Pubbl. Ven, 6 Apr 2018
La clausola roulette russa nel patto parasociale
Modifica paginaIl Tribunale di Roma, Sez. spec. imprese, con la sentenza n. 19708 del 2017 dopo aver esaminato il meccanismo di funzionamento della c.d. russian roulette clause inserita in un patto parasociale, si sofferma sulla sua validità come strumento per superare situazioni di stallo decisionale in cui possa ritrovarsi una società.
La società per azioni può essere costituita, come ogni altro tipo di società, per contratto o per atto unilaterale di un unico socio fondatore, ai sensi dell'art. 2328 comma 1 c.c, fermo restando la necessità, ai fini dell'efficacia dell'atto costitutivo, dell'iscrizione della società nel registro delle imprese.
Si ritiene, secondo una prassi che è ancora diffusa, che l'atto di formazione di società per azioni possa risultare da due documenti separati: l'atto costitutivo nel quale viene espressa la volontà di dare vita al rapporto sociale; lo statuto che contiene le regole di funzionamento della società.
Sebbene, si tratti di documenti formalmente separati, gli stessi compongono, tuttavia, un atto giuridico unitario così come espressamente specificato dall'art. 2328 co. 3 c.c.
Risulta ormai sopita l'antica disputa sulla natura dell'atto costitutivo e dello statuto che devono essere considerati come veri e propri contratti ed interpretati, pertanto, secondo i criteri di interpretazione previsti per i contratti in genere.
Giova precisare, tuttavia, che il contratto di società per azioni non crea un vincolo dotato di efficacia puramente interna così come previsto dal principio di relatività degli effetti del contratto, alla luce dell'art. 1372 co.1 c.c., ma viene fatto rientrare nel novero dei contratti che, ai sensi del comma secondo della medesima disposizione, produce effetti anche nei confronti dei terzi, nei termini e nei limiti dalla legge.
Affinchè le pattuizioni stipulate dai soci abbiano un'efficacia esterna è necessaria le stesse abbiano un'idoneità tale da partecipare all'efficacia dell'atto costitutivo o dello statuto.
Il regime di pubblicità mediante l'iscrizione nel registro delle imprese è, infatti, condizione necessaria ma non sufficiente a determinare l'efficacia esterna dell'atto.
Qualora, poi, non dovesse sussistere tale idoneità, tali accordi potranno avere, semmai, natura di patti parasociali.
Con il termine "patti parasociali" si fa riferimento agli accordi separati che intercorrono tra i soci o fra gruppi di essi che servono a regolare il loro comportamento nella società o verso la stessa. In particolare l'essenza del patto parasociale risiede nella volontà dei soci di regolamentare l'esercizio di diritti che derivano loro dall'atto costitutivo, affinchè si impegnino ad esercitarli in un modo predeterminato.
Trattandosi di veri e propri contratti di diritto privato, i patti parasociali hanno efficacia solo tra le parti che li sottoscrivono, con esclusione tanto dei successivi acquirenti delle azioni; tanto dei terzi o della società.
Tuttavia non è sempre agevole stabilire la natura sociale o parasociale di un accordo, sicchè in dottrina e giurisprudenza sono emerse una serie di teorie al fine di facilitarne la qualificazione.
Una prima teoria, c.d.formalistica, dà rilievo all' integrazione o meno del patto all'interno dello statuto, pertanto se questo dovesse essere ricompreso, ciò costituirebbe prova della sua natura sociale.
Secondo un altro orientamento, occorre valorizzare quale criterio distintivo la volontà delle parti: solo i soci che hanno stipulato il patto possono chiarirne la portata vincolante solo interna, dal quale discende la qualificazione di patto come parasociale o, viceversa, esterna, riguardando anche i futuri soci e la società, assumendo, in tal caso, la natura di patto sociale.
La teoria avallata dalla giurisprudenza è, infine, quella c.d. oggettiva, che valorizza la portata degli obblighi che derivano da tale patto, sicchè se si tratta di un accordo con il quale i soci prevedono dei vincoli limitati ai soli stipulanti si configura un mero contratto parasociale.
Nel contemplare l'esame della questione, occorre dare atto che la pratica conosce un'infinita varietà di contratti parasociali, poichè si tratta di un fenomeno che può dirsi ormai esteso, dal momento che anche le realtà societarie di più piccole dimensioni ne sfruttano l'utilità.
Vi sono patti parasociali con i quali i i soci si impegnano a deliberare, a scadenze predeterminate, aumenti di capitale di ammontare prestabilito; oppure si impegnano a ripartire gli utili con criteri diversi dal criterio legislativo.
Tra le ipotesi più importanti, si pongono senza dubbio i sindacati azionari nella duplice fattispecie dei: sindacati di blocco attraverso i quali tutti i soci o parte di essi si obbligano a non vendere le proprie azioni o a venderle a date condizioni; sindacati di voto che hanno, invece, per oggetto l'esercizio del voto in assemblea.
Occorre ribadire che i patti parasociali hanno efficacia solo tra le parti e la sola sanzione giuridica che assiste tali contratti è l'obbligazione di risarcimento del danno a carico di coloro che si sono resi inadempienti o la perdita della penale, qualora nel contratto parasociale sia stata inserita una clausola penale. Spesso, infatti, per conferire maggiore solidità al patto parasociale, è frequente la previsione di una somma predeterminata di denaro che deve versare, a titolo di penale, colui che risulterà responsabile della violazione dell'accordo.
Si esclude che in caso di inadempimento sia possibile ricorrere all'esecuzione in forma specifica, sebbene la giurisprudenza di merito in due pronunce, una del Tribunale di Genova e l'altra del Tribunale di Milano, hanno ammesso l'esperibilità del rimedio cautelare di cui all'art. 700 c.p.c. e del rimedio ex art. 2932 c.c.
La riforma del 2003 ha introdotto per la prima volta nel codice civile un'espressa disciplina dei patti parasociali.
In passato la giurisprudenza li aveva riconosciuti come validi purchè non avessero un contenuto tale da pregiudicare l'interesse primario della società garantito da norme imperative.
Pertanto, erano ammessi, ad esempio, i sindacati di voto in quanto si riteneva che l'interesse del socio di formare il proprio voto in contraddittorio con gli altri soci nel corso dell'assemblea non fosse di carattere primario.
L'art. 2341 bis c.c. letto in combinato disposto con l'art. 1322 comma 2 c.c. offre un chiaro criterio di giudizio dei patti parasociali, ritenendo che il patto in questione, affinchè possa essere ritenuto valido deve essere diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela e tra questi, senza dubbio, assumono particolare rilevanza la stabilità e la governabilità della società.
Sennonché l'art. 2341 bis c.c. chiarisce che non ogni patto che sia diretto a stabilizzare gli assetti e il governo della società deve essere considerato valido, ma solo quello che nel perseguire tale finalità regoli il voto in assemblea o limiti il trasferimento delle azioni o concerti il controllo societario, secondo le ipotesi espressamente enunciate dal Legislatore nel dato normativo in esame.
D'altra parte il Legislatore si è posto il problema di individuare il punto di equilibrio tra l'interesse alla stabilità degli assetti proprietari e del governo della società e le libertà che si sacrificano attraverso la previsione di tali patti, quali la libertà di voto o quella di circolazione e trasferimento delle azioni.
Sicchè si è ritenuto che un giusto compromesso potesse essere la previsione di un limite temporale ai patti parasociali.
In particolare per le società non quotate, l'art.2341 bis co.1 c.c. prevede che i patti parasociali possono avere una durata massima di 5 anni; per le società quotate nei mercati regolamentati, l'art. 123 Testo unico dell'intermediazione finanziaria, fa riferimento ad un limite temporale di tre anni.
Nonostante i patti parasociali siano a tempo determinato, la legge ne consente il rinnovo a ciascuna scadenza, purchè ciò non avvenga per un tempo eccedente quello previsto dalle norme di riferimento.
Dopo aver illustrato i tratti peculiari del patto parasociale, giova dare atto dei dubbi in dottrina e dei numerosi contrasti in giurisprudenza circa la possibilità di ammettere accordi tesi al superamento di eventuali situazioni di stallo gestionale.
Possono essere previsti meccanismi tali per cui in caso di stallo, prevale la volontà di una delle parti; o in alternativa meccanismi che prevedono l’intervento di un terzo che, designato come arbitratore, avrà un ruolo decisivo nell’ambito dei voti contrapposti dei soci principali.
Nel patto, infine, può essere inserita la clausola della “roulette russa” che può definirsi – nel silenzio della legge – come una reciproca imposizione, in caso di soci paritetici, di vincoli d’acquisto delle altrui quote, in base alla quale ciascun socio può formulare un’offerta di acquisto ad un dato prezzo, della partecipazione dell’altro socio, mentre quest’ultimo godrà al contempo di due opzioni:
- cedere la propria partecipazione;
- acquisire quella di proprietà del socio che ha operato la determinazione del valore.
Nella prassi societaria non è infrequente che la presenza di due soci partitetici ovvero con parità di diritto di voto, sia circostanza idonea a porre significativamente a repentaglio, in caso di disaccordo tra gli stessi, la stessa sopravvivenza della società.
Ciò nondimeno a norma dell’art. 2484 c.c. tra le possibili cause di scioglimento rientrano “l’impossibilità di funzionamento” e “la continuata inattività dell’assemblea”.
Tale meccanismo, tuttavia, nasconde un notevole rischio.
In particolare qualora uno dei soci abbia una maggiore disponibilità finanziaria dell’altro e ne sia consapevole, vi sarà una buona possibilità che questi proponga un prezzo per lui conveniente e, allo stesso tempo, irraggiungibile per il partner.
Sicchè il socio “debole” sarà costretto a vendere le sue quote e il socio “forte”, invece, potrebbe persino apprezzare un’eventuale ipotesi di stallo decisionale e contribuire in mala fede a determinarla.
Alla luce di tali considerazioni e tenendo conto dei principi generali in materia di contratti, una parte della dottrina civilistica ha considerato la suddetta clausola potenzialmente contraria ai principi di buona fede e correttezza contrattuale, specie nel caso in cui non venga determinato un prezzo minimo per la cessione delle azioni.
Di recente il Tribunale di Roma, Terza Sezione Civile, con sentenza n.19708/2017, ha affrontato in maniera approfondita e completa la tematica della validità e della meritevoezza della predetta clausola contenuta in un patto parasociale stipulato tra due soci paritari di una S.p.a.
Nel caso di specie, la vicenda ha visto contrapposte una S.r.l. e una S.p.a., socie di una terza società.
In base a un patto parasociale stipulato dalle parti in lite nel 2006, il rapporto sociale si sarebbe risolto in caso di inattività degli organi sociali o di mancato rinnovo dello stesso patto dopo cinque anni.
Pertanto, ricorrendo una di queste situazioni, la S.p.a. avrebbe potuto determinare il prezzo del 50% del capitale sociale, mentre la S.r.l. avrebbe dovuto acquisire la partecipazione della S.p.a. a quel prezzo o, in alternativa, vendere alla socia la propria quota per lo stesso importo.
Nel 2011 la S.p.a., rilevato che non le era pervenuta la dichiarazione di rinnovo del patto, aveva stimato in 40milioni di euro il 50% del capitale sociale e aveva invitato la S.r.l. a scegliere tra le seguenti alternative: acquistare o cedere le azioni secondo l’accordo.
La S.r.l. ha convenuto in giudizio la S.p.a. al fine di accertare la nullità dei patti parasociali stipulati e chiedendo, in particolare, che fosse dichiarata nulla la russian roulette clause e che fossero riconosciuti i relativi effetti risarcitori.
La società convenuta, in difesa, ha domandato il rigetto della pretesa sostenendo che il contratto era stato concluso in condizioni di parità tra i contraenti.
Intervenendo sul punto, il Tribunale di Roma ha, in primo luogo, osservato che la clausola della roulette russa è un negozio legislativamente atipico, del quale occorre verificare la validità, così come per ogni altro contratto, in termini di meritevolezze degli interessi perseguiti ai sensi dell'art. 1322 co.2 c.c.
Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, la clausola in argomento si presta a risolvere la situazione di paralisi societaria determinata dalla circostanza che i soci detengono ciascuno una partecipazione pari alla metà del capitale sociale che, qualora, dovesse persistere potrebbe determinare lo scioglimento della società ai sensi dell'art. 2848 co.1 n.3 c.c.
Tale clausola svolge la funzione di selezionare quello fra i contraenti obbligato ad acquistare o a vendere la propria partecipazione e la parte che ha il potere di determinare il prezzo della compravendita.
Il soggetto “passivo” della procedura non potrebbe considerarsi svantaggiato dal potere della parte di determinare il corrispettivo per la compravendita, poichè è altrettando vero che a lui è concessa la scelta tra cedere la propria partecipazione o acquisire quella del socio che ha operato la determinazione.
In tal modo, si andrebbe a configurare un meccanismo “intrinsecamente equilibrato”.
Altresì, i giudici di merito hanno sostenuto che la generalità delle norme di diritto societario, come concepite dal Legislatore, non imporrebbe in alcun modo una fissazione del valore delle azioni che sia intrinsecamente equo; tuttavia ciò, potrebbe desumersi, da una lettura analogica delle disposizioni in materia di recesso del socio e di riscatto azionario.
Da tale quadro normativo si esclude che i soci di maggioranza possano imporre una valutazione meramente arbitraria alla quota del socio uscente, ritenendo nullo qualsiasi patto che sia in grado di produrre una spoliazione forzata della partecipazione senza garantire a chi la subisce un prezzo congruo.
Inoltre, secondo il Tribunale di Roma, il valore che può essere preso a riferimento, per evitare il rischio di non garantire una equa valorizzazione della partecipazione sociale, dovrebbe essere costituito dal valore che il socio otterrebbe in sede di liquidazione della società.
Eventuali pattuizioni, tuttavia, potrebbero dirsi nulle solo a condizione che predispongano un meccanismo idoneo di per sé a comportare a priori una determinazione iniqua.
Inoltre in sentenza viene osservato che la clausola della roulette russa non implica, diversamente da quanto sostenuto dalla parte attrice, alcuna violazione del patto leonino, in considerazione del fatto che la ratio del divieto di cui all'art. 2265 c.c. è diversa dalle esigenze perseguite dalla clausola della roulette russa.
Il patto leonino prevede la totale esclusione del socio dalla partecipazione al rischio di impresa o dagli utili, pertanto se non c'è distribuzione degli utili tra tutti i soci, non può dirsi esistente la società.
La nullità del patto leonino è connessa allo scopo perseguito dalla società, ovvero il dividersi gli utili, ai sensi dell'art. 2247 c.c.
Viceversa le clausole antistallo, quale la clausola della roulette russa, hanno la funzione di risolvere uno stallo gestionale, sicchè non sono idonee ad escludere un socio dalla responsabilità della gestione o consentire ad un socio di escludere l'altro.
Giova precisare che la falcoltà di assumere l'iniziativa di attivare la procedura antistallo è vincolata al verificarsi di situazioni che determinano l'incapacità decisionale della società o di scadenza del patto parasociale, espressamente indicate nella clausola stessa, ciò impedisce che tale meccanismo diventi lo strumento attraverso il quale la parte può arbitrariamente escludere, anche in momenti favorevoli, l'altro socio dalla partecipazione societaria conseguendo le utilità che sarebbero spettate a questi ed eludendo, in tal modo, il divieto di patto leonino.
In conclusione, ad avviso del Collegio, la clausola della roulette russa è legittima perchè:
1) è ragionevole considerare il mancato rinnovo dei patti parasociali come ipotesi di stallo gestionale;
2) la clausola non impedisce la modifica di quei patti e quindi la libertà delle parti di rinegoziarli con l'unico limite che, ove non si riesca a trovare un accordo, si verificherà un ipotesi di stallo;
3) la doppia opzione (acquistare o vendere) concessa al socio e, dunque, la reciprocità della facoltà impedisce di ravvisare una posizione di mera soggezione in capo al soggetto che, sebbene "subisca" la determinazione del prezzo, ha la facoltà di procedere alla vendita o all'acquisto.