ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Sab, 9 Giu 2018

Sempre ammessa la revocatoria fallimentare di rimesse affluite su conto corrente scoperto

Nicola Glorioso


Con sentenza n. 13287 del 20 maggio 2018, la Corte di Cassazione ha ribadito che è sempre revocabile il pagamento accreditato su di un conto ”scoperto”, pur se la somma relativa proviene da un separato negozio di finanziamento concluso con la stessa banca al fine del ripianare lo scoperto di quel conto.


Sommario: 1. La vicenda; 2. Il danno della par condicio creditorum quale presupposto oggettivo della revocatoria; 3. La revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente: il presupposto della funzione solutoria. 

Sommario: 1. La vicenda; 2. Il danno della par condicio creditorum quale presupposto oggettivo della revocatoria; 3. La revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente: il presupposto della funzione solutoria. 

1. La vicenda.

Al fine di realizzare un “programma di investimenti”, il 20 febbraio 2000 veniva stipulato tra una società per azioni ed un pool di banche, tra le quali la Banca popolare di Abbiategrasso, un mutuo di complessive lire cinquanta miliardi. Tale somma veniva trattenuta in un deposito cauzionale infruttifero tenuto dalla banca Medio Credito Toscano, banca a capo del pool, prevedendo espressamente che sarebbe stata svincolata solo a seguito della concessione di determinate garanzie reali e personali.
La Banca popolare di Abbiategrasso, tuttavia, concedeva alla Società un “prefinanziamento” di lire dieci miliardi, accreditandola, nel febbraio 2000, su di un conto corrente "scoperto" tenuto dalla stessa.
Successivamente, nel novembre dello stesso anno, veniva svincolata la somma mutuata nei limiti di trentacinque miliardi di lire ed accreditata in un altro conto corrente della Società, aperto presso la medesima filiale della predetta banca.
Tra il novembre 2000 e il marzo 2011, la Società utilizzava tale conto corrente per eseguire tre rimesse bancarie al fine di restituire alla banca il "prefinanziamento" utilizzato per coprire le esposizioni debitorie.
Poiché dette somme venivano versate nell’anno anteriore al decreto di ammissione al concordato preventivo, la curatela del fallimento della predetta Società conveniva dinanzi al tribunale di Milano la Banca Agricola Mantovana – che aveva incorporato la Banca popolare di Abbiategrasso – onde sentir revocare le rimesse in questione, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2.
Tanto in primo grado che in appello, il Giudice ha ricostruito l’operazione nel suo complesso come una sorta di regolarizzazione contabile, ossia di un “mero giroconto” avvenuto tramite utilizzazione della somma di lire dieci miliardi in via anticipata rispetto al momento del formale svincolo. Si afferma, dunque, che la Società, seppur mutuataria dell'importo di lire cinquanta miliardi, non avesse avuto materiale disponibilità di alcuna somma sino a novembre 2000.

Di conseguenza, le rimesse effettuate dopo l'accredito del mutuo erano state eseguite non con risorse proprie, ma col denaro erogato dallo stesso accipiens.
La curatela del fallimento ricorreva allora per Cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, nonché degli artt. 1814 e 1766 del codice civile.

2. Il danno della par condicio creditorum quale presupposto oggettivo della revocatoria.

L’azione revocatoria fallimentare, occorre qui premettere, è uno strumento che permette la tutela della par condicio creditorum, rendendo privi di effetti gli atti compiuti dal debitore-fallito nel periodo antecedente alla dichiarazione del fallimento.
Nel caso di specie, la Suprema Corte segue l’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo il quale il danno alla par condicio creditorum è il risultato di una presunzione legale assoluta. Il presupposto oggettivo, quindi, viene individuato nel mero compimento dell’atto vietato nel periodo di legge, ossia in violazione della disposizione dell’articolo 67, comma 2, L. Fall..
Si tratta, dunque, di un filone giurisprudenziale favorevole ad una configurazione distributiva, e non invece indennitaria, della presunzione assoluta di danno della massa, consistente nella semplice lesione della par condicio creditorum.

3. La revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente: il presupposto della funzione solutoria.

Sul tema della revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie in conto corrente, la Cassazione Civile si è più volte espressa ammettendo l’esclusione della revocabilità di rimesse affluite su un conto scoperto solo nel caso in cui, in virtù di accordi intercorsi tra il solvens e l’accipiens, venga meno la funzione solutoria delle stesse (tra le ultime, Cass. 2903/2016, Cass. 6758/2016, Cass. 17195/15). In particolare, la revocatoria potrà essere esclusa qualora le somme confluite nel conto corrente siano state destinate per costituire la provvista di coeve e prossime operazioni di prelievo o di pagamenti mirati in favore di terzi del cliente stesso, così da poter escludere che la banca abbia beneficiato dell'operazione sia all'atto della rimessa, sia all'atto del suo impiego.
Con la sentenza de qua, si precisa inoltre che “è sempre revocabile il pagamento accreditato su conto scoperto, pur se la somma relativa provenga da un separato negozio di finanziamento concluso con la stessa banca al fine del ripianare lo scoperto di quel conto (v. Cass. n. 17892-04, Cass. n. 20482-09)”. Nel caso in esame, non può discorrersi di “mera regolarizzazione contabile” o di “giroconto”, in quanto l’operazione si inserisce ed implica un distinto finanziamento operato dalla banca medesima, “comportando comunque un'erogazione di danaro diretta a estinguere le passività correlate alla scopertura del conto”.
In altri termini, il risultato finale dell’operazione nel suo complesso supponeva l’utilizzo della somma per ripianare un debito preesistente, configurandosi, dunque, una funzione solutoria delle rimesse bancarie eseguite. Irrilevante, dunque, appare in questo quadro la tecnica di annotazione contabile dell’operazione.
Sulla base di tali considerazioni, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, rimettendola a diversa sezione della Corte di Appello di Milano, la quale dovrà conformarsi ai principi di diritto esposti.