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Pubbl. Gio, 19 Apr 2018

Divieto di atti emulativi

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Simona Rossi


La tutela del godimento della proprietà nei limiti previsti dall´ordinamento: divieto di abuso del proprio diritto.


Sommario: 1. Introduzione ; 2. La previsione del divieto ad opera dell’art. 833 c.c.; 3. La ratio della norma e la sua portata; 4. Confronti con le previsioni degli altri ordinamenti; 5. Osservazioni.

1. Introduzione.

La libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro” diceva Martin Luther King e si potrebbe dire che tale “espressione” sintetizzi il principio che si pone alla base della previsione dell’articolo 833 del nostro codice civile con cui viene posto il divieto di porre in essere i cc.dd. atti emulativi. Difatti, fermo restando la previsione di cui all’art. 832 che definisce il contenuto del diritto, sono vietati gli atti che il proprietario di un bene compie, senza avervi alcun interesse od utilità, ma col solo obiettivo di muovere ovvero recare fastidio o molestia ad altri.

2. La previsione del divieto ad opera dell’art. 833 c.c.

Gli atti posti in essere dal proprietario di un bene al solo scopo di arrecare molestie ad altri sono vietati dal nostro ordinamento in quanto configurano un abuso di diritto. La nozione di “abuso di diritto” si riferisce alla circostanza in cui un soggetto faccia un “uso anormale” di un proprio diritto.

Si può osservare come nel nostro impianto codicistico manchi una norma di portata generale a tal proposito: la motivazione di tale mancanza va riscontrata in riferimento al periodo storico in cui il nostro codice viene emanato. Difatti fa considerato che negli anni ’30 l’abuso del diritto era considerato soltanto da un punto di vista etico e morale e non da un punto di vista giuridico, pertanto, pur ritenendo che simili comportamenti non fossero giustificabili, invero, non si ritenne di dover prevedere una norma generale cui corrispondesse una previsione sanzionatoria.

Alla luce di ciò si giustifica l’assenza di una disposizione di carattere generale ma, comunque, sono presenti norme ad hoc che sanzionano l’abuso di diritto, tra le quali vi è, indubbiamente, la fattispecie di cui in esame.

L’art. 833 c.c. che pone il divieto degli atti emulativi fa riferimento al diritto di proprietà sebbene sia considerata una norma avente una portata molto più ampia in quanto riferibile a qualsivoglia diritto reale.

L’atto emulativo, così come delineato dal codice, si compone da due elementi: un elemento oggettivo consistente nella mancanza di utilità del proprietario e l’altro soggettivo rappresentato dal c.d. animus nocendi ossia esclusivo scopo di nuocere o molestare i terzi senza proprio reale vantaggio,

Ad esempio, prendendo in considerazione un caso sottoposto all’esame del Tribunale di Genova, è considerato atto emulativo stendere dei panni sul balcone oscurando la finestra dell’appartamento inferiore qualora vi siano valide alternative che consentano di non oscurare le finestre sottostanti (Trib. Genova, sez. III civile, n. 656/2015).

Pertanto, perché si possa concretizzare un atto emulativo solo qualora sia priva di utilità per chi lo compie nonché, allo stesso tempo, posto in essere allo scopo esclusivo di recare molestia ad altri.

Non a caso la giurisprudenza ritiene che “affinché determinati atti possano essere ritenuti emulativi, è necessario che questi, vietati ai sensi dell'art. 833 c.c., siano stati posti in essere allo scopo esclusivo di nuocere o di recare pregiudizio ad altri, in assenza di una qualsiasi utilità per il proprietario, non essendo riconducibili a tale categoria quell'atto che sia comunque rispondente ad un interesse del proprietario, per cui il giudice non è tenuto a compiere una valutazione comparativa discrezionale fra gli interessi in gioco, né a formulare un giudizio di meritevolezza e prevalenza fra gli stessi.” (App. Venezia, sez. IV, 15/03/2017).

La fattispecie de quo si caratterizza, quindi, per l’esercizio di un diritto posto in essere senza che vi sia alcuna utilità per il soggetto stesso bensì con l’intenzione di recare danno ad altri.

Inoltre, la giurisprudenza ha escluso la configurabilità di un “atto emulativo omissivo” precisando, invece, che perché questo si possa configurare è necessario una condotta positiva in quanto non può configurarsi l’inutilità di una mera omissione mentre una condotta positiva, richiedendo il porre in essere di un’attività, può essere valutata come inutile (Cass. Civ. Sez. II, 10250/97).

3. La ratio della norma e la sua portata.

Come si è già avuto modo di porre in evidenzia, la ratio della previsione normativa de quo consiste nella necessità di porre dei limiti all’esercizio del proprio diritto (ossia evitare ogni abuso) al fine di tutelare l’interesse altrui e della collettività.

Infatti, sebbene l’art. 832 c.c. con cui viene definito il “contenuto del diritto” stabilisce che il proprietario può godere e disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo, è la stessa norma a fissare dei “paletti” (è previsto che tale diritto sia esercitato “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”): è lo stesso ordinamento a sancire la reale ampiezza del diritto di proprietà che, pertanto, subisce delle limitazioni nell’interesse dei privati e della collettività.

Del resto, suddetta impostazione si concilia con la previsione di cui all’art. 42 della nostra carta fondamentale con cui si stabilisce che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”, riconoscendo una funzione sociale in capo al diritto di proprietà privata.

E’ evidente quindi che alla luce di ciò si renda necessario un contemperamento dei diversi interessi in gioco: da un lato la libertà di godere e disporre pienamente del proprio bene e dall’altro la tutela della collettività. Appare lampante che il limite individuato nell’impedire l’abuso di suddetto diritto consenta di tutelare l’interesse altrui pur confermando in capo all’individuo la pienezza del proprio diritto purché non se ne abusi (sono, infatti, vietati gli atti posti in essere inutilmente ma al solo fine di recare molestia).

Va, inoltre, tenuto conto che una simile norma si spiega anche in osservanza alla generale previsione di cui all’art. 2 della Costituzione che pone un generale dovere di solidarietà come base per la convivenza civile nonché della generale previsione di cui all’art. 1175 del codice civile con cui è previsto un generale obbligo di tenere un comportamento corretto (clausola generale di correttezza).

In ogni caso, bisogna tener conto che la portata dell’art. 833 c.c. è residuale in quanto è invocabile soltanto qualora non sia possibile esperire un altro rimedio. Si ponga l’esempio di una siepe posta a distanza non legale che rechi danno al vicino, in tale ipotesi andrà esperita la richiesta di eliminazione per mancato rispetto delle distanze; qualora invece tale siepe sia stata posta senza violare le distanze ma senza che rechi alcuna utilità al proprietario ma abbia il solo scopo di oscurare la visuale del vicino, si è in presenza di un atto emulativo.

Qualora si abbia, dunque, la violazione dell’art. 833 c.c., l’ordinamento determina in capo al danneggiato la facoltà di chiedere la restitutio in integrum e, qualora si tratti di comportamento antigiuridico, il risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2043 e 2058 c.c. Per cui la tutela prevista si compone innanzitutto della possibilità di richiedere la rimozione della molestia ovvero demolizione dell’opera nonché della richiesta di risarcimento dei danni subiti ai sensi dell’art. 2043 c.c.

Sul punto, si osservi, la dottrina ritiene si possa far ricorso anche alla tutela cauterale inibitoria ai sensi dell’art. 700 c.p.c. (se vi siano i requisiti di fumus boni iuris e di periculum in mora) per chiedere l’immediata cessazione: tale applicazione è possibile specialmente nei casi di fenomeni immissivi che non solo causino molestia ma siano pericolosi per la salute e che, conseguentemente, richiedano la necessità di un intervento celere.

Per quanto concerne, poi, l’onus probandi ai sensi dell’art. 2697 c.c., si può evincere che vi sia una notevole difficoltà dovendosi provare non solo la mancanza di utilità per il proprietario ma anche l’animus nocendi. La dottrina ha, pertanto, ritenuto che non sia necessario provare il dolo specifico (ossia l’intenzione di ledere) la quale si può considerata provata come mera presunzione, basterebbe provare il pregiudizio e l’inutilità per il proprietario; dunque, basterebbe provare la mera consapevolezza di recare molestia ad altri. In tal modo, ossia con una visione più elastica e facendo sì che gli elementi costitutivi della fattispecie possano essere provati anche per presunzioni, la prova dell’atto emulativo risulta meno rigorosa.

4. Confronti con le previsioni degli altri ordinamenti.

Si è già avuto modo di evidenziare come nel nostro ordinamento, e per quali ragioni, manchi una norma generale che sanzioni l’abuso di diritto mentre nella maggior parte dei sistemi europei è presente (seppur mostrandosi delle differenze tra un ordinamento e l’altro). In ogni caso, l’idea di sanzionare l’abuso di diritto non è frutto delle moderne legislature bensì altro non è che la rielaborazione di una figura del diritto romano: la c.d.  aemulatio (che, si badi bene, non corrisponde propriamente agli atti emulativi vietati dal nostro codice!) con cui si proibiva al privato di edificare un opus novum qualora tale opera potesse suscitare invidia e rivalità tra le città[1].

Dunque, inizialmente, era una figura di diritto pubblico e solo successivamente si estese anche ad i rapporti di vicinato, cambiando connotazione ed affermandosi la convinzione che la ratio di tale divieto andasse ricercata nell’inutilità dell’atto e nel pregiudizio recato ad altri, ponendo così un limite alla proprietà privata.

Suddetto divieto non venne però recepito nel Code Napoleon nonostante tale nozione fosse stata oggetto di approfonditi studi in Francia; negli altri ordinamenti si ebbero invece norme generali per sanzionare l’abuso di diritto che non erano riferite precipuamente alla proprietà privata anzi, muovendosi dalle riflessioni della giurisprudenza francese, furono emanate norme di portata generale.

E’ interessante evidenziare proprio questo aspetto per cui mentre nell’ordinamento francese, nonostante molti studiosi si interessarono all’argomento, manca una previsione generale, in altri ordinamenti le riflessioni degli studiosi francesi portarono all’emanazione di una norma in tal senso. Nell’ordinamento tedesco, ad esempio, fu previsto un generale divieto di atti emulativi nonché una norma generale per i casi di abuso di diritto (previsioni che ispirarono poi anche altri ordinamenti come quello greco e spagnolo). 

Nei paesi di common law, invece, i giuristi apparivano titubanti nel porre certe limitazioni se non nei casi in cui vi fossero gli estremi per integrare un illecito; tuttavia nei rapporti di vicinato si denota un diverso orientamento, per tali ipotesi infatti la giurisprudenza è parsa meno cauta nell’evidenziare il divieto di porre in essere certi atti qualora si fosse ravvisata l’intenzione di nuocere al vicino[2].

5. Osservazioni.

E’ indubbio quale sia l’importanza rivestita da questa figura nel nostro ordinamento, soprattutto in considerazione della mancanza di una norma generale che sanzioni l’abuso di diritto. Eppure, va osservato come invero, nella prassi, risulti essere uno strumento inefficace; spesso viene infatti “disapplicato” preferendo il ricorso ad altre figure (come ad es. all’art. 840 c.c. che stabilisce l’estensione della proprietà puntualizzando, altresì, che “il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino”). Senza dubbio ciò è dovuta ad una limitazione della portata applicativa derivante dall’analisi dell’elemento dell’inutilità: difatti questa non è più considerata come la sproporzione tra utilità per il proprietario e danno al terzo bensì viene intesa come “utilità economica”, con la conseguenza che colui che pone in essere il comportamento può sostenere di averne avuto un vantaggio anche solo morale che giustifichi la condotta!

Per cui se da un lato si è avuto l’ampliamento della norma riconducendola non solo al diritto di proprietà bensì dapprima ai diritti reali in genere e successivamente, quasi per analogia, anche ai diritti della persona ed ai diritti di credito, dandole una connotazione di carattere generale; dall’altra parte i caratteri costitutivi dell’atto emulativo in sé fanno sì che nel concreto la norma risulti applicata in maniera ristretta (anche tenuto conto della natura residuale di questa norma che fa sì che, pertanto, che se ne faccia ricorso quale extrema ratio, preferendo, qualora sia possibile, di ricorrere a norme specifiche).

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] G.Grossi, Atti emulativi (d.romano), in Enc. Dir. IV, Milano, 1959, pp. 27 e ss.
[2] M. Chimenti, V.F. Denavellis, Atti emulativi e abuso di diritto: l’esperienza italiana e profili di comparazione, in Diritto.it, 15.01.2016