Colpa medica e sua punibilità secondo le Sezioni Unite: una proposta che recupera il passato
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Elena Sofia Macchia
Nella sentenza n. 8770 del 22 febbraio 2018 (udienza del 21 dicembre 2017), le Sezioni Unite penali dirimono il contrasto sui confini della nuova causa di non punibilità introdotta dall’art. 590 sexies c.p. Una soluzione di compromesso che offre diversi spunti di riflessione
Sommario: 1. La professione medica nel panorama normativo e giurisprudenziale: profili evolutivi; 1.1. Corte Cost. sent. n. 166 del 28 novembre 1973: la culpa levis salva soltanto dalla responsabilità per imperizia; 1.2. Linee guida e decreto Balduzzi: positivizzazione di un’intuizione giurisprudenziale; 1.3. Legge Gelli-Bianco n. 24/2017: codificazione delle linee guida e ritorno definitivo della colpa per imperizia; 2. Sentenza Tarabori: Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 28187/2017 – interpretazione restrittiva dell’art. 590 sexies c.p. e potenziale contrasto con art. 32 Cost.; 3. Sentenza Cavazza: Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 50078/2017 – compatibilità tra imperizia e rispetto delle linee guida adeguate al caso concreto; 4. Cass. Pen. Sezioni Unite, sent. n. 8770/2018 – Il caso e il quesito di diritto; 4.1. Una scelta di compromesso e di ritorno alla graduazione della colpa; 4.2. Regime intertemporale tra Balduzzi e Gelli-Bianco: quale normativa è più favorevole al reo?; 5. Osservazioni critiche.
1. La professione medica nel panorama normativo e giurisprudenziale: profili evolutivi.
La responsabilità colposa dell’operatore sanitario, sia civile che penale, è inquadrabile nell’ambito della colpa professionale.
Quanto alla colpa imputabile al professionista nello svolgimento di un’attività intellettuale, il Codice civile predispone un regime di particolare favore nei confronti di quest’ultimo [1], con l’obiettivo di valorizzare le peculiarità del rapporto [2].
Il favor codicistico è evidente nell’art. 2236 c.c.: fatto salvo l’obbligo di un agire diligente ex art. 1176 c.c. (parametrato sulla natura dell’attività compiuta), nei casi in cui la professione svolta preveda la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, limita la responsabilità del prestatore d’opera intellettuale alle sole fattispecie di dolo o colpa grave.
Sulla base del descritto assetto, nel corso degli anni Settanta, la giurisprudenza penalistica ha ritenuto di innestarne il principio desumibile nelle ipotesi di responsabilità colposa penale del sanitario per omicidio (art. 589 c.p.) o lesioni (art. 590 c.p.), così creando un’area di non punibilità per il medico.
Tale indulgenza è stata giustificata dalla dottrina in virtù della rilevante utilità sociale dell’attività in questione, nella cura della salute fisica e psichica, degli elevati rischi connessi, della diversità di approcci terapeutici nei confronti della stessa patologia e di un principio di coerenza interna dell’ordinamento giuridico (anche noto come sussidiarietà penale [3]), secondo il quale una condotta non sanzionata sul piano civile ex art. 2236 c.c. a fortiori non potesse esser fonte di responsabilità penale [4].
Un orientamento più restrittivo evidenziava, peraltro, che la professione sanitaria gode già strutturalmente di notevoli agevolazioni rispetto ad altre attività, in considerazione della più ampia area del c.d. rischio consentito entro cui l’operatore è solito muoversi.
Le stesse leges artis disegnano il perimetro dell’attività sanitaria, consentendo azioni di regola precluse ad altri prestatori d’opera.
La giurisprudenza maggioritaria ritiene così di assoggettare la punibilità della responsabilità professionale medica, in situazioni comportanti problemi tecnici di speciale difficoltà, ai casi di colpa grave che si concretizzino in errori grossolani, dovuti a una mancanza di quel minimo di cultura ed esperienza che legittimamente si pretende da un agente abilitato a quella data professione [5].
1.1. Corte Cost. sent. n. 166 del 28 novembre 1973: la culpa levis salva soltanto dalla responsabilità per imperizia.
I dubbi maturati in seno a quest’ultima corrente sono culminati in una rimessione al Giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale degli artt. 589 e 42 c.p. [6], per contrasto col principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., nella parte in cui il criterio della graduazione della colpa penale (in colpa lieve e grave) fosse assunto quale discrimen per la punibilità del sanitario.
La lettura benevola della giurisprudenza aveva, infatti, introdotto nell’ordinamento penale un principio senza precedenti, in quanto l’art. 43 c.p., statuto penale della colpa, non contiene alcun riferimento al grado della colpa per l’imputazione di determinati reati a determinati soggetti. L’unico referente normativo per la graduazione dell’elemento psicologico del reato è nell’art. 133 c.p., in tema di dosimetria della pena.
Sul punto, interviene la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 166/1973.
In un rigetto per infondatezza della questione, la Corte avvalla le argomentazioni della giurisprudenza più favorevole al reo, evidenziando, sulla scorta della relazione del Guardasigilli al codice civile n. 917, che la più marcata protezione accordata dal legislatore al professionista intellettuale, rispetto ad altri soggetti, e relativa a casi di speciale difficoltà tecnica, sia il risultato del contemperamento di “due opposte esigenze, quella di non mortificare la iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente in caso di insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista.” [7]
Quale correttivo per scongiurare il rischio di sacche d’impunità, a fronte di condotte particolarmente allarmanti per la tutela del diritto alla salute, la Corte limita l’operatività della rilevanza della sola colpa grave alle ipotesi di imperizia.
La scelta di discriminare la punibilità dell’agente sanitario, anche in base al contenuto specifico della colpa, deriva in primis da ragioni di politica criminale. Il rimprovero mosso verso una condotta colposa, nell’ambito di una situazione complessa e a elevato rischio può ben ricevere una valutazione più morbida se ad essere violata sia una regola cautelare di perizia, piuttosto che di diligenza o prudenza, violazioni, queste, che connotano un atteggiamento più lesivo verso la sfera altrui, rispetto a una mera mancanza di esperienza, comune in coloro hanno un approccio alla materia meno maturo, rispetto ad altri colleghi; in secundis, dal contenuto delle stesse regole d’arte, almeno secondo l’opinione allora predominante, corrispondente a prescrizioni di perizia tecnica medica.
Riassumendo, secondo il dettato della Consulta, l’esercente professione sanitaria non è punibile per omicidio o lesioni colpose se, nell’ambito della sua attività, sia incorso in colpa lieve, per imperizia, in costanza di problemi tecnici di speciale difficoltà.
La successiva giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale adeguamento al suesposto principio, inizia a deviare verso un orientamento più severo.
È la fase nella quale si valorizza l’autonomia dogmatica del diritto penale, con conseguente sfavore verso l’innesto di principi di natura prettamente civilistica – quali subordinazione della punibilità alla graduazione della colpa ex art. 2236 c.c. - atti a colmare presunte lacune nella normativa penalistica.
Si evidenzia, inoltre, il divieto di applicazione analogica dell’art. 2236 c.c., in virtù della sua natura eccezionale, in ossequio a quanto prescritto dall’art. 14 prel.
Nel corso degli anni Ottanta e Novanta, l’imputazione colposa dell’operatore sanitario torna così nell’alveo dell’art. 43 c.p [8].
Tuttavia, i successivi arresti giurisprudenziali mirano a un recupero dell’art. 2236 c.c., declassandolo a massima d’esperienza, con cui il giudice penale può ritenere di valutare l’imperizia nella condotta dell’operatore sanitario, in ipotesi di speciale difficoltà tecnica [9].
1.2. Linee guida e decreto Balduzzi: positivizzazione di un’intuizione giurisprudenziale.
Il dibattito sulla calibrazione della punibilità del medico prosegue e la giurisprudenza prende atto della moltitudine di regole cautelari tecniche che il professionista sanitario è tenuto a osservare, seppur senza vincolo ex lege, nel suo agire.
Sul punto, rilevano le leges artis, le linee guida e, più in secondo piano, le buone pratiche mediche.
Le leges artis corrispondono a “quel complesso di regole tecnico scientifiche, scritte o non scritte, universalmente riconosciute in ambito sanitario e nelle singole specialità” [10]. Alla pari delle linee guida, hanno contenuto e finalità cautelare, per la prevenzione di danni nel compimento di un’attività socialmente pericolosa.
Le linee guida (guidelines) orientano l’agire medico per una miglior tutela della salute del paziente, motivo per cui l’operatore sanitario è generalmente tenuto a rispettarle. Secondo l’Institute of Medicine, si tratta di “raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a declinare le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche”.
Le buone pratiche (o prassi, best practice) hanno invece finalità di mero contenimento della spesa sanitaria e un potere vincolante eventuale e comunque subordinato alla miglior tutela del paziente [11]. La loro osservanza rileverà ai fini dell’esonero da responsabilità penale solo in mancanza di linee guida.
L’osservanza di tali direttive qualificate contribuisce a connotare ulteriormente la colpa medica, nel senso che la giurisprudenza se ne è servita per meglio ricostruire le regole cautelari eventualmente violate [12]. Chiaramente, entro i limiti costituiti dallo stesso contenuto delle linee guida, quasi mai univoche e soprattutto provenienti da diverse fonti.
Con l’emanazione della c.d. decreto Balduzzi, D.L. n. 158/2012, il legislatore decide per una posizione mediana, di parziale adesione al dictum della Corte costituzionale e di valorizzazione del ruolo delle linee guida, al punto da elevarle a seconda condizione per la non punibilità del medico.
All’art. 3 co. 1 di detto decreto si prevede: “L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.”
Le problematiche sollevate dalla novella del 2012 hanno generato nuovi e animati confronti, nelle aule universitarie e di tribunale, che hanno in seguito spinto, a soli cinque anni dalla sua emanazione, alla riforma Gelli-Bianco.
Dottrina e giurisprudenza si sono ritrovate a dover colmare le lacune lasciate dal decreto Balduzzi, a cominciare dall’assenza di una compiuta definizione di “linee guida accreditate dalla comunità scientifica”.
Risulta evidente che la comunità scientifica non è costituita da un solo ente e che il pluralismo di fonti, senza un’adeguata selezione a monte da parte del legislatore, conduce a inesorabili disequilibri applicativi, con buona pace del principio di eguaglianza e di certezza del diritto.
Di pari gravità, l’assenza nel decreto Balduzzi di ogni riferimento alla tipologia di colpa lieve che esonerasse dalla punibilità.
Ad oggi non è stato possibile determinare se l’assenza di precisazioni in merito fosse intenzionale, ossia che il legislatore del 2012 mirasse a comprendere -nell’area della colpa lieve non punibile- tutte le tipologie di colpa, oppure dovuta a dimenticanza con la conseguenza di limitare il beneficio alla sola colpa lieve per imperizia.
La giurisprudenza, dopo un’iniziale applicazione letterale della norma, ha ritenuto di recuperare il limite dell’imperizia dalla sentenza C. Cost. 166/1973. Ciò sulla base di argomentazioni di carattere non solo politico criminale (la tutela effettiva del diritto alla salute ex art. 32 Cost., minacciato dall’eccessiva indulgenza verso il professionista medico colpevole) ma anche logico tecnico, in quanto le linee guida contemplate nell’art. 3 co. 1 altro non sono che regole cautelari di perizia, in violazione delle quali si incorre in colpa certa, appunto, per imperizia [13].
Un diverso orientamento evidenzia la fallacità della distinzione tra colpa per imperizia, negligenza e imprudenza, riservando a dette etichette un ruolo meramente descrittivo, che non può in alcun modo condizionare la rilevanza penale di una condotta.
D’altronde, le stesse raccomandazioni su cui si basa la graduazione della colpa medica non si limitano a regole di perizia tecnica, ma anche di diligenza e prudenza.
Tali rilievi, insieme al tenore letterale della norma, che esclude ogni riferimento a tipologie di condotte colpose, hanno indotto a estendere il favor della novella Balduzzi anche alle ipotesi di negligenza e imprudenza, purché lievi [14].
Un terzo problema della legge Balduzzi, che la giurisprudenza di legittimità ha affrontato e risolto, riguardava la concreta individuazione della condotta colposa contemplata.
Appariva illogico punire il professionista sanitario che, pur attenendosi alle linee guida, avesse cagionato un danno al paziente (penalmente corrispondente a lesioni colpose o omicidio colposo). Non era dato ricostruire una condotta alternativa esigibile dal medico che incorreva in tale errore inescusabile.
Il nodo è stato sciolto sulla base del contenuto delle stesse direttive cliniche. Trattasi infatti di raccomandazioni di carattere spesso generale, spesso specifico, la cui osservanza tuttavia non è mai scontata, ma decisa dallo stesso operatore dopo aver valutato le peculiarità del caso concreto.
Diviene pertanto possibile – e rimproverabile – la condotta del medico che abbia sì agito nel rispetto delle linee guida, ma in casi particolari nei quali avrebbe invece dovuto discostarsene.
Alla luce della riforma e della più recente giurisprudenza, l’agente sanitario è esonerato da responsabilità penale per colpa lieve, nell’osservanza delle predette direttive.
Un regime decisamente più favorevole al reo, del precedente, tanto da esser stato qualificato come abolitio criminis parziale, nella parte in cui anche la responsabilità per negligenza e imprudenza lievi diviene, alle predette condizioni, non punibile [15].
1.3. Legge Gelli-Bianco n. 24/2017: codificazione delle linee guida e ritorno definitivo della colpa per imperizia.
Salutata come un ulteriore correttivo favorevole alla classe medica, ha generato nuovi e appassionanti dibattiti.
La riforma Gelli-Bianco si è occupata in modo organico della responsabilità medica, configurandone ex novo i profili penali e civili, disponendo altresì fondi risarcitori e obblighi assicurativi, in un’ottica di previdenza per tutte le parti eventualmente in causa [16].
Una delle caratteristiche che sicuramente risaltano ictu oculi nella disposizione in esame, è l’eliminazione di ogni riferimento alla legge Balduzzi: se nel 2012 era precisato il grado di colpa (lieve) non punibile, alle esposte condizioni, nel 2017 ogni puntualizzazione sul grado viene eliminata; viceversa, viene recuperato il limite alla non punibilità della colpa per sola imperizia e viene operata una opportuna determinazione delle linee guida a tal fine rilevanti.
La nuova causa di non punibilità del professionista sanitario è all’art. 590 sexies c.p., introdotto dall’art. 6 della novella, che così dispone: “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità é esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.”
Orbene, tre sono le condizioni che consentono al sanitario di usufruire della nuova causa di non punibilità: colpa per imperizia, osservanza di linee guida o, in via sussidiaria, di buone pratiche accreditate ex lege, sempreché le stesse siano adeguate al caso di specie.
Quanto su evidenziato a proposito dell’incoerenza tra condotta colposa e rispetto di linee guida, se ieri era stato risolto col rimprovero al medico di non essersi discostato da tali raccomandazioni, quando il caso concreto presentava peculiarità che lo richiedessero, oggi si complica, perché la terza condizione (linee o pratiche adeguate al caso di specie) stronca ogni interpretazione di tal guisa.
La dottrina ha prontamente segnalato il limitato, quasi impalpabile, ambito applicativo della nuova causa di non punibilità, apparentemente riservato a condotte tutt’altro che colpevoli, pertanto già penalmente irrilevanti in virtù dell’errore scusabile [17].
Ciò, in quanto dal medico che agisce nel rispetto di raccomandazioni cliniche adeguate al caso concreto non può esigersi una diversa condotta – che corrisponderebbe al discostarsene - perché non è dato comprendere su quali basi l’agente avrebbe dovuto, in un’ottica previsionale e cautelare, optare per una simile scelta.
Sono i medesimi quesiti che si è posta la giurisprudenza di legittimità, giungendo a diverse soluzioni, tali da generare un contrasto in seno alla Quarta Sezione, risolto con la sentenza a Sezioni Unite in commento nel prosieguo.
2. Sentenza Tarabori: Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 28187/2017 – interpretazione restrittiva dell’art. 590 sexies c.p. e potenziale contrasto con art. 32 Cost.
La tesi proposta dalla Quarta Sezione nella sentenza Tarabori sottolinea la profonda incompatibilità logica tra l’ipotetica condotta di un medico imperito che agisce nel rispetto delle linee guida adeguate al caso specifico e un qualunque giudizio di rimproverabilità concepibile per tale soggetto, sì da essere escluso dalla causa di non punibilità ex art. 590 sexies c.p.
Se l’osservanza delle linee guida più appropriate è dimostrazione di perizia, non è dato comprendere su che elementi muovere un rimprovero per imperizia in una fattispecie identica.
Tanto più che, aggravando un quadro esegetico già sfonfortante, la causa di non punibilità non potrebbe comunque essere invocata relativamente a condotte che, sebbene ascrivibili a un approccio terapeutico regolamentato da linee guida pertinenti, non risultino nello specifico da queste disciplinate.
La lettura alternativa proposta dalla Cassazione contempla il caso di un operatore sanitario che abbia, sì, correttamente inquadrato l’approccio terapeutico e le linee guida cui attenersi, ma le applichi in contesti estranei a quello nel quale si sia realizzata l’imperizia. Nell’ipotesi in esame si può pertanto ravvisare sia la corretta individuazione e scelta delle linee guida adatte al caso, sia un errore non scusabile, consistente nell’aver eseguito il singolo atto astrattamente appropriato in un contesto incompatibile.
La Corte segnala il pericolo per la tutela della salute di un’interpretazione tanto permissiva e conferma, in un’ottica di conformità costituzionale, l’orientamento restrittivo.
Sui profili intertemporali di successione ex art. 2 c.p. tra legge Balduzzi e Gelli-Bianco, la Cassazione valuta l’attuale novella come più sfavorevole, proprio in ragione della quasi inesistente area di applicabilità della causa di non punibilità.
Nelle conclusioni, la Corte auspica un recupero del principio ex art. 2236 c.c., quale regola d’esperienza e strumento di valutazione sussidiaria dell’imperizia, manifestatasi in condotte mediche afferenti a contesti tecnico scientifici nuovi e complessi.
3. Sentenza Cavazza: Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 50078/2017 – compatibilità tra imperizia e rispetto delle linee guida adeguate al caso concreto.
La seconda tesi esordisce con la necessità di valorizzare la ratio della riforma.
Sul punto, la Corte afferma la piena compatibilità logica tra condotta imperita e osservanza delle linee guida pertinenti, in ragione di una doverosa distinzione preliminare tra il piano elettivo e quello attuativo.
Su piano elettivo, l’operatore sanitario deve inquadrare il caso concreto in tutte le sue peculiarità, scegliere l’approccio terapeutico più adeguato e le relative linee guida. Qualunque errore in tale fase impedirebbe in radice al professionista, di usufruire del beneficio ex art. 590 sexies c.p.
Sul piano attuativo, è ben possibile che l’agente commetta errori dovuti a imperizia ed esegua in modo inidoneo direttive astrattamente corrette.
Si delineerebbe così una causa di non punibilità a carattere oggettivo, che opera al di fuori del principio di colpevolezza.
Per il Collegio di questa pronuncia, non sono ravvisabili questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 590 sexies c.p.
4. Cass. Pen. Sezioni Unite, sent. n. 8770/2018 – Il caso e il quesito di diritto.
Il caso oggetto d’esame vede imputato un neurochirurgo per lesioni colpose, dovute a un indebito ritardo nella fissazione di un appuntamento con un paziente, già seguito nell’ambito di una terapia farmacologica, che lamentava sintomi di profonda sofferenza per quella che si sarebbe in seguito rivelata come sindrome da compressione della “cauda equina”. La colpa del medico sarebbe consistita nell’aver invitato il paziente a perseverare con i farmaci prescritti, sottovalutando la sintomatologia descritta dalle sempre più insistenti segnalazioni del paziente e mancando di prescrivere un intervento d’urgenza.
Stante il contrasto giurisprudenziale rilevato dalla difesa dell’imputato, e auspicata da questa un’adesione netta all’orientamento espresso dalla sentenza Cavazza (indubbiamente più favorevole al reo), la Quarta Sezione adita rimette alle Sezioni Unite il seguente quesito: “Quale sia, in tema di responsabilità colposa dell'esercente la professione sanitaria per morte o lesioni, l'ambito applicativo della previsione di "non punibilità" prevista dall'art. 590-sexies cod. pen., introdotta dalla legge 8 marzo 2017, n. 24.”
4.1. Una scelta di compromesso e di ritorno alla graduazione della colpa.
Al termine di un excursus normativo e giurisprudenziale sul tema e di alcune premesse metodologiche che impongono quale esordio ermeneutico sempre e comunque il significato letterale della norma, come prescritto dall’art. 12 delle preleggi, la Corte affronta il merito del contrasto.
Nella consapevole impossibilità di elaborare una sintesi degli orientamenti a confronto, viene riconosciuto alla sentenza Tarabori il pregio di evidenziare la riduzione dei confini applicativi della nuova causa di non punibilità: in primo luogo, per l’elemento dell’imperizia, in secondo luogo, con riguardo al requisito di pertinenza delle linee guida.
Riconosce altresì il limite di non aver indagato più a fondo i residui ambiti di applicabilità dell’art. 590 sexies c.p., giungendo a conclusioni affrettate.
Su un diverso fronte, la sentenza Cavazza è pregevole per aver valorizzato il tenore letterale della norma, ma pecca nell’averlo portato a estreme conseguenze, e dunque all’estensione della causa di non punibilità ad ogni ipotesi di condotta professionale imperita, ancorché per colpa grave.
Quanto alle asserite problematiche di legittimità costituzionale, la Corte osserva che non vi sono irragionevoli disparità di trattamento tra il medico e altri professionisti, alla luce della più marcata delimitazione dell’operatività dell’art. 590 sexies c.p. alle ipotesi di colpa lieve, in linea con l’insegnamento della Consulta nelle sentt. 166/1973 e 295/2013.
Con riguardo all’incompatibilità logica tra condotta imperita del medico e rispetto di linee guida adeguate al caso specifico, lamentato in Tarabori, la Corte riprende e sviluppa l’approccio scelto da Cavazza, ossia distingue, sul piano dell’impiego delle linee guida, le fasi di individuazione, selezione ed esecuzione.
Rispetto al decreto Balduzzi, che salvava dalla responsabilità penale anche il medico che incorresse in un errore di selezione delle linee guida più pertinenti al caso, ferma la colpa lieve, la legge Gelli-Bianco limita il favore all’error in executivis.
Il principio di graduazione della colpa medica penale mutuato dall’art. 2236 c.c. non è incompatibile con l’attuale assetto normativo, in quanto funge da correttivo alle eventuali distorsioni della non punibilità nei casi di errori grossolani o madornali. La sua armonia con l’ordinamento penale è provata dalla sua precedente positivizzazione nel decreto Balduzzi.
Il silenzio del Legislatore in tal senso, interpretato in modo diametralmente opposto in Tarabori e Cavazza, non preclude una ricostruzione della responsabilità medica sulla graduazione della colpa, richiamata in ogni caso dall’art. 2236 c.c., ormai assunta dalla giurisprudenza dominante quale regola d’esperienza.
Quali prime conclusioni, la Corte esprime i principi di diritto cui attenersi nelle future pronunce.
“L'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica:
a) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da negligenza o imprudenza;
b) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
c) se l'evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinicoassistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
d) se l'evento si è verificato per colpa "grave" da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell'atto medico.”
4.2. Regime intertemporale tra Balduzzi e Gelli-Bianco: quale normativa è più favorevole al reo?
Alla luce degli esposti principi e argomenti, la Corte procede a delineare i rapporti successori ex art. 2 co. IV c.p., non potendo più ravvisarsi un’abolitio criminis ex co. II c.p.
Quanto ai reati commessi prima dell’entrata in vigore della legge Gelli, si osserva che per le condotte ricomprese nel novero della colpa medica lieve, per imprudenza o negligenza, si applica la legge Balduzzi, che nei più recenti arresti giurisprudenziali le aveva rese non punibili; per le condotte cagionate da imperizia lieve, invece, il discrimen risiederà nell’eziologia dell’errore: se incidente nella fase selettiva, sarà applicata la legge Balduzzi, in quanto errore non punibile; se incidente nella fase esecutiva, la condotta andrà comunque esente da punibilità secondo entrambe le riforme.
5. Osservazioni critiche
L’impegno delle Sezioni Unite di salvare la legge Gelli da addebiti di illegittimità costituzionale è evidente e apprezzabile.
Non possono tuttavia tacersi alcuni rilievi, in merito al percorso argomentativo intrapreso. Il riferimento è al recupero e re-innesto della graduazione della colpa nella responsabilità medica.
Appare chiaro che l’operazione compiuta, che di fatto ha ristretto l’ambito di operatività della causa di non punibilità ex art. 590 sexies c.p., ricorda un’analogia in malam partem.
Il principio mutuato dalla normativa civile ex art. 2236 c.c., se prima era stato trapiantato in un sistema di colpevolezza dominato dall’art. 43 c.p., notevolmente più severo, per accentuare il favor rei per la categoria sanitaria, stavolta è stato impiegato sulle ceneri della legge Balduzzi, più favorevole rispetto alla Gelli sotto diversi punti di vista, e proprio per l’interpretazione giurisprudenziale radicatasi negli anni.
La proposta di una lettura novativa della legge Gelli, che nel suo silenzio comunque conserva gli approdi della legge Balduzzi, è evidentemente finalizzata a scongiurare tale critica, ma difficilmente si concilia con un’abrogazione totale della disciplina in commento, operata esplicitamente dalla stessa Gelli a danno della Balduzzi.
Quel che tuttavia non può negarsi è il merito della Corte di aver scelto, nell’inestricabile dedalo di interpretazioni e combinazioni possibili tra le norme in successione, la lettura costituzionalmente più adeguata e metodologicamente più raffinata a salvaguardare l’integrità del sistema penale della colpa medica.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Alle professioni intellettuali, il Codice civile dedica tutto il Capo II del Titolo III (artt. 2229 – 2238 c.c.).
[2] Secondo la dottrina tradizionale, l’opera intellettuale avrebbe a oggetto una prestazione di mezzi e non di risultato, consistente in una “attività in vista del conseguimento di un risultato finale, la cui realizzazione non dipende, tuttavia, in modo esclusivo e necessario dall’esatta esecuzione del comportamento dovuto.” MOSCATI E. La disciplina generale delle obbligazioni - Corso di diritto civile, Torino, Giappichelli Editore, 2012, p. 67.
Tale distinzione, eredità della dottrina giuridica francese, sta perdendo progressivamente valore, a partire dalle Sezioni Unite civili del 15781/2005, nella consapevolezza che, anche le professioni intellettuali possono aver ad oggetto obblighi di risultato, a seconda dell’assetto d’interessi che le parti organizzano nel contratto. Per approfondimenti sulle specifiche ricadute della nuova corrente sulla responsabilità medica, vds. Sezioni sempre più unite contro la distinzione fra obbligazioni
di risultato e obbligazioni di mezzi. La responsabilità del medico, in “Danno e responsabilità”, Wolters & Kluwer, n. 8-9/2008.
[3] SALCUNI G. La colpa medica tra metonimia e sineddoche. La continuità tra il decreto Balduzzi e l’art. 590-sexies c.p. in “Archivio penale” n. 2/2017, p. 2.
[4] MADEO A., La responsabilità penale del sanitario: una storia infinita, in “Studium Iuris”, Wolters & Kluwer, n. 2/2018, p. 160.
[5] CRESPI, La responsabilità penale del trattamento medico - chirurgico con esito infausto, Palermo, 1955, 90 ss.
[6] Nella parte motiva della sentenza in commento, la Corte ritiene che l’art. 43 c.p. si attagli meglio alla questione trattata, rispetto all’art. 42 c.p. menzionato dal giudice a quo (§2).
[7] Espressione che rappresenterà l’esordio argomentativo nella maggior parte delle pronunce di Cassazione che si allineeranno al principio espresso dalla Consulta.
[8] Ex plurimis, Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 9367/1981; n. 2734/1984; n. 8360/1987; n. 11733/1987; n. 10289/1990; n. 4028/1991; n. 2139/1996; n. 1693/1998; n. 39637/2002.
[9] Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 39592/2007; n. 4391/2011; n. 16328/2011; n. 10615/2012; n. 24528/2014.
[10]Ex plurimis, Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 31452/2002.
[11] Cass. Pen. Sez IV, sent. n. 251941/2011; Id., Sez IV, 23 novembre 2010, Grassini, in Mass. uff. n. 249750
[12] BETTIOL L. Riforma Gelli-Bianco: il ruolo delle linee guida nel giudizio di responsabilità penale in campo sanitario, in “Foro Italiano”, Torino, Giappichelli, n. 6/2017, p. 238.
[13] Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 11493/2013, imp. Pagano; n. 16237/2013, imp. Cantore; n. 47289/2014, imp. Stefanetti.
[14] Cass. Pen. Sez. IV, sent. n. 23283/2016.
[15] GATTA G.L. Colpa medica e art. 3, co. 1 d.l. n. 158/2012: affermata dalla Cassazione l'abolitio criminis (parziale) per i reati commessi con colpa lieve, penalecontemporaneo.it.
[16] Per approfondimenti civilistici, vds. TIRELLA S. La riforma Gelli è legge. Ecco come cambia la responsabilità medica in “Rivista Cammino Diritto”, n. 2/2017.
[17] DI BIASE, Commento alla Legge Gelli, in www.neldiritto.it.