi che ricadono nella sua sfera di controllo e di organizzazione, consentendogli di liberarsi non già provando l'assenza di colpa, ma individuando positivamente un impedimento estraneo a quella sfera di rischio[45]. Tra tali teorie, che presentano delle differenze nelle loro formulazioni, spicca quella corrente dottrinale che, partendo dai casi tradizionalmente ricondotti al receptum, delinea una responsabilità oggettiva per rischio di impresa. In questa ricostruzione alla base della nozione di forza maggiore/caso fortuito, vi è un'impossibilità della prestazione che presenta le stesse caratteristiche di oggettività e relatività dell'impossibilità che provoca l'estinzione dell'obbligazione e la liberazione del debitore da responsabilità ex artt. 1256 e 1218 c.c.; ma laddove la legge parla di caso fortuito/forza maggiore la responsabilità debitoria è aggravata, nel senso che criterio di imputazione della causa di impossibilità al debitore non è la colpa, intesa come mancato uso della diligenza dovuta, ma il rischio di impresa[46]. All' albergatore (così come al vettore, ai magazzini generali, alla banca ...), che pure abbia fatto uso della diligenza dovuta, sono imputati tutti quegli eventi che realizzano rischi tipicamente collegati alla sua attività e dei quali, dunque, egli deve tener conto nel suo calcolo economico. La nozione di forza maggiore e di caso fortuito ricomprende quindi, secondo questa corrente dottrinale, "l'insieme di eventi contro i quali, considerata l'attività ed il concreto svolgimento di essa (...), non è esigibile un comportamento volto ad impedirli"[47].
Abbiamo accennato a come la riforma del 1978 abbia rivisto e corretto il rapporto tra cliente ed albergatore, cercando di far fronte alla doppia esigenza di tutelare adeguatamente gli utenti e consentire agli albergatori di calcolare i rischi e l'allocazione delle risorse con maggiore esattezza. Potremmo allora, spingerci a dire che il legislatore abbia voluto configurare la responsabilità di tale soggetto (svolgente la sua attività sotto forma di impresa) come bifronte: da un lato volta ad assicurare la tutela dei diritti delle parti interessate; dall'altra volta a sviluppare modalità sempre nuove atte a coniugare la soddisfazione dei portatori di interessi e gli obiettivi di sviluppo dell'impresa.
L'accezione di responsabilità d'impresa che in questo caso potrebbe essere utile accogliere ed esplicitare, investe strutturalmente la gestione strategica e operativa dell'impresa la quale, nel realizzare la sua tipica missione produttiva, inevitabilmente incide su una molteplicità di soggetti, creando (o distruggendo) valore per ciascuno di essi. Una possibile risposta alla domanda formulata, dunque, potrebbe essere quella secondo cui l'adozione di una forma di responsabilità d'impresa diventa interessante quando si dimostri conveniente, nel senso etimologico di convenire, ovvero incontrarsi, "essere in armonia con" le esigenze poste dagli obiettivi di competitività ed economicità dell'impresa[48]. Qualunque attività esercitata in forma di impresa, infatti, per essere competitiva sul mercato globale normalmente dovrebbe perseguire tre ordini di risultati: quelli economici, essendo questi condizione per assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo dell'impresa medesima; quelli sociali, ossia soddisfare le attese dei collaboratori, degli utenti ed in genere delle forze sociali esterne all'impresa; quelli ambientali.
L'ascrizione di una responsabilità oggettiva (o aggravata, o d'impresa) costituirebbe una modalità innovativa per rispondere alle aspettative di tutela di una o più classi di interlocutori sociali (dipendenti, comunità locale, utenti ecc.), imponendo uno standard di prestazioni livellato verso l'alto; nonché di tutela dell'equilibrio ecologico, costringendo i potenziali danneggianti a modulare il proprio livello di attività in funzione della probabilità di causare un danno ambientale.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Giovene, Il contratto d’ albergo (art. 656-659 del Progetto del IV libro del codice civile), in Riv. dir. comm., 1940, I, p. 157; Funaioli, voce Albergatore , Albergo , in Noviss. dig., I, 1980, p. 439; Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 241.
[2] A tale intuizione legislativa, ciononostante, non ha fatto seguito alcun recepimento nel Codice civile del 1942, che pure aveva previsto nuovi tipi legali (contratto estimatorio, di agenzia, di somministrazione, ai contratti bancari, alla vendita a rate con riserva di proprietà) rispetto alla tradizionale configurazione delle fattispecie contrattuali accolte nel Codice del 1865.
[3] D’Amelio, Sulla responsabilità degli albergatori pei furti ai viaggiatori, in Riv. dir. comm., 1911, II, pp. 992-1000
[4] Zoppini, Fonti del diritto privato, concorrenza tra ordinamenti giuridici e riforma del diritto delle obbligazioni (Note minime), in Atti del Convegno per il cinquantenario della Rivista di diritto civile, Treviso 23-24-25 marzo 2006, Il diritto delle obbligazioni e dei contratti: verso una riforma? Le prospettive di una novellazione del libro IV del codice Civile nel momento storico attuale, in Riv. dir. civ., 2006, pp. 123-129.
[5] Ci riferiamo all’ampio genere del contratto di viaggio nella duplice tipologia di contratto di organizzazione di viaggio e di contratto di intermediario di viaggio [sull’improprio uso della locuzione "contratto turistico" in luogo di quella più appropriata di "contratto di viaggio" e sulle relative motivazioni si rimanda al puntuale studio di Monticelli, Il contratto di viaggio, in Ciurnelli, Ponticelli, Zuddas, Il contratto d’ albergo – Il contratto di viaggio – I contratti del tempo libero, in Il diritto privato oggi, a cura di Paolo Cendon, Milano, 1994, pp. 129-277]
[6] A. Graziani., G. Minervini, U. Belviso, Manuale di diritto commerciale, Padova, 2007
[7] Cfr. Cass., sez. III, 23 dicembre 2003, n. 19769, in Giust. civ., 2004, I, p. 1763; Cass., sez. II, 24 luglio 2000, n. 9662 in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 20; e in Contratti, II, 2001, p. 118; Cass., sez. III, 28 novembre 1994, n. 10158, in Giust. civ., I, 1995, p. 2179.
[8] De Ruggiero, La riforma del codice civile circa la responsabilità degli albergatori , cit., p. 151.
[9] Fragali, Albergo (contratto di), in Enc. dir., I, 1958, p. 988.
[10] Carnevali, Bonilini, Responsabilità degli albergatori , in Nuove leggi civ. comm., 1979, p. 149.
[11] Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 1997, n. 1537, in Foro it., 1997, I, c. 2519 ss.
[12] Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 6 ss.
[13] De Gennaro, Del deposito in albergo , in Commentario al Codice Civile D’Amelio Finzi, Firenze, 1947, II, 1, p. 668 ss.; Bussoletti, Albergo (contratto di), in Enc. giur. Treccani, I, 1988, p. 1; Zuddas, in Ciurnelli, Monticelli, Zuddas, Il contratto d’ albergo – Il contratto di viaggio – I contratti del tempo libero, Milano, 1994, pp. 14-26; Funaioli, voce Albergatore , Albergo , in Noviss. dig., cit., pp. 440-441; Fragali, Albergo (contratto di), in Enc. dir., I, 1958, p. 963.
[14] Sacco, Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1966, p. 785; Gabrielli, Studi sui contratti, Torino, 2000, p. 731 ss.; cfr. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., p. 343.
[15] Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 172
[16] Cass., sez. III, 23 dicembre 2003, n. 19769, in Giust. civ., 2004, I, p. 1763; Cass., sez. II, 24 luglio 2000, n. 9662 in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, p. 20; e in Contratti, II, 2001, p. 118; Cass., sez. III, 28 novembre 1994, n. 10158, in Giust. civ., I, 1995, p. 2179.
[17] Cass. civ., III, 11 maggio 1973, n. 1269, in Giust. civ., 1973, I, pp. 1306-1308
[18] De Gennaro, Del deposito in albergo , in Commentario al codice civile D’Amelio Finzi, Firenze, 1947, II, 1, p. 668 ss.
[19] Cass. civ., III, 25 maggio 1953, n. 1548, in Giur. comp. cass. civ., 1953, p. 140
[20] Orlando Cascio-Argiroffi, Contratti misti e contratti collegati, in Enc. giur. Treccani, vol. IX, Roma, 1988, p. 1 ss.; De Gennaro, I contratti misti, cit., pp. 204 ss., 207
[21] Gitti, Problemi dell’oggetto, in Trattato del contratto, diretto da Vincenzo Roppo, Milano, vol. II (a cura di G. Vettori), 2006, p. 3 ss.
[22] Gabrielli, L’oggetto del contratto, cit., p. 13 ss.
[23] Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1952, p. 98 ss.
[24] Roppo, Il contratto, cit., p. 337; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2004, p. 845; Bianca, Diritto civile, Il contratto, vol. III,1987 (ristampa), p. 316.
[25] Gitti, Problemi dell’oggetto, cit., p. 8 ss.; Id. L’oggetto della transazione, Milano, 1999, p. 148.
[26] Gorla, Il contratto. Problemi fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistico, Milano, 1955
[27] Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 2002, IX ed., (ristampa), pp. 129-130
[28] Ferrara, Trattato di Diritto Civile Italiano, Roma, 1921, vol. I, parte I, pp. 349-341
[29] Giovene, Il contratto d’ albergo (art. 656-659 del Progetto del IV libro del Codice Civile), in Riv. dir. comm., 1940, I, p. 160; Fiorentino, Del deposito in albergo , in Comm. c.c. Scialoja-Branca, libro IV, Delle Obbligazioni, Bologna-Roma, 1954, p. 100
[30] Bussoletti, Albergo (contratto di), cit., p. 6 ss., spec. 10
[31] Cass. 22 gennaio 1958 n. 132, in Foro. It., 1958, I; Geri, Albergatore (Responsabilità dell'), in Noviss. dig. It - app. I, Torino, 1980
[32] Cass. 13 luglio 1982 n. 4128, in Foro it., 1982, I.
[33] Cass. civ. Sez. III, 08 febbraio 2012, n. 1769
[34] Cass. civ. Sez. III Sent., 28 novembre 2007, n. 24739
[35] Cass. 22 febbraio 1994 n. 1684, in Giust. Civ. 1995, I, 2221.
[36] U. Carnevali, Responsabilità degli albergatori , in Nuove leggi civ. comm., 1979, 127.
[37] Cass. 19 febbraio 1997 n. 1537, in Foro it., 1997, I, 2519
[38] Cass. 13 luglio 1982 n. 4128, cit.
[39] Cass. civ. Sez. III Sentenza, 07 maggio 2009, n. 10493
[40] Cass. 5 dicembre 2008, n. 28812; Cass. 22 febbraio 1994, n. 1684; G. Marena, Rilevanza dell'obbligazione custodiale nel contratto di albergo , 2009, 3, 293; F. Brunetta D'Usseaux, Sulla responsabilità dell' albergatore per le cose portate in albergo, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 173.
[41] Cass., 27 febbraio 1984, n. 1389
[42] Tale elenco è considerato tassativo dalla dottrina maggioritaria, vedi Bussoletti, Albergo (contratto di), in Enc. giur., I, Roma, 1988, 88.
[43] Cass. sez. III, 11 luglio 2007 n. 15468, da Diritto-in-rete.com
[44] Bonilini, Responsabilità degli albergatori. Modifiche al codice civile, in Nuova legisl. civ. commm., 1979; Bussoletti, Albergo (contratto di), in Enc. giur., I, Roma, 1988
[45] G. Visentini, Trattato della responsabilità contrattuale vol.I - Inadempimento e rimedi, Padova, 2009, 233 e ss.
[46] G. Visentini, Trattato della responsabilità contrattuale vol.I - Inadempimento e rimedi, cit.
[47] C. Castronovo, Tra rischio e caso fortuito. La responsabilità da cassette di sicurezza, in Banca borsa tit. cred., 1978, parte 1.
[48] Mario Molteni, Responsabilità sociale e performance d'impresa. Per una sintesi socio-competitiva, Milano 2004.