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Pubbl. Mar, 26 Giu 2018

Compensatio lucri cum damno: le Sezioni Unite fissano l´orientamento da seguire

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Graziella Soluri


Con la sentenza n. 12565 del 2018 le Sezioni Unite di Cassazione si sono pronuciate sull´applicazione della compensatio lucro cum damno, stabilendo che la somma percepita a titolo di risarcimento danni va diminuta dell´indennizzo assicurativo ricevuto per evitare un ingiustificato arricchimento del dannggiato.


Sommario: 1. Premessa. 2. Compensatio lucri cum damno. 3. Fatto. 4. Tesi maggioritaria e minoritaria. 5. Massima. 

1. Premessa. 

Con la sentenza in commento (sent. n. 12565 del 22.5.2018) le Sezioni Unite di Cassazione fanno chiarezza sul tema della “compensatio lucri cum damno” e sulla sua operatività qualora, nella liquidazione del danno da fatto illecito, debba sottrarsi quanto è stato percepito dal danneggiato a titolo di indennizzo assicurativo per evitare che dall’evento lesivo derivi un ingiustificato arricchimento per il danneggiato. 

2. Compensatio lucri cum damno.

La “compensatio lucri cum damno” è un istituto non codificato nel nostro ordinamento che è stato oggetto di numerose discussioni in dottrina e giurisprudenza. Il giudice, nel determinare l’integrale risarcimento del danno, deve tener conto della perdita economica subita dal danneggiato in occasione dell’evento lesivo, ma anche dei vantaggi economici che da esso possono derivare in conseguenza del suo verificarsi. 

L’obiettivo del giudice è garantire la corretta applicazione dell’istituto del risarcimento danni consistente nella rimozione delle conseguenze pregiudizievoli subite dal danneggiato in funzione compensativa ripristinatoria della situazione giuridica soggettiva antecedente l’illecito. Quindi, nella quantificazione del danno risarcibile, egli dovrà operare una compensazione tra le perdite subite ed i benefici ottenuti dall’istante per evitare che quest’ultimo possa lucrare illecitamente in conseguenza del danno sofferto. L’applicazione dell’istituto non è stata sempre agevole per questo la giurisprudenza di legittimità ha indicato presupposti rigorosi per l’operatività di tale istituto. Ebbene per aversi applicazione della compensatio è necessario che ci sia unicità causale ovvero che le conseguenze pregiudizievoli e quelle vantaggiose derivino dallo stesso fatto danno; l’istituto invece non opera nel caso in cui ci sia mancanza originaria del danno e il danneggiato abbia subito una mera diminuzione patrimoniale per effetto di inadempimento contrattuale o illecito extracontrattuale (conf. Cassazione Civile n. 5605/2017). Inoltre le poste da compensare debbono essere comparabili, omogenee ovvero caratterizzate dalla stessa natura giuridica in relazione alla fonte del fatto che ha cagionato il danno.  

La  Suprema Corte risolve la problematica relativa all’applicabilità della compensatio guardando al sistema della responsabilità civile ed alla sua ratio dando una soluzione generale a seguito dell’analisi di ulteriori casi sottoposti alla sua attenzione oltre a quello esaminato nella pronuncia in commento.

Si pensi all’ordinanza del 22.06.2017, n. 15535, con cui la Sez. III della Cassazione rimetteva alle Sezioni Unite la soluzione del contrasto giurisprudenziale formatosi sulla seguente questione: “se dall’ammontare del danno risarcibile si debba scomputare la rendita per l’inabilità permanente riconosciuta dall’INAIL a seguito di infortunio occorso al lavoratore durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”; oppure all’ordinanza del 22.06.2017, n. 15537, la Sez. III della Cassazione in cui la Corte rimetteva alle Sezioni Unite la soluzione del contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine alla seguente questione: “se nella liquidazione del danno patrimoniale relativo alle spese di assistenza che una persona invalida sarà costretta a sostenere vita natural durante, debba tenersi conto, in detrazione, della indennità di accompagnamento erogata dall’Istituto nazionale della previdenza sociale”.

Ed infine all’ordinanza del 22.06.2017, n. 15536, in cui veniva rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito: “se, in tema di danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui, dall’ammontare del risarcimento debba essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto”.
Pertanto la pronuncia in commento ha cercato di comporre i contrasti tra dottrina e giurisprudenza sorti in relazione all’operatività e ambito di applicazione della compensatio mediante la rilettura della responsabilità civile e l’intesa che il meccanismo della compensatio operi come sistema liquidatorio del danno risarcibile relativo al quantum, in particolare relativo al rapporto causale tra fatto, danno e vantaggio derivante dall’illecito. 

La Corte di Cassazione non può che affrontare il problema caso per caso ricostruendo l’ambito di applicazione della compensatio, verificando se il vantaggio e la perdita economica derivino dallo stesso fatto fonte o se l’illecito rappresenta solo l’occasione determinativa del concretarsi del rischio assicurato con un contratto assicurativo, o indennitario assistenziale o previdenziale. 

3. Fatto.

Le Sezioni Unite sono state investite dalla questione dalla Terza Sezione, la quale chiedeva una pronuncia che stabilisse se, nella liquidazione del danno da fatto illecito, dalla quantificazione del pregiudizio subito dalla compagnia aerea (Itavia) proprietaria del velivolo abbattuto nel disastro aereo di Ustica, dovesse essere defalcato quanto la compagnia avesse già percepito a titolo di indennizzo assicurativo per la perdita dell’aeromobile.

Vediamo in breve i fatti di causa: i protagonisti della vicenda giudiziaria sono da un lato il Ministero della Difesa, delle Infrastrutture e dei Trasporti e, dall’altro lato, le Aerolinee Itavia S.p.a.

In particolare, con sentenza definitiva n. 5247/2013, la Corte di Appello di Roma condannava il Ministero della Difesa ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in solido fra loro, al pagamento, in favore della Aerolinee Itavia s.p.a., della somma di Euro 265.154.431,44, nonché al pagamento dei 3/4 delle spese processuali di tutti i giudizi, con compensazione del restante 1/4.

Inoltre la Corte negava il diritto dell'Itavia a vedersi risarcito sia il danno per la perdita dell'aeromobile, in quanto la società attrice aveva incassato un indennizzo assicurativo da parte dell'Assitalia ammontante a lire 3.800.000.000, mentre il valore del velivolo al momento del sinistro, come accertato dal c.t.u., era di lire 1.586.510.540; sia il danno conseguente alla revoca delle concessioni di volo.

In particolare, con riguardo alla questione del cumulo tra indennizzo assicurativo ed il risarcimento del danno, la Corte di Appello ribadiva che nel liquidare il danno da illecito aquiliano la somma già percepita dalla danneggiata a titolo di indennizzo doveva essere detratta dall’ammontare complessivo del danno in quanto se il danneggiato avesse cumulato l’indennizzo e il risarcimento, questi avrebbe ottenuto un ingiustificato arricchimento, che il sinistro non può trasformarsi in occasione di lucro per il fatto delle somme percepite a titolo indennitario e che il cumulo delle somme non è ammesso neanche se l’assicuratore non esercita il diritto di surroga ex 1916 c.c. in quanto la sua decisione non influisce sul fatto che una volta indennizzato quella parte di danno non è più esistente e quindi non deve essere ulteriormente rifuso. La parte soccombente impugnava la sentenza e ricorreva in cassazione, di qui l’ordinanza interlocutoria n. 15534 del 2017 con la quale le sezioni semplici chiedono alle Sezioni Unite di derimere la seguente questione: “se dall'ammontare dei danni risarcibili dal danneggiante debba essere detratta l'indennità assicurativa derivante dall'assicurazione contro i danni che il danneggiato abbia percepito in conseguenza del fatto illecito” . Ed inoltre il giudice di secondo grado si domandava se la compensatio lucri cum damno operasse soltanto quando il danno e il vantaggio fossero conseguenza immediata e diretta del fatto illecito e non operasse anche in altri casi nei quali il vantaggio fosse derivato da una fonte diversa come la legge o un contratto (ex. pensione di reversibilità al coniuge del danneggiato defunto, pensione di invalidità civile alla vittima di errore medico, indennizzo in caso di danno da emotrasfusione, indennità percepite in forza di un contratto assicurativo). 

4. Tesi maggioritaria e minoritaria.

Secondo l’orientamento prevalente se l’assicurazione non esercita il diritto di surroga l’indennità assicurativa e il risarcimento sono cumulabili poiché l’istituto in discorso non opera automaticamente, ma l’assicuratore ha facoltà di surrogarsi una volta corrisposto all’assicurato l’indennizzo per il fatto del terzo. In assenza di comunicazione da parte dell’assicuratore di surrogarsi nella posizione del danneggiato assicurato, questi ha diritto di agire per il ristoro integrale del danno verso il terzo. Inoltre la compensatio opererà solo nel caso in cui il danno e il vantaggio siano entrambi conseguenza del fatto illecito e non opera invece se il vantaggio venga corrisposto da un soggetto diverso per fatto illecito del terzo. (conf. Cass. Civ. S.u. n.5119/2002, Cass. Civ. Sez. III, n.9742/1997, Cass. Civ. Sez. III, n.8353/1987 e Cass. Civ. Sez. III, n.3761/1979). 

Un orientamento minoritario e contrapposto invece (sostenuto dalla Cassazione nella sentenza n. 13233/14) sostiene che indennità assicurativa e risarcimento del danno assolvono alla stessa funzione risarcitoria pertanto se il danneggiato riceve l’indennizzo la parte di credito risarcitorio di cui era titolare si estingue e non può essere nuovamente richiesta al terzo danneggiante. La sezione remittente ha aderito a questa seconda teoria e nell’ordinanza di remissione ha precisato che la surroga dell’assicuratore nella posizione del danneggiato è ininfluente rispetto alla quantificazione del danno; infatti non può risarcirsi un danno inesistente in quanto indennizzato dall’assicuratore; inoltre il cumulo dei due benefici (risarcitorio ed indennitario) determinerebbe un ingiustificato arricchimento del danneggiato che contrasterebbe con la ratio del sistema risarcitorio. (conf. Cass. Civ. Sez. III, sentenza n.5504/2014, Cass. Civ. Sez. III, sent. n.10291/2001, Cass. Civ. Sz. III, sent. n.4475/1993).

Le Sezioni Unite, analizzando la questione, hanno formulato un principio di diritto di portata generale in tema di compensatio basato sull’ ”idea di danno risarcibile quale risultato di una valutazione globale degli effetti prodotti dall’atto dannoso”. 

In particolare quando l’evento dannoso porta anche un vantaggio questo deve essere calcolato in diminuzione dell’entità del risarcimento, coprendo tutto il danno cagionato, ma senza eccedere, non potendo essere fonte di arricchimento del danneggiato. La Suprema Corte ha cercato di fare chiarezza analizzando casi differenti e chiarendo la portata e l’ambito di operatività della compensatio soprattutto nei casi in cui le elargizioni o gli indennizzi provengono dallo Stato per ragioni di solidarietà vengono corrisposte ai danneggiati in occasione di sinistri, fatto del terzo, tragedie, criminalità, terrorismo. Nel caso di specie il danneggiato ha percepito un indennizzo in forza di un contratto assicurativo da un lato e dall’altro ha diritto al risarcimento danni per illecito extracontrattuale.

Secondo l’orientamento prevalente il risarcimento del danno e l’indennità assicurativa sono cumulabili soltanto se l’assicuratore non esercita la facoltà di surrogazione ai sensi dell’art. 1916 c.c. questo perché la surrogazione non è un effetto automatico del pagamento dell’indennità all’assicurato. Pertanto se l’assicuratore non comunica al danneggiante di aver indennizzato il danneggiato e di volersi rivalere su di lui per quanto corrisposto, il danneggiato può agire nei confronti del danneggiante per ottenere l’integrale risarcimento del danno, senza che gli si possa opporre l’avvenuta riscossione dell’indennità assicurativa. Soltanto con la comunicazione al danneggiante si verifica la successione a titolo particolare dell’assicuratore nel diritto di credito dell’assicurato, almeno per le somme erogate. In quest’ultimo caso, invece, opera la compensatio lucri cum damno ed il danneggiato può chiedere soltanto il maggior danno rispetto a quanto ricevuto come indennità assicurativa.

Un secondo orientamento invece riteneva che risarcimento del danno e l’indennità assicurativa non sono mai cumulabili, a prescindere dall’esercizio, da parte dell’assicuratore, della facoltà di surroga. L’orientamento si fonda su tre argomenti: ai sensi dell’art. 1916 c.c., la successione nel diritto di credito dell’assicurato avviene ope legis al momento del pagamento dell’indennità. Quindi a nulla rileva che l’assicuratore non abbia comunicato l’avvenuto pagamento al danneggiante. Inoltre l’indennizzo assicurativo per danni, così come il risarcimento, assolvono alla medesima funzione reintegrativa. Invece cumulando risarcimento e indennità assicurativa il danneggiante otterrebbe una locupletazione ingiustificata. In altri termini, il fatto illecito diventa “conveniente” per il danneggiato, il quale consegue un ingiustificato arricchimento. Infine con tale teoria si ha il superamento della concezione della medesimezza del titolo per il danno e per il lucro, in conclusione la compensatio opera anche se il danno e il vantaggio derivano da titoli differenti. Ebbene con tale pronuncia la Cassazione ha voluto garantire al danneggiato il diritto all’integrale risarcimento del danno ingiusto e al danneggiante il dovere di risarcire il dovuto evitando che il danneggiato ottenga più di quanto effettivamente gli sia dovuto.

5. Massima.

Ebbene il risarcimento del danno non può oltrepassare il danno effettivamente subito, affinché il fatto illecito non diventi occasione di arricchimento per il danneggiato nel rispetto della funzione compensativa del risarcimento del danno.

In ordine alla natura ed operatività della compensatio, le sezioni semplici, nelle ordinanze di rimessione che si sono susseguite in materia, chiedevano espressamente alle Sezioni Unite di chiarire se tale isitituto fosse un principio generale dell’ordinamento ovvero un meccanismo destinato ad operare a determinate condizioni. Anche se a tale domanda le Sezioni Unite non danno esplicita risposta, è possibile dedurre che non si possa qualificare la compensatio come regola generale. Nel merito, le Sezioni Unite mutano orientamento superando la teoria tradizionale fondata sul criterio della medesimezza del titolo per il danno e per il lucro.

Secondo la sezione remittente: “se il fondamento della causalità giuridica è l’art. 1223 c.c., non si può fare della norma un’interpretazione “asimmetrica” a seconda che si proceda all’accertamento del nesso casuale tra  fatto e danno o di quello tra fatto e vantaggio.

Il legame eziologico con il fatto va accertato secondo il criterio della regolarità causale e pertanto questo vuol dire superare la distinzione tra causa del danno e mera occasione del vantaggio. Se il vantaggio economico percepito dal danneggiato costituisce conseguenza normale, logica e prevedibile del fatto dannoso, opera la compensatio lucri cum damno o, al contrario, si elimina in tutto o in parte l’entità del danno risarcibile”.

Tale argomento non viene condiviso dalle Sezioni Unite, le quali sottolineano che “affidare il criterio di selezione tra i casi in cui ammettere o negare il cumulo all’asettico utilizzo delle medesime regole anche per il vantaggio, finisca per ridurre la quantificazione del danno… ad una mera operazione contabile, trascurando così la doverosa indagine sulla ragione giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale entrata nel patrimonio del danneggiato”.

In altri termini, il criterio della causalità non è di per sé sufficiente a distinguere i casi in cui debba applicarsi o meno la compensatio lucri cum damno. In base a questo assunto le Sezioni Unite procedono ad individuare le condizioni alle quali possa consentirsi il cumulo ovvero possa procedersi allo scomputo, con i relativi limiti. La compensatio lucri cum damnopuò operare soltanto in presenza di due condizioni cumulative:la medesimezza delle cause giustificative delle attribuzioni patrimoniali spettanti al danneggiato ed il criterio di ragionevolezza. Occorre verificare quale sia la funzione, la ragione pratica che sta alla base dell’obbligazione risarcitoria, da un lato, e del vantaggio patrimoniale, dall’altro.

Secondo le Sezioni Unite: “occorre muovere, guardando alla funzione di cui il beneficio collaterale si rivela essere espressione, per accertare se esso sia compatibile o meno con una imputazione al risarcimento”.

Pertanto, se l’attribuzione patrimoniale ha la stessa causa giustificativa dell’obbligazione risarcitoria, ovvero la reintegrazione-riparazione di un danno, deve poter operarsi la compensatio lucri cum damno. Diversamente, la compensatio non opera laddove la causa dell’attribuzione patrimoniale collegata al fatto dannoso sia diversa da quella propria del risarcimento del danno.

La prospettiva non è quindi quella della coincidenza formale dei titoli, ma quella del collegamento funzionale tra la causa dell’attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria”.

Inoltre la causa giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale va ricercata secondo un criterio di c.d. ragionevolezza,in tal modo, dice la Corte, si passa attraverso “il filtro della “giustizia” del beneficio”.

Applicando tale principio alle fattispecie concrete, le Sezioni Unite affermano che la compensatio lucri cum damno opera nei rapporti tra risarcimento del danno e indennità assicurativa conseguita successivamente al fatto dannoso e derivante dal contratto di assicurazione per i danni. L’obbligazione indennitaria, infatti, ha una funzione risarcitoria sovrapponibile a quella del risarcimento da fatto illecito.

Al contrario, l’indennità derivante da un’assicurazione sulla vita si cumula con il risarcimento proprio perché l’indennità svolge una funzione diversa da quella risarcitoria. Si tratta, infatti, di una forma di risparmio posta in essere dall’assicurato sopportando l’onere dei premi.

Per quanto concerne, invece, i benefici economici percepiti da istituzioni pubbliche, occorre procedere ad un accertamento caso per caso della funzione per cui è riconosciuto quel beneficio.

In particolare le Sezioni Unite affermano che sia la rendita INAIL per inabilità permanente che l’indennità di accompagnamento erogata dall’INPS siano dirette a ristorare un pregiudizio in funzione compensativa e, per ciò, possano essere defalcate dal risarcimento del danno spettante al danneggiato. Applicando il criterio della medesimezza della causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale, le Sezioni Unite affermano che la compensatio non opera nei rapporti tra risarcimento del danno per morte del congiunto e pensione di reversibilità INPS.

Le somme percepite a titolo di pensione di reversibilità non possono essere defalcate dal risarcimento del danno perché “l’erogazione della pensione di reversibilità non è geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo”.

Tale trattamento previdenziale non è erogato in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato, ma risponde ad un diverso fine attributivo causale.

Infine è importante ricordare che accanto al rischio di risarcire troppo e con funzione punitiva, le Sezioni Unite si preoccupano di evitare, allo stesso tempo, il rischio di risarcire troppo poco.

Appare infatti chiaro come la compensatio non possa avvantaggiare il danneggiante consentendogli di risarcire una somma inferiore soltanto perché il danneggiato ha ottenuto vantaggi economici collaterali successivamente al fatto dannoso.

Il temperamento preso in considerazione dalle Sezioni Unite è rappresentato dall’esistenza di un meccanismo legislativo in forza del quale il terzo che ha corrisposto l’attribuzione patrimoniale al danneggiato (assicuratore, ente pubblico ecc.) possa rivalersi sul danneggiante nei limiti delle somme erogate(surroga).

Pertanto la Corte afferma che “non possono rientrare nel raggio di operatività della compensatio i casi in cui il vantaggio si presenta come il frutto di scelte autonome e del sacrificio del danneggiato,come avviene nell’ipotesi della nuova prestazione lavorativa da parte del superstite, prima non occupato, in conseguenza della morte del congiunto”.

Le Sezioni Unite, infatti, reimpiegano il criterio del nesso causale non più come condizione di operatività della compensatio lucro cum danno, ma come limite allo scomputo da compensatio.

Il ruolo del nesso causale tra fatto, danno e vantaggio viene ad assumere una rilevanza opposta a quella attribuitagli dalle ordinanze di rimessione.

Quindi il criterio del nesso causale vienereimpiegato come criterio di selezione dei vantaggi scomputabili dal risarcimento ovvero come causa di esclusione di taluni vantaggi dallo scomputo da compensatio, dice la corte: “la prospettiva è quindi quella del collegamento funzionale tra la causa dell’attribuzione patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria”.

Secondo le Sezioni Unite: “le conseguenze vantaggiose, come quelle dannose, possono computarsi solo finché rientrino nella serie causale dell’illecito, da determinarsi secondo un criterio adeguato di causalità… Nei casi appena indicati il criterio del nesso causale funge realmente da argine all’operare dello scomputo da compensatio”.

In conclusione, dice la Corte, al fine di risolvere il contrasto giurisprudenziale, in caso in cui il vantaggio derivante dall’illecito trovi fonte in un contratto di assicurazione, (indipendentemente dall’esercizio di surroga da parte della compagnia) il danneggiato perde il diritto di rivalersi per l’intero sul terzo danneggiante, perché “la prestazione dell’assicuratore estingue un rapporto diverso da quello surrogato” che non può essere più risarcito per la parte indennizzata. (Cass. S.U. 29 settembre 1997, n. 9554).

Per questo motivo le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: "il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall'ammontare del danno risarcibile l'importo dell'indennità assicurativa derivante da assicurazione contro i danni che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto".

 

Fonti e riferimenti giurisprudenziali

Ordinanza interlocutoria, III sez. Cassazione Civ. n. 15534 del 2017; Cass.Civ., III, 11 giugno 2014, n. 13233; Cass. Civ. III, 5 dicembre 2014, n. 25733;Cass., Civ. III, 27 luglio 2001, n. 10291;Cass., III, 20 aprile 2016, n. 774;Cass., III, 10 marzo 2014, n. 5504; Cass., III, 20 febbraio 2015, n. 3391;Cass., III, 13 giugno 2014, n. 13537; Cass. Civ. S.u. n.5119/2002; Cass. Civ. III, n.9742/1997; Cass. S.U. 29 settembre 1997, n. 9554; Cass. Civ. Sez. III, n.8353/1987; Cass. Civ. Sez. III, n.3761/1979; Cass. Civ. Sez. III, sentenza n.5504/2014, Cass. Civ. Sez. III, sent. n.10291/2001, Cass. Civ. Sz. III, sent. n.4475/1993.