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Pubbl. Mer, 25 Feb 2015

La storia come diritto pubblico

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Gian Marco Lenzi


Il pensiero di Michel Foucault e la storia-verità.


 
"La Storia fa risorgere
l’avvenimento in ciò che
può avere d’unico e puntuale”
(Michel Foucalt)
 

Che cosa è “la storia” e, ancora meglio, che cosa pensiamo quando ci riferiamo alla storia? Personalmente, come penso molti noi, quando penso questa disciplina, mi viene in mente il libro di storia delle superiori, con tutte le sue date e immagini di guerre, di vittorie e di sconfitte, di regni e dinastie, di cartine (molto teoriche). Questo più o meno, anche se qui in modo abbozzato e semplificato, è il modo di “pensare alla storia” e, se vogliamo, alla verità storica; ma che cos’è la “verità storica”?
Possiamo dire che la verità storica è un modo molto semplificato e mono-dimensionale di approcciare la materia. Voglio dire, che in nessuno dei miei libri di storia ho mai trovato l’avvertenza: “quello che leggerai può non essere vero e comunque è solo una storia, una parte della storia”. Questo avvertimento, che è facile da immaginare con le parole, i toni e nella riflessione di Michel Foucault, e che si inserisce, conseguentemente, in una domanda molto semplice: che “storia” ci è stata tramandata, e perché ci è stata “tramandata” in questi termini? Lasciamo la risposta a questo enigma al grande filosofo francese, di cui cercherò di trasmettere, seppur con miei intenti, la riflessione e il pensiero.

All’interno del libro “Dobbiamo difendere la nostra società”, in cui sono raccolte le lezioni tenute dal Michel Foucault al Collège de France durante il 1976, e precisamente nella lezione dell’11 febbraio, il professore francese si produce in un parallelismo efficace: la storia come diritto pubblico.
Il filosofo, cercando di riflettere sui miti sull’origine delle nazioni circolate nel basso medioevo, e precisamente del racconto sui Franchi come discendenti dei Troiani, circolato durante il rinascimento. Ma in che senso lo fa? Lo fa perché questo discorso che dovrebbe essere indirizzato a ricostruire l’origine dello Stato francese, e che in realtà si inserisce in una funzionalità precisa: affermare un diritto, il diritto al potere. Il diritto al potere sul territorio per i franchi, quindi, si basa sul fatto di essere collegati con Roma, di esserne discendenti diretti. Come un eredità, allora, questo racconto, palesemente antistorico come veridicità, diviene una giustificazione, una legittimazione di questo possedimento. Perché si può parlare di diritto in questo caso? La ragione è giustificata nella scomparsa di Roma e nell’affermazione per i Francesi del rinascimento, per una sorta di diritto naturale, diciamo piuttosto artificioso, di esserne, come discendenti, entrati nel diritto di continuare questo potere sul territorio della Francia. 

Come è facile però eccepire a questo fantasioso racconto, originariamente Roma era antagonista dell’allora Gallia, e del popolo Gallo; tutto ciò è però oscurato e rimodellato in modo del tutto partigiano. Foucault, dopo averci raccontato questa storia, continua il suo discorso con un altra storia parzialmente e, direi, in modo interessante diversa e antagonista a questa, riferendosi al racconto di un certo François Hotman. Questa seconda storia, secondo il filosofo francese, conosciuta e ben diffusa almeno fino al 1527 in Francia, raccontava che i francesi non erano discendenti dei Troiani ma bensì dei germani. Perché questa storia opposta a quella precedente? Certamente per un altra esigenza opposta alla prima. Nel raccontare questa origine, Hotman, ha la volontà di dimostrare quanto la storia francese sia in realtà opposta a quella romana e al suo modello assolutistico. La volontà, allora, non sarà più quella di legittimare un dominio (un diritto), ma quella di opporsi a un potere, all’imperium del Re di Francia. La storia, infatti, si snoda attraverso una sorta di aiuto di fratellanza tra Galli e Germani, per cui quest’ultimi iniziarono una sorta di guerra di liberazione, tra il IV e V secolo, a scapito dei romani. La storia di Hotman continua affermando che i Galli, come una sorta di ringraziamento verso i “fratelli germanici” hanno accettato le regole tipiche della stirpe germanica e cioè il potere al popolo e ai magistrati. Tutta questa storia è evidentemente falsa o meglio, nasconde il progetto dei cristiani protestanti francesi di allora di creare una monarchia costituzionale in Francia.

Cosa ci vuole dire Michel Foucault, tra le altre riflessioni che si compiono in questa lezione, nel raccontare questo due opposte storie sulla stessa “origine”? 
Ci dice che da questo panorama di storie avverse, si creerà quello che è il concetto di Storia, come ci si presenterà nel XIX e XX secolo. Ciò vuol dire che da questo momento storico, la storia e il diritto pubblico (costituzionale) correranno vicini sulle stesse esigenze e problematiche, scambiandosi e collegandosi per ruoli e argomenti. Come fa notare il filosofo francese, per molto tempo in Francia, e ancora quando si svolgeva il suo corso al Collège de France, ai ragazzi e bambini francesi veniva insegnata la loro origine rintracciabile nei Galli, e questo, indifferentemente se essi fossero francesi, algerini o africani. Si dimostra evidente, allora, che questa fantomatica storia risponde a esigenze care più al diritto pubblico che alla “storia” come ricostruzione di una veridicità dei fatti, per quanto possibile per un essere umano.

Questa riflessione, di certo, non si presenta isolata, ed anzi si inserisce all’interno di un lavoro fatto dal pensatore francese nel minare e ricostruire quello che era considerato “storico”: un lavoro contro la storia ufficiale. Per tutti i suoi lavori, o almeno quelli diretti a una ricostruzione di un “concetto” (ad, esempio Sorvegliare e Punire, Storia della Sessualità, Storia della Follia in Età Classica), Foucault sarà impegnato in quella che chiama, in ossequio a Nietzsche, “genealogia”. Il compito della genealogia, per lo stesso filosofo francese, è quello di opporsi alla storia, ricostruendo i concetti e le finalità, contro una certa unicità e oggettività tenuta dalla storiografia nell’osservare un certo fatto storico. Come abbiamo potuto vedere negli esempi sopra riportati, non ci sono fatti univoci e oggettivi in questa storia, ma solo fatti umani, raccontati da umani con fini tutti umani. 

Avendo chiaro tutto quello che abbiamo precedentemente tentato di comporre, e sperando nella pazienza di chi legge, vorrei concludere questo articolo con un ricordo di quando, nel bel mezzo delle lezione di Storia delle superiori, sfogliavo il mio libro sulla “Storia del Novecento”. Il dubbio che avevo allora, in una forma del tutto embrionale, era che mi sembrava strano che in un solo anno fosse successo così tanto poco. In più mi sembrava strano che si fosse tanto sicuri che quelle erano le cose più importanti da raccontare e che allo stesso tempo questi avvenimenti fossero andati in tal modo. In definitiva, mi sembrava strana la sicurezza della storia.

In conclusione, ciò che non avevo capito e che, forse, ho più chiaro una decina di anni dopo, è che: stavo solamente leggendo solo una storia, scritta solo da qualcuno.

 

Bibliografia

Michel Foucault,  Bisogna difendere la società, Feltrinelli, 1998;
Michel FoucaultMicrofisica del Potere, Einaudi, 1977.