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Pubbl. Sab, 17 Mar 2018

La dichiarazione di adottabilità è revocabile per errore di fatto

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Valentina Pellegrino


Con l’ordinanza n. 13435 del 2016, la Corte di legittimità ha accolto un ricorso per revocazione di una sentenza della Corte di Appello di Torino, la quale aveva dichiarato l’adottabilità della figlia minore dei ricorrenti.


Attraverso l’ordinanza n. 13435 del 2016, la Corte di legittimità ha accolto il ricorso per revocazione della sentenza della Corte di Appello di Torino, la quale aveva dichiarato l’adottabilità della figlia minore dei ricorrenti.
La Suprema Corte ha statuito che la dichiarazione di adottabilità era fondata su una circostanza di fatto decisiva, ma non corrispondente alla realtà dei fatti. Non sussistendo lo stato di abbandono morale e materiale della minore, viene quindi meno il presupposto fondamentale per la dichiarazione di adottabilità.

Sotto il profilo rescissorio, si è concluso con il rinvio della pronuncia della Corte di Appello affinché venisse compiuto un nuovo controllo circa la situazione di abbandono morale e materiale della minore. La Corte di Appello di Torino ha confermato tale dichiarazione e ha evidenziato che la condizione attuale di abbandono morale e materiale della minore è consequenziale al fatto che la minore da mesi non frequentava, non aveva rapporti significativi né esperienze di vita con i ricorrenti.

A tal proposito, i consulenti tecnici di ufficio hanno rilevato che la rottura del legame tra la minore e gli attuali genitori adottivi avrebbe comportato un evento traumatico e che un rientro presso i genitori biologici sarebbe stato molto controproducente in quanto avrebbe determinato un disagio evolutivo grave della minore.

A fronte di ciò, è utile ricordare che la CEDU stabilisce, nel suo art. 8, che il diritto alla vita familiare da salvaguardare nel suo interesse consiste nella conservazione della situazione stabile e positiva di cui gode. 

Fin dalla nascita, la relazione genitoriale aveva presentato criticità tali da evidenziare, in una relazione dei servizi territoriali, che "non si coglieva un immaginario materno che comprendesse un impegno di accudimento oltre che pratico, anche emotivo-affettivo". Veniva, pertanto, aperta una procedura di volontaria giurisdizione su impulso del p.m. a tutela della minore.

La consulenza d'ufficio svolta in primo grado è stata vivacemente criticata dagli appellanti ma è pervenuta a conclusioni coerenti con quella di secondo grado, infatti dagli accertamenti svolti è emersa una valutazione negativa sulla capacità genitoriale degli appellanti. Il padre ha dimostrato di non rendersi pienamente conto anche da un punto di vista pratico, delle complessive esigenze di una bambina in tenera età e di essere totalmente dipendente ed acritico rispetto alle aspettative genitoriali della moglie. Quest'ultima ha evidenziato un ferreo controllo delle emozioni, un sistema difensivo fortissimo, la negazione di qualsiasi problema, mancanza di consapevolezza in ordine alle difficoltà costantemente dimostrate sull'accudimento concreto della minore, la quale ha evidenziato negli incontri grande fatica e il bisogno di chiudere in fretta una situazione pesante.

I consulenti hanno altresì evidenziato che la bambina ha vissuto un trauma significativo sul piano relazionale ma ha comunque raggiunto le tappe evolutive tipiche ed è adeguata sia sul piano cognitivo che emotivo-relazionale. Gli affidatari e i servizi territoriali hanno riferito di acute crisi d'angoscia manifestate prima e dopo gli incontri con i genitori. I consulenti di parte degli appellanti hanno valutato positivamente la metodologia seguita nelle operazioni peritali pur non concordando sulle conclusioni, riconoscendo tratti narcisistici ed istrionici nella madre biologica.

L'accertamento svolto non ha alla base l'interesse della minore ad avere una famiglia migliore ma quello a vedersi assicurata una crescita sana ed un'assistenza adeguata oltre che una stabilità affettiva. Dunque, lo stato di abbandono si è fondato su carenze genitoriali gravi riscontrate e non emendabili in tempi consoni con la crescita della minore. È stato riscontrato che, nel lungo periodo degli incontri, non si è realizzato un legame funzionale al benessere della minore e, nonostante la collaborazione degli appellanti ed il sostegno dei tecnici interpellati non si è prospettata l'ipotesi di un concreto margine d cambiamento.

In conclusione, secondo la Corte d'Appello deve essere confermata la dichiarazione di adottabilità.

La Corte ha accolto i primi due motivi di ricorso nei quali si deduceva la violazione della L. n. 184 del 1983, articoli 1 e 8 per essere stato dato rilievo preminente se non esclusivo al profilo dell'età dei ricorrenti oltre che all'episodio dell'abbandono rivelatosi non vero e per essere stato dichiarato l'abbandono sulla base di enunciazioni generiche.

Nella fattispecie, la cassazione della sentenza della Corte d'Appello si è fondata sulla dichiarazione di abbandono che giustifica l'adottabilità e costituisce un'ingerenza particolarmente incisiva del diritto alla vita familiare così come declinato dalla Corte EDU e può giustificarsi soltanto se fondata su un'esigenza primaria e se proporzionata agli effetti determinati da essa.
L'esame compiuto sulla loro idoneità si è fondato soltanto sull'età, ovvero su un criterio palesemente illegittimo, senza evidenziare fattori concreti che potevano ritenersi idonei ad integrare la fattispecie di abbandono morale e materiale posto a base dell'articolo. L'oggetto del rinvio è l'esame delle condizioni e dei requisiti per l'accertamento della situazione di abbandono e per la dichiarazione di adottabilità nel rispetto dei parametri normativi, così come desumibili dalla giurisprudenza EDU.

Tra i fatti esaminati, la Corte ha dato rilievo alla circostanza in base alla quale la minore non si è trovata in stato di pericolo, ma da un punto di vista materiale la sequenza accertata dei comportamenti dei ricorrenti non può essere ritenuta irrilevante unitamente alle altre emergenze istruttorie riscontrate, evidenziando un profilo di grave inadeguatezza.

Ad onor del vero, la sentenza in esame non ha violato i principi cui doveva attenersi in sede di rinvio, compiendo una valutazione dei fatti non centrata esclusivamente sul binomio episodio abbandonico - età dei ricorrenti ma arricchendo l'indagine svolta e l'accertamento finale di numerosi ulteriori elementi e ciò costituisce il nucleo incensurabile del sindacato del giudice di merito.