Pubbl. Mar, 5 Giu 2018
È pedopornografia anche se il materiale non viene diffuso?
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Taccola Ilaria
Rimesse alle Sezioni Unite della Cassazione, le questioni sulla portata dell´art. 600 ter c.p., con particolare riferimento al requisito della diffusione nei reati di pornografia minorile. Nota a Cassazione, Sez. III Pen., n. 10167 depositata il 6 marzo 2018.
Sommario: 1. Premessa; 2. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite (Cassazione penale, sez. III, 30/11/2017 (ud. 30/11/2017, dep. 06/03/2018), n. 10167.
1. Premessa
La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 600 ter c.p., introdotta dalla L. 269/98, è stata oggetto di varie modifiche legislative: in un primo momento dalla L. n. 38/2006 e, successivamente, al fine di rendere più rigorosa la sanzione penale in merito ai delitti di pornografia minorile, dalla L. n. 172/2012 di ratifica della Convenzione di Lanzarote del 2007.
Infatti, il bene/interesse tutelato dalla fattispecie è il libero sviluppo psicosessuale del minore.
Invero, si tratta di un concetto che il legislatore del 1998 aveva omesso di definire, cioè delle condotte incriminate che integrano il concetto di pornografia minorile.
Con la riforma del 2012 si è cercato di rimediare a tale lacuna e infatti, il VII comma definisce la pornografia minorile come “ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali”, riprendendo letteralmente la definizione fornita dalla Convenzione di Lanzarote del 2007.
Tale definizione, secondo autorevole dottrina[1], pecca di determinatezza rispetto all’individuazione della soglia minima di punibilità in riferimento al coinvolgimento del minore in attività sessuali e alla rappresentazione degli organi sessuali di un minore per scopi sessuali.
A titolo esemplificativo, gli interpreti si domandano se ad esempio lo scambio di baci possa integrare l’atto sessuale o, al contrario, se sia necessario il contatto delle zone erogene del corpo del minore. Come è noto, l’interprete deve fare riferimento al concetto di atti sessuali delineato dall’art. 609 bis c.p., ma è altresì risaputo che tale definizione è stata oggetto di pronunce contrastanti[2].
Come già osservato da autorevole dottrina [3], è preferibile un’interpretazione restrittiva, considerando, infatti, che la norma in esame delinea il coinvolgimento del minore in atti sessuali espliciti (reali o simulati). Pertanto, tale dizione porta alla conclusione di ritenere penalmente rilevanti le rappresentazioni pornografia dal carattere certo e inequivocabile.
Venendo alla struttura del reato, si deve precisare che si tratta di un reato comune eventualmente permanente, a dolo generico. Infatti, la legge del 2006 ha modificato la precedente formulazione che richiedeva il fine ulteriore del conseguimento di un profitto.
In merito alle condotte incriminate, al primo comma n. 1 dell'art. 600 ter si punisce in forma alternativa, chiunque “utilizzando minori di anni diciotto realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico”, mentre al n. 2 è punito chiunque “recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto”.
Analizzando la struttura della disposizione al primo comma, si giunge alla conclusione che il momento consumativo della fattispecie può coincidere solamente con il reclutamento, se ad esso non segue l’esibizione del minore. Visto che la fattispecie in esame è volta ad incriminare condotte prodromiche all’esibizione del minore, anticipando di conseguenza la soglia di punibilità, l’interpretazione tradizionale della giurisprudenza era orientata a definire tale norma incriminatrice come reato di pericolo concreto[4].
Infatti, si è sempre ritenuto che la condotta di utilizzo di minori per la realizzazione o la produzione di spettacoli pornografici sia punibile allorquando sia idonea a comportare un pericolo per la diffusione del materiale prodotto.
Tale configurazione è stata rimessa in discussione dalla recente ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite[5] del 6 marzo 2018, n. 10167
Al secondo comma viene punito il commercio di materiale pedopornografico, mentre al terzo comma viene incriminata la condotta di distribuzione e pubblicizzazione del suddetto materiale e di notizie volte all’adescamento del minore. Il comma quarto sanziona la condotta di cessione di materiale pedopornografico anche a titolo gratuito. La differenziazione tra l’ipotesi prevista al secondo comma e quella al terzo comma, si rinviene nel fatto che in quest’ultima la cessione del materiale deve essere rivolta a una cerchia di destinatari tale per cui non si configura un vero e proprio mercato; requisito, infatti richiesto al secondo comma.
Il comma quinto prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale nel caso in cui il materiale pedopornografico sia di ingente quantità.
Infine, al sesto comma viene incriminato chiunque assista alle esibizioni o agli spettacoli pornografici minorili.
2. L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite
Il Tribunale di Sciacca in data 12.06.2015 aveva condannato l’imputato alla pena di anni 9, mesi 8 di reclusione, oltre spese anche di custodia cautelare in carcere e pene accessorie per il reato di cui al capo A) ex artt. 61 n. 9, 81, 600 bis commi 2 e 3 c.p. per aver indotto alla prostituzione minori di anni 18 con l’aggravante del comma 3 rispetto a tre delle persone offese e con l’aggravante di aver commesso il fatto con l’abuso di potere e la violazione di doveri inerenti alla qualità di ministro di culto; qualificando la condotta di prostituzione minorile nei confronti di una delle persone offese come tentativo.
Per il reato di cui al capo B) ex artt. 61 n. 9, 56, 81 e 600 bis commi 2 e 3 c.p. con esclusione del reato nei confronti di una sola delle persone offese, e infine per il reato di cui al capo C) ex artt. 81 comma 2 e 600 ter comma 1 c.p. con riferimento all’art. 600 sexies comma 2 c.p. con esclusione del reato di pornografia minorile nei confronti di una sola delle persone offese; delitti tutti avvinti dal vincolo della continuazione.
La Corte di Appello di Palermo in data 21.10.2016 aveva confermato la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo dei propri difensori, proponeva ricorso in Cassazione deducendo oltre l’inattendibilità delle persone offese, e la non correttezza e la non genuinità dei mezzi probatori, un tema di diritto concernente l’art. 600 ter comma 1 c.p.
Infatti, nel ricorso proposto dall’imputato, in uno dei motivi si deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. E) c.p.p. per omessa motivazione sui motivi nuovi in appello in ordine alla mancanza assoluta della sussistenza del pericolo di diffusione del materiale pornografico. Secondo il ricorrente, infatti, il reato di cui all’art. 600 ter 1 comma c.p. sarebbe integrato solamente se l’attività si rivolge anche solo potenzialmente a un numero più o meno ampio di fruitori, di conseguenza la condotta di chi produce il detto materiale per uso personale integrerebbe il reato di cui all’art. 600 quater c.p.
La Corte di Cassazione ha preso l’occasione per esaminare l’art. 600 ter primo comma c.p., partendo dalle varie modifiche legislative e dall’interpretazione giurisprudenziale consolidata che lo ha configurato come reato di pericolo concreto.
Innanzitutto, si sono riesaminate le motivazioni della Sezioni Unite n. 13/2000 che erano state investite in merito all’interpretazione del termine “sfrutta”, introdotto dalla Legge n. 269/1998, e successivamente sostituito con il termine “utilizza” dalla Legge n. 38/2006.
Più precisamente, gli interpreti si domandavano se l’originario termine “sfrutta” implicasse necessariamente una finalità di lucro, escludendo di conseguenza le condotte di produzione del materiale pedopornografico per uso personale.
Le Sezioni Unite, in quell’occasione, partendo dal bene interesse tutelato, ossia il libero sviluppo psicofisico del minore, ritennero che la produzione del materiale pedopornografico avesse una potenzialità offensiva e diffusiva autonoma a prescindere dal profitto conseguito dall’agente.
Inoltre, si evidenziava che la norma di cui all’art. 600 ter c.p. era stata formulata articolando le varie condotte in sequenza: al primo comma la realizzazione o la produzione di materiale pornografico (il momento iniziale), al secondo comma il commercio di materiale pornografico, al terzo comma la distribuzione, divulgazione o la pubblicizzazione di materiale pornografico, oppure distribuzione o divulgazione di notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o sfruttamento sessuale dei minori e infine al quarto comma la cessione anche a titolo gratuito di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale.
Infatti, secondo quest’interpretazione, si trattava di ipotesi accomunate dall’utilizzo del materiale pedopornografico in progressione. In aggiunta a ciò, si evidenziava che nell’originaria formulazione il termine “sfrutta” era ripetuto nei commi 2, 3 e 4 anche per condotte caratterizzate dalla gratuità, Invero, al quarto comma si prevedeva la cessione anche a titolo gratuito a terzi.
Pertanto, si giunse alla conclusione che il materiale pedopornografico, a prescindere dalle finalità di lucro, costituiva la base per le successive condotte di sfruttamento del minore e di conseguenza il suddetto materiale realizzava un pericolo di per sé, potendo essere utilizzato successivamente per il commercio o per la divulgazione.
A sostegno di tale tesi, si riportava anche un argomento di carattere logico, ossia che non sembrava possibile realizzare spettacoli pedopornografici se non offrendo quest’ultimi a una cerchia indeterminata di destinatari e il medesimo ragionamento si applicava alla produzione di materiale pedopornografico.
Inoltre, nella citata sentenza venivano altresì precisati dei criteri per affermare la pericolosità del materiale pornografico, come ad esempio l’esistenza di una struttura organizzativa anche in forma rudimentale o il collegamento tra l’agente e alcuni pedofili.
Pertanto, si giungeva alla qualificazione del delitto di cui all’art. 600 ter primo comma c.p. in termini di pericolo concreto e di conseguenza, nel caso in cui il materiale pornografico non avesse comportato un pericolo per la diffusione, la condotta dell’agente sarebbe stata ascritta all’art. 600 quater c.p.
Tale interpretazione era stata criticata sin dall’inizio poiché, secondo i primi commentatori della citata sentenza, lo sfruttamento del minore nella realizzazione dello spettacolo pornografico o nella produzione del detto materiale comportava già di per sé un’offesa al bene interesse tutelato, ossia il libero sviluppo personale del minore.
Più precisamente, si riteneva che lo sfruttamento del minore per la realizzazione del materiale pedopornografico era un evento di danno e non di pericolo. La Corte, secondo la critica della dottrina, aveva valutato la pericolosità dell’azione non in relazione al bene interesse tutelato, ma con riferimento al contesto in cui operava. Infatti, se l’interesse del legislatore era quella di sanzionare le condotte prodromiche che offendevano l’interesse del minore allo sviluppo psicofisico, il riferimento ai criteri da cui dedurre la pericolosità del materiale pornografico non inseriva nulla in più rispetto all’offesa che si consumava con l’impiego del minore nella realizzazione dello spettacolo pedopornografico.
Inoltre, sembrava una contraddizione ritenere che il termine sfruttamento non implicasse necessariamente un fine lucro e dall’altra parte configurare il reato in termini di pericolo concreto, avvalorando come indice di pericolosità un’organizzazione seppure rudimentale che senza ombra di dubbio, è caratterizzata da scopi economici.
La Corte di Cassazione nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, riprendendo le critiche avanzate dalla dottrina e analizzando la normativa nazionale e sovranazionale evidenzia che le successive riforme legislative non hanno introdotto il requisito del pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico, configurando altresì le condotte in termini di evento di danno e non di pericolo.
Nonostante le modifiche intervenute nel corso degli ultimi, la giurisprudenza è sempre stata conforme all’interpretazione fornita dalla Sezioni Unite del 2000, richiedendo ai fini della punibilità dell’art. 600 ter primo comma c.p. l’accertamento del pericolo concreto di diffusione del materiale pedopornografico.
Il collegio, infatti, ritiene che le Sezioni Unite nella citata sentenza, siano partite da un errore di fondo, ossia che la condotta di sfruttamento, ora di utilizzo, sia finalizzata a un uso esterno. Seguendo quest’impostazione, infatti, le condotte di produzione del materiale pornografico per uso personale sarebbero inquadrate nell’ambito dell’art. 600 quater c.p., contraddicendo la stessa ratio del detto articolo che punisce la detenzione del materiale prodotto da terzi.
Pertanto il Collegio - in seguito all’introduzione del comma 1 bis all’art. 618 c.p.p. che prevede in caso di non condivisione da parte di una Sezione del principio espresso dalle Sezioni Unite, la rimessione a quest’ultime con ordinanza del ricorso - rimette al giudizio delle Sezioni Unite la seguente questione “Se ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600 ter comma 1 c.p. con riferimento alla condotta di produzione del materiale pedopornografico, sia ancora necessario, stante la formulazione introdotta dalla L. 6.2.2006 n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale, come richiesto dalla sentenza a Sezioni Unite 31.5.2000 (dep. 5.7.2000), n. 13, confermata dalla giurisprudenza di questa Sezione, anche dopo la modifica normativa citata”.
A parere dello scrivente, l’interpretazione fornita dal collegio è più conforme al dato normativo, essendo volta ad ampliare la tutela del minore, ricomprendendo di conseguenza nell’ambito di applicazione dell’art. 600 ter primo comma c.p. quelle condotte di produzione di materiale pornografico per uso personale, in precedenza non considerate un concreto pericolo in termini di diffusione. Si tratterebbe altresì di un’interpretazione in malam partem, ma senz’altro più confacente al dato normativo.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Fiandaca Musco Diritto penale parte speciale Volume II, tomo I, I delitti contro la persona quarta edizione 2013.
[2] Cfr., ad esempio Cass. 25 ottobre 2013 n, 46446 “Per atti sessuali vanno intesi tutti quegli atti che coinvolgono zone del corpo che, in base alla scienza medica psicologica e antropologica, sono considerate erogene, ovvero tali da dimostrare l’istinto sessuale. Pertanto, anche il bacio sulla bocca rientra in tale nozione, costituendo una delle principali manifestazioni dell’istinto sessuale, a nulla rilevando che, per le particolari condizioni in cui sia dato, si rilevi inidoneo a eccitare l’istinto sessuale” CONTRO Cass. 23 febbraio 2007 n. 25112 “il bacio sulla bocca assume valenza sessuale e integra il reato di cui all’art. 609 bis c.p. se dato senza il consenso o il reato di cui all’art. 609 quater c.p. se dato a soggetti infraquattordicenni, in quanto attinge una zona generalmente considerata erogena, perde il suo connotato sessuale solo se è dato in particolari contesti sociali o culturali, quali ad esempio la tradizione russa, dove assume il connotato di saluto, o in certi contesti familiari, dove è solo segno di affetto”.
[3] Cfr. nota n. 1.
[4] Cfr. Cass. Sez. Un. 31 maggio 2000 n. 13.
[5] Cfr. Cass, ord. n. 10167/2018.