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Pubbl. Dom, 24 Giu 2018

Condotta realizzata con una legge più favorevole ed evento verificato dopo la modifica della sanzione

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Ilaria Taccola
AvvocatoUniversità di Pisa


Commento all´ordinanza Cass. Sez. IV 5 aprile 2018 n. 21286, di rimessione alle Sezioni Unite della questione relativa alla pena applicabile in caso di condotta realizzata con una legge più favorevole ed evento verificato dopo la modifica della sanzione.


Sommario: 1. Premessa. 2. La rimessione alle Sezioni Unite. 

1. Premessa.

L’individuazione del tempus commissi delicti (tempo del commesso reato) è essenziale per stabilire la disciplina sulla successione delle leggi ex art. 2 c.p., la prescrizione ex art. 158 c.p. e la competenza territoriale ex art. 8 c.p.p.

La dottrina ha individuato tre criteri per stabilire il tempus commissi delicti:

  1. Il criterio della condotta per il quale il reato si considera commesso nel momento in cui è stata posta in essere l’azione o l’omissione
  2. Il criterio dell’evento per il quale il reato si considera commesso nel momento in cui viene a esistenza l’ultimo elemento della fattispecie. Pertanto, nei reati di evento, l’ultimo elemento della fattispecie sarà l’evento, viceversa nei reati di condotta sarà l’atto conclusivo di quest’ultima.
  3. Il criterio misto secondo il quale l’interprete dovrebbe utilizzare il criterio della condotta o dell’evento a seconda dell’esito più favorevole per il reo.

Secondo autorevole dottrina,[1] il tempus commissi delicti deve essere individuato secondo il criterio della condotta, poiché è in quel momento che il reo ponendo in essere l’azione o l’omissione delittuosa, è in grado di prevedere le conseguenze previste dalla legge in ossequio al principio di legalità ex artt. 25 Cost. e 7 CEDU.

Più precisamente, bisogna distinguere tra reati istantanei, in cui l’offesa inizia e si conclude nello stesso istante, coincidendo di conseguenza il momento di perfezionamento del reato e quello di consumazione dello stesso; e reati di durata, in cui viceversa i detti momenti si snodano in fasi temporali successive.

In sintesi, nei reati di durata il momento di perfezionamento del reato, ossia il completamento della fattispecie legale, e il momento consumativo, ossia la cessazione dell’offesa, avvengono in momenti diversi.

Pertanto, seguendo il criterio della condotta, il tempus commissi delicti nei reati permanenti o abituali non viene individuato nel primo atto posto in essere dall’agente, ma nell’ultimo segmento della condotta realizzatosi, mentre ad esempio nei reati omissivi viene individuato nel termine entro cui l’agente avrebbe dovuto adempiere all’obbligo giuridico imposto dalla norma.

Nei reati istantanei ad evento differito, invece, sono sorti alcuni problemi interpretativi in relazione all’individuazione del tempus commissi delicti che verranno affrontati nel prosieguo della trattazione

2. La rimessione alle Sezioni Unite.

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione a mezzo del proprio difensore avverso la sentenza ex art. 444 c.p.p. emessa dal G.I.P. di Prato con la quale era stato condannato per il reato ex art. 589 bis c.p. per aver cagionato la morte della persona offesa, investita in prossimità di un attraversamento pedonale, in data 28 agosto 2016.

Il ricorrente lamenta la violazione di legge in relazione all’art. 589 bis c.p., poiché la fattispecie ascritta è entrata in vigore in un' epoca successiva al momento della commissione del reato. Infatti, la condotta è stata posta in essere in data 20 gennaio 2016, mentre il decesso della persona offesa è avvenuto in data 28 agosto 2016.

Difatti, secondo il ricorrente, l’applicazione della fattispecie di cui all’art. 589 bis c.p., introdotta dopo il perfezionamento della condotta, comporterebbe una violazione degli artt. 25 Cost, 7 CEDU e 2 c.p., essendo tale normativa meno favorevole rispetto alla disciplina vigente all’epoca del fatto costituente reato.

Invero, si osserva che se la persona offesa fosse deceduta il giorno del sinistro stradale, la fattispecie addebitata al ricorrente sarebbe stata più lieve.

Nel caso di specie, seppure la pena edittale minima delle fattispecie a confronto, ossia l’art. 589 comma 2 c.p. previgente e l’art. 589 bis c.p. sia la stessa (da due a sette anni), con l’introduzione della disposizione ex art. 589 bis c.p. non sussiste più il bilanciamento con le circostanze ex art. 69 c.p., essendo una fattispecie di reato autonoma.

Pertanto, applicando la disciplina introdotta dall’art. 589 bis c.p. al ricorrente, il computo delle circostanze attenuanti generiche aveva determinato una diminuzione di un terzo rispetto alla pena minima edittale (passata da due anni a un anno e quattro mesi di reclusione), al contrario, se fosse stata applicata la disciplina previgente per effetto del giudizio di comparazione la pena minima applicabile sarebbe stata quella di cui al primo comma dell'art. 589 c.p., ossia sei mesi di reclusione in caso di giudizio di equivalenza, che sarebbero potuti scendere a quattro mesi nel caso di giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche.

La questione sottoposta alla Corte attiene all’individuazione della legge applicabile nelle fattispecie istantanea a evento differito, ossia quando tra la condotta e l’evento intercorre un lasso di tempo entro il quale viene introdotta una disposizione legislativa meno favorevole al reo.

La Corte per affrontare il quesito proposto dal ricorrente, ripercorre l’orientamento giurisprudenzialeprevalente[2, secondo il quale, per i reati di evento il tempus commissi delicti viene individuato nel momento di verificazione dell’evento, anche se quest’ultimo si verifica in un momento temporale successivo all’esaurimento della condotta.

Pertanto, seguendo quest’impostazione, all’agente verrà applicata la disciplina vigente al momento della verificazione dell’evento.

Infatti, in un precedente della giurisprudenza di legittimità si era statuito “quando una condotta (concorsuale, nel caso di specie) inizia sotto il vigore di una norma incriminatrice o meramente sanzionatoria, ma si conclude sotto il vigore di una nuova norma della medesima specie, non può essere dubbio che debba trovare applicazione la seconda norma, anche se le conseguenze in tema di pena possano essere più severe. In tal caso non si ha alcuna violazione dell'art. 2 c.p., comma 4 perché, evidentemente, il tempus commissi delicti è quello in cui si perfeziona la condotta o si verifica l'evento. E se la condotta si è protratta nel tempo (anche eventualmente ad opera di più soggetti concorrenti) è il momento conclusivo quello che rileva». «Ciò é stato esplicitamente sostenuto per i delitti associativi (cfr., ad es., ASN 201040203-RV 248461), ma il principio deve trovare applicazione anche per i reati non permanenti, quando l'azione abbia avuto durata apprezzabile e si sia, comunque, conclusa (e dunque il reato abbia avuto consumazione) sotto la vigenza della nuova legge”[3].

La Corte prendendo in esame gli orientamenti dottrinali contrari alla interpretazione suddetta, giunge alla conclusione di rimettere il quesito alle Sezioni Unite in merito al criterio da applicabile per individuare il tempus commissi delicti.

Infatti, si deve evidenziare che nei precedenti esaminati, si trattava di reati di durata (abituali o permanenti). Pertanto, in tali fattispecie la condotta si protrae per un periodo di tempo in cui può intervenire una legge penale più sfavorevole al  reo e l’applicazione di quella disciplina non collide con i principi espressi dall’art. 2 c.p., ossia l’irretroattività della legge penale.

Nel caso in esame, al contrario, la condotta si è esaurita in un momento temporale in cui vigeva una normativa più favorevole, mentre l’evento si è verificato sotto la vigenza dell’art. 589 bis c.p. Secondo una parte della dottrina, applicando il criterio dell’evento, l’agente non sarebbe in grado di prevedere in concreto le conseguenze della propria condotta. Invero, il logico corollario di tale interpretazione è l’applicazione retroattiva della legge meno favorevole.

Difatti, il criterio dell’evento conduce a un’interpretazione dell’art. 2 c.p. contraria al principio di legalità ex artt. 25 Cost. e 7 CEDU, poiché il fondamento del detto principio risiede nella conoscibilità e nelle prevedibilità sia del precetto che della sanzione.

Pertanto, l’applicazione del criterio dell’evento comporterebbe un’incertezza in capo ai consociati in ordine alle conseguenze penali delle loro azioni, potendo essere, infatti, assoggettati a una pena più grave non prevedibile, seppure la loro condotta sia stata commessa in un momento temporale in cui vigeva una normativa più favorevole.

Infatti, come è stato osservato nella premessa, il criterio della condotta è quello più confacente al rispetto del principio di legalità ex artt. 25 Cost. e 7 CEDU.  

Inoltre, si deve tenere presente che nel caso di specie siamo di fronte a una fattispecie causalmente orientata di tipo doloso e secondo la dottrina, in questo caso il momento perfezionativo coincide con l’ultimo atto sorretto dal dolo, viceversa nei reati colposi coinciderebbe con il primo atto contrario alla regola cautelare, oppure con la realizzazione dell’ultimo elemento della condotta.

Il Collegio ritiene di aderire al criterio della condotta per individuare il tempus commissi delicti e pertanto, rimette alle Sezioni Unite il seguente quesito “se, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione il trattamento sanzionatorio vigente al momento della condotta, ovvero quello vigente al momento dell'evento".

Ebbene, la soluzione proposta dal Collegio remittente, ossia il criterio della condotta, sembra essere la più idonea a garantire la certezza e la prevedibilità della pena, in ossequio al principio di legalità ex art. 25 Cost. e 7 CEDU e al principio di irretroattività della legge penale ex art. 2 c.p. 

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Vedi Mantovani Diritto Penale ed. 2017
[2] Cass. Sez. 4, Sentenza n. 22379 del 17/04/2015
[3] Cass. Sez. 5, n. 19008 del 13/03/2014